13 dicembre 2013

Allievi Inter '97 da record: futuro di Thohir è iniziato da tempo...


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Tredici su tredici vuol dire record. Lo ricorda anche una nota della Federazione: mai una squadra del campionato Allievi era riuscita a vincere tutte le partite del girone d'andata. L'Inter guidata da Gianmario Corti, con l'ultima vittoria, nel week end, in casa del temibile Varese, ha fatto fin qui filotto: 39 punti, 35 gol segnati e solo 7 subiti, più 7 punti in classifica sulla seconda, il Milan, che nello scontro diretto ha perso 3-0 a Interello. “Ci fa piacere – dice Roberto Samaden, responsabile del Settore Giovanile nerazzurro – ma il nostro giudizio non sarebbe cambiato con un pareggio o una sconfitta in più. La cosa importante, infatti, è che questo gruppo è pieno di ragazzi molto futuribili, che probabilmente arriveranno al calcio professionistico.” Di ottimo livello, aggiungiamo noi: fin qui questa annata 1997 pare addirittura più promettente di quella del '96, che sta ora facendo buonissima figura, mescolata ai '95, nella Primavera. “E' ancora presto per dirlo – aggiunge Samaden –, ma in comune hanno un gruppo solido formato a livello di pulcini, che è stata portato avanti e che ogni anno ha avuto innesti di qualità.” Quei pulcini si chiamavano Federico Bonazzoli, il più giovane debuttante in Prima Squadra, dopo Beppe Bergomi, nella storia dell'Inter, oggi “prestato” alla Primavera ma che in poche presenze tra gli Allievi ha segnato sette gol, Federico Dimarco, probabilmente il miglior giocatore italiano all'ultimo Mondiale under 17, Michele di Gregorio, portiere che ha sempre ricevuto elogi da Luciano Castellini, Fabio Della Giovanna, centrale di difesa molto tecnico, così come Saulo Brambilla, regista di centrocampo dall'alto QI calcistico, e l'esterno d'attacco Matteo Cassani. A questi ragazzi, si sono aggiunti elementi di sicuro avvenire. Quasi subito è arrivato Enrico De Micheli, centrocampista moderno e “pro” già nella testa, come il terzino destro Matteo Colombini, poi altri come la potente mezzapunta Loris Zonta (appena arrivato fu protagonista di un superlativo trofeo Scirea, dove fu votato miglior giocatore) e l'attaccante Samuel Appiah. Giunto molto piccolo, con mamma e fratello minore, a Pordenone dal Ghana, questa punta che ricorda per velocità Oba Martins, è stato pescato da Beppe Giavardi (che ha prelevato in estate anche Giorgio Piacentini dall'Albinoleffe), responsabile degli osservatori nerazzurri, al Fiume Veneto: arrivato all'Inter non ha mai smesso di segnare, quest'anno i suoi centri sono già dieci. Dà il suo contributo pure Mel Taufer, talento che gioca sotto-età ( è del '98). Lo scouting internazionale ha reso ulteriormente ricca la rosa col centrale romeno Ratzan Popa, l'esterno spagnolo Paulo De La Fuente e il portoghese Pedro Gomes Delgado. Thohir sarà contento di apprendere che la sua rivoluzione giovane era già iniziata prima della sua venuta, e ha già frutti ricchissimi.

CARLO PIZZIGONI
Fonte: Gazzetta dello Sport - ed. Milano e Lombardia

02 dicembre 2013

Futbol, il lato bello dell'Honduras




Stiamo crescendo il nuovo Roberto Carlos”, “abbiamo l'attaccante del futuro”. Per quasi un mese, i titoli sul terzino sinistro Alvaro Romero e sull'esterno d'attacco Brayan Velásquez hanno occupato diverse pagine dei quotidiani. Non solo il giornale sportivo “Diez” ha però celebrato i due migliori giocatori della Nazionale dell'Honduras under 17, che ha sfiorato la semifinale nel recente Mondiale, giocato negli Emirati. Anche “La Prensa” e “Tiempo”, i quotidiani più diffusi, hanno macinato inchiostro sui due ragazzi prodigio e su tutta la Nazionale, seguita con affetto dalla gente, esasperata dalla violenza provocata dalle Maras, le gang giovanili nate in Salvador ma diffusesi e riciclatesi, nel tempo, nel Centroamerica e un po' ovunque. L'Honduras che vuole cancellare l'infamante etichetta che lo segnala solo come Paese con il più alto indice di omicidi del pianeta (86,5 ogni 100.000 abitanti, secondo i dati forniti dalla Commissione dei Diritti Umani), ha molte risorse. Dal futbol nascono quindi esempi positivi, ma anche azione diretta. Nelle elezioni per la Presidenza della Repubblica, svoltesi nel week end, ha ottenuto un ottimo risultato Salvador Nasralla, il più celebre giornalista sportivo del Paese, telecronista della Bicolor, la nazionale honduregna, e influentissimo opinionista. Nasralla ha fondato il Partido Anti Corrupción e attraversato tanti villaggi del Paese centroamericano per raccontare la sua volontà di cambiamento. 



 
La gente lo ha ascoltato, e si è lasciata persuadere da un uomo che si è rimesso in gioco a 60 anni: le iperboli nate per le narrazioni calcistiche, sono risultate credibili anche in politica, nonostante l'ostruzionismo del Partido Nacional. La formazione governativa, infatti, gli ha tolto anche la possibilità di eseguire la telecronaca dell'ultimo match col Brasile, spostando in extremis luogo e data della chiusura della campagna elettorale. La nazionale honduregna, guidata dal C.T. colombiano Suarez, si è qualificata senza problemi al Mondiale: in questa realtà la Bicolor è il simbolo positivo per eccellenza, e la politica se la contende. Prima di Sudafrica 2010, il Paese aveva appena vissuto il colpo di stato militare, appoggiato dalle oligarchie, che aveva deposto il presidente Zelaya, eletto democraticamente: l'euforia per la qualificazione al Mondiale dell'Honduras, 28 anni dopo la prima partecipazione, pacificò un Paese che rischiava la guerra civile. Nella semifinale del campionato honduregno si sfidano il Real España di San Pedro Sula (il distretto industriale chiave del Paese, ma anche una delle città più pericolose del Mondo) e l'Olimpia della capitale Tegucigalpa: sono le due maggiori tifoserie catrachas, sono le squadre, rispettivamente, di Romero e di Velásquez, il futuro dell'Honduras. Nel calcio, ma forse non solo.

CARLO PIZZIGONI
Fonte: ET - Extra Time - La Gazzetta dello Sport

15 novembre 2013

Colombia schiacciasassi, il Belgio va KO

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La Colombia oggi è più avanti di un'altra squadra attesissima a Brasile 2014, il Belgio. La sentenza giunge da Bruxelles, dove i cafeteros battono 2-0 i Diavoli Rossi grazie ai gol del solito Falcao e dell'esordiente Ibarbo. La fase difensiva deve essere meglio registrata in entrambe le formazioni, specie nella Nazionale di Wilmots.

Pekerman prova lo schieramento con quattro uomini offensivi, due mediani riequilibratori come Aldo Ramirez e Carlos Sanchez e due laterali profondi (Arias e Armero). La gestione di palla funziona specie se dopo la prima sponda, di solito di Falcao, riferimento offensivo, è James a condurre la giocata fronte alla porta. Meno sperimentale il Belgio con il 4-3-3 con un riferimento chiaro nel centravanti Benteke, quasi impossibile da anticipare dai centrali colombiani Perea e Zapata, e centrocampisti di grande accompagnamento verticale come Fellaini, Witsel e Defour. I Diavoli Rossi vivono le loro migliori situazioni in fase di transizione, sempre forzata, specie da Hazard, ma anche da De Bruyne. E' su iniziativa di quest'ultimo, da destra, che nasce la prima occasione del match: Benteke non riesce a concludere in porta, al termine del solito duello vinto di testa.Una delle poche fiammate della Colombia nella prima parte nasce dai piedi di Muriel, che non ha continuità ancora di rendimento, ma illumina con una giocata d'élite che fa fuori, con l'esterno piede, mezza difesa sulla trequarti, offrendo alla sovrapposizione di Arias, giunta coi tempi perfetti. In mezzo, è bravo Vermaelen ad arrivare prima di Falcao.
Prima parte con poche conclusioni, nella seconda la Colombia mette il turbo e dimostra di essere più avanti nella gestione della gara. James Rodriguez riceve poco oltre la linea di metacampo, non viene coperto da un mediano mentre la difesa avanza. Non tutta la linea è compatta:Alderweireld  rimane un paio di metri dietro, l'ex Porto lo fulmina con un passaggio in verticale per Falcao, tenuto in gioco dal terzino destro. Davanti alla porta Radamel non sbaglia mai: 1-0 al 51'. Nei successivi cinque minuti, sempre partendo da sinistra, i cafeteros sfiorano il raddoppio due volte, prima con l'uno contro uno di Cuadrado, poi con una elegante conclusione di Muriel. Fatica ora il Belgio a ripartire, scosso dall'accelerazione colombiana. Il raddoppio è firmato da Ibarbo, quando la Colombia possiede il comando della partita: lettura pessima generale di una punizione su cui Perea fa da sponda, il cagliaritano, subentrato a Muriel, si aggiusta la palla con il destro e col sinistro incenerisce le reti della porta di Mignolet: 2-0 al 71'. E' bravo a chiudere il vecchio Mondragon (aiutato dal palo), nell'azione che scuote gli europei a metà ripresa, in una situazione nata da gioco aereo, dove i belgi dominano. Un altro legno salva il numero uno colombiano all'80', dopo una grande iniziativa individuale del napoletano Mertens, subentrato ad Hazard. Nel finale c'è spazio per un paio di gol divorati da Jackson Martinez, dentro per Falcao, quando il Belgio ha già accettato la sconfitta, pensieroso sulla fase difensiva da registrare (quanto manca Kompany!).

