31 dicembre 2011

2011 - I Migliori under 20 in circolazione

Ce lo ripetono come un mantra: bisogna puntare sui giovani, bisogna puntare sui giovani... Per svecchiare il nostro calcio, stante l’attuale condizione economica che non ci permette di arrivare agli interpreti già affermati e riconosciuti, anche le squadre di punta devono anticipare le mosse, e fiondarsi sui giovani di maggiore talento. Individuarli, poi metterli sotto contratto e poi imparare a gestirli: il club che riesce a operare al meglio in queste tre fasi raggiungerà costantemente i propri obiettivi. Noi del Guerin, che ormai da tempo sposiamo la causa dei giovani, stavolta indossiamo i panni delle società, e partiamo per un viaggio alla scoperta dei migliori prospetti del globo. Ua sola condizione, prenderemo in esame esclusivamente ragazzi della classe 1991, o inferiore. Partiamo.

Il Mondiale under 20 è la principale vetrina di tutti i giovani talenti. In Colombia, nello scorso agosto, si sono messi in luce ragazzi che oggi cominciano fare intravedere elevate qualità oppure signorini che già pretendono e/o ottengono l’occhio di bue della platea. Chi sta impressionando davvero in questa prima porzione di stagione è Rodrigo del Benfica. Storia particolare la sua: nato a Rio de Janeiro nel 1991, cresciuto con la mamma, ha seguito poi il padre, professionista nel Calcio a 5, in Spagna. Ottenuta la cittadinanza del paese iberico è riuscito anche a farsi apprezzare dal Real Madrid, dove è cresciuto. Centravanti che sa andare in gol in tante maniere Rodrigo ha già conquistato il tecnico del Benfica Jorge Jesus, che lo ha lanciato più volte titolare: le Aquile di Lisbona lo hanno acquisito con una cervellotica formula: pagando una cifra concordata nelle prossime due stagioni, i bianchi di Madrid possono però riportarselo a casa. Rodrigo in Colombia ha rappresentato la Spagna, raggiungendo le semifinali, grazie a una squadra che ha fatto comunque onore alla recente tradizione futbolistica del Paese. In mezzo al campo ha dominato Oriol Romeu (1991), uno dei miglior talenti del Barça Atletic allenato dall’attuale tecnico della Roma Luis Enrique: Romeu, grande fisico, ottimo nel recuperare palla e lineare nell’impostazione è stato prestato al Chelsea, con una clausola che lascia qualche chance anche ai Blues, e Villas Boas lo ha già fatto debuttare in Champions League. Nelle giovani Furie Rosse impossibile non citare anche il talento offensivo Isco (1992), passato in estate dal Valencia al Malaga, e il leader difensivo Marc Bartra (1991), che in Colombia ha avuto il suo momento di celebrità, dato che in ogni report viene sempre classificato all’ombra di Marc Muniesa (1992) assente al Mondiale, altro giovane prospetto difensivo del Barça, che non a torto viene considerato un futuro titolare della squadra dei sogni. Ha deluso in Colombia Sergio Canales (1991) che il Real Madrid ha voluto cedere al Valencia per testarne le qualità, che potenzialmente sono immense per un centrocampista che può fare tutto. La scuola spagnola punta forte sui giovani, ormai da tempo: chiudiamo la parentesi segnalando altri ragazzi che in Liga stanno vivendo un momento d’oro. Iker Munian (1992), esterno di qualità dell’Athletic Bilbao, può vivere sotto la guida di Marcelo Bielsa la stagione della consacrazione, così come un altro diamante, Thiago Alcantara (1991, figlio dell’ex Lecce e Fiorentina Mazinho), può iniziare a diventare l’erede di Xavi nel Barcellona, la qualità non manca, e nemmeno la faccia tosta. Il Campionato Spagnolo ha mostrato a inizio stagione sorprese non da poco, per quel che riguarda i giovani: Inigo Martinez (1991) centrale mancino della Real Sociedad e Lass Bangoura (1992) mezzapunta guineana del Rayo Vallecano hanno dimostrato di possedere grandi qualità. Torniamo in Colombia per rendere il giusto omaggio alla squadra vincitrice del torneo, il Brasile, che ha messo in mostra una interessante batteria di giovani. Premessa indispensabile: la Nazionale verdeoro non ha schierato al Mondiale due ragazzi già protagonisti nella Coppa America con la Seleçao, ma che erano stati protagonisti nella vittoria del Campionato Sudamericano under 20: trattasi della veloce mezzapunta Lucas (1992), ricercato da tutta l’Europa che conta, ragazzo che ha nel controllo, nella rapidità dei primi passi e nei cambi di direzione le sue principali caratteristiche e poi di Neymar. Neymar da Silva Santos Júnior, nasce nel 1992 a Mogi Das Cruzes, comune dello Stato di San Paolo che presto diventerà luogo di culto grazie al suo figliolo più famoso: è chiaramente il miglior giovane del globo e si contano i giorni in cui verrà a mostrare il suo talento in Europa, molto probabilmente lontano dall’Italia e con il solo cassiere del Santos a fregarsi le mani. La generazione dei ‘91-’92 è di ottimo livello nel più grande paese del Sudamerica. Nella vittoria colombiana hanno brillato a inizio torneo l’interista Philippe Coutinho (1992), e nel finale ha deciso Oscar(1991), miglior giocatore del torneo a nostro giudizio, e mezzapunta che potrà diventare anche una mezzala di qualità un giorno: cresciuto al San Paolo ha lasciato la casa madre per sistemarsi all’Internacional, ora pronta a sentire le offerte del Vecchio Continente, anche il Barça si è aggiunto alla lista, tanto per testimoniare la qualità del soggetto. Sono già pronti per atterrare qui in Europa Danilo (1991), terzino o interno di centrocampo già prenotato dal Porto, e Casemiro (1992), centrocampista e all’occorrenza difensore centrale del San Paolo, ricercato anche dall’Italia. ma la truppa brasiliana ha messo in mostra anche il terzino sinistro Alex Sandro (1992), trasferitosi al Porto, Dudu (1992), inventiva mezzapunta rilevata dalla Dinamo Kiev, Allan(1991), destro tutto fare del Vasco e Henrique (1991), centravanti del San Paolo e capocannoniere del Mondiale. Le italiane sono state attirate da Gabriel Silva (1991), bloccato dall’Udinese, e, si dice, Juan (1991), centrale difensivo dotato di gran fisico che piace a tante big di casa nostra. Niente male anche la rosa della finalista Portogallo. Il portiere Mika(1991) e Nelson Oliveira (1991), attaccante veloce e “fisicato” (il 7 sulle spalle non è casuale) che ha già esordito in Champions League, sono il futuro del Benfica, mentre il Porto spera nella crescita di Sergio Oliveira (1992) talento offensivo mandato a farsi le ossa prima al Beira Mar e quest’anno al Malines e protetto da una clausola rescissoria di 30 milioni di lire. La terza grande lusitana, lo Sporting Lisbona, era poco presente in Colombia ma in casa ha tre gioiellini sotto traccia e pronti ad esplodere: l’attaccante nato in Guinea Bissau Zezinho (1992), il centravanti Betinho (1993) e Bruma (1994), lui pure nato nella piccola colonia portoghese e già chiacchierato per un trasferimento al Tottenham. Altro team europeo che ha mostrato gioielleria interessante è certamente la Francia (terza classificata anche senza un dignitoso gioco di squadra). Francis Coquelin (1991) metodista di sicuro futuro ha già comandato il centrocampo dell’Arsenal di Wenger in questo inizio di stagione (dandosi il cambio con un altro bel prospetto, il ghanese Frimpong -1992). Gael Kakuta (1991) si fa le ossa nella provincia inglese in attesa di tornare al Chelsea mentre il capitano dell’under 20 Gueïda Fofana (1991), centrocampista dal grande fisico, ha lasciato Le Havre per il Lione dove ha trovato l’attaccante Alexandre Lacazette (1991). Chi deve ritrovare un certo equilibrio psicologico è un purosangue come Antoine Griezmann (1991): alla Real Sociedad pare si dia troppe arie, ed è finito in panchina dopo un ottimo inizio di temporada. In Francia, nella Ligue 1, nel Lorient gioca un grande protagonista del Mondiale e un futuro grande protagonista del calcio europeo, Joel Campbell (1991), attaccante dal sinistro favoloso, bravo a usare il corpo e con la giusta inventiva: Arsene Wenger ha digerito le bizze dell’entourage che accompagnava il costaricense pur di averlo, tempo per crescere ne ha, e ora è agli ordini di Christian Gourcouff per crescere. Tanti i talenti della squadra di casa della Colombia, a cominciare da James Rodriguez (1991) del Porto che vive la stagione dell’affermazione; attenzione però a un prospetto che potremo vedere esplodere qui in Italia, il centravanti Luis Muriel (1991) che gioca la sua prima stagione a Lecce, controllato dall’Udinese che lo acquisto due anni fa dal Deportivo Cali. Ha molto talento ma pare uscire da una macchina del tempo, tanto sembra un giocatore di classe anni 60-70 Michael Ortega (1991), genio del centrocampo bloccato dal Bayer Leverkusen: chissà se riuscirà ad adattarsi alla frenesia del calcio moderno. Insolitamente a secco di tanti prospetti l’Argentina, se si eccettua il romanista Erik Lamela (1992) e Juan Iturbe (1993), già al Porto, che però deve imparare a gestire la sua velocità. In patria sponsorizzano giustamente l’attaccante del Banfield Facundo Ferreyra, che possiede un radar per la rete avversaria.Matias Almeyda, tecnico del River Plate, giura sulle qualità di Lucas Ocampos (1994)
Al Mondiale giovanile non c’erano tutti, anzi mancavano due future superstar: Jack Wilshere (1992) non ha condiviso la débacle colombiana della nazionale inglese preferendo la pre-season dell’Arsenal, diverso il discorso su Mario Goetze (1992). Goetze, ormai titolare indiscusso anche nella Germania di Joachim Loew, è solo l’ultimo straordinario prodotto di una scuola tedesca che con la riforma del sistema giovanile federale sotto Horst Hrubesch, ha posto le basi per la straordinaria rinascita del calcio teutonico. Su di loro si può scommettere se si vuol vincere facile, esattamente come se si punta su Christian Eriksen (1992), nettamente il miglior prodotto del football del Nord Europa. Eriksen, grande tecnica, centrocampista offensivo con grande intelligenza calcistica, unico danese che può far rivivere il fascino di Michael Laudrup, è la star dell’Ajax, dove per altro non sfigura il connazionale Nicolai Boilesen (1992), terzino sinistro che avrà presto chance in altri top club. Il Calcio del Nord è spesso poco battuto dai nostri scout: rimediamo noi. Bashkim Kadrii (1991) esterno d’attacco, gioca nell’Odense ed è il miglior talento che gioca in Danimarca. In Norvegia punteremmo su Markus Henriksen (1992), centrocampista potente del Rosenborg, e su Vegar Eggen Hedestad (1991), dello Stabæk, terzino sinistro o centrocampista difensivo dalla tecnica non disprezzabile. In Svezia, se leviamo il talentuoso John Guidetti (1992), che gioca al Feyenoord ed è di proprietà del Manchester City, che lo ha soffiato a tanta concorrenza italiana, andiamo su Alexander Milosevic (1992), centrale difensivo dal grande fisico, uomo chiave dell’AIK e della nazionale under 21, e Robin Söder (1991), interessante attaccante del Goteborg. Nessuno dovrebbe mai perdere di vista il calcio dell’ex Jugoslavia: lì i talenti abbondano, ed è quasi impossibile registrare una mappa. Ci proviamo in un paio di righe, cominciando da un ragazzo di sicuro avvenire come Matija Nastasic (1993), che in Italia c’è già, grazie a una felice intuizione di Pantaleo Corvino che l’ha soffiato sul filo di lana all’Inter. Gioca all’estero un altro grande prospetto come Filip Duricic (1992), centrocampista dell’Heerenveen, mentre in patria tutti scommettono su Filip Jankovic (1995), mezzapunta della Stella Rossa. Altri nomi caldi? Nikola Ninkovic (1994) del Partizan, il centrocampista difensivo Srdan Mijailovic (1993) e il central Uros Cosic (1992) della Stella Rossa, oltre a Mateo Kovacic (1994), miglior giovane della Dinamo Zagabria dai tempi di Boban. Il nostro tour termina con la visita in Svizzera, mercato altamente sottovalutato: noi andiamo sul sicuro con tre nomi che diventeranno sicuramente grandi. Granit Xhaka (1992) regista di centrocampo dall’enorme carisma e personalità (che Hitzfeld in Nazionale ha provato pure da trequartista), Xherdan Shaqiri (1991) esterno d’attacco e miglior talento offensivo elvetico (ma a Basilea ha giocato anche da terzino) e Admir Mehmedi (1991): il “10” dello Zurigo ha potenzialità devastanti, anche se deve migliorare concentrazione e attitudine in campo. Completato il giro del Mondo ci viene però in mente che, oltre che guardare all’estero, le società italiane dovrebbe mirare a valorizzare i vivai interni: il Guerin gira il globo per voi ma non abbiamo visto con molta frequenza talenti del calibro, ad esempio, di Mattia Destro (1991), attaccante cresciuto nell’Inter e oggi nel Siena di Sannino. Supplichiamo le società di puntare anche su di loro, per rinascere e fare del nostro calcio un sistema che abbia di nuovo l’appeal di un tempo.

