31 dicembre 2011

2011 - I Migliori under 20 in circolazione

Ce lo ripetono come un mantra: bisogna puntare sui giovani, bisogna puntare sui giovani... Per svecchiare il nostro calcio, stante l’attuale condizione economica che non ci permette di arrivare agli interpreti già affermati e riconosciuti, anche le squadre di punta devono anticipare le mosse, e fiondarsi sui giovani di maggiore talento. Individuarli, poi metterli sotto contratto e poi imparare a gestirli: il club che riesce a operare al meglio in queste tre fasi raggiungerà costantemente i propri obiettivi. Noi del Guerin, che ormai da tempo sposiamo la causa dei giovani, stavolta indossiamo i panni delle società, e partiamo per un viaggio alla scoperta dei migliori prospetti del globo. Ua sola condizione, prenderemo in esame esclusivamente ragazzi della classe 1991, o inferiore. Partiamo.

Il Mondiale under 20 è la principale vetrina di tutti i giovani talenti. In Colombia, nello scorso agosto, si sono messi in luce ragazzi che oggi cominciano fare intravedere elevate qualità oppure signorini che già pretendono e/o ottengono l’occhio di bue della platea. Chi sta impressionando davvero in questa prima porzione di stagione è Rodrigo del Benfica. Storia particolare la sua: nato a Rio de Janeiro nel 1991, cresciuto con la mamma, ha seguito poi il padre, professionista nel Calcio a 5, in Spagna. Ottenuta la cittadinanza del paese iberico è riuscito anche a farsi apprezzare dal Real Madrid, dove è cresciuto. Centravanti che sa andare in gol in tante maniere Rodrigo ha già conquistato il tecnico del Benfica Jorge Jesus, che lo ha lanciato più volte titolare: le Aquile di Lisbona lo hanno acquisito con una cervellotica formula: pagando una cifra concordata nelle prossime due stagioni, i bianchi di Madrid possono però riportarselo a casa. Rodrigo in Colombia ha rappresentato la Spagna, raggiungendo le semifinali, grazie a una squadra che ha fatto comunque onore alla recente tradizione futbolistica del Paese. In mezzo al campo ha dominato Oriol Romeu (1991), uno dei miglior talenti del Barça Atletic allenato dall’attuale tecnico della Roma Luis Enrique: Romeu, grande fisico, ottimo nel recuperare palla e lineare nell’impostazione è stato prestato al Chelsea, con una clausola che lascia qualche chance anche ai Blues, e Villas Boas lo ha già fatto debuttare in Champions League. Nelle giovani Furie Rosse impossibile non citare anche il talento offensivo Isco (1992), passato in estate dal Valencia al Malaga, e il leader difensivo Marc Bartra (1991), che in Colombia ha avuto il suo momento di celebrità, dato che in ogni report viene sempre classificato all’ombra di Marc Muniesa (1992) assente al Mondiale, altro giovane prospetto difensivo del Barça, che non a torto viene considerato un futuro titolare della squadra dei sogni. Ha deluso in Colombia Sergio Canales (1991) che il Real Madrid ha voluto cedere al Valencia per testarne le qualità, che potenzialmente sono immense per un centrocampista che può fare tutto. La scuola spagnola punta forte sui giovani, ormai da tempo: chiudiamo la parentesi segnalando altri ragazzi che in Liga stanno vivendo un momento d’oro. Iker Munian (1992), esterno di qualità dell’Athletic Bilbao, può vivere sotto la guida di Marcelo Bielsa la stagione della consacrazione, così come un altro diamante, Thiago Alcantara (1991, figlio dell’ex Lecce e Fiorentina Mazinho), può iniziare a diventare l’erede di Xavi nel Barcellona, la qualità non manca, e nemmeno la faccia tosta. Il Campionato Spagnolo ha mostrato a inizio stagione sorprese non da poco, per quel che riguarda i giovani: Inigo Martinez (1991) centrale mancino della Real Sociedad e Lass Bangoura (1992) mezzapunta guineana del Rayo Vallecano hanno dimostrato di possedere grandi qualità. Torniamo in Colombia per rendere il giusto omaggio alla squadra vincitrice del torneo, il Brasile, che ha messo in mostra una interessante batteria di giovani. Premessa indispensabile: la Nazionale verdeoro non ha schierato al Mondiale due ragazzi già protagonisti nella Coppa America con la Seleçao, ma che erano stati protagonisti nella vittoria del Campionato Sudamericano under 20: trattasi della veloce mezzapunta Lucas (1992), ricercato da tutta l’Europa che conta, ragazzo che ha nel controllo, nella rapidità dei primi passi e nei cambi di direzione le sue principali caratteristiche e poi di Neymar. Neymar da Silva Santos Júnior, nasce nel 1992 a Mogi Das Cruzes, comune dello Stato di San Paolo che presto diventerà luogo di culto grazie al suo figliolo più famoso: è chiaramente il miglior giovane del globo e si contano i giorni in cui verrà a mostrare il suo talento in Europa, molto probabilmente lontano dall’Italia e con il solo cassiere del Santos a fregarsi le mani. La generazione dei ‘91-’92 è di ottimo livello nel più grande paese del Sudamerica. Nella vittoria colombiana hanno brillato a inizio torneo l’interista Philippe Coutinho (1992), e nel finale ha deciso Oscar(1991), miglior giocatore del torneo a nostro giudizio, e mezzapunta che potrà diventare anche una mezzala di qualità un giorno: cresciuto al San Paolo ha lasciato la casa madre per sistemarsi all’Internacional, ora pronta a sentire le offerte del Vecchio Continente, anche il Barça si è aggiunto alla lista, tanto per testimoniare la qualità del soggetto. Sono già pronti per atterrare qui in Europa Danilo (1991), terzino o interno di centrocampo già prenotato dal Porto, e Casemiro (1992), centrocampista e all’occorrenza difensore centrale del San Paolo, ricercato anche dall’Italia. ma la truppa brasiliana ha messo in mostra anche il terzino sinistro Alex Sandro (1992), trasferitosi al Porto, Dudu (1992), inventiva mezzapunta rilevata dalla Dinamo Kiev, Allan(1991), destro tutto fare del Vasco e Henrique (1991), centravanti del San Paolo e capocannoniere del Mondiale. Le italiane sono state attirate da Gabriel Silva (1991), bloccato dall’Udinese, e, si dice, Juan (1991), centrale difensivo dotato di gran fisico che piace a tante big di casa nostra. Niente male anche la rosa della finalista Portogallo. Il portiere Mika(1991) e Nelson Oliveira (1991), attaccante veloce e “fisicato” (il 7 sulle spalle non è casuale) che ha già esordito in Champions League, sono il futuro del Benfica, mentre il Porto spera nella crescita di Sergio Oliveira (1992) talento offensivo mandato a farsi le ossa prima al Beira Mar e quest’anno al Malines e protetto da una clausola rescissoria di 30 milioni di lire. La terza grande lusitana, lo Sporting Lisbona, era poco presente in Colombia ma in casa ha tre gioiellini sotto traccia e pronti ad esplodere: l’attaccante nato in Guinea Bissau Zezinho (1992), il centravanti Betinho (1993) e Bruma (1994), lui pure nato nella piccola colonia portoghese e già chiacchierato per un trasferimento al Tottenham. Altro team europeo che ha mostrato gioielleria interessante è certamente la Francia (terza classificata anche senza un dignitoso gioco di squadra). Francis Coquelin (1991) metodista di sicuro futuro ha già comandato il centrocampo dell’Arsenal di Wenger in questo inizio di stagione (dandosi il cambio con un altro bel prospetto, il ghanese Frimpong -1992). Gael Kakuta (1991) si fa le ossa nella provincia inglese in attesa di tornare al Chelsea mentre il capitano dell’under 20 Gueïda Fofana (1991), centrocampista dal grande fisico, ha lasciato Le Havre per il Lione dove ha trovato l’attaccante Alexandre Lacazette (1991). Chi deve ritrovare un certo equilibrio psicologico è un purosangue come Antoine Griezmann (1991): alla Real Sociedad pare si dia troppe arie, ed è finito in panchina dopo un ottimo inizio di temporada. In Francia, nella Ligue 1, nel Lorient gioca un grande protagonista del Mondiale e un futuro grande protagonista del calcio europeo, Joel Campbell (1991), attaccante dal sinistro favoloso, bravo a usare il corpo e con la giusta inventiva: Arsene Wenger ha digerito le bizze dell’entourage che accompagnava il costaricense pur di averlo, tempo per crescere ne ha, e ora è agli ordini di Christian Gourcouff per crescere. Tanti i talenti della squadra di casa della Colombia, a cominciare da James Rodriguez (1991) del Porto che vive la stagione dell’affermazione; attenzione però a un prospetto che potremo vedere esplodere qui in Italia, il centravanti Luis Muriel (1991) che gioca la sua prima stagione a Lecce, controllato dall’Udinese che lo acquisto due anni fa dal Deportivo Cali. Ha molto talento ma pare uscire da una macchina del tempo, tanto sembra un giocatore di classe anni 60-70 Michael Ortega (1991), genio del centrocampo bloccato dal Bayer Leverkusen: chissà se riuscirà ad adattarsi alla frenesia del calcio moderno. Insolitamente a secco di tanti prospetti l’Argentina, se si eccettua il romanista Erik Lamela (1992) e Juan Iturbe (1993), già al Porto, che però deve imparare a gestire la sua velocità. In patria sponsorizzano giustamente l’attaccante del Banfield Facundo Ferreyra, che possiede un radar per la rete avversaria.Matias Almeyda, tecnico del River Plate, giura sulle qualità di Lucas Ocampos (1994)
Al Mondiale giovanile non c’erano tutti, anzi mancavano due future superstar: Jack Wilshere (1992) non ha condiviso la débacle colombiana della nazionale inglese preferendo la pre-season dell’Arsenal, diverso il discorso su Mario Goetze (1992). Goetze, ormai titolare indiscusso anche nella Germania di Joachim Loew, è solo l’ultimo straordinario prodotto di una scuola tedesca che con la riforma del sistema giovanile federale sotto Horst Hrubesch, ha posto le basi per la straordinaria rinascita del calcio teutonico. Su di loro si può scommettere se si vuol vincere facile, esattamente come se si punta su Christian Eriksen (1992), nettamente il miglior prodotto del football del Nord Europa. Eriksen, grande tecnica, centrocampista offensivo con grande intelligenza calcistica, unico danese che può far rivivere il fascino di Michael Laudrup, è la star dell’Ajax, dove per altro non sfigura il connazionale Nicolai Boilesen (1992), terzino sinistro che avrà presto chance in altri top club. Il Calcio del Nord è spesso poco battuto dai nostri scout: rimediamo noi. Bashkim Kadrii (1991) esterno d’attacco, gioca nell’Odense ed è il miglior talento che gioca in Danimarca. In Norvegia punteremmo su Markus Henriksen (1992), centrocampista potente del Rosenborg, e su Vegar Eggen Hedestad (1991), dello Stabæk, terzino sinistro o centrocampista difensivo dalla tecnica non disprezzabile. In Svezia, se leviamo il talentuoso John Guidetti (1992), che gioca al Feyenoord ed è di proprietà del Manchester City, che lo ha soffiato a tanta concorrenza italiana, andiamo su Alexander Milosevic (1992), centrale difensivo dal grande fisico, uomo chiave dell’AIK e della nazionale under 21, e Robin Söder (1991), interessante attaccante del Goteborg. Nessuno dovrebbe mai perdere di vista il calcio dell’ex Jugoslavia: lì i talenti abbondano, ed è quasi impossibile registrare una mappa. Ci proviamo in un paio di righe, cominciando da un ragazzo di sicuro avvenire come Matija Nastasic (1993), che in Italia c’è già, grazie a una felice intuizione di Pantaleo Corvino che l’ha soffiato sul filo di lana all’Inter. Gioca all’estero un altro grande prospetto come Filip Duricic (1992), centrocampista dell’Heerenveen, mentre in patria tutti scommettono su Filip Jankovic (1995), mezzapunta della Stella Rossa. Altri nomi caldi? Nikola Ninkovic (1994) del Partizan, il centrocampista difensivo Srdan Mijailovic (1993) e il central Uros Cosic (1992) della Stella Rossa, oltre a Mateo Kovacic (1994), miglior giovane della Dinamo Zagabria dai tempi di Boban. Il nostro tour termina con la visita in Svizzera, mercato altamente sottovalutato: noi andiamo sul sicuro con tre nomi che diventeranno sicuramente grandi. Granit Xhaka (1992) regista di centrocampo dall’enorme carisma e personalità (che Hitzfeld in Nazionale ha provato pure da trequartista), Xherdan Shaqiri (1991) esterno d’attacco e miglior talento offensivo elvetico (ma a Basilea ha giocato anche da terzino) e Admir Mehmedi (1991): il “10” dello Zurigo ha potenzialità devastanti, anche se deve migliorare concentrazione e attitudine in campo. Completato il giro del Mondo ci viene però in mente che, oltre che guardare all’estero, le società italiane dovrebbe mirare a valorizzare i vivai interni: il Guerin gira il globo per voi ma non abbiamo visto con molta frequenza talenti del calibro, ad esempio, di Mattia Destro (1991), attaccante cresciuto nell’Inter e oggi nel Siena di Sannino. Supplichiamo le società di puntare anche su di loro, per rinascere e fare del nostro calcio un sistema che abbia di nuovo l’appeal di un tempo.