CARLO PIZZIGONI su Gazzetta.it

0 - Belgio: Mignolet; Meunier, Alderweireld, Vermaelen, Vertonghen; Witsel, Defour (Mirallas, min. 57), Fellaini, De Bruyne (Lukaku, min. 57), Hazard (Mertens, min. 65)  Benteke (Dembelé, min. 73).
2 - Colombia: Mondragón; Arias, Perea, Zapata, Armero; Carlos Sánchez (Mejía, min. 83), Ramírez (Aguilar, min. 62), James Rodríguez (Torres, min. 78); Cuadrado (Guarín, min. 67), Muriel (Ibarbo, min. 59)  Falcao (Martínez, min. 70).
Goles: 0-1, min. 50: Falcao; 0-2, min. 65: Ibarbo;

12 novembre 2013

Mohammed Aboutrika, l'ultimo Faraone




My Way. Ha chiuso a modo suo Mohammed Aboutrika: segnando (all'andata e al ritorno), vincendo (la Champions) e commuovendo. A fine gara, dopo essersi inchinato di fronte al pubblico dell'Al Ahly, il suo pubblico di sempre, ha festeggiato insieme ai compagni mostrando una sottomaglia col numero 72, il numeor delle vittime di Port Said. E rifiutandosi di mettersi in coda per ritarare la medaglia della vittoria, dal Ministro dello Sport egiziano di un governo che l'ultimo Faraone non gradisce. Nella foto ufficiale c'è lui con quella maglia, quel numero, quel ricordo. Prima della finale con gli Orlando Pirates, avevamo impegnato un po' di spazio di Extra Time, il settimanale della Gazzetta, per ricordare questo grande campione. Ecco il testo:
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Un falcata rotonda gestita con busto eretto, lo sguardo sempre alto, la palla accarezzata più che toccata, nel controllo, e un cambio di direzione degno di un ballerino, per eleganza: i prossimi due week end, durante le finali di andata e ritorno di Champions League Africana, potremmo goderci le ultime rappresentazioni di uno dei più grandi calciatori del Continente Nero: Mohamed Aboutrika. Questa meraviglia calcistica, non a caso nata a 500 metri dalla Piramide di Cheope, con la sua squadra di sempre l'Al Ahly, contenderà la coppa ai sudafricani degli Orlando Pirates. Poi, a 34 anni, dirà stop (anche se potrebbe esserci l'eventuale appendice del Mondiale per Club). Aboutrika è l'idolo di diverse generazioni di egiziani e del mondo arabo, e i suoi millanta trofei ( ha vinto, anche, quattro Champions e due coppe d'Africa) centrano fino a un certo punto. Centra la qualità del suo gioco, elegantemente unico, e le sue prese di posizione fuori dal campo, inequivocabilmente incisive. Difficile etichettarlo. Non sono riusciti a irreggimentarlo nemmeno le pompose etichette affibbiategli dalle agenzie dell'ONU e dai poteri locali, per i quali ha condotto svariate campagne di solidarietà, contro la povertà, in favore della donazione di sangue, mirate all'aiuto dei bambini malati di cancro. Laureato in filosofia all'Università del Cairo, molto credente, ha indossato la pettorina quando gli sembrava giusto farlo, ma allorché si è sentito di smarcarsi e, per esempio, appoggiare la causa di Gaza, non ha avuto problemi a mostrare, dopo un gol, una sotto-maglia a favore della causa palestinese, durante una gara di Coppa d'Africa. E se la CAF e la FIFA hanno poco gradito, pazienza. L'Europa ha tentato di sedurlo, senza successo: l'affetto della sua gente lo ha sempre trattenuto, lui che prima di un turbolento incontro tra Algeria-Egitto è stato l'unico, su suolo nemico, ad essere non solo risparmiato dagli insulti, ma addirittura applaudito: anche il più fanatico dei tifosi sa che i miti non si toccano. E un giocatore che durante la tragedia di Port Said, dove morirono 74 persone, accorse sulle tribune, maglia e calzoncini addosso, e portò a braccia negli spogliatoi un ragazzo di 14 anni moribondo per affidarlo alle cure del medico della squadra, è qualcosa di più di un semplice trequartista. Quell'evento ha segnato indelebilmente l'Egitto e Aboutrika, che ha caldo aveva annunciato l'addio (“questo non è più uno sport”) e per rispetto agli Ultras Alhawy si rifiutò di giocare finché non venissero accertate le responsabilità di quel disastro. “Giochiamo non solo col fine di vincere, ma soprattutto per fare divertire la nostra gente”, ha detto. Al contrario di tanti suoi compagni, impegnati a misurare il vento, ha parlato in favore dei ragazzi che manifestavano per cercare un altro Egitto, e ha sfidato più volte l'esercito, l'unico vero potere attualmente esistente nel Paese. Significativo che chiuda la carriera contro la squadra del cuore di Nelson Mandela, l'icona per eccellenza del Continente Africano. Gli Orlando Pirates, squadra di Soweto, provano a replicare l'unico successo in Champions del lontano 1995. Dopo aver eliminato a sorpresa in semifinale i favoriti dell'Espérance Tunisi, hanno davanti la Piramide più grande da scalare.

CARLO PIZZIGONI
FONTE: EXTRATIME - La Gazzetta dello Sport

04 novembre 2013

Luca Maniero e Davide Voltan, un giorno da nemici a Interello: finisce in pareggio

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Frena in casa l'Inter Primavera, che sbaglia al 90' un rigore con Capello. Finisce 1-1 la partita tra i nerazzurri e il Padova, come in parità termina la sfida tra due amici per la pelle, oggi, dopo otto anni, divisi per la prima volta da una maglia differente. Al 27' del primo tempo Luca Maniero, portiere che l'inter ha prelevato a inizio stagione dalla società biancorossi, aveva davanti il suo amico Davide Voltan: “Lui di solita incrocia sempre il tiro – dice questo numero 1 che farà strada -: mi ha fregato! Lo conosco bene, e lui conosce me...” Vantaggio patavino, ma il tempo per rifarsi, c'è: dopo il pareggio nerazzurro, all'ultimo secondo di gara, Voltan, esterno offensivo di talento, fa fuori un paio di avversari e si appresta alla conclusione: “ Sapevo che avrebbe tentato la giocata a giro sul secondo palo, appena ho visto che ah accenato al comvimento, sono andato a prenderla”: davanti al microfono di Alessandro Villa di Inter Channel descrive così il miracolo di fine partita, Maniero. In mezzo alla disputa tra amici c'è stata un Inter che ha giocato una partita con troppi strappi, senza la necessaria continuità. Il pareggio lo ha ottenuto a inizio ripresa: bella azione di Capello, schierato centravanti (il titolare del ruolo, Puscas, è con la prima squadra), assist in mezzo per Gaston Camara che appoggiava in rete. Velocità supersonica, il ragazzo della Guinea sta imparando tanto e rapidamente a livello tattico: “ qui, stare in campo, è molto diverso rispetto a dove giocavo. A Conakry mi ha notato l'osservatore Mauro Cevoli e sono venuto in Italia.” 