CARLO PIZZIGONI


Fonte: Guerin Sportivo - Dicembre 2011

30 dicembre 2011

Universidad de Chile campione, Vargas e compagni stendono 3-0 il Cobreloa in finale

La Universidad de Chile, la squadra più interessante del Latino America, dopo la recente conquista della Copa Sudamericana, può alzare nuovamente il "Huemul de Plata", il trofeo che premia la squadra campione nazionale, grazie alla vittoria per 3-0 nella finale di ritorno contro il Cobreloa. La U, con questo ennesimo successo, si conferma leader del futbol cileno: questa vittoria nel campionato Clausura, bissa la conquista del titolo Apertura ottenuta nella prima parte della stagione.



A confermarsi non è solo la U, ma anche il neo acquisto del Napoli, Eduardo Vargas. Varguitas, dopo dieci minuti iniziali favorevoli all'outsider Cobreloa, smuove la sua squadra con un diagonale di sinistro che finisce a lato. Da quel momento la U riprende a giocare da U: la squadra di Sampaoli alza il ritmo e la partita finisce; sblocca il match Canales con una tipica giocata della Universidad, poi Vargas regala una gemma, un pallonetto dolcissimo che si infila alle spalle del portiere avversario, all'Estadio Nacional che inizia in anticipo i festeggiamenti. Il neo napoletano mostra le solite accelerazioni e diverse giocate di classe nelle zone più pericolose del campo, ma la U  non si ferma al pur eccellente acquisto di De Laurentiis. Marcelo Diaz e Charles Aranguiz sono la chiave della squadra, i due piccoli centrocampisti hanno piedi e cervello per gestire i tempi della partita, e sono il vero segreto del team guidato magistralmente da Jorge Sampaoli, tornato al 3313 bielsiano in questa finale di ritorno. Da una loro invenzione nasce la rete che sblocca la partita: inserimento laterale senza palla di Aranguiz (e contemporaneo movimento per liberare lo spazio degli attaccanti) e favolosa apertura lunga di Diaz: il cross dell'ex Cobreloa è perfetto per Canales che segna la rete che dà inizio a uno dei tanti show dell'anno della U. Spettacolo vero.