CARLO PIZZIGONI


Fonte: Guerin Sportivo - Dicembre 2011

30 dicembre 2011

Universidad de Chile campione, Vargas e compagni stendono 3-0 il Cobreloa in finale

La Universidad de Chile, la squadra più interessante del Latino America, dopo la recente conquista della Copa Sudamericana, può alzare nuovamente il "Huemul de Plata", il trofeo che premia la squadra campione nazionale, grazie alla vittoria per 3-0 nella finale di ritorno contro il Cobreloa. La U, con questo ennesimo successo, si conferma leader del futbol cileno: questa vittoria nel campionato Clausura, bissa la conquista del titolo Apertura ottenuta nella prima parte della stagione.



A confermarsi non è solo la U, ma anche il neo acquisto del Napoli, Eduardo Vargas. Varguitas, dopo dieci minuti iniziali favorevoli all'outsider Cobreloa, smuove la sua squadra con un diagonale di sinistro che finisce a lato. Da quel momento la U riprende a giocare da U: la squadra di Sampaoli alza il ritmo e la partita finisce; sblocca il match Canales con una tipica giocata della Universidad, poi Vargas regala una gemma, un pallonetto dolcissimo che si infila alle spalle del portiere avversario, all'Estadio Nacional che inizia in anticipo i festeggiamenti. Il neo napoletano mostra le solite accelerazioni e diverse giocate di classe nelle zone più pericolose del campo, ma la U  non si ferma al pur eccellente acquisto di De Laurentiis. Marcelo Diaz e Charles Aranguiz sono la chiave della squadra, i due piccoli centrocampisti hanno piedi e cervello per gestire i tempi della partita, e sono il vero segreto del team guidato magistralmente da Jorge Sampaoli, tornato al 3313 bielsiano in questa finale di ritorno. Da una loro invenzione nasce la rete che sblocca la partita: inserimento laterale senza palla di Aranguiz (e contemporaneo movimento per liberare lo spazio degli attaccanti) e favolosa apertura lunga di Diaz: il cross dell'ex Cobreloa è perfetto per Canales che segna la rete che dà inizio a uno dei tanti show dell'anno della U. Spettacolo vero.

Universidad de Chile - Cobreloa 3-0 (Canales 24', Vargas 28', M.Rodriguez 35')





Fonte: Tropico del Calcio - Gazzetta.it

28 dicembre 2011

Dall'Egitto a Pep, a Simone Farina: il 2011 è l'anno delle Rivoluzioni sportive

Le grandi manifestazioni, fatte di tanta gente, che reclamano un nuovo futuro. Ecco la copertina, non solo di TIME, di questo 2011, l'anno delle Rivoluzioni. Egitto, Tunisia, Libia, rivoluzioni che in pochi si aspettavano, almeno nei termini in cui si sono concretizzate. Il mondo del calcio, lo sport maggiormente praticato e amato anche a quelle latitudini, ha veicolato esso stesso messaggi che hanno contribuito a sviluppare queste rivoluzioni. In Egitto il football è davvero una malattia e gli ultras dei due maggiori club della capitale, l'Al Ahly e lo Zamalek, non mancano di sconfinare le pagine dello sport per accaparrarsi le righe della cronaca. E' successo anche stavolta: i supporter dei due team del Cairo, erano insieme, per una volta dopo una vita a sbeffeggiare l'altrui parte, fianco a fianco in Piazza Tahrir, per reclamare un futuro diverso, per cercare di far crescere da lì, uniti, un Paese nuovo.

In Libia la Nazionale di Calcio non ha atteso nemmeno la caduta di Gheddafi per celebrare un nuovo percorso di vita. Quando ancora si bombardava su buona parte del territorio libico, la Selezione guidata saggiamente dal carioca Marcos Paquetà, ha deciso di schierarsi: prima del match chiave di qualificazione alla Coppa d'Africa contro il Mozambico, la maglia della Libia portava impressa sul cuore la bandiera rosso-verde-nero degli insorti. Da lì a poco sarebbe caduto il Rais, e per la Libia, seppure Paese i cui indici economici e sociali erano certamente tra i più alti dell'Africa, era tempo di cambiare, tempo di potere scegliere, anche solo i propri idoli sportivi. E così, il volto posterizzato di Gheddafi ha lasciato spazio a quello di Samir Aboud, quarantenne portiere che coi suoi balzi ha mantenuta intonsa la propria porta contro lo Zambia, e qualificato miracolosamente la sua squadra alla prossima Coppa d'Africa. Con una maglia e uno spirito diverso.

Uniforme e cuore differente si registrano anche in Tunisia, non tanto nella Nazionale ma in una delle squadre simbolo del regime di Ben Ali, l'Espérance. La squadra giallorossa della capitale per anni è stata gestita da Slim Chiboub, ex anonimo pallavolista diventato potente grazie alle nozze con una delle figlie del Presidente. Con lui l'Espérance ha vinto tutto, specialmente in patria, in un modo o nell'altro. Quest'anno la squadra ha alzato al cielo la sua seconda Champions League dell'Africa, e l'artefice principale del successo è certamente stato l'allenatore Nabil Maaloul, ragazzo cresciuto nel club e poi estromesso, con metodi diventati triste routine a Tunisi, proprio da Slim Chiboub: non c'era, sportivamente parlando, modo migliore per celebrare la Rivoluzione dei Gelsomini.

Se l'apporto del calcio, non solo a livello simbolico, è stato importante in diverse pieghe delle Rivoluzioni nordafricane, questo sport all'interno del terreno di gioco ha vissuto la concretizzazione della sua Rivoluzione. Il Barcellona di Pep Guardiola ha vinto la Champions League, sotterrando in finale una nobile rappresentate del Grande Calcio che fu, il Manchester United, e da pochi giorni si è incoronata Campione del Mondo per Club scherzando contro il Santos. La Rivoluzione non sta tanto nella vittoria di questi prestigiosi titoli in serie, quanto nella modalità del raggiungimento della stessa: il Barça ha inventato un nuovo modo di giocare a calcio. Con Pep Guardiola sono spariti i concetti stessi di ruolo, non esistono più centrocampisti, difensori e attaccanti ma giocatori sostanzialmente universali messi in condizione, in un sistema di gioco corporativo, fluido-e-compatto, di esaltare le proprie sovrannaturali (almeno in 4-5 elementi) caratteristiche individuali.

L'esaltazione di questi fenomeni ha un nuovo, incredibile megafono: Twitter. Gli sportivi, atleti e appassionati, giornalisti e tifosi, hanno in questo 2011 visto crescere in maniera esponenziale il ruolo di questo social network. Comunicati stampa e conferenze appaiono già come qualcosa di stantio, inutilmente riproposto: vecchio. Anche nello sport Twitter è la nuova frontiera, pure in Italia, dove ormai alcuni giocatori hanno una dimestichezza da hacker nell'utilizzarlo. Belpaese che però, anche calcisticamente parlando, non si può concedere troppo svago. L'ennesima indagine sul calcio-scommesse getta un'ombra squalificante su tutto il movimento. In attesa di saperne un po' di più, è però importante riconoscere l'unico raggio di sole della vicenda, quello rappresentato da Simone Farina, il difensore del Gubbio che ha denunciato il tentativo di combine: il CT azzurro Cesare Prandelli lo ha invitato a Coverciano per premiare il suo gesto. La Rivoluzione italiana, deve cominciare, forse non solo in ambito sportivo, da questi gesti, da questa differente mentalità, da questo responsabile e coraggioso modo di comportarsi: agendo così, il 2012 sarà certamente un anno migliore. Per tutti.

24 dicembre 2011

Eduardo Vargas, un Reality che vale davvero



Non ci sono più gli oratori. Nemmeno in Cile. Uno delle maggiori promesse del futbol mondiale, l’attaccante cileno Eduardo Vargas, appena acquistato dal Napoli di De Laurentis, è “costretto” a iniziare la carriera in tv.

Ricordate il reality “Campioni”, quello del Cervia allenato da Ciccio Graziani che faceva la formazione coi suggerimenti del pubblico? Ecco, Vargas, dopo alcuni abboccamenti con le formazioni giovanili del Palestino, si mette in mostra neLa Disciplina del Futbol, il programma di Fox Sports che mette uno contro l’altro, davanti alle telecamere, tanti ragazzi cileni che ci sanno fare con la palla al piede.

Sotto i riflettori ci finisce anche Felipe Seymour, oggi al Genoa. Insomma, dal punto di vista tecnico, nulla a che fare con il programma condotto da Ilaria D’Amico, che ci propinava ragazzi simpatici sì, ma non esattamente futuribili nel grande calcio. E invece Vargas, giocatore dell’anno in Cile, è in lizza per il premio di miglior interprete del Sudamerica a fianco di colossi come Neymar e Ganso.

Quando le luci dello showbiz si spengono, su Vargas entra in gioco il Cobreloa, il club che ha cresciuto anche l’altro campioncino cileno, Alexis Sanchez. Dalle giovanili della squadra passa in prima e conquista subito la maglia da titolare: ci mette poco la Universidad de Chile ad accorgersi di lui. Il Cobreloa mantiene comunque il 35% del cartellino del giocatore, che frutta alla fine circa 4 milioni di dollari, stante la missione del Napoli chiusa a circa 14,5 milioni.