CARLO PIZZIGONI
Fonte: Gazzetta dello Sport - Ed. Milano e Lombardia

29 ottobre 2013

Gambia, dove si vietano i tornei di calcio per strada

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Se giochi a calcio per strada, vai in galera. Non è la sintesi di qualche fantasy similorwelliano venuto male. E' successo, sta succedendo davvero, in Gambia, lembo di terra completamente circondato dal Senegal, già riserva di schiavi per gli affari sporchi della corona inglese, oggi retta dall'istrionica figura di Yaye Jammeh. Famoso per altre sparate clamorose, continue quelle contro gli omosessuali, Jammeh ultimamente si è inventato invece l'uscita dal Commonwealth (“organizzazione neo-colonialista”) e la settimana corta per gli uffici pubblici (“il venerdì è il giorno della preghiera”, intima il colonnello convertitosi all'Islam), e da poco è sceso in campo contro i Navétanes, i tornei che si svolgono per strada durante la “stagione delle piogge” (l'origine della parola in lingua wolof è proprio questa). Chiuse le scuole, i ragazzi si spendono da mane a sera in interminabili tornei estivi. In Senegal, che rimane il riferimento culturale principale del Gambia, i Navétanes sono vere e proprie istituzioni: scomparsi i club creati dagli europei (ormai privi di tifosi), le squadre di quartiere che partecipavano ai tornei di strada si sono strutturate e ora competono nel campionato nazionale. Un fenomeno dei Navétanes è stato El Hadji Diouf, simbolo della Nazionale che sconfisse la Francia al Mondiale del 2002, poi transitato da Liverpool.
Per il presidente Jammeh, però, “la pausa scolastica deve essere dedicata al lavoro della terra e all'aiuto dei genitori, in maggior parte poveri”, al diavolo le frivolezze, tipo il football. Il capo di stato non si è però limitato a miti consigli: chi viene sorpreso a giocare per strada, da giugno a metà ottobre, rischia fino a otto anni di carcere. Nell'ultimo periodo si è provveduto a dare effetto pratico al mostruoso provvedimento: a Samide, nella regione del centro-nord del Paese sono stati arrestati dieci ragazzi, e si parla di altri fermi in giro per il Gambia, noto in Europa come meta del turismo sessuale femminile. Le voci libere rimaste nel Paese (oppositori e giornalisti dissenzienti affollano le carceri gambiane) chiedono anche l'intervento della FIFA, che per ora non ha profferito parola. Il Gambia ha tanta passione ma relativa tradizione calcistica, recentemente la Nazionale è stata guidata da un CT italiano, Luciano Mancini. Il maggiore exploit è legato all'Under 20 del 2007, terza classificata ai campionati africani di categoria e protagonista di un buon mondiale, dove si fermò agli ottavi, anche se molti dubbi lasciarono, in diversi addetti ai lavori, le età reali di alcuni giocatori.

CARLO PIZZIGONI
Fonte: ET Extra Time - La Gazzetta dello Sport


21 ottobre 2013

Pure le FARC salgono sul carro della Colombia Mondiale





Tutti uniti attorno ai successi della Nazionale. La partita che ha segnato il ritorno della Colombia al Mondiale, un rocambolesco 3-3 ottenuto dai Cafeteros in rimonta sul Cile, ha avuto una portata storica che va oltre l'aspetto meramente sportivo. Ai negoziati di pace tra il Governo e la guerriglia delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane), in corso ormai da mesi a L'Avana, le due fazioni hanno osservato uno stop di 90 minuti per godersi, rigorosamente in luoghi separati, le imprese di Falcao e compagni. “Tanti di noi sono appassionati di futbol”, ha detto Tanja Nijmeijer, la celebre guerrigliera olandese. “ Ci spiace profondamente per i fratelli cileni, ma la Colombia deve vincere per andare al Mondiale... e ce la farà”, ha riferito ai giornalisti Rodrigo Granda, un altro membro delle FARC presente a Cuba. Il capo della delegazione governativa, Humberto de la Calle, si è spinto fino a un pronostico “ vedremo la partita: vinceremo noi, io dico 2-1.” All'opinione pubblica colombiana, la notizia rimbalzata da Cuba appare avere esclusivi intenti propagandistici. Il Presidente Santos, che su twitter è attivissimo e i cinguettii a favore della Nazionale sono frequenti, è in caduta libera nei sondaggi: l'anno prossimo ci saranno le elezioni, in cui certamente correrà per bissare il mandato. Le FARC da tempo non hanno più nessun seguito popolare, dopo le diverse inchieste che hanno testimoniato l'ormai certo coinvolgimento nel mercato del narcotraffico, la presenza nelle loro fila di bambini-soldato e i continui rapimenti a fini di riscatto. La Nazionale di Pekerman rappresenta per tutti un carro pulito e vincente su cui è comodissimo e redditizio in qualche modo salire. Se è vero, come ha detto un'altra guerrigliera, che molti di loro sono soliti guardare le imprese calcistiche dei Cafeteros, certo non saranno contenti delle continue campagne pubblicitarie organizzate dal Ministero della Difesa, in cui sono spesso coinvolti calciatori. Uno spot, passato in tv nei momenti immediatamente precedenti al match della Colombia, mostra celebri giocatori, da apprezzati ex come Leonel Alvarez, Leider Preciado e Oscar Cordoba, fino a Pedro Franco, oggi al Besiktas, intenti a suggerire ai guerriglieri di abbandonare la lotta, di appoggiare la propria Nazionale e il proprio Paese, non la guerriglia: “miliciano empiece ya su nueva vida, desmovilicese", si dice: miliziano, ricomincia a vivere, abbandona la lotta armata ( i “Desmovilizados” sono le persone che lasciano la guerriglia). A fine partita le FARC hanno esaltato l'impresa della Nazionale “per aver dato gioia al popolo colombiano”; sottolineando i meriti di Pekerman, Falcao e Teo Gutierrez. L'inedito comunicato non è stato purtroppo bissato da un altro di uguale soddisfazione. Nel week end successivo alla partita contro il Cile, i negoziati di pace dell'Avana hanno subito l'ennesimo stop e ciascuna parte ha accusato l'altra di mancanza di responsabilità.

CARLO PIZZIGONI
Fonte: ET Extra Time - La Gazzetta dello Sport


12 ottobre 2013

Pazza Colombia: è rimonta mondiale!






Finalmente. Al termine di una rimonta clamorosa, da 0-3 a 3-3, la Colombia si guadagna contro il Cile il punto che gli consente di festeggiare il ritorno al Mondiale, dopo 16 anni di assenza. Dopo il triplo svantaggio, firmato da Vidal (rigore) e Alexis Sanchez (doppietta), i cafeteros giocano un grande secondo tempo e raggiungono il pareggio con Teo Gutierrez e Radamel Falcao ( due volte dagli undici metri). A una giornata dal termine delle Qualificazioni a Brasile 2014, meta vicinissima per Ecuador e Cile, quasi certo il quinto posto e quindi lo spareggio per l'Uruguay contro la Giordania.

SUPER CILE IN AVVIO - In una Barranquilla addobbata a festa (come tutto il Paese: uscita anticipata dagli uffici), Colombia e Cile hanno dato vita a una gara entusiasmante. Inizia alla grande il Cile, che con l'arrivo sulla panchina di Jorge Sampaoli è tornato a possedere l'entusiasmo ( e i risultati) degli anni del “Loco” Bielsa. Ritmo e intensità, grande compattezza di squadra, reparti che si mescolano a meraviglia, creando totale superiorità in mezzo, con la linea dei tre dietro che fa scorrere velocemente il giro-palla, Carmona perno davanti alla difesa, Vidal a tutto campo, Valdivia che parte da “falso nove” per trovare spazi intermedi e grande profondità con Alexis Sanchez ed Edu Vargas. Le ripartenze del Cile fanno malissimo alla Colombia, che spreca la prima palla gol con Teo Gutierrez ma fa enorme fatica difensiva. La prima rete nasce da una imprecisione in uscita di palla di Perea, Valdivia è bravo a recuperare la sfera ed è geniale nell'immediata verticalizzazione per Vargas, che anticipa l'uscita bassa di Ospina e trova il rigore. Perfetto nell'esecuzione Vidal, 1-0 al 18'. La transizione, sempre forzata dai cileni che giocano senza mai perdere equilibrio in campo, produce la seconda rete, con Sanchez. L'ex Udinese bissa poco prima del 30', sugli sviluppi di un corner. Dominio totale della squadra di Sampaoli, che con i tre punti sarebbe già qualificata per i Mondiali.

RIMONTA COLOMBIA - Il 4-4-2 di Pekerman non ha il dinamismo necessario, trova coi tempi sbagliati gli esterni, James Rodriguez e Cuadrado, che dovrebbero innescare l'azione offensiva. Dietro soffre tremendamente, anche per errati movimenti nell'uscite per il pressing (che viene pure cercato in zona medio-alta), e per i disastri nelle spaziature sulle transizioni difensive. Sotto di tre reti il CT Pekerman, rimane lucido: modifica la struttura in un 4-3-1-2 con James alle spalle di Falcao e Teo Gutierrez e inserisce Guarin e Macnelly per giocare da mezzeali al fianco di Carlos Sanchez, fisso davanti alla difesa. Cuadrado retrocede a terzino (dove è pesata molto l'assenza di Zuniga), e la partita cambia, anche per l'intensità e la voglia ritrovata dei cafeteros, che vanno più volte vicino alla rete. La gara è già mutata d'inerzia quando, al 66', Carmona colpisce la palla con la mano e si prende il secondo giallo. Lì Pekerman è svelto nel cambio: fuori Sanchez, dentro un altro attaccante, Carlos Bacca, per un rischiosissimo 4-2-3-1, con Guarin e Macnelly in mediana. Coraggio premiato, merito pure della tenacia di Armero, che mantiene viva una palla quasi persa (errore dell'appena entrato cileno Rojas) e trova al centro Gutierrez, che segna il gol di inizio rimonta al 69'. Il Metropolitano è una bolgia, e il Cile difende male il vantaggio, con l'uomo in meno. Due rigori (il primo, al 75', dubbio, il secondo, all'84', netto) entrambi per falli subiti da James Rodriguez, entrambi realizzati da Falcao, mandano in Paradiso la Colombia, che dopo Francia 1998, torna a un Mondiale.