Universidad de Chile - Cobreloa 3-0 (Canales 24', Vargas 28', M.Rodriguez 35')





Fonte: Tropico del Calcio - Gazzetta.it

28 dicembre 2011

Dall'Egitto a Pep, a Simone Farina: il 2011 è l'anno delle Rivoluzioni sportive

Le grandi manifestazioni, fatte di tanta gente, che reclamano un nuovo futuro. Ecco la copertina, non solo di TIME, di questo 2011, l'anno delle Rivoluzioni. Egitto, Tunisia, Libia, rivoluzioni che in pochi si aspettavano, almeno nei termini in cui si sono concretizzate. Il mondo del calcio, lo sport maggiormente praticato e amato anche a quelle latitudini, ha veicolato esso stesso messaggi che hanno contribuito a sviluppare queste rivoluzioni. In Egitto il football è davvero una malattia e gli ultras dei due maggiori club della capitale, l'Al Ahly e lo Zamalek, non mancano di sconfinare le pagine dello sport per accaparrarsi le righe della cronaca. E' successo anche stavolta: i supporter dei due team del Cairo, erano insieme, per una volta dopo una vita a sbeffeggiare l'altrui parte, fianco a fianco in Piazza Tahrir, per reclamare un futuro diverso, per cercare di far crescere da lì, uniti, un Paese nuovo.

In Libia la Nazionale di Calcio non ha atteso nemmeno la caduta di Gheddafi per celebrare un nuovo percorso di vita. Quando ancora si bombardava su buona parte del territorio libico, la Selezione guidata saggiamente dal carioca Marcos Paquetà, ha deciso di schierarsi: prima del match chiave di qualificazione alla Coppa d'Africa contro il Mozambico, la maglia della Libia portava impressa sul cuore la bandiera rosso-verde-nero degli insorti. Da lì a poco sarebbe caduto il Rais, e per la Libia, seppure Paese i cui indici economici e sociali erano certamente tra i più alti dell'Africa, era tempo di cambiare, tempo di potere scegliere, anche solo i propri idoli sportivi. E così, il volto posterizzato di Gheddafi ha lasciato spazio a quello di Samir Aboud, quarantenne portiere che coi suoi balzi ha mantenuta intonsa la propria porta contro lo Zambia, e qualificato miracolosamente la sua squadra alla prossima Coppa d'Africa. Con una maglia e uno spirito diverso.

Uniforme e cuore differente si registrano anche in Tunisia, non tanto nella Nazionale ma in una delle squadre simbolo del regime di Ben Ali, l'Espérance. La squadra giallorossa della capitale per anni è stata gestita da Slim Chiboub, ex anonimo pallavolista diventato potente grazie alle nozze con una delle figlie del Presidente. Con lui l'Espérance ha vinto tutto, specialmente in patria, in un modo o nell'altro. Quest'anno la squadra ha alzato al cielo la sua seconda Champions League dell'Africa, e l'artefice principale del successo è certamente stato l'allenatore Nabil Maaloul, ragazzo cresciuto nel club e poi estromesso, con metodi diventati triste routine a Tunisi, proprio da Slim Chiboub: non c'era, sportivamente parlando, modo migliore per celebrare la Rivoluzione dei Gelsomini.

Se l'apporto del calcio, non solo a livello simbolico, è stato importante in diverse pieghe delle Rivoluzioni nordafricane, questo sport all'interno del terreno di gioco ha vissuto la concretizzazione della sua Rivoluzione. Il Barcellona di Pep Guardiola ha vinto la Champions League, sotterrando in finale una nobile rappresentate del Grande Calcio che fu, il Manchester United, e da pochi giorni si è incoronata Campione del Mondo per Club scherzando contro il Santos. La Rivoluzione non sta tanto nella vittoria di questi prestigiosi titoli in serie, quanto nella modalità del raggiungimento della stessa: il Barça ha inventato un nuovo modo di giocare a calcio. Con Pep Guardiola sono spariti i concetti stessi di ruolo, non esistono più centrocampisti, difensori e attaccanti ma giocatori sostanzialmente universali messi in condizione, in un sistema di gioco corporativo, fluido-e-compatto, di esaltare le proprie sovrannaturali (almeno in 4-5 elementi) caratteristiche individuali.

L'esaltazione di questi fenomeni ha un nuovo, incredibile megafono: Twitter. Gli sportivi, atleti e appassionati, giornalisti e tifosi, hanno in questo 2011 visto crescere in maniera esponenziale il ruolo di questo social network. Comunicati stampa e conferenze appaiono già come qualcosa di stantio, inutilmente riproposto: vecchio. Anche nello sport Twitter è la nuova frontiera, pure in Italia, dove ormai alcuni giocatori hanno una dimestichezza da hacker nell'utilizzarlo. Belpaese che però, anche calcisticamente parlando, non si può concedere troppo svago. L'ennesima indagine sul calcio-scommesse getta un'ombra squalificante su tutto il movimento. In attesa di saperne un po' di più, è però importante riconoscere l'unico raggio di sole della vicenda, quello rappresentato da Simone Farina, il difensore del Gubbio che ha denunciato il tentativo di combine: il CT azzurro Cesare Prandelli lo ha invitato a Coverciano per premiare il suo gesto. La Rivoluzione italiana, deve cominciare, forse non solo in ambito sportivo, da questi gesti, da questa differente mentalità, da questo responsabile e coraggioso modo di comportarsi: agendo così, il 2012 sarà certamente un anno migliore. Per tutti.