Alla prima partita con la U va subito in rete, seguono altre gemme. Ma esplode quest’anno. Merito anche del visionario tecnico Jorge Sampaoli che dopo essere stato preferito a Diego Simeone per la panchina della Universidad de Chile, si inventa un ipnotico 3313 mutuato dalla di lui stella polare, Marcelo Bielsa, sogno irrealizzato di Massimo Moratti a inizio stagione.

Da attaccante esterno Vargas mostra la sua velocità e, soprattutto, segna con disarmante continuità: è lui la copertina della U che domina la Copa Sudamericana. E’ pronto per l’Europa, e il gioco di Mazzarri è disegnato dal sarto per esaltarne le sue caratteristiche. Hasta pronto Varguitas.

Fonte: Max

22 dicembre 2011

[Analisi - San Siro dal Vivo] Inter - Lecce 4-1

Davanti a una partita in cui una squadra è protagonista di 4 pali, 4 segnature e un numero amplissimo di occasioni da rete, potrebbe esserci poco da dire, nulla da approfondire. Proviamo a trovare spunti da un match a senso unico.

Iniziamo dal Lecce. Vedere questo tipo di attenzione, prima che schieramento difensivo in serie A è sconfortante. Uomini continuamente persi, anche in zone pericolose, raddoppi bucati e fuori tempo, distanze casuali tra uomini e reparti. La squadra di Cosmi, che indubbiamente possiede qualità in alcune zone del campo, secondo me registra l'andazzo di questa serie A, sempre meno competitiva e interessante da tanti punti di vista.

Poi, l'Inter. Ranieri, dopo alcuni periodi di più o meno sperimentazione, è tornato alla piattaforma del 442, che storicamente è il sistema - con tutte le modifiche e gli adattamenti del caso - che più gli ha dato soddisfazioni. Un sistema che sente suo e che riesce bene a trasmettere ai giocatori ( successe lo stesso a Roma). L'Inter è indubbiamente più solida e più convinta, giocando il 442. Il primo tempo, giocato (finalmente) con un ottimo sostegno dei laterali, fa sempre un po' di fatica ad abbandonare un'eccessiva impostazione orizzontale, in più un giocatore chiave come Forlan (tornato titolare dopo il brutto infortunio) fa fatica a coordinarsi con il movimento della squadra e viene trovato e innescato raramente nella zona pericolosa tra la difesa e il centrocampo leccese. Dopo il gol subito (gran rete di Muriel, che conferma la crescita che lo porterà a diventare un giocatore importante: in Colombia al Mondiale under 20 abbiamo scommesso su di lui), è necessario aumentare il ritmo, sfrutta bene gli esterni e l'Inter inizia un tiro al bersaglio verso la porta di Gabrieli. Segna solo una rete con Pazzini, ma costruisce tantissimo, senza subire nulla, anche grazie all'ennesima prestazione monstre di Zanetti, schierato interno di centrocampo a fianco di Thiago Motta: l'Inter ha sostanza in mezzo, recupera palla sempre altissima e il Lecce è contato in piedi.

Il secondo tempo inizia con una doppia sorpresa: il Lecce non modifica né uomini né impostazione difensiva ( entra Piatti per Olivera, ma poco cambia come atteggiamento) e l'Inter cambia modulo e giocatori: fuori Faraoni e Forlan e dentro Cambiasso e Milito, e ritorno al 4312 di ottobre. In questa fase di partita l'Inter trova sì la rete del 2-1 con Milito (bella verticalizzazione di Alvarez nel deserto della difesa del Lecce) ma inizia a subire sugli esterni, specie a destra (Quadrado), e in transizione dove d'incanto le distanze, oltre a non ritrovare più la palla alta, si perdono e si ricreano quelle falle di inizio campionato. Dopo un paio di reti divorate da Corvia e co. Ranieri ritorna precipitosamente al 442, mettendo Obi a sinistra ( surrogato Pazzini: Alvarez dietro Milito). Il Lecce è però mentalmente tornato in partita, e qualche situazione da gol la confeziona anche dopo il 3-1 di Cambiasso, segnato appena dopo il ritorno al 442 con una bella discesa del positivo Nagatomo a sinistra ( oltre al consueto bouquet di errori leccesi).

Chiude il match Alvarez, dopo l'ennesimo spunto del giapponese a sinistra, il pubblico infreddolito e non numeroso inneggia il "vi vogliamo così". Per Ranieri la conferma che col 442 la squadra, almeno qui in Italia, in questa serie A, è competitiva e può arrivare lontano: al ritorno di Sneijder si vedrà.




INTER: Julio Cesar; Maicon, Lucio, Samuel, Nagatomo; Faraoni , Zanetti, Thiago Motta, Alvarez; Forlan (dal 1’ s.t. Milito), Pazzini (dal 27’ s.t. Obi). (Castellazzi, Cordoba, Coutinho, Castaignos). All. Ranieri.
LECCE: Gabrieli; Oddo, Tomovic, Ferrario; Cuadrado, Giacomazzi, Obodo (dal 30’ s.t. Pasquato), Olivera (dal 1’ s.t. Piatti), Brivio; Muriel (dall’8’ s.t. Corvia), Di Michele. (Turbacci, Diamoutene, Bergougnoux, Grossmuller). All. Cosmi

MARCATORI: Muriel (L) al 19’, Pazzini (I) al 34’ p.t.; Milito al 4’, Cambiasso al 28’, Alvarez al 36’ s.t.

13 dicembre 2011

Real Madrid - Barcellona, una boiata pazzesca?




Miliardi di telespettatori adoranti, migliaia di giornalisti accreditati: Real Madrid - Barcellona è l’ennesima partita del secolo. A furia però di fare i conti attorno al campo e di cadere in deliquio ad ogni presentazione in HD, non si rischia di dimenticare di guardare quello che succede in campo? Scusate, possiamo dire una cosa noi? Il Clasico giocatosi sabato sera al Santiago Bernabeu è stata una boiata pazzesca! (cit.) Un festival di errori cominciato dopo nemmeno un minuto.

Busquets dà al portiere una palla senza senso, Victor Valdes sparacchia via male, proprio in direzione di un avversario, poi inizia un batti e ribatti fantozziano in area di rigore con il beato Gerard Piqué (ovviamente il miglior “centrale del mondo”), che si gusta lo spettacolo invece di pensare a mettere in fuorigioco Benzema, che segna senza problemi. Una rete che, l’avessimo vista confezionata dalle maglie di Sudtirol e Acitrezza, avremmo riso di gusto e ci saremmo divertiti a svillaneggiare per settimane i calciatori responsabili di tale gollonzo.

Il suddetto Piqué, ammaliato forse dalle anche che non mentono di Shakira, ha continuato a non risparmiarci lanci lunghi senza motivo, finché Messi in persona ha detto stop ed è sceso fino alla trequarti difensiva per reclamare la palla: poi si è fatto fuori metà difesa madridista, in stile Maradona-Inghilterra-1986, e ha dato la palla in profondità ad Alexis Sanchez (tenuto in gioco dal disastroso Fabio Coentrao, e di lui ci occuperemo poi), che ha pareggiato la partita.

Anche Leo-Palloned’orosullafiducia ci ha messo del suo, prima coprendo di insulti l’arbitro (cosa che ormai capita ad ogni match che il dio del Calcio, sicuramente uno di casa Messi, manda in terra), poi rifilando a Xabi Alonso un calcione a metà campo che poteva costargli un rosso, ma lo sguardo contrito - e la volontà di non rovinare la partita, ovviamente del secolo - ha intenerito l’anonimo Borbalan, che avrebbe dato il la alle ironie di Mourinho a fine match.

Ma anche il nostro José, ci ha messo del suo, nel Clasico degli incubi: Fabio Coentrao terzino destro ne ha combinate di ogni: oltre all’errore sul gol di Sanchez, si fa anticipare sulla corsa, lui che è un keniano, da Cesc Fabregas, che gli frega il tempo e segna il gol che chiude la partita.

Una partita che doveva segnare la rimonta di Cristiano Ronaldo su Messi alla rincorsa per il Pallone d’oro. Invece il portoghese si divora due occasioni da rete che manco Pacione ai tempi d’oro e si impegna a calciare punizioni in modo inverecondo. Il più grande spettacolo del week end finisce col solito finale tiki taka e nella maniera classica. Si sbadiglia, ma per fortuna finisce presto: la prossima volta facciamo il film cecoslovacco con sottotitoli in tedesco?


Fonte: Max

12 dicembre 2011

Perù. L'Aurich batte l'Alianza Lima nella finale bis, adesso il titolo si gioca nello spareggio

Fonte: Tropico del Calcio


Ambiente incredibile a Matute: dopo la vittoria dell’andata all’Alianza Lima bastava un pareggio per aggiudicarsi il titolo peruviano e tutto il tifo “victoriano” aveva raggiunto il suo tempio per festeggiare. Vittima sacrificale, il Juan Aurich del tecnico colombiano Umaña ha tirato fuori gli artigli e dopo una battaglia terminata 9 contro 9 è uscita vincitrice. Ora la finale-spareggio, mercoledì allo stadio Nacional.




IL GIOCO

442 da entrambe al parti, tantissima intensità e determinazione: tutti hanno lasciato l’anima in campo. Il primo tempo ha vissuto una finale piuttosto bloccata, l’Aurich che prova a fare la partita, cercando soprattutto l’uno contro uno sui lati dopo l’uscita per infortunio dell’uomo più importante, William Chiroque (out anche per la finale); l’Alianza prova le ripartenze in campo aperto. La giocata chiave dell’incontro è l’entrata a piedi uniti, senza senso né motivo, con annesso giallo e espulsione, di Jorge Bazan: l’Aurich che con l’entrata di Ciciliano (nella foto, in contrasto con Montaño) aveva preso a dominare la metacampo guadagna un vantaggio che risulterà decisivo. Proprio dalla fascia sinistra dell’Alianza orfana di Bazan nasce l’azione che decide il gol: il merito è di Guizasola, la conslusione finale di Zúñiga. Da lì in avanti il nervosismo diventa davvero ingestibile. Lo stesso Zúñiga ne fa le spese, e viene espulso insieme ad un altro paio di giocatori. Saltate le marcature, nessuno riesce più a trovare la tranquillità per gestire la partita che termina così 1-0 per la squadra del Nord. Occasione sprecata dall’Alianza Lima.

I GIOCATORI

Ricardo Ciciliano. Il Pelado è l’uomo che cambia il match. Entra all’inizio della ripresa e il suo QI calcistico rimette ordine in mezzo al campo con l’Aurich che inizia a dominare la partita. Giustamente eletto MVP dell’incontro.

Luis Guadalupe. Anima della difesa chiclayana. In mezzo non passa nessuno, le sue uscite palla al piede sono da dimenticare, ma i suoi quasi due metri sono serviti per l’impresa.

Luis Tejada. Manca la firma dell’attaccante capocannoniere del torneo, entra comunque nell’azione della rete decisiva.

Diego Penny. Sempre sicuro, para il parabile l’ex Burnley, ma ha il grande merito di infondere tranquillità alla sua difesa

Alfredo Rojas. Fuori Chiroque, c’è stata tanta responsabilità sulle spalle di questo ragazzo coi capelli da mohicano. Ci mette tanta determinazione, alla fine, un’entrata di troppo lo toglie dalla partita. Altra prestazione di ottimo livello per questo 1991.

