My Way. Ha chiuso a modo suo Mohammed Aboutrika: segnando (all'andata e al ritorno), vincendo (la Champions) e commuovendo. A fine gara, dopo essersi inchinato di fronte al pubblico dell'Al Ahly, il suo pubblico di sempre, ha festeggiato insieme ai compagni mostrando una sottomaglia col numero 72, il numeor delle vittime di Port Said. E rifiutandosi di mettersi in coda per ritarare la medaglia della vittoria, dal Ministro dello Sport egiziano di un governo che l'ultimo Faraone non gradisce. Nella foto ufficiale c'è lui con quella maglia, quel numero, quel ricordo. Prima della finale con gli Orlando Pirates, avevamo impegnato un po' di spazio di Extra Time, il settimanale della Gazzetta, per ricordare questo grande campione. Ecco il testo:
Un falcata rotonda gestita con busto
eretto, lo sguardo sempre alto, la palla accarezzata più che
toccata, nel controllo, e un cambio di direzione degno di un
ballerino, per eleganza: i prossimi due week end, durante le finali
di andata e ritorno di Champions League Africana, potremmo goderci le
ultime rappresentazioni di uno dei più grandi calciatori del
Continente Nero: Mohamed Aboutrika. Questa meraviglia calcistica, non
a caso nata a 500 metri dalla Piramide di Cheope, con la sua squadra
di sempre l'Al Ahly, contenderà la coppa ai sudafricani degli
Orlando Pirates. Poi, a 34 anni, dirà stop (anche se potrebbe
esserci l'eventuale appendice del Mondiale per Club). Aboutrika è
l'idolo di diverse generazioni di egiziani e del mondo arabo, e i
suoi millanta trofei ( ha vinto, anche, quattro Champions e due coppe
d'Africa) centrano fino a un certo punto. Centra la qualità del suo
gioco, elegantemente unico, e le sue prese di posizione fuori dal
campo, inequivocabilmente incisive. Difficile etichettarlo. Non sono
riusciti a irreggimentarlo nemmeno le pompose etichette affibbiategli
dalle agenzie dell'ONU e dai poteri locali, per i quali ha condotto
svariate campagne di solidarietà, contro la povertà, in favore
della donazione di sangue, mirate all'aiuto dei bambini malati di
cancro. Laureato in filosofia all'Università del Cairo, molto
credente, ha indossato la pettorina quando gli sembrava giusto farlo,
ma allorché si è sentito di smarcarsi e, per esempio, appoggiare la
causa di Gaza, non ha avuto problemi a mostrare, dopo un gol, una
sotto-maglia a favore della causa palestinese, durante una gara di
Coppa d'Africa. E se la CAF e la FIFA hanno poco gradito, pazienza.
L'Europa ha tentato di sedurlo, senza successo: l'affetto della sua
gente lo ha sempre trattenuto, lui che prima di un turbolento
incontro tra Algeria-Egitto è stato l'unico, su suolo nemico, ad
essere non solo risparmiato dagli insulti, ma addirittura applaudito:
anche il più fanatico dei tifosi sa che i miti non si toccano. E un
giocatore che durante la tragedia di Port Said, dove morirono 74
persone, accorse sulle tribune, maglia e calzoncini addosso, e portò
a braccia negli spogliatoi un ragazzo di 14 anni moribondo per
affidarlo alle cure del medico della squadra, è qualcosa di più di
un semplice trequartista. Quell'evento ha segnato indelebilmente
l'Egitto e Aboutrika, che ha caldo aveva annunciato l'addio (“questo
non è più uno sport”) e per rispetto agli Ultras Alhawy si
rifiutò di giocare finché non venissero accertate le responsabilità
di quel disastro. “Giochiamo non solo col fine di vincere, ma
soprattutto per fare divertire la nostra gente”, ha detto. Al
contrario di tanti suoi compagni, impegnati a misurare il vento, ha
parlato in favore dei ragazzi che manifestavano per cercare un altro
Egitto, e ha sfidato più volte l'esercito, l'unico vero potere
attualmente esistente nel Paese. Significativo che chiuda la carriera
contro la squadra del cuore di Nelson Mandela, l'icona per eccellenza
del Continente Africano. Gli Orlando Pirates, squadra di Soweto,
provano a replicare l'unico successo in Champions del lontano 1995.
Dopo aver eliminato a sorpresa in semifinale i favoriti
dell'Espérance Tunisi, hanno davanti la Piramide più grande da
scalare.
CARLO PIZZIGONI
FONTE: EXTRATIME - La Gazzetta dello Sport
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