16 novembre 2014

Con il genio di Alaba e la generazione Okotie si rivernicia la storia dell'Austria

Passata la prova del nove. Pur senza il fenomeno Alaba ( fermo ai box per un brutto infortunio), la nuova Austria di Koller ha battuto ieri la Russia di Capello. Una squadra di ottima prospettiva. Qui un mio pezzo comparso settimane fa su Gazzetta Gold.



Domenica sera, uno dei tempi del calcio, il Prater di Vienna, poi ribattezzato “Ernst Happel Stadion”, in onore di una delle più grandi teste di football di sempre, ha ripreso a ruggire. E il boato di felicità interrompe la corsa del numero otto in maglia rossa. David Alaba stava procedendo palla al piede verso la porta del Montenegro, che aveva portato tutta la squadra in area di rigore avversaria, in vista dell'ultima occasione del match, un calcio d'angolo poi rivelatosi poco fruttuoso. L'arbitro aveva fischiato tre volte, certificando la vittoria dell'Austria, che coi tre punti messi via ora in classifica guarda dall'alto la Russia di Capello e la Svezia di Ibrahimovic.
Alaba quasi non si accorge del segnale del direttore di gara e prosegue la sua corsa: è giusto al centro del campo quando si accorge che è tutto finito. Allora, si leva la maglia e festeggia coi compagni. E' lui il leader della Nuova Austira del Fussball, anche se la carta d'identità lo indica come il più giovane fra i titolari di una squadra piena di gente poco sopra i vent'anni che si è unita all'ultima miglior generazione del calcio austriaco, quella del 1987, che a livello di Under 20 raggiunse una semifinale al Mondiale. 
Rubin Okotie faceva parte di quel gruppo e domenica ha deciso con un gol la partita contro il Montenegro sfruttando l'assist di Marko Arnautovic, intravisto nell'Inter del Triplete: tanto talento ma pure testa disabitata per gestire una carriera da calciatore ad alto livello.



Ruben Okotie è nato in Pakistan da mamma austriaca e papà nigeriano, ed è stato sostituito nel finale di gara da un ragazzo del '96, Valentino Lazaro, un talento che un paio di anni fa si era accordato per venire ad allenarsi al Centro Sportivo Facchetti, dove cresce il settore giovanile dell'Inter, e invece alla fine i genitori hanno declinato l'invito nerazzurro. I genitori sono un angolano e una greca.
Che non sia più l'Austria dei nostri padri ce lo garantisce proprio David Alaba. Papà George è un rapper-DJ nigeriano, mamma Gina una infermiera filippina, si sono conosciuti a Vienna, dove Olatokunbo è nato. Olatokunbo, certo, “La ricchezza che giunge da oltre mare”, seconda la lingua degli Yoruba, il gruppo etnico di cui è originario il padre, e che per lui ha scelto quel nome, anche se ci ha appiccicato anche un più semplice David.
David fai fatica a non notarlo, ma non ci riferiamo solo a ieri sera. Alaba è stato un pezzo chiave del Bayern del Triplete Campionato-Coppa-Champions di Jupp Heynckes e uno dei principali motivi per cui Pep Guardiola sta trasformando il Bayern nella squadra più d'avanguardia del calcio mondiale. Tatticamente, Alaba è probabilmente il giocatore più completo al Mondo. Se la gioca con il suo compagno nel Bayern Thomas Mueller, uno che offensivamente può adattarsi ovunque. Non è un caso che entrambi siano entrati in pianta stabile, nella prima squadra dei bavaresi sotto Louis van Gaal.
Tirato i primi calci in una squadretta della capitale austriaca, papà George lo porta subito nel settore giovanile dell'Austria Vienna, dove gioca a tutto campo: il Bayern si accorge del suo talento. “Puoi giocare terzino sinistro”, dice il santone olandese. Non ci crede nessuno, forse nemmeno David, e invece nella notte del 25 maggio 2013, quando il Bayern vince la sua quinta Coppa dei Campioni, nel ruolo di terzino sinistro dei bavaresi, c'è lui. Partendo da sinistra, diventa sempre pezzo chiave della fase di costruzione, sempre più avveniristica, del Bayern di Pep Guardiola.
A vent'anni gioca un calcio irreale a un livello altissimo: presto anche il pensiero comune gli leverà l'etichetta di ottimo giocatore, per affibbiargliene una più impegnativa. Da quanto tempo non accadeva con un giocatore nato nei pressi della Cripta dei Cappuccini?
“La ricchezza che giunge da oltre mare”, l'Austria, per sua fortuna, gli ha aperto le porte.

03 ottobre 2014

Federico Bonazzoli, i gol e la passione per il gioco di un interista



“Federico, Federico... hai sette anni, non puoi giocare con loro, sono più grandi: la tua squadra è questa!” Sono le prime parole da interista che si sente dire Federico Bonazzoli, golden boy del settore giovanile nerazzurro. Da pochi minuti è entrato nell'universo interista, ma è arrivato da Montichiari con un suo caro amico, che però è di un anno più vecchio. “Sono anch'io del '96!” 

E invece Federico Bonazzoli è nato a Manerbio il 21 maggio del 1997, ma è precoce, come in quel primo giorno nerazzurro. A 16 anni e 197 giorni esordisce in prima squadra, in Coppa Italia, tre giorni prima di soffiare su 17 candeline mette piede in campo in serie A, contro il Chievo. Oggi gioca in Primavera, e nella sua ultima uscita ha infilato quattro gol al Perugia. Giocare e segnare, le sue principali passioni. Federico non vuole perdere tempo e tante volte scendeva dal pulmino, che lo raccoglieva a Brescia, già cambiato, in uniforme calcistica, per raggiungere immediatamente il terreno di gioco. “ Vedere quel pallone che rotola, rincorrerlo, è il suo più grande divertimento – racconta Giuliano Rusca, responsabile dell'Attività di Base nerazzurra e uno dei primi tecnici del “Bona” - ha una una passione enorme. Noi, che ci occupiamo di questa fascia di età, abbiamo doveri educativi verso i ragazzi che alleniamo, dobbiamo proporre cose che divertano e stimolino, beh, quelle cose lui le ha già dentro: è un piacere per gli occhi vederlo giocare: ha la testa giusta per fare il calciatore.” 