Johnnier Montaño L’ex Hellas Verona e Parma rimane una testa calda piena di infinito talento. Va a intermittenza, quando si accende è davvero la Luce per l’attacco dell’Alianza. Rifila una manata sul finire della partita e si becca il rosso: ci avremmo scommesso sopra.

Christian Ramos. In mezzo alla difesa prestazione di buon livello con il compagno Fleitas, sorpreso solo in occasione del gol, ma è tutta la squadra che gestisce male la situazione.

Paolo Hurtado. Le sue accelerazioni non trovano concretizzazione. Ragazzo comunque da seguire. Viene sostituito dall’ex Siena Joazhiño Arroé, che entra nel momento più critico del match e incide meno del solito ( all’andata aveva firmato il primo gol).

06 dicembre 2011

Victor Ibarbo si presenta con una gemma



La rete contro il Catania, partendo dal lato corto dell’area, bevendosi prima il difensore Spolli, poi danzando sulla linea di fondo prima di beffare con un colpo sotto il portiere Andujar è la presentazione al campionato italiano di Victor Ibarbo. Nel Cagliari aveva già impressionato nel precampionato e, inserito in spezzoni di partita, aveva destato l’attenzione di tanti tifosi e addetti ai lavori: quasi un metro e novanta, andatura caracollante, ottima tecnica, a Milano di recente aveva ricevuto a fine match gli auguri e i complimenti del connazionale celebre Ivan Ramiro Cordoba, con cui aveva scambiato, contento come un bambino, la maglia. Entrambi si sono imposti in Colombia nel Nacional di Medellin, formazione cha ha segnato un’epoca non solo nel calcio sudamericano sotto la guida di Pacho Maturana: una Libertadores vinta e la sconfitta in finale di Intercontinentale solo ai supplementari e per colpa di una punizione sghemba di Chicco Evani. Ibarbo ha vissuto però un’altra Colombia e un’altra Medellin, il cui celebre cartello aveva fatto di Pablo Escobar l’uomo più temuto e probabilmente ricco del globo. Cresce con la nonna Ibarbo e la statura subito colossale gli impone il ruolo di portiere nelle infinite partite tra le vie della piccola Tumaco. Il papà è lontano, però lo aiuta economicamente appena si presentano le prime squadre disposte ad investire su quel corpaccione. Quando può Victor, mostrando discrete doti anche da elettricista, dà una mano al genitore in lavoretti casa per casa, appena la Cable Union di Cali decide di sforbiciare il numero del personale a disposizione e mette una X anche sul cognome Ibarbo. Gli osservatori italiani (quorum ego) si accorgono di lui nel Sudamericano Under 20 del 2009: gioca in mezzo al campo con la Colombia e ricorda, con quel suo modo di accorciare il passo prima del calcio e per la sua altezza, il giovane Patrick Vieira. L’Udinese anticipa come al solito tutti, ma alla fine la sua offerta si incaglia sulle formule di pagamento e il ragazzo rimane al Nacional di Medellin, la squadra da dove partì la favolosa parabola di Tino Asprilla. E proprio ispirandosi al Tino, Ibarbo sembra essersi inventato quel gol contro il Catania, dopo che nei primi mesi di Italia è diventato prima una mezzapunta, nell’interregno Donadoni, poi un attaccante sotto Ficcadenti e Ballardini. Di certo c’è che ha cominciato a stupire, e Victor Ibarbo sta sprintando (lui che pare avere un personale sotto gli 11 secondi sui 100 metri) per diventare un giocatore dell’élite che conta nella nostra serie A.

Fonte: Max

05 dicembre 2011

Brasileirao 2011: Corinthians campione

Fonte: Gazzetta.it


E’ Penta: dopo una infinita battaglia testa a testa con il Vasco, il Corinthians guadagna nell’ultima giornata, contro il Palmeiras, il pareggio e quindi il punto che gli permette di vincere il quinto campionato brasiliano della sua storia. Il contemporaneo pareggio del Vasco contro il Flamengo di Ronaldinho, nell’ennesimo match tiratissimo, avrebbe permesso comunque al Timão di perdere contro i rivali di sempre del Verdão.
Ma ci avrebbe levato le ennesime emozioni di un campionato splendido, equilibrato e combattuto fino all’ultimo. Emozioni che nella gara che ha chiuso il Brasileirão 2011 sono cominciate a Pacaembu, la casa del Corinthians, con una sentitissima commemorazione.



Braccio destro alzato da tutto lo stadio e dai giocatori, pugno chiuso, così la Nazione indipendente Corintiana ricorda l’uomo libero, prima che artista del calcio, Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira: per chi ha nel cuore lo splendido gioco del futebol solo “Socrates”, che nel Timão ha consumato la parte più importante della sua carriera.
La gara decisiva inizia meglio per il Palmeiras. Il Verdão gestisce la palla ma fatica a concludere con pericolosità, palesando tutte le difficoltà emerse durante questa disgraziata stagione. Il Timão, senza Emerson, Danilo e Ralf, propone un 433 che difende piuttosto basso e riparte senza mai impensierire la squadra di Felipe Scolari, che conserva con Tite, tecnico del Corinthians, una vecchia incomprensione, mai ben chiarita e che aggiunge ancora più piccante alla sfida. La tensione diventa insostenibile nel Pacaembu stracolmo con la notizia della rete di Diego Souza all’Engenhão (favolosa giocata di Nilton sul lato corto dell’area e assist al bacio), col Vasco che raggiunge in vetta il Corinthians: un gol del Palmeiras trasporterebbe a Rio de Janeiro il titolo. In più, nell’ultima azione del primo tempo, il Corinthians con una giocata confusa va vicino alla rete e non si vede fischiato un calcio di rigore per un tocco su Willian di Henrique (speranza del Barcellona distrutta dal pragmatismo di Guardiola). Polemiche che si incendiano dopo due minuti del secondo tempo, con l’ennesima fesseria della carriera di Jorge Valdivia, piedi fatati e cranio disabitato: rallenta la corsa e finge di rifilare un calcione a Jorge Henrique, lasciando andare la gamba in maniera polemica e innaturale. Tuttavia il cileno non colpisce l’avversario, e ciò renderà infinite le discussioni nei bar.

Pochi minuti dopo gli dei del calcio abbandonano la neutralità, forse guidati da un numero 8 oggi assurto nell’ideale Olimpo del Futebol, si schierano definitivamente con il Corinthians e regalano ai paulisti la gioia del gol del Flamengo, di Renato Abreu, che all’Engenhão sorprende una difesa vascaina messa malissimo e ci mettono una traversa a salvare il portiere Julio Cesar contro la zuccata di Fernandão, in una delle poche occasioni nitide per il Palmeiras. Nemmeno la dabbenaggine del corinthiano Wallace, che riesce a farsi espellere con un’entrata in netto ritardo e a rimettere in parità il numero dei giocatori in campo, cambia la sostanza della partita. Volano i cartellini rossi a Rio e a San Paolo, ma la classifica finale sentenzia definitivamente: Corinthians 71 punti, Vasco 69.
Il Flamengo festeggia il mancato titolo dei rivali e anche la conquista della Libertadores, insieme all’altra squadra carioca, il Fluminense, e all’Internacional, vittorioso sui rivali cittadini del Gremio.
Resta quindi fuori dalla competizione più importante del Sud America il San Paolo, che ha solo la magra consolazione di siglare il gol numero 1000 (contro le riserve del Santos, battuto 4-1) di questo emozionante e spettacolare campionato, grazie a una sberla da fuori area del super talento Lucas, oggetto del desiderio di mezza Europa.
Nelle zone basse della classifica il Cruzeiro stravince il classico con l’Atletico Mineiro e, anche se solo all’ultima giornata, cancella l’incubo della retrocessione in Serie B, condannando in questo modo l’altra squadra di Belo Horizonte, l’America, oltre al Cearà e all’Atletico Paranaense.

29 novembre 2011

Adrian Mutu e il talento che risorge


Fonte: Max


Un rigore alla Panenka in totale scioltezza e uno straordinario destro qualche millimetro sotto l’incrocio dei pali sono due segnali di impotenza e di grandezza. Adrian Mutu, che ha mandato in delirio gli appassionati cesenati e godere tutti gli appassionati veri di calcio per le due perle contro il Genoa, ha certificato che il talento non lo si può nascondere. Lo si può violentare, combatterlo, ferirlo ma non ucciderlo
Così in un pomeriggio insignificante sbuca fuori e il verbo del calcio si reincarna in quel meraviglioso destro che ci racconta di chi poteva diventare Adrian Mutu, su un campo da calcio.
Tecnica, fisico compatto, inventiva, nel 2000 Mircea Lucescu lo consiglia all’amico Massimo Moratti e dalla Dinamo Bucarest il ragazzo rumeno giunge all’Inter, e mostra subito grande qualità. Diventa giocatore vero con l’Hellas Verona sotto la guida di Alberto Malesani, il primo a credere alle doti straordinarie del ragazzo. Il passaggio a Parma è il trampolino di lancio per la Premier. Giunge in un club dove il nuovo proprietario, un plurimiliardario russo spuntato dall’oscura stagione degli “oligarchi” post Eltsin si è messo in testa l’idea meravigliosa di portare alla vittoria una squadra senza storia. Nel Chelsea sta per giungere il protagonista del nuovo ciclo che compirà i sogni di Abramovich, José Mourinho. Tuttavia Mutu, anche sotto la gestione Ranieri, comincia a sentirsi onnipotente anche fuori dai campi di calcio. Il portoghese capisce subito che il ragazzo ha qualche problema di gestione, ne parla col procuratore di Mutu, che in un primo tempo prova a proteggere il ragazzo. Il giocatore intensifica il suo flirt con la polvere bianca che trova sempre alle feste dove ormai è un habitué: al Chelsea si sentono presi in giro, Mourinho è deluso e Abramovich non perdona: Mutu è fuori per sette mesi e riceve una super multa ( che ancora deve pagare).
La seconda vita italiana nasce a Torino e, con la rivoluzione di Calciopoli, prosegue a Firenze, dove ancora mostra la sua onnipotenza tecnica (si interessano a lui anche Barcellona e Real Madrid), ma non si lascia alle spalle quell’insana capacità di mettersi nei guai fuori dal campo. Risse, polemiche, delusioni, che inevitabilmente stoppano la sua carriera ad alti livelli. Il presidente Igor Campedelli crede fermamente in lui e gli offre le chiavi del Cesena di quest’anno, tra risate e condanne: per ora ila scommessa sta pagando.
Non sarà mai, Mutu non sarà più quello che avrebbe potuto essere, ma la perla contro il Genoa ci racconta di un talento che si può sì martoriare ma mai uccidere. E quel talento forse salverà in classifica il Cesena e fuori dal campo un uomo.

28 novembre 2011

Il City, lo Sceicco e il Sistema (che si deve costruire e non si può comprare)

Fonte: Max on line

Lo sceicco Mansour bin Zayed Al Nahyn, proprietario del Manchester City, non era presente al San Paolo, nella notte in cui il Napoli ha praticamente escluso la sua squadra dalla Champions League. Avrà visto il match in una delle sue stamberghe che possiede qua e là per il mondo. Uno dei suoi tanti consiglieri gli si sarà accostato all'orecchio per evidenziargli che la scorsa estate era stata montata una trattativa serrata, e conclusa con l'autografo dello sceicco stesso sotto un assegno di 35 milioni di sterline, per un omino argentino che nella partita più importante dell'anno ha giocato meno di dieci minuti.