VITTORIA ECUADOR - Il pareggio lascia comunque il Cile a un punto da Brasile 2014: nell'ultima gara la Roja se la vedrà mercoledì con l'Ecuador, che è nella stessa situazione. La squadra andina, allenata da un CT colombiano, Rueda, si è meritata questo vantaggio battendo in casa l'Uruguay per 1-0: ha deciso un gol di Jefferson Montero al 30'. Brutta gara per gli uomini di Tabarez, che possono sperare in un risultato differente dal pareggio e cercare di raddrizzare la differenza rete nell'ultimo match; andasse male, si classificheranno al quinto posto, ottenendo la chance di giocare lo spareggio intercontinentale contro la Giordania. Non impossibile, per Suarez, Cavani e compagni. In match ormai di scarsa importanza ai fini della qualificazione, il Paraguay ha pareggiato in Venezuela ( Benitez e Seijas in gol), mentre l'Argentina, col pass-Mondiale già in tasca, ha battuto il Perù: in rete Lavezzi (doppietta) e l'interista Palacio, dopo il vantaggio di Pizarro.

AREA CONCACAF – Nella federazione del Centro e Nord America, vittoria 1-0 dell'Honduras a San Pedro Sula contro il già qualificato Costarica (gol di Bengtson). La squadra catracha è vicinissima al ticket diretto per il Brasile, conservando i tre punti vantaggio sul Messico, che ha vissuto una serata di forti emozioni. Il Tricolor doveva vincere per sperare nel quarto posto del girone, e la conseguente qualificazione alla partita di spareggio contro la Nuova Zelanda: c'è riuscito, davanti ai soliti centomila dello stadio Azteca, battendo 2-1 Panama. Agonica la partita, col Chicharito Hernandez che sbaglia un rigore e Panama che trova il pareggio a 10' dalla fine con Tejada, dopo il gol iniziale di Peralta. Decide in favore del Messico, a 5' dal termine, una spettacolare rovesciata di Raul Jimenez: ora è sufficiente un punto contro Costarica mercoledì e sarà spareggio. Gli Stati Uniti di Klinsmann (già al Mondiale), hanno sconfitto 2-0 la Giamaica, per merito di Zusi e Altidore.

CARLO PIZZIGONI



Messico - Panama 2-1

11 ottobre 2013

L'Africa sceglie le sue rappresentanti al Mondiale: iniziano gli spareggi


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Ci sarà anche il fratello maggiore di Yaya Touré, Kolo, nella Costa d'Avorio, impegnata nel prossimo week end nelle gare di andata degli spareggi che decreteranno le cinque rappresentanti africane al Mondiale in Brasile. Dopo essersi finalmente ritrovato, nel Liverpool di Rodgers, sarà schierato in difesa al fianco di Souleyman Bamba, nel match delicato che gli Elefanti disputeranno contro i rivali del Senegal. Dopo l'exploit del Mondiale 2002, dove i senegalesi avevano battuto all'esordio la Francia e raggiunto addirittura i quarti, si è fermata la crescita deel movimento legato ai Leoni della Teranga. Proprio un francese, Alain Giresse (nella foto), che non potrà contare su Demba Ba, proverà a rilanciarlo: “loro sono favoriti, dovremmo lavorare di squadra per fermarli – ha detto l'ex scudiero di Platini nei Bleus – fanno paura quando partono in velocità, pensate alla qualità di Gervinho...” Significativa la citazione del romanista, in una squadra che davanti può ancora contare sul totem Didier Drogba e su Lacina Traoré, obiettivo di mercato della Juventus a gennaio. Di italiano profuma anche la panchina ivoriana, con Sabri Lamouchi. L'ex di Parma, Inter e Genoa
è criticatissimo dalla stampa di Abidjan, che crede molto, in caso di qualificazione mondiale, a un ingaggio di Roberto Mancini (ha voluto una clausola di uscita ad hoc dal Galatasaray), naturalmente con la benedizione di Yaya Touré. L'italiano è seconda lingua nello spogliatoio del Ghana. Il CT Kwesi Appiah ha richiamato il milanista Muntari, che potrebbe dividere il centrocampo con l'ex compagno Kevin Prince Boateng, lo juventino Asamoah e l'udinese Badu. Preoccupano i forfait di tanti difensori: Vorsah, Jonathan Mensah e Afful sono out e lasciano speranze all'Egitto del nuovo idolo Mohamed Salah (Basilea). Sempre complicati da affrontare i Faraoni, nonostante il momento delicato vissuto dal Paese, che si ripercuotono anche sulla doppia sfida: l'incontro di ritorno sarà giocato nel piccolo Air Defense Stadium del Cairo. Problemi anche in Tunisia, dove l'interim CT, Ruud Krol ha spiazzato tanti media locali non convocando Youssef Msakni e Oussama Darragi. Fino all'ultimo non saprà se avrà di fronte l'ex Inter Samuel Eto'o, che non ha ancora deciso se tornare a giocare nel Camerun. Pochi dubbi invece che un interista di oggi, Saphir Taider, sarà il faro del centrocampo dell'Algeria (mancherà invece l'altro nerazzurro, Belfodil), che ha una grande chance di andare ai Mondiali, incrociando i vice campioni di Africa del Burkina Faso orfani di Alain Touré. Appare un incontro a pronostico chiuso quello tra Etiopia e Nigeria, che avrà in panchina il CT Stephen Keshi: la sua uscita “razzista” contro il tecnica belga del Malawi Tom Saintfiet (“white dude” l'aveva chiamato, invitandolo a tornare in Europa) gli è costata solo una multa. Il grande entusiasmo di Addis Abeba potrebbe essere un fattore, per un calcio comunque in netta ripresa. La Nigeria del laziale Onazi e con Oduamadi, ex Milan oggi al Brescia, dovrà fare molta attenzione.

CARLO PIZZIGONI
Fonte: ET ExtraTime - La Gazzetta dello Sport

Programma degli spareggi di andata:

12 ottobre:
Ouagadougou: Burkina Faso – Algeria (ore 16) - Abidjan: Costa d'Avorio – Senegal (ore 17)
13 ottobre:
Addis Abeba: Etiopia – Nigeria (ore 13) – Radès: Tunisia – Camerun (ore 17)

15 ottobre:
Kumasi: Ghana – Egitto (ore 16)

02 ottobre 2013

Gervinho, Sol Beni brilla anche a Roma




La Costa d'Avorio a quei tempi era la Svizzera dell'Africa. Sierra Leone e Liberia si dilaniavano in guerre civili perenni, passavi la frontiera e tutto era in ordine. Nel 1994 il Presidente della più potente e amata squadra della Costa d'Avorio, l'ASEC, Roger Ouegnin, si fa convincere da un francese visionario a costruire una scuola calcio. Il transalpino si chiama Jean Marc Guillou, ha giocato un Mondiale coi Galletti, nel 1978: aveva il 10 sulla schiena. E la fantasia non l'ha mai abbandonato. Nasce l'Académie di Sol Beni, dal nome la zona di Abidjan dove sorge, in riva al mare. I ragazzi, i primi academiciens sono reclutati in tutto il Paese (all'interno della struttura ci sono anche le scuole, perché un ragazzo non vive solo di calcio): si chiamano Kolo Touré, Zokora, Aruna Dindane. Prima di affermarsi in Europa, vinceranno, loro ragazzini appena maggiorenni, la Super Coppa d'Africa del '99 contro la potente Espérance di Tunisi. Gervinho nasce lì, è figlio di altre generazioni dell'Académie, come lo sono quasi tutti i giocatori che hanno attraversato la nazionale ivoriana in questi anni ( da Yaya Touré in giù), con la sola eccezione di Didier Drogba, arrivato ragazzino in Francia. In Costa d'Avorio i ragazzi dell'Académie sono dei veri e propri miti, anche ora che dopo divergenze, soprattutto economiche Guillou (un tipo certo non facile da gestire) e Ouegnin hanno litigato, si sono separati e nel Paese, che vive un periodo politicamente e socialmente delicato, proliferano scuole calcio che affermano di ispirarsi all'idea iniziale, anche se non sempre è così. Gervinho è uno dei prodotti più riusciti dell'Académie, e il suo nome nasce proprio a Sol Beni. Jean Marc Guillou, che battezza ogni generazione col nome di un grande del calcio (da Cruyff a Maradona), assegna anche dei nomignoli, alla brasiliana, ai suoi giocatori: per sottolineare lo spirito a cui tende il suo progetto: il calcio è tecnica, fantasia. Gervais Yao Kouassi diventa, e rimane, come fosse cresciuto sule spiagge di Copacabana, Gervinho. Quando riparte nella Roma di Garcia, è ancora quel ragazzo che a piedi nudi rifilava finte continue e andava in rete, nella più grande scuola di calcio dell'Africa.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Gazzetta dello Sport - Edizione Roma

29 luglio 2013

Pep KO: la Supercoppa è del Borussia Dortmund



 Male la prima: Pep Guardiola e il suo Bayern bucano a sorpresa il primo trofeo ufficiale della stagione: sotto la marea gialla del Westfalenstadion, il Borussia Dortmund si prende la rivincita dell’ultima Champions League e può alzare con merito la Supercoppa di Germania. 4-2 il risultato finale in favore dei ragazzi di Klopp, con doppietta di Reus, rete di Gundogan e autogol di van Buyten, inutili i due gol di Robben.