“ Eppure nei primi tre mesi è stata dura” ricorda Bruno Casiraghi, il suo scopritore, oggi responsabile della Scuola Calcio Inter a Sarnico, finissimo talent scout “grazie alla compattezza del gruppo di lavoro che abbiamo qui, con il coordinamento di Roberto Samaden, una persona che ha aiutato molto la crescita di Federico”, precisa con modestia. “Federico qualche “caregnata” all'inizio l'ha fatta -continua Casiraghi-, perché non è facile per nessuno il continuo distacco dal paese, ricordo le parole preoccupate della mamma, ma l'amore per il gioco ha cancellato tutto. Io ancora oggi gli do del “crapù” del testone, siam tutti e due bresciani, Chicco l'ho visto crescere, diventare giocatore, e che giocatore, con quella voglia e quel fiuto del gol... a me sembra davvero forte, e dico a tutti gli interisti di supportare lui e tutti i nostri ragazzi del settore giovanile, sono il Cuore dell'Inter.” Si incrina la voce e si inumidiscono gli occhi di Casiraghi, che insieme a Rusca, è stato il primo a ricevere la telefonata di ringraziamento di Federico, dopo l'esordio coi grandi. Era entusiasta, anche perché Bonazzoli è nato interista. E calciatore. “ Lo vedi spesso guardare anche gli allenamenti degli altri, non è proprio una cosa comune” dice Salvatore Cerrone, quest'anno tecnico della Berretti nerazzurra e allenatore di Bonazzoli in tre diverse stagioni, a cominciare da quella dei Giovanissimi Nazionali, dove il Bona segna una tripletta in finale contro il Napoli e vince il suo primo scudetto. “E' cresciuto tantissimo nelle situazioni di gioco collettive, ogni giorno impara, proprio perché gli piace giocare a calcio.” E in area di rigore non sbaglia: “sa sempre dov'è la porta – dice il suo attuale tecnico in Primavera, Stefano Vecchi-, calcia convinto di segnare, con precisione e forza, e queste qualità da bomber non si insegnano.” A San Siro, sua prossima casa, sicuramente non sbaglierà spogliatoio

CARLO PIZZIGONI
Fonte: Gazzetta dello Sport - Milano e Lombardia

13 gennaio 2014

Mario Piccinocchi, un "canterano" da Barça nella Primavera di Inzaghi

Mario Piccinocchi, classe '95, è stato il miglior in campo nel derby Primavera vinto dal Milan. Grandi capacità in costruzione, difensivamente gioca sulle linee di passaggio avversarie intercettando palloni grazie al superiore QI calcistico. Prima della partita avevo scritto di lui sulla Gazzetta dello Sport Edizione Milano e Lombardia. Ecco l'estratto:




Il derby Primavera, recupero dell'ottava giornata di campionato, che si gioca oggi al Centro Sportivo Facchetti (calcio d'inizio alle 14,30), è una gara che ruota attorno alla parola riscatto. Non solo per il Milan di Pippo Inzaghi, sconfitto e eliminato dalla Coppa Italia nell'equilibrata gara dei quarti di finale giocata poco prima di Natale e terminata, ai supplementari, 3-1 per l'Inter.
Il riscatto del derby deve essere il riscatto del calcio milanese. Più di un tifoso meneghino reclama maggiore attenzione verso i giovani dei nostri vivai, anche dopo l'exploit recente registrato a San Siro dall'esordio Bryan Cristante. “In Italia manca un po' il coraggio di lanciare i nostri ragazzi, ” ha detto poche settimane fa Beppe Bergomi, bandiera interista e grande conoscitore del calcio giovanile. Troppi condizionamenti, troppi pregiudizi. Quelli che hanno per esempio attraversato le incipienti carriere di due giocatori di estrema qualità, che reggeranno col loro fosforo la battaglia di centrocampo del derby di oggi: il rossonero Mario Piccinocchi e il nerazzurro Gennaro Acampora. Il primo, ragazzo di Cornaredo, hinterland milanese, ha iniziato all'Aldini, tradizionale fucina rossonera, per poi passare al Milan, assecondando il suo tifo giovanile. Il quoziente intellettivo calcistico sviluppatissimo ha cancellato il refrain sul suo fisico non da granatiere, tanto da guadagnarsi il soprannome di Xavinocchi tra i frequentatori assidui del Vismara. Contro il Barcellona ci ha anche giocato, in Youth League, raccogliendo l'attenzione e la stima del tecnico catalano Jordi Vinyals: “ davvero un ragazzo interessante il numero 5, sembra sia cresciuto con la nostra idea di gioco...” Complimenti che inorgogliscono “Picci”, uno sicuro dei suoi mezzi: “ Ho sempre giocato sulla linea mediana – ha detto Mario - dettando i tempi davanti alla difesa, da regista. E' da sempre il mio ruolo preferito.” E anche Inzaghi, con l'idea di far nascere l'azione da dietro, palla a terra, non ha mai rinunciato alla tecnica e alle letture di Mario. 

CARLO PIZZIGONI
Fonte: Gazzetta dello Sport Edizione Milano e Lombardia