Ma oltre ad Agüero, ci sarebbe anche il caso di Nasri, che ha trotterellato per il campo giusto una decina di minuti in più, per non parlare dell'ora e mezza di sbadigli di Clichy in panchina. Il ragioniere di casa Mansour, avrà anche aggiunto che un altro omino argentino, la notte del San Paolo non se l'è proprio filata, ed è rimasto a casa a vedere i cartoni animati controllando con la coda dell'occhio il bonifico che riceve settimanalmente dal City e che ammonta a circa 250.000 euro (sic). Ora, Mansour è un tipo tranquillo e riflessivo, uno che studia. E certo avrà notato che i tre tenori napoletani, saranno sì fenomenali, e potrebbero pure rientrare nella prossima lista della spesa che il suo tecnico gli sottoporrà in gennaio; tuttavia, i tre, giocano in un sistema che funziona e che parte da una fase difensiva che comprende un portiere che aveva deciso di chiudere la carriera in Turchia, un “fratellodi”, sempre considerato ( a torto) un raccomandato, uno che ha speso buona parte della sua carriera nel non inarrivabile Piacenza e Salvatore Aronica.

Aronica, quello che in ogni finestra di mercato deve essere sostituito dai Victor Ruiz o dai Fernandez di turno e poi, puntualmente, gioca. Perché Walter Mazzarri, creatore di questo Napoli non è così à la page da subire il nome esotico, e continua ad affidarsi a questo ragazzo, un po' ingobbito nella corsa, che è quello che meglio sa interpretare la sua difesa, già dai tempi di Reggio Calabria, dove lo ha incontrato nel lontano 2006.

Scuola Juve, esordio a Crotone, il palermitano Aronica nonostante il nome con poco appeal, l'età (ultratrentenne) e lo stile, non è per niente un comprimario nel Napoli che sta riuscendo nella storica qualificazione agli ottavi di Champions, così come è stato una vite fondamentale nell'ingranaggio perfetta che Mazzarri ha costruito nella splendida stagione dell'anno scorso in campionato. Non vincono sempre e solo i grandi giocatori, vince un sistema di calcio, ma come l'Amalgama di Massimino, caro Mansour, non si può comprare.

Brasileirao: il Vasco rovina la festa del Corinthians

Si deciderà all’ultima giornata l’emozionantissimo campionato brasiliano 2011. Mentre i tifosi del Corinthians stavano già festeggiando la conquista dello “scudetto” dopo la vittoria contro il Figueirense, con un ultimo sforzo il Vasco, la cui partita era iniziata qualche minuto dopo quella del Timão, riusciva a segnare il gol del definitivo 2-1 al Fluminense, rimanendo a due punti dalla capolista e mantenendo vive le speranze di titolo. I festeggiamenti dei tifosi corinthiani potrebbero però essere solo rimandati: nell’ultima giornata sarà sufficiente un pareggio contro i rivali cittadini del Palmeiras per aggiudicarsi il campionato. A parità di punti, infatti, il primo criterio di disequilibrio per l’assegnazione della corona rimane il numero di vittorie e il Timão ne ha due più dei carioca, che giocheranno loro pure un “derby”, contro gli odiati cugini del Flamengo.

forza di volontà — Il gol che avrebbe potuto siglare il titolo lo segna il nazionale portoghese Liedson. L’ex Sporting beneficia di una grande giocata di Alex, entrato a inizio secondo tempo, che si beve quasi tutta la difesa del Figueirense per poi pescare coi tempi giusti il solissimo attaccante. Il gol libera la gioia dei tanti tifosi del Corinthians giunti all’Orlando Scarpelli di Florianopolis. Nella prima frazione era stata la squadra di casa ad andare maggiormente vicino alla segnatura, ma Julio Cesar, portiere protagonista di questa grande campagna del Timão, riusciva a deviare il tiro sul palo e la squadra di Tite si salvava. La solita, grandissima forza di volontà della probabile squadra campione del Brasile riusciva però a “girare” il match, e la rete di vantaggio apriva lo spazio ai festeggiamenti, poi bloccati dal gol di Bernardo. La giovane mezzapunta scuola Cruzeiro metteva in rete una splendida, e inaspettata, grande giocata di Alecsandro che lo liberava, al 90’ e oltre, a tu per tu con l’ex portiere del Cesena Diego Cavalieri, che riusciva a ribattere la prima conclusione ma non la seconda: la palla scivolava lenta oltre la linea e faceva esplodere l’ala nord dell’Engenhão, dove erano assiepati i tifosi del Vasco.

basso ritmo — Il Gigante iniziava meglio la partita, dopo pochi minuti veniva annullato un gol (regolare) per fuorigioco a Diego Souza: Felipe e Juninho Pernambucano fanno girare alla grande le ripartenze del Vasco, che arriva molto più facilmente al tiro. L’inerzia viene invertita da una gran giocata di Fred, che difende palla al limite dell’area, si gira e esplode un tiro che incoccia il palo a portiere battuto. Il Vasco sbanda un po’ dietro, rischia ma va comunque ancora vicino alla rete con Elton che centra la traversa a pochi passi dalla porta. La seconda parte dell’incontro è cadenzata dal basso ritmo e dalla stanchezza (il Vasco ha anche giocato in settimana la semifinale di Copa Sudamericana contro l’Universidad de Chile). I giocatori con la Croce di Malta sul petto trovano il vantaggio con Alecsandro, ma vengono ripresi a cinque dalla fine da un gran gol di Fred. Poi la rete di Bernardo e il sogno che continua. (continua su Gazzetta.it )

Fluminense - Vasco 1-2

24 novembre 2011

Il portiere Vargas decide al 90esimo il "derby" di Bogotá. Di testa.

Decisivo il portiere. Però non esattamente come lo immagineremmo. Camilo Vargas ha deciso la sentitissima sfida tra Santa Fé e Millinarios, le squadre più famose della capitale colombiana Bogotá. Ma non (solo) con grandi parate. Vargas ha inzuccato prepotentemente dentro la porta del collega, segnando a favore dell'Independiente Santa Fé l'unico gol della partita. E diventandone perpetuo idolo.

23 novembre 2011

La Cina e il Calcio, Camacho non è Matteo Ricci


La Cina e il Calcio, scrivevo questo pezzo prima del definitivo addio ai sogni mondiali per la squadra di Camacho. La difficoltà di non avere affrontato problemi culturali alle radici di questa imprevista debacle.



Il Dragone spiumato. La Cina, se non vuole uscire anzitempo dalle qualificazioni per il Mondiale del 2014, è costretta a fare risultato nei prossimi due matches. Ma se la trasferta col modesto Singapore desta relative preoccupazioni, la partita di venerdì contro l’Iraq (prevista in campo neutro a Doha, Qatar) sarà la più importante della fin qui non esaltante gestione Camacho. L’ex difensore del Real Madrid, che ha firmato per la federazione cinese pochi giorni prima di Ferragosto, ha già subito un tunnel da Zico, convincente CT dell’Iraq: in ottobre a Shenzhen, con una partita poco brasiliana fatta di tanta difesa e qualche ripartenza, il Galinho ha incassato l’intera posta grazie a un solo gol. La Cina, che era già scivolata (2-1) ad Amman contro la Giordania, leader del gironcino dove si qualificano solo in due per la fase successiva, è quindi spalle al muro. Inaspettatamente. Grandi sponsor e FIFA si attendono da tempo l’esplosione di un mercato che ha numericamente un potenziale infinito; quest’anno è nata una competitiva Chinese Super League che ha attirato giocatori di buon livello e, ad esempio, il finanziere Liu Yongzhuo ha voluto per il suo Guangzhou, oggi leader del campionato, Dario Conca, miglior giocatore del campionato brasiliano nel 2010, a cui versa 10,6 milioni di euro l’anno. Senza un risultato importante della Nazionale, però, queste premesse servono a poco.
All’inizio del 2010 l’ex boss del calcio cinese Nan Yong è stato arrestato per corruzione e scommesse illegali hanno compromesso anche il predecessore di Nan, Xie Yalong.
La macchia è stata lavata ma l’idiosincrasia del fenomeno calcio in Cina ha origini molto più profonde: contrappasso beffardo per chi sostiene di averlo inventato, celebrando un gioco diffuso già nell’XI a.C., denominato Tsu-Chu, come l’antesignano del football. José Antonio Camacho ha avuto ampio credito da parte della federazione: quattro anni di contratto e poteri illimitati anche sulle selezioni giovanili. Eppure è l’ex bandiera del Madrid, dopo i xiè xiè, “grazie” in mandarino, dei primissimi giorni (col cinese più o meno ci siamo fermati lì, pare) a denunciare oggi i limiti del calcio made in China: intravedendoli nella mentalità. Dopo l’improvvida, discutibile e non certo gradita, dall’establishment che regge i destini della Cina Popolare, uscita sui difetti della legge del figlio unico, che limiterà pure il problema demografico ma produce ragazzi viziati ed egoisti, il 56enne murciano, parlando coi media di casa, definisce i limiti dei suoi calciatori: poca concentrazione e intensità e “quando devono contrastare pare dicano ‘prego, prima lei’ ”, anche se poi, addolcendo la pillola, sostiene che sono “molto disciplinati”. La Cina è una cultura, una civiltà prima che un Paese: padre Matteo Ricci che la visitò nel ‘500, ne comprese l’unicità e non cercò di cancellare Confucio ma evangelizzò incinesizzando il Vangelo. Se vuole rimanere a lungo a Pechino, Camacho deve seguire le orme del gesuita maceratese e trasformare il ruolo di CT in quello di mediatore culturale-calcistico.

CARLO PIZZIGONI
Fonte: Extra Time - Gazzetta dello Sport dell'8 novembre 2011


Iraq - Cina 1-0

22 novembre 2011

Philipe Coutinho, il sorriso dell'Inter





Fonte: Max

Il sorriso di Philippe Coutinho è davvero un raggio di sole nella bruma che accompagna questa stagione dell'Inter. Succede nella vita di ognuno che il caso, il destino ci proponga una situazione favorevole: al giovane carioca, destinato all'ennesima panchina da Mister Ranieri, è successo nell'ultima domenica a San Siro, essa pure grigia, contro il renitente Cagliari. Lo speaker ha già annunciato “con il numero 10 Wesleyyyyy”, attendendo la risposta che lo stadio riconosce subito in “Sneijder”, la distinta distribuita in tribuna stampa porta in campo l'olandese. E invece dal tunnel esce Coutinho: “Zanetti mi ha avvisato dell'infortunio di Wes, poi Ranieri mi ha detto di cambiarmi.”