Guardiola sorprende da subito: il suo 4-3-3 prevede Mandzukic a sinistra e pronto ad approfittare degli spazi creati dal falso centravanti Shaqiri, con Robben a destra e Muller sulla linea dei centrocampisti che comprende anche Thiago Alcantara davanti alla difesa e Toni Kroos. Pesanti le assenze di Ribery, Neur e Goetze, con Schweinsteiger che deve partire dalla panchina. Anche in casa Dortmund devono fare a meno di pezzi grossi: non c’è il neo acquisto Mkhitaryan e Aubameyang deve partire dalla panchina, manca Piszczek, che è sostituito nel ruolo di terzino destro da Grosskreutz. Klopp arma il suo classico 4-2-3-1 con Sahin e Bender davanti alla difesa, Gundogan gioca più avanti con Lewandoski riferimento offensivo, affiancato da Reus e da Kuba Blaszczykowski, in campo dall’inizio nonostante un fastidioso infortunio. Inizia con autorità la squadra di Pep, naturalmente favorita, ma al 6’, al primo errore, va sotto: grossolana l’incertezza del sostituto di Neur, Tom Starke, che non trattiene una palla di semplice lettura, ne approfitta Reus, che segue l’azione e si avvantaggia della papera per mettere dentro. Dopo un paio di minuti balla ancora la difesa bavarese, in cui Guardiola sceglie di panchinare Dante in favore di van Buyten e Boateng: la rete di Lewandoski è però annullata per dubbio fuorigioco. La partita è aperta, il Bayern va vicino alla rete in un paio di occasioni con Shaqiri (su cui è bravissimo Weidenfeller) e Mandzukic, che non arriva su un assist da sinistra del positivo Alaba. Ma i campioni d’Europa fanno enorme fatica nel contenere la favolosa transizione del Borussia, che trova appoggi decisivi, ai fini dell’apertura della manovra, sulla trequarti anche per la poca coordinazione della linea difensiva bavarese con i centrocampisti: alle spalle di Thiago Alcantara c’è troppo spazio. Il Dortmund potrebbe sentenziare la gara: la migliore occasione capita a Lewandoski, dopo una ottima intuizione del connazionale Blaszczykowski, Starke è bravo a opporsi.

Troppa sofferenza, Guardiola è obbligato a modificare l’assetto e ridisegna a inizio secondo tempo la sua squadra col 4-2-3-1, con Kroos ad affiancare Thiago Alcantara nella creazione, Mandzukic ritorna in mezzo, Muller gioca dietro di lui, Robben va a sinistra e Shaqiri passa a destra. L’uomo chiave resta però Lahm (molto elogiato da Guardiola, durante tutta la preparazione): dopo una palla lavorata finalmente bene da Thiago, è del terzino il cross, da destra, che pesca Robben, bravo a mettere dentro, ma malissimo in marcatura la difesa del Dortmund, specie cattiva la lettura di Grosskreutz sul lato debole. La rete del pareggio, al 54’, non demoralizza i padroni di casa, che reagiscono con due gol in due minuti. Ancora troppa libertà sulla trequarti per Gundogan: un suo cross è deviato nella rete da una improvvida deviazione di testa di van Buyten (56’), una conclusione a giro è imparabile per il 3-1 (57’). I gialli hanno in mano la gara, che però viene riaperta per merito dell’ennesima percussione di Lahm: Robben in area approfitta del mancato anticipo di Hummels per ricevere, si gira con grande rapidità e trova la rete del 2-3 (64’). Guardiola si gioca tutto inserendo Schweinsteiger ( e poi Pizarro) e riformando un 4-3-3 spurio. La gara è bellissima: entrambe le squadra propongono e concludono, non riescono a modificare il risultato prima Muller (palo) poi Gundogan e Reus (salvataggio sulla linea di Alaba). Klopp butta nella mischia Aubameyang per Blaszczykowski (72’), e l’ex Saint Etienne diventa un fattore nelle ripartenze del Dortmund. In una di queste, offre un magnifico assist a Reus che in posizione dubbia mette dentro la rete che chiude il match, all’86’: un minuto prima Guardiola aveva inserito il difensore brasiliano Dante nel ruolo di centravanti (sic). Il super ciclo di vittorie del Bayern si interrompe qui, Pep ha il tempo per rifarsi e riflettere, ma la pressione su di lui aumenta. Per Klopp, una bella e meritata rivincita.

CARLO PIZZIGONI
Fonte: Gazzetta.it

11 luglio 2013

Uruguay in finale nel Mondiale under 20: continua il miracolo charrua, rivoluzionario fin dagli albori

L'Uruguay under 20 si qualifica per la finale Mondiale, che giocherà sabato contro la Francia. L'Uruguay è il vero miracolo del calcio: un Paese grande come la Lombardia che da sempre è competitivo ad altissimo livello. Ecco come tutto cominciò...




Si Inglaterra es la madre del futbol, Uruguay es el padre. Si dice questo nelle viuzze di Montevideo, e in tutta la República Oriental. Non è opinione, è storia: nell’ottobre del 1863 la Football Association organizzava il primo regolamento calcistico, la nazionale uruguayana vinceva le prime manifestazioni internazionali legate allo sport della pedata: le Olimpiadi del 1924 e del 1928, e il primo Mondiale, nel 1930. Il passaggio di consegne avviene in maniera diretta, sono naturalmente i britannici a sbarcare il football alle foci del Rio de La Plata. Nel 1891 nasceva l’Albion Football Club, ma l’accesso era esclusivo, così i giovani uruguayani, subito appassionatisi al gioco, avevano provveduto in proprio. Alcuni si erano infiltrati nel Central Uruguay Railway Cricket Club (CURCC), altri avevano fondato il Club Nacional de Futbol: prima di fine secolo era già nata la più grande rivalità del calcio uruguayano, Peñarol - Nacional. La sezione calcistica del CURCC avrebbe, infatti, preso a prestito il nome del quartiere dove era stata eretta la Empresa de Ferrocarril, la società delle ferrovie che stava ridisegnando logisticamente l’Uruguay. Nel 1751 la famiglia piemontese Crosa, originaria di Pinerolo, aveva costruito qui la propria “fazenda”, a cui aveva assegnato il nostalgico nome di Villa Peñarol, da qui il nome del barrio di Montevideo, e quindi la squadra che non a caso aveva scelto il giallo e il nero, i colori delle ferrovie inglesi. Il CURCC/Peñarol aveva sfidato l’Albion, in quella che sarà ricordata come la prima partita del calcio uruguayano, e i gialloneri saranno protagonisti anche del debutto internazionale, officiando una gara disputata a Buenos Aires. La Celeste, la nazionale dell’Uruguay, vince le prime edizioni della Copa America ( che era ancora chiamata “Campeonato Sudamericano de Selecciones”), nel 1916 e l’anno successivo. Il Paese viveva una straordinaria stagione, sia dal punto di vista economico (anche grazie agli investimenti inglesi, che da quello sociale, specialmente nei due mandati del presidente José Battle y Ordoñez (1903-07, 1911-15). Tra le riforme di quel periodo, quella della separazione tra Stato e Chiesa,  l’abolizione della pena di morte e del servizio militare obbligatorio, la nazionalizzazione della maggior parte dei servizi pubblici, il suffragio universale, l’apertura dell’università alle donne. In questa atmosfera si inserisce l’esordio di calciatori neri nella nazionale, un passo considerato tabù in altri paesi sudamericani. La gara d’esordio della Copa America del ’16, vede, per la prima volta la presenza di giocatori con discendenze africane, situazione che irrita fino al reclamo ( e alla richiesta di annullare il match) gli avversari del Cile: i due calciatori sono Juan Delgado e Isabelino Gradin, miglior giocatore e capocannoniere di quella competizione. Essi appartengono alla comunità Nera di origine africana che al principio del XIX rappresentava il 50% degli abitanti di Montevideo. Gli schiavi africani erano stati introdotti nel Paese a partire dal 1743, ma in maggioranza di essi erano destinati al lavoro nelle piantagioni di cotone e canna da zucchero, quindi al di fuori dell’Uruguay. Però a Montevideo attraccavano le navi, molte navi: nel giro di poco meno di cento anni si conta che giunsero circa 20 milioni di schiavi. L’Uruguay aveva un quarto della popolazione formato da Neri e meticci a inizio Ottocento, e aveva presto avviato un processo di emancipazione che li porterà, dopo l’Indipendenza del 1930, all’abolizione della schiavitù nel 1846. L’integrazione aveva naturalmente creato problemi, risolti, poco alla volta e almeno in parte, grazie ai successi sportivi di giocatori come Gradin, detto “ El Negro”. “ La gente si alzava in piedi quando lui si lanciava a velocità eccezionale, dominando la palla come se camminasse e senza fermarsi schivava i rivali e tirava in corsa”, annota il più grande scrittore di futbol, e non solo, del latino-america, Eduardo Galeano, lui pure uruguayano. Oltre alla forza fisica, c’è l’abilità mutuata anche dai balli africani: nasceva il dribbling, l’arte di aggirare gli avversari con la quale la Celeste stupì il pubblico alle Olimpiadi del 1924. In una Parigi che scopre diverse figure della cultura nera: i jazzmen, i pugili e la mitica Josephine Baker, la dark star delle Folies Bergère, che viene accreditata proprio di una love story con il calciatore uruguayano Andrade. Vinte le Olimpiade nella Ville Lumière, in finale contro la Svizzera (netto 3-0), la Celeste avrebbe bissato quattro anni dopo, per poi issare la coppa Rimet nel cielo di Montevideo, nel primo Mondiale giocato. La finalissima, contro l’Argentina, si giocava nell’avveniristico stadio Centenario (così nominato per festeggiare i cento anni dell’Indipendenza della nazione). Pochi mesi dopo un golpe e un governo militare avrebbe bloccato la grande età dell’oro uruguayana, che nel calcio aveva già fatto storia. La Storia.