24 dicembre 2011

Eduardo Vargas, un Reality che vale davvero



Non ci sono più gli oratori. Nemmeno in Cile. Uno delle maggiori promesse del futbol mondiale, l’attaccante cileno Eduardo Vargas, appena acquistato dal Napoli di De Laurentis, è “costretto” a iniziare la carriera in tv.

Ricordate il reality “Campioni”, quello del Cervia allenato da Ciccio Graziani che faceva la formazione coi suggerimenti del pubblico? Ecco, Vargas, dopo alcuni abboccamenti con le formazioni giovanili del Palestino, si mette in mostra neLa Disciplina del Futbol, il programma di Fox Sports che mette uno contro l’altro, davanti alle telecamere, tanti ragazzi cileni che ci sanno fare con la palla al piede.

Sotto i riflettori ci finisce anche Felipe Seymour, oggi al Genoa. Insomma, dal punto di vista tecnico, nulla a che fare con il programma condotto da Ilaria D’Amico, che ci propinava ragazzi simpatici sì, ma non esattamente futuribili nel grande calcio. E invece Vargas, giocatore dell’anno in Cile, è in lizza per il premio di miglior interprete del Sudamerica a fianco di colossi come Neymar e Ganso.

Quando le luci dello showbiz si spengono, su Vargas entra in gioco il Cobreloa, il club che ha cresciuto anche l’altro campioncino cileno, Alexis Sanchez. Dalle giovanili della squadra passa in prima e conquista subito la maglia da titolare: ci mette poco la Universidad de Chile ad accorgersi di lui. Il Cobreloa mantiene comunque il 35% del cartellino del giocatore, che frutta alla fine circa 4 milioni di dollari, stante la missione del Napoli chiusa a circa 14,5 milioni.

Alla prima partita con la U va subito in rete, seguono altre gemme. Ma esplode quest’anno. Merito anche del visionario tecnico Jorge Sampaoli che dopo essere stato preferito a Diego Simeone per la panchina della Universidad de Chile, si inventa un ipnotico 3313 mutuato dalla di lui stella polare, Marcelo Bielsa, sogno irrealizzato di Massimo Moratti a inizio stagione.

Da attaccante esterno Vargas mostra la sua velocità e, soprattutto, segna con disarmante continuità: è lui la copertina della U che domina la Copa Sudamericana. E’ pronto per l’Europa, e il gioco di Mazzarri è disegnato dal sarto per esaltarne le sue caratteristiche. Hasta pronto Varguitas.

Fonte: Max

22 dicembre 2011

[Analisi - San Siro dal Vivo] Inter - Lecce 4-1

Davanti a una partita in cui una squadra è protagonista di 4 pali, 4 segnature e un numero amplissimo di occasioni da rete, potrebbe esserci poco da dire, nulla da approfondire. Proviamo a trovare spunti da un match a senso unico.

Iniziamo dal Lecce. Vedere questo tipo di attenzione, prima che schieramento difensivo in serie A è sconfortante. Uomini continuamente persi, anche in zone pericolose, raddoppi bucati e fuori tempo, distanze casuali tra uomini e reparti. La squadra di Cosmi, che indubbiamente possiede qualità in alcune zone del campo, secondo me registra l'andazzo di questa serie A, sempre meno competitiva e interessante da tanti punti di vista.

Poi, l'Inter. Ranieri, dopo alcuni periodi di più o meno sperimentazione, è tornato alla piattaforma del 442, che storicamente è il sistema - con tutte le modifiche e gli adattamenti del caso - che più gli ha dato soddisfazioni. Un sistema che sente suo e che riesce bene a trasmettere ai giocatori ( successe lo stesso a Roma). L'Inter è indubbiamente più solida e più convinta, giocando il 442. Il primo tempo, giocato (finalmente) con un ottimo sostegno dei laterali, fa sempre un po' di fatica ad abbandonare un'eccessiva impostazione orizzontale, in più un giocatore chiave come Forlan (tornato titolare dopo il brutto infortunio) fa fatica a coordinarsi con il movimento della squadra e viene trovato e innescato raramente nella zona pericolosa tra la difesa e il centrocampo leccese. Dopo il gol subito (gran rete di Muriel, che conferma la crescita che lo porterà a diventare un giocatore importante: in Colombia al Mondiale under 20 abbiamo scommesso su di lui), è necessario aumentare il ritmo, sfrutta bene gli esterni e l'Inter inizia un tiro al bersaglio verso la porta di Gabrieli. Segna solo una rete con Pazzini, ma costruisce tantissimo, senza subire nulla, anche grazie all'ennesima prestazione monstre di Zanetti, schierato interno di centrocampo a fianco di Thiago Motta: l'Inter ha sostanza in mezzo, recupera palla sempre altissima e il Lecce è contato in piedi.