Il tecnico non ha nemmeno il tempo per modificare la formazione, il diciannovenne carioca gioca nella posizione preferita di trequartista, e può giocare dinamico, con la velocità di gambe e soprattutto di testa che lo hanno sempre reso un unicum anche nelle selezioni giovanili brasiliane. Philippe, nel deserto tecnico offensivo dell'Inter di questi giorni, dove le combinazioni sono al massimo tra due giocatori e partono spesso da iniziative individuali, evidenzia subito le intuizioni per cui è stimato anche in Patria. La forza di quel sorriso che lo accompagna sempre fuori dal campo rientra nella serenità che all'interno del prato verde non gli fa perdere serenità per una giocata non riuscita: Philippe non si spaventa, sa giocare a un tocco e in profondità, conosce le regole del'uno-due, forse non ancora la fiducia di tutti i suoi compagni, specie di Pazzini, che però sta già iniziando a riconoscerne le doti. L'Inter ha difficoltà ad allargare le maglie della difesa del Cagliari, fatica a trovare la profondità d'azione sui lati e non riesce a sfondare. Nel secondo tempo Coutinho è relegato a sinistra, la posizione che può giocare offensivamente solo se supportato da una squadra che ha velocità d'azione; da fermo il brasiliano è veloce nei primi passi ma non potente e iniziando sempre l'uno contro uno da fermo ha difficoltà a vincerlo con continuità.

Tuttavia, quando l'Inter riparte in contropiede, Coutinho sa giocare negli spazi e sa concludere: quel tiro rasoterra sul palo vicino che dà il 2-0 all'Inter è solo per finissimi intenditori. Poi l'esultanza “lenta”, come un gol sulla spiaggia di Botafogo, davanti alla casa dove è nato e cresciuto. E quel sorriso contagioso, che non fa prigionieri, esattamente come il suo destro. E' finalmente sbocciata una stella?

21 novembre 2011

Il Chino Recoba decide nel recupero il Clasico uruguayo: vince il Nacional

Nel match più sentito dell'Uruguay, Penarol- Nacional, il Bolso completa la rimonta grazie a un rigore al 93' segnato dal Chino Recoba.

18 novembre 2011

Brasileirão: Corinthians allunga e si avvicina al titolo, Vasco bloccato dal Palmeiras

Fonte: Gazzetta.it


Il più imprevisto degli alleati aiuta il Corinthians ad approssimarsi al titolo di campione del Brasile 2011. Gli acerrimi rivali cittadini del Palmeiras, infatti, bloccano sull’1-1 il Vasco da Gama, primo inseguitore del Timão (vincente sul Ceará), che ora possiede il vantaggio di due punti in classifica a sole tre giornate dal termine del torneo.

Il sistema di gioco del Corinthians è in palese crisi da settimane, eppure la forza morale e un po’ di fortuna, stanno aiutando la più tifata squadra di San Paolo nell’ottenre continuamente punti e vittorie. La partita a Fortaleza col Ceará è l’ennesima gara di sofferenza, con il portiere Julio Cesar, specie nella prima parte, decisamente tra i migliori. Il tecnico Tite è costretto a levare una punta, Liedson, per un centrocampista offensivo, Morais, ma riesce, quando sembrava accontentarsi del pareggio, a trovare il gol della vittoria con un altro subentrato, il peruviano Luis “Cachito” Ramirez. I Gaviões da Fiel, la storica torcida corinthiana, lascia il Caldeirão della città capitale dello stato nordestino del Ceará, intonando il coro inequivocabile “é Campeão!” La vittoria finale è sempre più vicina.

Il Vasco, che dopo qualche partita poco convincente aveva trovato nella rimonta in Copa Sudamericana contro l’Universitario una nuova spinta, aveva iniziato la gara di San Paolo contro il Palmeiras con grande determinazione. Dopo poco più di tre minuti è andato in vantaggio grazie a una rete di testa del ragazzo prodigio Dedé, ora anche sempre più goleador e sempre più vicino all’Europa (anche ieri il Pacaembu era pieno di osservatori venuti fin qui per lui). La macchina vascaina insisteva e sfiorava anche il gol della tranquillità. Il Palmeiras però cresceva piano piano, e la necessità di fare punti per evitare spiacevoli preoccupazioni, visto che la fallimentare annata della squadra di Scolari non ha allontanato del tutto il Verdão dalla zona retrocessione, era nafta per le gambe dei padroni di casa. Che trovavano il pareggio con Luan, altro ragazzo dall’enorme potenziale però mai definitivamente espresso. Il Vasco aveva ancora quasi una mezz’ora per ritrovare il vantaggio e non abbandonare la coabitazione in testa ala classifica, ma oltre a una clamorosa occasione con Felipe non andava, e ora è costretto a sperare che il Palmeiras giochi un brutto scherzo al Corinthians, che incontrerà nell’ultima giornata di campionato. (Continua su Gazzetta.it)

16 novembre 2011

Verso Brasile 2014. Argentina corsara a Barranquilla: Messi e il Kun stendono la Colombia

Fonte: Tropico del Calcio - Gazzetta.it

IL GIOCO

Partita non certo da tramandare i posteri, con tanti errori e, specie nel primo tempo, pochissime conclusioni in porta. L'Argentina dopo la baldanza contro la Bolivia, con Pastore, Gago e Alvarez più due punte, organizza un 433 con un centrocampo da combattimento che vede l'insostituibile Mascherano al fianco di Guiñazú e Braña. Sabella vuole un recupero palla alto e l'obiettivo è sostanzialmente raggiunto coi mastini in mezzo: esattamente come con il Venezuela, che pressava anch'esso ultraoffensivo, l'inizio azione dei cafeteros è lenta, inoltre manca un elemento chiave come Fredy Guarin ad aiutare la pulizia della palla in mezzo. Gli attaccanti argentini di dividono un terzo di campo e anche Higuain non ha problemi a spostarsi sui lati, Messi ricomincia a insistere con i tipici (in nazionale) uno contro mille, mentre ritorna per un giorno quel Principito che tutti lodavano ai tempi dell'Estudiantes José Sosa, di gran lunga il migliore in campo, attivo anche in fase di non possesso. Il problema della nazionale argentina, che mantiene il possesso palla, risiede negli ultimi 16 metri, che paiono invalicabili: offensivamente il centrocampo propone quello che è nei piedi dei faticatori (pochissimo) e i terzini sono di qualità limitata, oltre che di scarse letture nelle sovrapposizioni. I Cafeteros scelgono il solito 442 spurio con Aguilar che surroga Guarin e affianca Bolívar. La forza nelle ripartenze e nel gioco di mezza transizione è esaltato sugli esterni dove oltre alla stella James e a Pabón, accompagnano i due terzini di casa nostra, Zuñiga e Armero. Il riferimento centrale, bocciato Teo Gutierrez e ko Falcao, diventa Jackson Martínez, lontano parente di quello apprezzato contro il Venezuela. La Colombia trova il vantaggio grazie a punizione di Pabon deviata da Mascherano, sul finire del primo tempo. Contraddicendo le sue abitudini Sabella cambia subito, e Guiñazú non rientra in campo dopo la sosta per lasciare spazio al Kun Agüero. Offensivamente la squadra migliora, quantomeno fa più paura, ma è lo sciogliersi della Colombia a garantire il successo all'Argentina. Esattamente come contro il Venezuela, verso il 65' la squadra cafetera perde visibilmente le distanze e i fragili equilibri di una squadra che gioca con 4 attaccanti non vengono più rispettati: la squadra si spezza con facilità e regala spazi ampi agli avversari. Due pasticci difensivi, il primo di Yepes, il secondo di reparto con un mancato riequilibrio in una transizione negativa, regalano le due reti all'Argentina, le firmano due svelti di piedi e di testa come Messi e il Kun. Si respira a Bueons Aires, meno, molto meno, specie Alvarez, a Bogotà. Ma In Sudamerica il clima fa in fretta a cambiare.




I GIOCATORI

José Sosa
MIgliore in campo l'ex napoletano. Gli difetta la continuità però ha qualità immense, smarcamento, ricerca della profondità, capacità di inventare la giocata per sè o per il compagno. E' di nuovo, almeno per una sera, il Principito.

Leo Messi
Non funziona come nel Barça, questo è ormai pacifico. Insiste più di una volta in uno contro tutti poco intelligenti, ma è la sua voglia, il suo spirito di sacrificio, il suo impegno massimo che impressionano, per una volta più della sua qualità.

Federico Fernández
Il difensore del Napoli accusa difficoltà dall'inizio, le (rare) volte in cui Colombia entra in area difetta negli uno contro uno in zone pericolose. La titolarità e la fiducia non bastano, l'inesperienza a questa età si paga, meritava forse un'entrata in squadra graduale, ma tra infortuni e penurie generazionali i difensori argentini questi sono...

James Rodríguez
Non la sua migliore partita, ma quando prende palla il ragazzo ex Banfield è sempre pericoloso e le azioni migliori passano sempre dal suo sinistro.

Dorlan Pabón
Il gol nasce da una sua punizione. Eppure la partita avrebbe potuta segnarla anche in altre circostanze: ha elevata qualità e forza fisica ma sbaglia spesso a interpretare le situazioni e ha troppa voglia di autonominarsi salvatore della patria, procedendo a soluzioni velleitarie.

Camilo Zuñiga
La su azione è più continua rispetto a qualla di Armero, ma ha la gravissima colpa di divorarsi un gol clamoroso quando ancora la partita era sull'1-1: dopo una grande giocata, appoggia debolmente il pallone a Romero: un segnale su come fossero schierati nella notte gli dei del calcio...


1- Colombia: David Ospina; Camilo Zuñiga, Mario Yepes, Aquivaldo Mosquera, Pablo Armero; Dorlan Pabón (m.61, Dayro Moreno), Gustavo Bolívar, Abel Aguilar (m.75, Diego Arias), James Rodríguez, Adrián Ramos, Jackson Martínez (m.75, Darwin Quintero). CT: Leonel Álvarez.
2- Argentina: Sergio Romero; Pablo Zabaleta, Federico Fernández, Nicolás Burdisso (m.37, Leandro Desábato), Clemente Rodríguez; Rodrigo Braña, Javier Mascherano, Pablo Guiñazú (m.46, Sergio Agüero);José Sosa, Lionel Messi, Gonzalo Higuaín (m.85, Fernando Gago). CY: Alejandro Sabella.

Gol: 1-0, m.44: Dorlan Pabón. 1-1, m.60: Lionel Messi. 1-2, m.84: Sergio Agüero

14 novembre 2011

Luciano Bianciardi (Grosseto, 14 dicembre 1922 - Milano 14 novembre 1971). Scrittore e profeta

Nella "Vita Agra" di Luciano Bianciardi troviamo il Bar delle Antille, che non è altro che il Bar Jamaica, quello di Brera, all'epoca locale culto della Milano degli artisti e degli intellettuali.
Bianciardi, uno degli ultimi intellettuali di questo Paese, moriva giusto quarant'anni fa. Il nome di questo blog l'ho scelto per ammirazione sconfinata nei suoi confronti.



"...fate il conto di quanti scrittori, giornalisti, pittori, fotografi, lavorano per la pubblicità di qualcosa. Quella pubblicità, guardate bene, che insegna che si ha successo nella vita usando quel lucido da scarpe e quel rasoio elettrico, comparendo bene, presentandosi bene. Appunto perché questa non è la Milano che produce, ma quella che vende e baratta, e in questa società si vende e si baratta proprio presentandosi con il volto ben rasato, le scarpe lucide...Per questo una delle preoccupazioni degli intellettuali è proprio quella di ben comparire, di non fare brutte figure (...) Per questo, qui fra noi, è così frequente la figura dell'Autorevole." Luciano Bianciardi. Dal "Contemporaneo", febbraio 1955

12 novembre 2011

Qualificazioni 2014. Colombia non chiude la gara e il Venezuela pareggia a Barranquilla

Fonte: Tropico del Calcio - Gazzetta.it

Non chiudere le partite è una grave colpa. La Colombia gioca più di un'ora di dominio contro il Venezuela nell'umidità di Barranquilla ma spreca troppo, non riesce a trovare il raddoppio e subisce la rete del Venezuela che ha il merito grande di non abbandonare mai con la testa la partita, altro merito del giovane CT Farías, l'uomo che ha fatto della Vinotinto una Nazionale di Calcio vera. Finisce 1-1.