CARLO PIZZIGONI
Fonte: Giornale del Popolo - Lugano


05 luglio 2013

Da Thiago Silva a Chico Mendes, è un Nuovo Brasile?




Su la Testa. In campo, il Brasile ha distrutto la Spagna campione del Mondo e si è portato a casa la Confederations Cup, in un Maracanã che è tornato a ruggire dopo mesi di gru, ruspe e polemiche. Ma il torneo della FIFA ha lasciato anche altre foto ricordo, decisamente poco piacevoli. Le manifestazioni di piazza, i cortei più o meni violenti, le cariche della polizia, hanno accompagnato tutta la competizione, innescando polemiche dentro e fuori dal Brasile. Lo slogan per etichettare ad uso dei social network la “Rivolta” è già pronto: il Gigante si è svegliato. Il Brasile è stato per troppi anni, considerato periferia dell’Impero. Il BIC (Brasile, India, Cina, poi divenuto BRICS, con l’aggiunta di Russia e Sudafrica) l’acronimo coniato per indicare i Paesi con il maggiore sviluppo economico, era un miraggio e gli Stati guida del Mondo tendevano a scegliere altri interlocutori quando si trattava il tema del Sudamerica. E in un certo senso il Brasile è poco sudamericano. La dominazione portoghese è stata profondamente differente, non solo da quella calvinista e in generale protestante che ha interessato il Nord del Continente, ma anche da quella spagnola che, pur nelle necessarie distinzioni, ha abbracciato il resto del Latino America. Come raccontano i datati saggi dei primi sociologi che hanno studiato le radici del Paese (datati ma raccomandabilissimi: per capire, più di certi reportage odierni meglio sfogliare Sergio Buarque de Hollanda, Darcy Ribeiro, Gilberto Freyre), la componente africana è significativa. L’incredibile numero degli schiavi che i lusitani sbarcavano sulle coste del Paese che prende l nome da un albero (il Pau Brasil) erano usati come manodopera da sfruttare nelle grandi piantagioni ma si sono piano piano mescolati con la popolazione locale e con quella creola. Esistono notizie di rivolte nelle piantagioni, ma sono eccezioni: e sono state soffocate nel sangue. L’uomo brasiliano che nasce da quegli anni ha una mentalità individualista, non fa quasi mai causa comune, esattamente come in Africa, abbassa la testa. Tanto che, anni dopo, anche i tentativi dei piccoli sindacati vengono soffocati senza pietà dai fazenderos: vale come testimonianza paradigmatica l’uccisione di Chico Mendes, il simbolo della lotta dei Seringueiro (raccoglitori di caucciù) nello stato di Acre.
La coscienza sociale, quella che chiede meno sprechi, meno corruzione, è la voce del Terzo Stato. L’esperienza del Sindacato di Chico è alla base della creazione del PT, il Partito dei Lavoratori, che con Lula prima, e ora con Dilma ha portato il Brasile alla crescita economica. Il Brasile deve alzare la testa, vincere anche nel campo sociale, provvedere a riforme non più procrastinabili. E il calcio, il futebol che vince, può servire in un Paese che ha il calcio nelle sue vene. Una poetessa snob, figlia dell’aristocrazia carioca una volta mi disse: “il “nostro attentato a Kennedy” è stato il Maracanazo, il giorno in cui il Brasile poteva e doveva vincere il Mondiale e fu sconfitto dall’Uruguay. Sembrava il segno della fine della nostra illusione” Lì, come si nota bene nei romanzi di Jorge Amado, il Brasile ha rinnovato il suo pessimismo, chinando la testa e pensando di non essere “vincente”, di non potercela fare: le cose non cambieranno. E invece, no. Il Brasile ha vinto cinque Mondiali, e potrebbe scrivere HEXA, la prossima estate. Liquidato il CT Mano Menezes, anche per una guerra interna alla Federcalcio (figlia di una politica non sempre trasparente, pure qui...), serviva un nome forte, che riguadagnasse credibilità e possedesse carisma. La CBF ha puntato su Felipe Scolari, affiancandogli Carlos Alberto Parreira, cioè i due CT che hanno vinto il quarto e il quinto titolo Mondiale con la Seleção. E Felipão ha puntato ha costruire certezze in una Nazionale che con Mano era troppo fragile. Interessante la promozione sul campo di Luiz Gustavo, in ottica soprattutto difensiva. David Luiz e Thiago Silva hanno capacità balistiche notevoli, sono i primi registi della squadra e assicurano solidità dietro: fase difensiva a cui ha partecipato anche Hulk (preferito a Lucas), reduce da una tormentata stagione in Russia. Il Brasile ha una batteria di giocatori illimitata e di alto livello (Fernandinho, dopo l'esilio ucraino troverà convocazioni più frequenti, con l'approdo al Manchester City), ma deve proseguire sulla via della solidità. Anche perché, tra i maggiori rivali, l'affossamento della Invencible Armada, provocherà sconquassi all'interno della Spagna, anche se oggi si tende a minimizzare in terra iberica. La vittoria di domenica, il largo dominio è stata fondamentale, ha aumentato l'autostima di un gruppo che davanti a sé ha un anno che regalerà a tutti una pressione indicibile. Nessun altro Maracanazo, il Brasile deve vincere, per il futebol e per altro.
Quella coppa alzata domenica nel nuovo Maracanã, deve essere il simbolo di un Paese che sul campo e soprattutto fuori può, che ha le capacità per essere migliore di fronte a tante avversità. Rialzando la testa, di fronte alle polemiche e al Mondo: nasce un Nuovo Brasile?

CARLO PIZZIGONI
Fonte: Giornale del Popolo - Lugano



07 giugno 2013

Neymar al Barça: prodromi di rivoluzione?




La regola del Tre. 1973: Cruyff. 1983: Maradona. 1993: Romario. 2003: Ronaldinho ( più il debutto di Messi). Oggi, 2013: Neymar. La stagione che comprende questo numero è feconda in casa Barcellona: arrivano sempre fuoriclasse. Stavolta però, potrebbe segnare una vera rivoluzione.

Aggiungere Neymar a Messi in BlauGrana potrebbe non essere così complicato, però significa rivoluzionare la struttura della squadra.
Tito Vilanova  ha idee di gioco più concrete e meno visionarie rispetto ai predecessori. Dovrà solo ridimensionare il tiki taka, anche perché un plus dell’ex Santos è quella di sapere dialogare coi compagni, però è necessario accantonare l’idea del “falso nueve”, che costringerebbe il brasiliano a rincorse e obblighi tattici eccessivi. E invece Neymar, con il suo sorriso e la voglia di divertire e divertirsi in campo, è giunto in Catalogna anche far riemergere il carattere smart del club.

La Rivoluzione è infatti necessaria anche dal punto di vista mediatico, per un Barça, reduce da una stagione europea un po’ smorta. E’ anche questo il motivo per cui la dirigenza catalana ha anticipato i tempi e ha evitato che Neymar perdesse ancora tempo giocando in un Santos che non sa più dove andare, dopo la vittoria della Libertadores, nel 2011.

C’è bisogno di rilucidare il BlauGrana, il sorriso di Neymar già brilla.