Il secondo tempo inizia con una doppia sorpresa: il Lecce non modifica né uomini né impostazione difensiva ( entra Piatti per Olivera, ma poco cambia come atteggiamento) e l'Inter cambia modulo e giocatori: fuori Faraoni e Forlan e dentro Cambiasso e Milito, e ritorno al 4312 di ottobre. In questa fase di partita l'Inter trova sì la rete del 2-1 con Milito (bella verticalizzazione di Alvarez nel deserto della difesa del Lecce) ma inizia a subire sugli esterni, specie a destra (Quadrado), e in transizione dove d'incanto le distanze, oltre a non ritrovare più la palla alta, si perdono e si ricreano quelle falle di inizio campionato. Dopo un paio di reti divorate da Corvia e co. Ranieri ritorna precipitosamente al 442, mettendo Obi a sinistra ( surrogato Pazzini: Alvarez dietro Milito). Il Lecce è però mentalmente tornato in partita, e qualche situazione da gol la confeziona anche dopo il 3-1 di Cambiasso, segnato appena dopo il ritorno al 442 con una bella discesa del positivo Nagatomo a sinistra ( oltre al consueto bouquet di errori leccesi).

Chiude il match Alvarez, dopo l'ennesimo spunto del giapponese a sinistra, il pubblico infreddolito e non numeroso inneggia il "vi vogliamo così". Per Ranieri la conferma che col 442 la squadra, almeno qui in Italia, in questa serie A, è competitiva e può arrivare lontano: al ritorno di Sneijder si vedrà.




INTER: Julio Cesar; Maicon, Lucio, Samuel, Nagatomo; Faraoni , Zanetti, Thiago Motta, Alvarez; Forlan (dal 1’ s.t. Milito), Pazzini (dal 27’ s.t. Obi). (Castellazzi, Cordoba, Coutinho, Castaignos). All. Ranieri.
LECCE: Gabrieli; Oddo, Tomovic, Ferrario; Cuadrado, Giacomazzi, Obodo (dal 30’ s.t. Pasquato), Olivera (dal 1’ s.t. Piatti), Brivio; Muriel (dall’8’ s.t. Corvia), Di Michele. (Turbacci, Diamoutene, Bergougnoux, Grossmuller). All. Cosmi

MARCATORI: Muriel (L) al 19’, Pazzini (I) al 34’ p.t.; Milito al 4’, Cambiasso al 28’, Alvarez al 36’ s.t.

13 dicembre 2011

Real Madrid - Barcellona, una boiata pazzesca?




Miliardi di telespettatori adoranti, migliaia di giornalisti accreditati: Real Madrid - Barcellona è l’ennesima partita del secolo. A furia però di fare i conti attorno al campo e di cadere in deliquio ad ogni presentazione in HD, non si rischia di dimenticare di guardare quello che succede in campo? Scusate, possiamo dire una cosa noi? Il Clasico giocatosi sabato sera al Santiago Bernabeu è stata una boiata pazzesca! (cit.) Un festival di errori cominciato dopo nemmeno un minuto.

Busquets dà al portiere una palla senza senso, Victor Valdes sparacchia via male, proprio in direzione di un avversario, poi inizia un batti e ribatti fantozziano in area di rigore con il beato Gerard Piqué (ovviamente il miglior “centrale del mondo”), che si gusta lo spettacolo invece di pensare a mettere in fuorigioco Benzema, che segna senza problemi. Una rete che, l’avessimo vista confezionata dalle maglie di Sudtirol e Acitrezza, avremmo riso di gusto e ci saremmo divertiti a svillaneggiare per settimane i calciatori responsabili di tale gollonzo.

Il suddetto Piqué, ammaliato forse dalle anche che non mentono di Shakira, ha continuato a non risparmiarci lanci lunghi senza motivo, finché Messi in persona ha detto stop ed è sceso fino alla trequarti difensiva per reclamare la palla: poi si è fatto fuori metà difesa madridista, in stile Maradona-Inghilterra-1986, e ha dato la palla in profondità ad Alexis Sanchez (tenuto in gioco dal disastroso Fabio Coentrao, e di lui ci occuperemo poi), che ha pareggiato la partita.

Anche Leo-Palloned’orosullafiducia ci ha messo del suo, prima coprendo di insulti l’arbitro (cosa che ormai capita ad ogni match che il dio del Calcio, sicuramente uno di casa Messi, manda in terra), poi rifilando a Xabi Alonso un calcione a metà campo che poteva costargli un rosso, ma lo sguardo contrito - e la volontà di non rovinare la partita, ovviamente del secolo - ha intenerito l’anonimo Borbalan, che avrebbe dato il la alle ironie di Mourinho a fine match.

Ma anche il nostro José, ci ha messo del suo, nel Clasico degli incubi: Fabio Coentrao terzino destro ne ha combinate di ogni: oltre all’errore sul gol di Sanchez, si fa anticipare sulla corsa, lui che è un keniano, da Cesc Fabregas, che gli frega il tempo e segna il gol che chiude la partita.

Una partita che doveva segnare la rimonta di Cristiano Ronaldo su Messi alla rincorsa per il Pallone d’oro. Invece il portoghese si divora due occasioni da rete che manco Pacione ai tempi d’oro e si impegna a calciare punizioni in modo inverecondo. Il più grande spettacolo del week end finisce col solito finale tiki taka e nella maniera classica. Si sbadiglia, ma per fortuna finisce presto: la prossima volta facciamo il film cecoslovacco con sottotitoli in tedesco?