IL GIOCO

La Colombia di Alvarez trova partita dopo partita una dimensione, una identità chiara. Anche se è il Venezuela ad avere la prima occasione con Moreno, sono i cafeteros a comadare il gioco. Interessante il 442 spurio proposto, con Bolivar e Guarin volantes de contencion, James e Pabon che partono dall'esterno e sono continuamente in movimento alla ricerca di spazi; Jackson Martinez e Teo Gutierrez sono i riferimenti offensivi, rintracciabili sia con la giocata lunga che attraverso il fraseggio palla a terra. C'è movimento e coesione nella Colombia, che ha anche un'ottima transizione difensiva, pur rischiando di spezzarsi in due visto che sostanzialemnte gioca con 4 attaccanti: merito della linea difensiva sempre alta e attenta, che lavora bene di squadra e del sacrificio degli avanti. L'inizio azione dei cafeteros non è veloce, ma è fluido e prende ad accelerare quando si entra nella zona di creazione, buona varietà nelle soluzioni, bravi a cambiare gioco, trovando anche i terzini, specie Armero a sinistra. Il Venezuela è costretto a subire l'iniziativa avversaria, cerca di fare densità in mezzo, per disturbare le giocate di James soprattutto, la linea dietra rimane bassa e concede il tiro da fuori, in uno di questi Guarin piega le mani a Vera e smuove il punteggio. La Vinotinto ha il grande difetto di non riuscire a ripartire con velocità, il palleggio di pulizia del pallone, in avvio di azione, è troppo lento, solo qualche lunga giocata diretta riesce a creare qualche apprensione ai colombiani. Poca roba. Il campo pesante però lascia senza nafta la Colombia dopo un'ora, Alvarez non è reattivo coi cambi, anzi: attende troppo ( o si fida poco dei subentranti), fatto sta che i cafeteros perdono fluidità, aumentano le distanze tra i giocatori, prima esemplari,e il Venezuela guadagna campo e fiducia. La rete del pareggio arriva nel finale, Rondon, subentrato allo spento Fedor, vince l'ennesimo duello aereo con Yepes, Perea è distratto e va in ritardo sulla copertura dell'ex Lecce Feltscher, che indovina l'angolo dell'incolpevole Ospina e permette alla Vinotinto di continuare a sognare, dopo la vittoria contro l'Argentina.




I GIOCATORI

James Rodriguez. Sempre più devastante, migliore in campo. La sua marcatura diventa il vero enigma per i venezuelani, da lui partono sempre giocate interessanti. Comincia da esterno ma sa quando e dove giocare dentro al campo, e ha un sinistro che parla. Futuro crack.

Fredy Guarin. Corre la metà degli altri ma ha un QI calcistico elevatissimo. Sempre grandi letture e un destro che può far viaggiare la palla esattamente dove desidera. Cala fisicamente nel finale.

Teo Gutierrez. Continuano le secche di Teo, si divora una rete sotto porta che tempo fa avrebbe messo nel sonno, partecipa comunque più del solito alal manovra e con buoni movimenti.

Jackson Martinez. Il "Cha cha cha" ha la fisicità necessaria per essere raggiunto anche dalla palla lunga, ma è bravo, anche se mai esteticamente pulito, pure nel dialogo stretto. Ottimo match.

Juan Guerra. La sua entrata in campo, insieme a quella di Rondon, cambia la partita. Guerra è più pulito dell'insolitamente falloso Rincon, in mezzo, davanti alla difesa, velocizza le giocate: è la chiave per il pareggio

Juan Arango. Ennesima grande prestazione del calciatore venezuelano più grande di sempre. Da esterno o da centrocampista puro, cambia poco, le sue giocate sono sempre di qualità.

Renny Vera. Giornata da dimenticare. Sbaglia sul gol, anche se la sventola di Guarin è potente, e ogni intervento è raffazzonato e impreciso: graziato in più di una occasione.

Fernando Amorebieta. L'intesa con Vizcarrondo è buona, i due centrali sono attenti e precisi, coscienti dei loro limiti in costruzione, la delegano, ma dietro sbagliano niente. Nei momenti di grande difficoltà tengono in piedi la baracca.

COLOMBIA - VENEZUELA 1-1

Colombia: David Ospina; Gerardo Vallejo, Amaranto Perea, Mario Yepes, Pablo Armero; Dorlan Pabón (m.76, Cristian Marrugo), Freddy Guarín, Gustavo Bolívar, James Rodríguez (m.91, Dayro Moreno); Jackson Martínez, Teófilo Gutiérrez (m.84, Darwin Quintero). Tecnico: Leonel Álvarez.
Venezuela: Renny Vega; Roberto Rosales, Fernando Amorebieta, Oswaldo Vizcarrondo, Gabriel Cíchero; Tomás Rincón (m.63, Juan Guerra), Angel Flores, César González, Juan Arango, Nicolás Fedor (m.57, Salomón Rondón) e Alejandro Moreno (m.70, Frank Feltscher). Tecnico: César Farías.

Goles: 1-0, m.11: Freddy Guarín. 1-1, m.78: Frank Feltscher.

10 novembre 2011

Mitologica Virada. Il Vasco rimonta l'Universitario e va in semifinale di Copa Sudamericana

Fonte: Tropico del Calcio

Si è giocata nella notte la partita dell'anno, non solo del calcio che appartiene al Latino America. Non tanto per l'importanza storica della partita, era comunque solo un quarto di finale di Copa Sudamericana, ma per quello che si è visto in campo: un match terminato 5-2 sul tabellone e 10 contro 9 in campo, pieno di emozioni, con la squadra di casa che sotto 1-2 rimonta fino alla larga vittoria e al conseguimento del passaggio del turno. Pathos, qualche rissa, un po' di calcioni e tante belle giocate. Il Vasco approda alla semifinale di Copa Sudamericana, ma è giusto stendere un tributo anche all'Universitario, squadra peruviana zeppa di giovani (alcuni potenziali crack) e con una situazione economica deficitaria (i giocatori non vedono stipendi da un semestre) che si è battuta fino alla fine, ha reagito alla grande ma ha pagato la troppa inesperienza.




IL GIOCO

Sconfitto 2-0 in Perù al Vasco non servivano tanti calcoli: era necessario attaccare a testa bassa fin dall'inizio, sfruttando la magica atmosfera di São Januário per intimorire i giovani e giovanissimi ( d'età e/o d'esperienza) dell'Universitario. Pronti via e la squadra di casa sfiora subito più volte la rete (Elton coglie anche un palo), poi trova il gol che pare mettere in discesa la squadra: atterrato Juninho in area, Diego Souza realizza il penalty. L'Universitario si schiaccia troppo sulla linea difensiva, l'inesistente tranquillità non gli consente di eleborare le uscite della palla dal reparto dietro, eppure al primo contropiede trova il pari con il sempre interessante attaccante Ruidiaz. Il Vasco si innervosisce, aumentano le giocate dure e le polemiche, sul finire del tempo un ammonizione per simulazione in area di rigore di Juninho scatena capannelli aciduli per tutto il campo, al rientro in campo Diego Souza e Antonio Gonzalez ne fanno le spese e anticipano la doccia. Lo stadio però insiste, non lascia arrendere i suoi beniamini nemmeno quando il Vasco va addirittura sotto, in apertura di ripresa: un tiro deviato mette fuori causa Fernando Prass e Rabanal vede la sua conclusione infilarsi nell'angolo destro della porta.
Sembra finita, è invece è l'inizio della rimonta, della "Virada", al quale il Gigante sembra tradizionalmente legato: il Vasco necessita di 4 gol per qualificarsi. Il primo lo segna subito Elton. L'espulsione di Rabanal per fallo di reazione di Ffgner agevola il compito al Vasco, che gioca tutto il secondo tempo a una porta soltanto, guidato in mezzo dall'intelligenza superiore di Juninho Pernambucano.
Nella sua migliore partita di sempre Dedé realizza due reti che non dicono ancora nulla sulla sua fantastica prestazione, poi con l'Universitario che barcolla sempre più senza forze chiude la rimonta, a otto dalla fine, Alecsandro. Mitologica Virada. Il Vasco è in semifinale, incontrerà la vincente della sfida tra Liga di Quito e Libertad.

IL GIOCATORE

Dedé

I tanti osservatori giunti dall'Europa saranno rimasti soddisfatti. Dedé (nella foto) ha dimostrato non solo di essere un grande difensore, quello lo aveva fatto intuire da un po' (pur con una maturazione che non si è ancora terminata), ma di essere un vero trascinatore, uno spirito vincente che fa bene sperare per il suo futuro (è del 1988) che in molti ipotizzano di straordinario livello . Questo è il suo trampolino, dopo ieri sera il suo arrivo in Europa è ancora più vicino (e il cassiere del Vasco si frega le mani).

03 novembre 2011

Copa Sudamericana, andata dei quarti: Universitario - Vasco da Gama 2-0

Fonte: Tropico del Calcio


Stupirsi di un risultato inatteso non è per chi segue il calcio sudamericano. Assioma confermato nel quarto di finale tra Universitario e Vasco, giocato nel rimodellato ( e bellissimo) stadio Nacional di Lima, con una magnifica cornice di pubblico. Vince con merito la squadra di casa, e con il 2-0 il congiunto Crema ipoteca le semifinali.



IL GIOCO
Il Vasco giunge nell'ex impero Inca senza il faro Juninho Pernambucano (uscito malconcio dal match contro il San Paolo di domenica passata): un elemento vitale negli equilibri del club, che sa gestire i momenti delicati delle partite. Il Gigante gioca un calcio lento, con una circolazione di palla che non smuove la difesa della U. I Peruviani sono dei fulmini nel ripartire: i giovani del "Chemo" del Solar occupano bene il campo, hanno ottimi tempi anche nei recuperi, ma è il Vasco che difende con troppa approssimazione, mancando di equilibrio e trovandosi troppo spesso in parità numerica nei contropiedi.
Il rigore che sblocca la partiata è generoso, ma è la naturale conseguenza di un match dove il Vasco sbatte contro un muro difensivo, si limita a portare uomini avanti, con limitatissimo movimento senza palla, gioco di uno contro uno continuo e tempi di aperture sugli esterni sempre ritardati, così lascia lo spazio per ripartire agli avversari.
I brasiliani schiacciano gli avversari anche per diversi minuti nell'area di rigore, sprecano qualche occasione e nel secondo tempo sembrano avere aggiustato un paio di situazioni difensive (dove si sente l'assenza di Dedé), ma alla prima occasione buona l'Universitario raddoppia con una giocata classica in transizione, e l'errore del pacchetto arretrato del Vasco, bell'imbucata di Torres per Fano e 2-0. Tra una settimana il ritorno a Rio de Janeiro.