Fonte: Sky Speciale Calciomercato

04 giugno 2013

Soweto regna, Kaizer Chiefs campioni del Sudafrica



Soweto ha rappresentato la speranza del Sudafrica. Calcisticamente parlando, siamo ancora lì.
La Township più celebre nella storia della lotta all’Apartheid festeggia da tempo titoli sportivi. Ma quest’anno, i rumori delle vuvuzela, si sono uditi in una diversa zona del sobborgo di Johannesburg.
Gli Orlando Pirates, la squadra del cuore di Nelson Mandela, che a Soweto ha abitato (oggi la sua casa è un museo), hanno dominato le ultime due stagioni, e si stanno ben comportando nella Champions africana. Il campionato, però, quest’anno lo festeggiano i Kaizer Chiefs, l’altra metà di Soweto: dopo otto stagioni il titolo torna agli AmaKhosi (nomignolo del club: “Capi”, in lingua Zulu), la squadra con più simpatizzanti in tutta l’area meridionale del Continente africano. Fondata negli Anni Settanta da un celebre calciatore sudafricano, Kaizer Motaung, che ha giocato nella NASL, la defunta lega americana, negli Atlanta Chiefs, e si è innamorato di questo nomignolo, “Capi”, nell’accezione rivolta alle guide dei pellerossa ( e infatti il logo del club richiama i nativi americani). Motaung è ancora presidente e proprietario degli AmaKhosi, e ha sopportato le critiche di mala gestione che gli sono piovute addosso in questi anni di sconfitte, mentre i Pirates (dove, tra l’altro, Kaizer ha iniziato la carriera da calciatore) ostentavano trofei. L’appeal dei Chiefs sul pubblico attira sponsor importanti e munifici, una importante compagnia telefonica ha scelto di aggiungere il proprio marchio alle maglie giallonere dei Chiefs : gli investimenti del club su giocatori di grande nome non aveva però prodotto trofei. Tshabalala, Khune, Letsholonyane, Parker, Masilela, Majoro sono lo scheletro della Nazionale sudafricana. Eppure a inizio stagione erano usciti tra i fischi dopo i quattro gol incassati dai Mamelodi Sundowns, che segnavano l’eliminazione dal “Top 8”, il torneo che segna l’abbrivo del calendario calcistico. Il lavoro psicologico del tecnico britannico Stuart Baxter (un giramondo: ha vinto in Giappone e Svezia, ed è stato CT dei Bafana Bafana) è stato fantastico, soprattutto è stata ridisegnata la fase difensiva, e il club ha preso fiducia e coscienza nei propri mezzi e ha vinto anche la coppa nazionale.
La PSL, la lega sudafricana, è la più organizzata e la più ricca dell’Africa (ci fu anche il tentativo di portare qui Alessandro Del Piero, l’anno scorso), ma i trofei continentali latitano nelle bacheche nei club della Rainbow Nation: soli i Pirates, nel ’95, hanno alzato la Champions. Le cause di questo mancato feeling sono certamente tecniche (il calcio sudafricano ha mancato di evolversi, e la parabola deludente dei Bafana Bafana lo certifica) ma c’è dell’altro. I club hanno spesso dato maggior importanza e attenzione alle diverse competizioni nazionali, snobbando quelle della CAF. I rapporti con la confederazione africana non sono proficui, e i Kaizer Chiefs si sono resi protagonisti di un episodio di rottura, rifiutando, nel 2005, di giocare un match di Confederation Cup, la seconda competizione continentale, per privilegiare una gara di campionato. La CAF gli ha inferto una squalifica di cinque anni. Si era vociferato che gli AmaKhosi avrebbero proseguito il braccio di ferro, boicottando la prossima Champions. Tutto è rientrato: “rappresenteremo al meglio il Sudafrica”. La speranza di far tornare grande questo calcio risiede tutta nelle protagoniste del derby di Soweto, l’Evento del calcio sudafricano, che ogni anno riempie l’immenso Soccer City Stadium. I Chiefs vogliono riportarci dentro una Champions.

CARLO PIZZIGONI 
Fonte: Extra Time - Gazzetta dello Sport

 

21 maggio 2013

L'Inter e una stagione Strama



Andrea Stramaccioni è una anomalia del calcio italiano. Non solo perché a nemmeno 40 anni si è seduto sulla panchina dell’Inter.

Non per caso Strama ha ricevuto apprezzamenti da Bruno Conti, che lo ha allevato alla Roma, e da Arrigo Sacchi, che lo vorrebbe in Federazione. E’ bravo e preparato, ha grandi doti. Non si entra nello spogliatoio dell’Inter da debuttante ottenendo immediatamente stima e disponibilità, non si vince allo Juventus Stadium mettendo in campo tre attaccanti puri e sperimentando situazioni di gioco che hanno messo in difficoltà Conte e la sua truppa schiacciasassi.

Strama è un’anomalia anche perché incontrate le difficoltà, con infortuni a catena e incipiente crisi di risultati, ha continuato ad allenare. La maggior parte dei tecnici di esperienza, si sarebbe sistemato sottocoperta, avrebbe proposto un sistema chiaro e definito, anche un banale 4-4-2 senza fronzoli. E avrebbe portato la nave in porto.

Senza ambizione e profonda autostima non si arriva all’Inter a 36 anni. Ma non è per questo che Stramaccioni ha scelto la via più complicata.
E’ proprio la sua forma mentale, la sua idea di calcio che non glielo permetteva. Nella Primavera ha sperimentato le più moderne proposte calcistiche, specie in allenamento, per poi affidarsi alla concretezza di un trequartista come Daniel Bessa per sviluppare il suo attacco. Lo stesso percorso ha fatto in prima squadra, incurante pure delle resistenze ambientali sulla difesa a tre (trovando il miglior Ranocchia che si sia visto in nerazzurro). Allenare, Lavorare, Proporre: Strama è questo. L’esperienza dice che qualche volta è necessario altro.

Raggiunto il secondo posto ha commesso forse l’errore di sentirsi già completamente la squadra in mano. I convincimenti nei giocatori non erano abbastanza radicati, e una serie di infortuni in ruoli chiave (Milito per tutti) ha destabilizzato la squadra, che non ha più risposti ai suoi stimoli, ed è affondata. In maniera anomala e totale.

CARLO PIZZIGONI
Fonte: Sky - Speciale Calciomercato


28 aprile 2013

Knudsen e l'Inter giovane che verrà


Finalmente. Un fastidioso infortunio muscolare ha ritardato l'esordio di Morten Knudsen con la maglia dell'Inter: ora il danese tesserato in gennaio è pronto e sarà in campo nello spareggio contro la Roma. Classe 1995, Knudsen aveva impressionato tutti nel torneo “Michele Pierro” di Latina, riservato alle nazionali, nel 2010, dove era stato eletto miglior giocatore, nonostante al suo fianco giocasse il talento dell'Ajax Viktor Fischer, di un anno più anziano di Morten. L'Inter aveva anticipato la concorrenza e aveva trovato subito l'accordo con il Midtjylland, la squadra danese che lo ha cresciuto. Capelli rosso fuoco e pelle chiarissima, centrocampista di qualità e quantità, Knudsen è un ottimo lettore di gioco, è abile con entrambi i piedi e non disdegna la conclusione da fuori: punta forte su di lui la società nerazzurra. Che è pronta a inserire nuovi giocatori alla già nutrita pattuglia di giovani di qualità che si è costruita in casa ( sei ragazzi degli Allievi Nazionali, Di Marco, Lomolino, Sciacca, Palazzi, Steffè e Bonazzoli sono a Coverciano, nell'Italia under 17 che sta preparando l'Europeo di categoria: la quasi totalità ha vestito la maglia dell'Inter già dai pulcini). Trattative avanzatissime per il difensore senegalese Nouha Cissè dell'Etoile Lusitana ( e altri suoi compagni stanno effettuando test a Interello), per lo spagnolo Pau de la Fuente, per il portiere rumeno Radu e per il talento belga Senna Miangue, tutti del 1997, più il francese Bakayoko (1998) e si parla anche di due brasiliani. L'Inter si gioca oggi la possibilità di partecipare alle prossime finali Primavera, ma ha già programmato il suo futuro.

CARLO PIZZIGONI
Fonte: Gazzetta dello Sport - Edizione Milano e Lombardia

25 aprile 2013

Botta, il momento giusto



Giocate così, Jonathan era solito farle al Cruzeiro. L’Inter lo acquistò, l’anno dopo il suo trasferimento al Santos dove ha visto più l’infermeria di Vila Belmiro rispetto al campo. La speranza era di ritrovarsi quello che era stato eletto miglior laterale del Brasileirao.

Su Rubén Botta, talento offensivo del Tigre già elogiato da Stramaccioni, l’Inter è invece arrivata nel momento di ascesa. In settimana, con due suoi gioielli contro il Libertad, Botta ha portato il “Matador” dove non era mai stato: agli ottavi di Copa Libertadores.

Ragazzino dell’Argentina profonda, di San Juan, alterna i campi dell’Alianza all’officina di nonno Pepe: a 11 anni viene cooptato dal sistema giovanile del Boca Juniors. Non lega con l’ambiente bosteros: ha un carattere forte, che oggi si vede anche in campo, e si trasferisce al Tigre, dove proprio un simbolo del Boca, Diego Cagna, lo impone come titolare.

Un paio di giocate spettacolari e il suo manager gli propone la Lettonia. Ma il Mar Baltico e quel mondo sono difficili da digerire a 18 anni: a Ventspils non vede il campo e torna a casa, al Tigre. Più feroce e forte di prima, si impone nel futbol argentino. A 23 anni è maturato Botta, e stavolta l’Inter è arrivata prima della definitiva sbocciatura e lo porta a casa a parametro zero.