Fonte: Max

12 dicembre 2011

Perù. L'Aurich batte l'Alianza Lima nella finale bis, adesso il titolo si gioca nello spareggio

Fonte: Tropico del Calcio


Ambiente incredibile a Matute: dopo la vittoria dell’andata all’Alianza Lima bastava un pareggio per aggiudicarsi il titolo peruviano e tutto il tifo “victoriano” aveva raggiunto il suo tempio per festeggiare. Vittima sacrificale, il Juan Aurich del tecnico colombiano Umaña ha tirato fuori gli artigli e dopo una battaglia terminata 9 contro 9 è uscita vincitrice. Ora la finale-spareggio, mercoledì allo stadio Nacional.




IL GIOCO

442 da entrambe al parti, tantissima intensità e determinazione: tutti hanno lasciato l’anima in campo. Il primo tempo ha vissuto una finale piuttosto bloccata, l’Aurich che prova a fare la partita, cercando soprattutto l’uno contro uno sui lati dopo l’uscita per infortunio dell’uomo più importante, William Chiroque (out anche per la finale); l’Alianza prova le ripartenze in campo aperto. La giocata chiave dell’incontro è l’entrata a piedi uniti, senza senso né motivo, con annesso giallo e espulsione, di Jorge Bazan: l’Aurich che con l’entrata di Ciciliano (nella foto, in contrasto con Montaño) aveva preso a dominare la metacampo guadagna un vantaggio che risulterà decisivo. Proprio dalla fascia sinistra dell’Alianza orfana di Bazan nasce l’azione che decide il gol: il merito è di Guizasola, la conslusione finale di Zúñiga. Da lì in avanti il nervosismo diventa davvero ingestibile. Lo stesso Zúñiga ne fa le spese, e viene espulso insieme ad un altro paio di giocatori. Saltate le marcature, nessuno riesce più a trovare la tranquillità per gestire la partita che termina così 1-0 per la squadra del Nord. Occasione sprecata dall’Alianza Lima.

I GIOCATORI

Ricardo Ciciliano. Il Pelado è l’uomo che cambia il match. Entra all’inizio della ripresa e il suo QI calcistico rimette ordine in mezzo al campo con l’Aurich che inizia a dominare la partita. Giustamente eletto MVP dell’incontro.

Luis Guadalupe. Anima della difesa chiclayana. In mezzo non passa nessuno, le sue uscite palla al piede sono da dimenticare, ma i suoi quasi due metri sono serviti per l’impresa.

Luis Tejada. Manca la firma dell’attaccante capocannoniere del torneo, entra comunque nell’azione della rete decisiva.

Diego Penny. Sempre sicuro, para il parabile l’ex Burnley, ma ha il grande merito di infondere tranquillità alla sua difesa

Alfredo Rojas. Fuori Chiroque, c’è stata tanta responsabilità sulle spalle di questo ragazzo coi capelli da mohicano. Ci mette tanta determinazione, alla fine, un’entrata di troppo lo toglie dalla partita. Altra prestazione di ottimo livello per questo 1991.

Johnnier Montaño L’ex Hellas Verona e Parma rimane una testa calda piena di infinito talento. Va a intermittenza, quando si accende è davvero la Luce per l’attacco dell’Alianza. Rifila una manata sul finire della partita e si becca il rosso: ci avremmo scommesso sopra.

Christian Ramos. In mezzo alla difesa prestazione di buon livello con il compagno Fleitas, sorpreso solo in occasione del gol, ma è tutta la squadra che gestisce male la situazione.

Paolo Hurtado. Le sue accelerazioni non trovano concretizzazione. Ragazzo comunque da seguire. Viene sostituito dall’ex Siena Joazhiño Arroé, che entra nel momento più critico del match e incide meno del solito ( all’andata aveva firmato il primo gol).

06 dicembre 2011

Victor Ibarbo si presenta con una gemma



La rete contro il Catania, partendo dal lato corto dell’area, bevendosi prima il difensore Spolli, poi danzando sulla linea di fondo prima di beffare con un colpo sotto il portiere Andujar è la presentazione al campionato italiano di Victor Ibarbo. Nel Cagliari aveva già impressionato nel precampionato e, inserito in spezzoni di partita, aveva destato l’attenzione di tanti tifosi e addetti ai lavori: quasi un metro e novanta, andatura caracollante, ottima tecnica, a Milano di recente aveva ricevuto a fine match gli auguri e i complimenti del connazionale celebre Ivan Ramiro Cordoba, con cui aveva scambiato, contento come un bambino, la maglia. Entrambi si sono imposti in Colombia nel Nacional di Medellin, formazione cha ha segnato un’epoca non solo nel calcio sudamericano sotto la guida di Pacho Maturana: una Libertadores vinta e la sconfitta in finale di Intercontinentale solo ai supplementari e per colpa di una punizione sghemba di Chicco Evani. Ibarbo ha vissuto però un’altra Colombia e un’altra Medellin, il cui celebre cartello aveva fatto di Pablo Escobar l’uomo più temuto e probabilmente ricco del globo. Cresce con la nonna Ibarbo e la statura subito colossale gli impone il ruolo di portiere nelle infinite partite tra le vie della piccola Tumaco. Il papà è lontano, però lo aiuta economicamente appena si presentano le prime squadre disposte ad investire su quel corpaccione. Quando può Victor, mostrando discrete doti anche da elettricista, dà una mano al genitore in lavoretti casa per casa, appena la Cable Union di Cali decide di sforbiciare il numero del personale a disposizione e mette una X anche sul cognome Ibarbo. Gli osservatori italiani (quorum ego) si accorgono di lui nel Sudamericano Under 20 del 2009: gioca in mezzo al campo con la Colombia e ricorda, con quel suo modo di accorciare il passo prima del calcio e per la sua altezza, il giovane Patrick Vieira. L’Udinese anticipa come al solito tutti, ma alla fine la sua offerta si incaglia sulle formule di pagamento e il ragazzo rimane al Nacional di Medellin, la squadra da dove partì la favolosa parabola di Tino Asprilla. E proprio ispirandosi al Tino, Ibarbo sembra essersi inventato quel gol contro il Catania, dopo che nei primi mesi di Italia è diventato prima una mezzapunta, nell’interregno Donadoni, poi un attaccante sotto Ficcadenti e Ballardini. Di certo c’è che ha cominciato a stupire, e Victor Ibarbo sta sprintando (lui che pare avere un personale sotto gli 11 secondi sui 100 metri) per diventare un giocatore dell’élite che conta nella nostra serie A.