CARLO PIZZIGONI
Fonte: Sky - Speciale Calciomercato



19 aprile 2013

Jherson Vergara dal Sub20 al Milan





Continua l’opera di ringiovanimento, all’insegna della qualità, del Milan: è Jherson Vergara il nome nuovo per la difesa rossonera. Colombiano classe 1994, è stato uno dei protagonisti dell’ultimo Campionato Sudamericano under 20, dove si è imposto pur giocando sotto età e ha segnato la rete decisiva nella sfida contro il Paraguay, che ha assegnato il titolo ai “cafeteros”. Difensore centrale di grande fisico (quasi un metro e novanta), Jherson ha attraversato tutte le nazionali cafeteros, a partire dall’under 15 ed era stato avvicinato da diversi club stranieri, anche italiani: il Milan ha anticipato tutti e dovrebbe chiudere per un cifra attorno ai due milioni di euro. Vergara gioca nell’Universitario di Popayán, una squadra che milita nella Serie B colombiana e vive un momento di grave crisi economica. Nell’ultima giornata il club del Cauca, la regione prossima alla frontiera con l’Ecuador, non ha potuto schierare la squadra titolare negli ultimi turni di campionato: il mancato pagamento degli stipendi ha innescato uno sciopero dei maggiori giocatori del club.
Autorità e sponsor locali si stanno attivando per ristabilire una situazione di normalità. L’Universitario è un club giovane, è nato due anni fa, raccogliendo i diritti sportivi dei Centauros di Villavicencio ma Vergara ha iniziato la sua carriera nel Quindío. Le tre società sono più o meno direttamente gestite da Hernando Ángel Montaño, ultrasessantenne impresario valluno, una specie di santone - talent scout del futbol colombiano, specialmente dell’area occidentale del Paese.  C’è anche il suo zampino nel trasferimento in Europa di Vergara, che è però soprattutto frutto delle grandi prestazioni messe in mostra in Argentina, al Sudamericano under 20 dove i ragazzi della Colombia hanno stravinto il torneo, trascinati dal pescarese Juan Fernando Quintero. Nel 4-2-3-1 organizzato dal CT Carlos “Piscis” Restrepo, Vergara ha giocato nel consueto ruolo di centrale difensivo di destra, al fianco del talentuoso Deivy Balanta. Bravo e veloce nelle chiusure, buono di testa e nell’uno contro uno difensivo grazie al suo fisico strutturato e potente, deve migliorare nella fase di costruzione della manovra. Al Milan avrà maestri adeguati per affinare anche questo fondamentale.


CARLO PIZZIGONI
Fonte: Gazzetta dello Sport

09 aprile 2013

Piccoli Faraoni crescono, bene: è pieno di talenti l'Egitto campione under 20




L'Egitto batte il Ghana ai rigori nella finale di Orano, in Algeria, e conquista il suo quarto campionato africano under 20. Tanto equilibrio nella finale, con due reti giunte solo su rigore: hanno trasformato dagli undici metri il centrocampista dei Faraoni Saleh Gomaa, eletto, forse un po' troppo generosamente, miglior giocatore del torneo, e l'ottimo terzino sinistro Jeremiah Arkorful, uno degli elementi che hanno mostrato maggiore qualità nella competizione. Qualità che non è mancata nemmeno nella terza classificata, la Nigeria, che ha battuto nella finalina un discreto Mali: Umar Aminu, attaccante delle giovani Super Aquile, ha vinto il titolo cannonieri con quattro reti. L'Egitto, guidato da Rabie Yassin, amato ex terzino sinistro dell'Al Ahly (c'era anche a Italia 90, coi Faraoni), che oggi in tanti reclamano al posto dell'americano Bradley alla guida della nazionale maggiore, ha evidenziato tanta compattezza. Vincendo tutte le partite grazie a un atteggiamento sempre equilibrato tra i reparti e a giocatori di sostanza come il capitano Ramy Rabia (Al Ahly), il portiere Mossad Awad (uno dei tanti elementi dell'Ismaily qui in Algeria) e Mahmoud Kahraba, giocatore offensivo di enorme prospettiva che pare già vicinissimo al Marsiglia.
Il CT ghanese, Sellas Tetteh, già campione con gli africani al mondiale Under 20 di Egitto 2009, ha anche stavolta un gran numero di ragazzi di talento che faranno bene alla competizione continentale che si giocherà in Turchia a partire dal 21 giugno. Davanti ha mostrato fiuto del gol Ebenezer Assifuah, dietro grande pulizia negli interventi e buone letture del capitano Lartey, in mezzo diversi lampi di talento di Clifford Aboagye, che l'Udinese ha già portato in Friuli. Oltre alle critiche all'Algeria padrona di casa (nemmeno un gol segnato), i media locali hanno dato molta eco alla (eterna e infida) polemica sui sospetti circa l'età di alcuni giocatori, innescata da Sebastian Migné, CT del Congo, frustrato dopo la sconfitta netta contro la Nigeria. Migné non ha potuto nulla, sul campo, segno che dietro alle tre big, e solo con l'eccezione del Mali (che ha mostrato buone individualità come il difensore Keita e il centrocampista Adama Marico), c'è molto poco.


CARLO PIZZIGONI
Fonte: Extra Time - La Gazzetta dello Sport

28 marzo 2013

Qualificazioni Mondiali 2014 - La Nuova Africa





C’è un’aria nuova e giovane nel calcio africano. Il recente campionato continentale, disputato in Sudafrica, aveva certificato un generale livellamento tecnico e la vittoria era andata a una Nigeria completamente rinnovata. E molto giovane. Le partite di qualificazione al Mondiale disputate nel week end, confermano la tendenza. Ai tempi della Decolonizzazione, anni Sessanta, quando l’Africa sembrava rinascere, uno dei Paesi guida del movimento era la Tanzania del celebre Presidente Julius Nyerere, uno dei Grandi del Continente. Oggi, almeno calcisticamente, sta nascendo una nuova Tanzania, e l’entusiasmo del nuovissimo stadio Nazionale di Dar-es-Salaam lo garantisce: i cinquantamila presenti hanno gioito per la vittoria netta (3-1) contro il Marocco, una grande d’Africa ormai decaduta. A siglare le reti della vittoria della squadra guidata da un tecnico danese non troppo noto, Kim Poulsen, sono stati Thomas Ulimwengu e Mbwana Samata, due ragazzi nati rispettivamente nel ’93 e nel ’92. Entrambi stanno crescendo nel TP Mazembe, una delle squadre più ricche d’Africa, che ne ha intuito il talento e li ha portati in Congo già nel 2011. La Tanzania tallona nella classifica del gruppo C i giganti della Costa d’Avorio, facili vincitori della Gambia. Grande euforia, anche se uno stadio non certo moderno, pure ad Addis Abeba. Dopo una partita giocata costantemente nella metacampo avversaria, l’Etiopia ha sconfitto il Botswana per merito di una rete nel finale di Getaneh Kebede. Il ragazzo, nato nel ’92, è uno dei tanti talenti under 25 di una squadra giovanissima che aveva già fatto bene in Coppa d’Africa. Alla CAN tornava dopo 31 anni di buio assoluto, dopo averne vinta una nel 1962, e aveva mostrato giocatori interessanti come Saladin Said, classe 1988, poi acquistato dai belgi del Lierse. L’Etiopia comanda il gruppo A davanti al Sudafrica e sogna addirittura Brasile 2014. Ha smesso si sognare il Mondiale, dopo aver abbandonato la Nazionale Spagnola con cui ha giocato nelle selezioni giovanili, ma Emilio Nsue è oggi un eroe nel Paese di suo padre: la Guinea Equatoriale. Lo stadio di Malabo scandiva il suo nome dopo l’emozionante sfida contro Capo Verde, vinta 4-3: il ragazzo classe ’88 in forza al Maiorca aveva appena siglato una tripletta al suo debutto con la Nzalang Nacional. Uno scherzo del destino per lui che aveva sempre rifiutato le chiamate della squadra oggi allenata da Andoni Goikoetxea (quello che rischiò di chiudere anzitempo la carriera di Maradona in un lontano Barça-Athletic) e per uno che è sempre stato accusato di segnare poco (infatti ha mutato il ruolo originario di attaccante in quello di jolly tuttofare). Chi invece davanti alla porta sbaglia poco è Gabadin Mhango: nato nel 1992 è una macchina da gol nel campionato del Malawi, sogna l’Europa e ha segnato domenica la rete della vittoria della sua Nazionale contro la Namibia. La confidenza con il gol lo ha fatto ribattezzare Gabadinho, alla brasiliana. Meriterebbe un appellativo di quel genere anche Francis Kahata, 21enne che col suo Kenya ha pennellato una punizione davvero degna di Zico, nell’1-1 contro la Nigeria. I campioni d’Africa si sono salvati grazie alla rete nel recupero di Oduamadi, ’90 ex Primavera Milan oggi al Varese. La Nigeria ha giocato comunque una discreta gara, costruendo diverse occasioni da rete: può essere soddisfatto il CT Keshi. Meno, Claude Leroy, che dopo lo 0-0 interno del suo Congo con la Libia, ha presentato le dimissioni.




CARLO PIZZIGONI
Fonte: Extra Time - La Gazzetta dello Sport





 
Tanzania - Marocco 3-1



 
Guinea Equatoriale - Capo Verde 3-1




 
Nigeria - Kenya 1-1