Fonte: Max

05 dicembre 2011

Brasileirao 2011: Corinthians campione

Fonte: Gazzetta.it


E’ Penta: dopo una infinita battaglia testa a testa con il Vasco, il Corinthians guadagna nell’ultima giornata, contro il Palmeiras, il pareggio e quindi il punto che gli permette di vincere il quinto campionato brasiliano della sua storia. Il contemporaneo pareggio del Vasco contro il Flamengo di Ronaldinho, nell’ennesimo match tiratissimo, avrebbe permesso comunque al Timão di perdere contro i rivali di sempre del Verdão.
Ma ci avrebbe levato le ennesime emozioni di un campionato splendido, equilibrato e combattuto fino all’ultimo. Emozioni che nella gara che ha chiuso il Brasileirão 2011 sono cominciate a Pacaembu, la casa del Corinthians, con una sentitissima commemorazione.



Braccio destro alzato da tutto lo stadio e dai giocatori, pugno chiuso, così la Nazione indipendente Corintiana ricorda l’uomo libero, prima che artista del calcio, Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira: per chi ha nel cuore lo splendido gioco del futebol solo “Socrates”, che nel Timão ha consumato la parte più importante della sua carriera.
La gara decisiva inizia meglio per il Palmeiras. Il Verdão gestisce la palla ma fatica a concludere con pericolosità, palesando tutte le difficoltà emerse durante questa disgraziata stagione. Il Timão, senza Emerson, Danilo e Ralf, propone un 433 che difende piuttosto basso e riparte senza mai impensierire la squadra di Felipe Scolari, che conserva con Tite, tecnico del Corinthians, una vecchia incomprensione, mai ben chiarita e che aggiunge ancora più piccante alla sfida. La tensione diventa insostenibile nel Pacaembu stracolmo con la notizia della rete di Diego Souza all’Engenhão (favolosa giocata di Nilton sul lato corto dell’area e assist al bacio), col Vasco che raggiunge in vetta il Corinthians: un gol del Palmeiras trasporterebbe a Rio de Janeiro il titolo. In più, nell’ultima azione del primo tempo, il Corinthians con una giocata confusa va vicino alla rete e non si vede fischiato un calcio di rigore per un tocco su Willian di Henrique (speranza del Barcellona distrutta dal pragmatismo di Guardiola). Polemiche che si incendiano dopo due minuti del secondo tempo, con l’ennesima fesseria della carriera di Jorge Valdivia, piedi fatati e cranio disabitato: rallenta la corsa e finge di rifilare un calcione a Jorge Henrique, lasciando andare la gamba in maniera polemica e innaturale. Tuttavia il cileno non colpisce l’avversario, e ciò renderà infinite le discussioni nei bar.

Pochi minuti dopo gli dei del calcio abbandonano la neutralità, forse guidati da un numero 8 oggi assurto nell’ideale Olimpo del Futebol, si schierano definitivamente con il Corinthians e regalano ai paulisti la gioia del gol del Flamengo, di Renato Abreu, che all’Engenhão sorprende una difesa vascaina messa malissimo e ci mettono una traversa a salvare il portiere Julio Cesar contro la zuccata di Fernandão, in una delle poche occasioni nitide per il Palmeiras. Nemmeno la dabbenaggine del corinthiano Wallace, che riesce a farsi espellere con un’entrata in netto ritardo e a rimettere in parità il numero dei giocatori in campo, cambia la sostanza della partita. Volano i cartellini rossi a Rio e a San Paolo, ma la classifica finale sentenzia definitivamente: Corinthians 71 punti, Vasco 69.
Il Flamengo festeggia il mancato titolo dei rivali e anche la conquista della Libertadores, insieme all’altra squadra carioca, il Fluminense, e all’Internacional, vittorioso sui rivali cittadini del Gremio.
Resta quindi fuori dalla competizione più importante del Sud America il San Paolo, che ha solo la magra consolazione di siglare il gol numero 1000 (contro le riserve del Santos, battuto 4-1) di questo emozionante e spettacolare campionato, grazie a una sberla da fuori area del super talento Lucas, oggetto del desiderio di mezza Europa.
Nelle zone basse della classifica il Cruzeiro stravince il classico con l’Atletico Mineiro e, anche se solo all’ultima giornata, cancella l’incubo della retrocessione in Serie B, condannando in questo modo l’altra squadra di Belo Horizonte, l’America, oltre al Cearà e all’Atletico Paranaense.