I GIOCATORI

Raúl Ruidíaz. Veloce, brillante: ogni ripartenza è un pericolo per gli avversari, mette dentro un rigore con personalità. La Pulga, classe 1990, farà parte del futuro del Perù calcistico e avrà presto una chance europea.

Edison Flores. L'altro piccoletto che ha fatto impazzire il Vasco nelle ripartenze. Con Andy Polo in panchina è lui il solo rappresentante della classe di ferro 1994. Veloce, grande dribbling, altro che tra poco sarà protagonista in un campo vicino a voi.

Antonio Gonzales. L'anima di questa squadra, volante de recuperacion importante in una squadra che genera in continità ripartenze. Una vita passata con la U, ma a 25 anni potrebbe anche provare un'esperienza all'estero. Chi cerca un centrocampista difensivo di sostanza, può citofonare qui.

Bernardo. Il giovane scuola Cruzeiro è probabilmente il più positivo tra i brasiliani. Pieno di iniziative e voglia, sfiora in diverse occasioni la rete (calcia meravigliosamente una punizione da 25 metri, che esce di pochissimo), e non si tira indietro quando c'è da farsi rispettare.

Diego Souza. L'altra faccia del Vasco, quella nera, nerissima. Velleitario e impotente, come nelle peggiori giornate: qui ci si spiega perché un giocatore del suo fisico e della sua classe non ha mai fatto il salto di qualità.

Tabellino:
Universitario: Luis Llontop; José Mendoza, John Galliquio, Jesús Rabanal, Carlos Galván; Rainer Torres (m.75, Álvaro Ampuero), Antonio Gonzales, Pablo Vitti (m.87, Miguel Ángel Torres), Edison Flores; Raúl Ruidíaz e Johan Fano (m.63, Andy Polo). Allenatore: José ‘Chemo’ del Solar.

Vasco da Gama: Fernando; Fagner, Douglas, Nilton, Julinho (m.85, Marcio Careca); Bernardo, Diego Rosa (m.62, Leandro), Allan, Diego Souza (m.89, Patrick); Felipe Bastos e Alecsandro. Allenatore: Cristovao Borges.

Gol: 1-0, m.36, Ruidías (rig.). 2-0, m.58: Fano.

31 ottobre 2011

Brasileirao: Vasco bloccato, Corinthians lo riprende




A sei giornate dalla fine, cambia ancora la capolista del Brasileirao: grazie alla sofferta vittoria contro l’Avaì, il Corinthians raggiunge in vetta il Vasco, bloccato in casa sullo 0-0 dal San Paolo. Il Timão è però in testa poiché, in caso di parità di punti, la prima discriminante valida per il campionato è il numero di vittorie, e la squadra paulista ne ha accumulata una in più dei carioca. Intanto, crolla il Flamengo a Porto Alegre e si fa sempre più preoccupante, in coda, la posizione del Cruzeiro.

Match pieno di emozioni quello del Pacaembu che vede prevalere di misura Corinthians: sotto un diluvio incessante la squadra di Tite continua a fornire la solita prestazione esteticamente modesta ma ha tanto cuore, e recupera una partita che pareva stregata. In svantaggio contro l’Avaì per merito della rete di Robson, perde per espulsione il difensore centrale Leandro Castan, ma anche con un uomo in meno riesce a rimontare la contesa grazie alle reti di Emerson “Sheik” e dell’ex Sporting Lisbona Liedson. I catarinensi giocano un match intenso ma pasticciano non poco in fase difensiva e ora vivono una situazione disperata in classifica, dove sono penultimi.

Mezzo passo falso del Vasco che, davanti al proprio pubblico, entusiasta per una posizione di classifica francamente insperata a inizio campionato ( e un’ottima prospettiva in Copa Sudamericana: mercoledì i quarti contro l’Universitario), non riesce a trovare la via della rete per battere il San Paolo e mantenere i due punti di vantaggio sul Corinthians. A São Januario il Gigante gioca la solita partita sottoritmo, conduce il match ma fa un enorme fatica a concludere verso la porta Denis, sostituto giornaliero dell’infortunato Rogerio Ceni. Il Tricolor, con il nuovo tecnico Leão, è alla ricerca almeno di un posto per la Libertadores dell’anno prossimo ma vive solo delle accelerazioni di Marlos e delle iniziative dei due esterni Piriz e Juan, liberati dal nuovo 352, mentre Lucas, poi sostituito, è decisamente in giornata-no.

Giornata nerissima anche per Ronaldinho. Al suo primo ritorno da avversario contro la squadra dove si è formato, il Gremio, è preso di mira da una contestazione che in Brasile, con tale intensità, si era vissuta raramente. La colpa dell’ex Barça e Milan è rappresentata non solo dall’aver abbandonato, ai bei dì, Porto Alegre per l’Europa (situazione gestita malissimo dalla dirigenza che poi scaricò la responsabilità sul giocatore) ma soprattutto quella di aver illuso tutti in vista di un suo ritorno all’Olimpico, per poi preferire i vantaggi economici del Flamengo. Naturalmente le versioni dell’entourage del numero 10 divergono, ma ieri non c’era evidentemente lo spazio per chiarirle a fondo. Il Flamengo perde, e perde nella maniera peggiore, facendosi rimontare due gol e finendo per beccarne quattro. Tanti fischi e insulti più un cartellino giallo è l’avvilente bottino giornaliero di Dinho. (continua su Gazzetta.it)

30 ottobre 2011

[Analisi - San Siro dal Vivo] Inter - Juventus 1-2

In una bellissima atmosfera, stadio pieno, cori e coreografia, si gioca a San Siro la Rivalità, la partita tra le due squadre che si sono fatte più la guerra dentro e soprattutto fuori dal campo, in questi ultimi anni.

Concentriamoci sul campo e vediamo alcune situazioni interessanti del match.

IL PRESSING OFFENSIVO. All'inizio del match subito l'interessant proposta di Ranieri, un pressing ultraoffensivo, da iniziare quando la Juve comincia l'azione del fondo. Zarate, Pazzini e Sneijder salgono a ridosso dell'ara di rigore, si collocano in campo a formare una L con dietro i centrocampisti pronti ad accorciare. Il risultato del pressing è duplice: rallenta l'inizio azione degli avversari (eliminando automatismi di costruzione della manovra avversaria: Matri viene incontro coi tempi sbagliati, gli ensterni si alznao e si abbassano senza coordinazione) e, in subordine, con la conquista di palla alta si può attaccare in situazione favorevole. Un risultato che Ranieri centra, evitando anche che la palla passi tra i piedi di Pirlo, deus ex machina della prima fase della manovra bianconera, e ottenendo più di una ripartenza corta.
Pressando alto c'è poi da "sistemare" la "seconda linea": come devono comportarsi i centrocampisti, se la palla esce pulita dalla prima linea, cioè nel caso in cui l'attaccante non riesca a scivolarea all'indietro ma venga tagliato fuori? L'importante è che la ripartenza juventina non conquisti il centro del campo: lì nasce una situazione di emergenza poiché l'attaccante ha il completo campo libero. In più ci sono cose da sistemare ( en on da oggi) della transizione negativa dell'Inter. Esistono problemi ad esempio di dinamismo del mediano davanti alla difesa, Cambiasso, che riconoscendoli gioca molte volte per la conquista diretta della palla: non può certo accompagnare la velocità altrui, cercando di rallentare il pallone e, ancora meglio, indirizzarlo verso un lato. La linea difensiva deve scappare indietro a copertra dell'area ma con quali tempi e il posizionamento dei laterali e dei centrocampisti è sempre coordinata? No, però l'Inter va in svantaggio alla prima conclusione pericolosa della Juve, dopo un buon inizio, e più o meno si salva sugli altri contropiedi. Il primo gol però è da rileggere.

VANTAGGIO DI VUCINIC. Da una situazione di pressing ultraoffensivo l'Inter reagisce stoppando la transizione al limite dell'area. Chi attacca ordinato riesce spesso a difendersi ordinato. Non è il caso dei nerazzurri in questa occasione. La palla viene si fermata al limite dell'area, ma in una situazione che sta per diventare di difesa schierata, i nerazzurri sono acnora attirati troppo dalla sfera: tutti collassano sul portatore, e un cambio di gioco (il diktat Conte in questo match: il rombo lo soffre sempre) mette fuori causa metà squadra, il rimorchio Lichtsteiner scende a destra e non c'è nessun attaccante che lo prende (a rigor di logica toccherebbe a loro): lo svizzero può crossre perché la copertura in esterno è in ritardo, poi c'è un bel taglio flash di Matri, non seguito, che provoca il rimpallo da cui nasce la rete di Vucinic. La partita accentua il suo carattere di attacco dell'Inter e ripartenza negli spazi della Juve.
I nerazzurri hanno comunque anche una buona mezza transizione offensiva, che si sviluppa sui lati, bravo anche Obi nell'allungare la squadra a sinistra, Maicon è pericoloso, anche se a mezzo servizio, a destra, anche per il solo fatto di essere in campo: Conte vuole negare la ricezione in mezzo di Sneijder, non importa a quale altezza, anche molto alta, vuole eventualmente dirottarla sul lato, dove è meno pericolosa: così stringe tantissimo sia Vidal che Marchisio, lasciando a Pepe e Vucinic le coperture degli esterni. Il montenegrino non ne ha la predisposizione ( tanto che poi verso la fine del tempo viene dirottato a destra, per evitare di seguire Maicon), Pepe ha il fondo e il carattere, ma non sempre azzecca il tempo di chiusura. L'inter trova in questa fase di partita il pareggio e il possibile vantaggio, sempre con azioni provenienti da destra.

L'ATTACCO A DIFESA SCHIERATA. La difficoltà di attaccare a difesa schierata per l'Inter è una difficoltà. Sostanzialmente si base su azioni di uno contro uno, dei suoi talenti offensivi. però Pazzini riesce a essere pescato più volte, anche se la difesa juventina, magai in situazione di emergenza ma riesce spesso a ribattere le conclusioni dei giocatori nerazzurri. Nel secondo tempo vengono fuori ancora di più queste lacune, con l'errore di togliere Zarate (riconosciuto, nella sostanza, da Ranieri nel post partita: "gli ho detto che ha fatto una buona partita ma che la squadra aveva bisogno di altro... non mi aspettavo di perdere così tanto davanti", dirà poi il tecnico romano) e di sostituirlo con Castaignos, ch ecerto non ha nell'attacco palla al piede, né nella combinazione sullo stretto il suo punto di forza: la situazione di gioco che la partita richiede non lo facilita.

IL CROLLO MENTALE. La rete di Marchisio, quella del definitivo 2-1, distrugge mentalemente l'Inter, che invece aveva reagito al primo gol. Viene subita sostanzialmente a difesa schierata: un uno-due centrale, al limite dell'area: Lucio non anticipa la sponda Matri, e Chivu esce tardi e male sull'iniziatore della giocata, poi Marchisio mette col piatto all'angolo il pallone, realizzando un gran gol. Al di là dell'errore del cambio di Zarate, al secondo tempo dell'Inter oltre alle idee, manca lo spirito della rimonta. Mentalmente la squadra è in difficoltà e il nervosismo cresce. Ranieri non tenta ogni mossa: il suo credo nell'equilibrio non si smentisce nemmeno stavolta, può darsi che a medio termine potrà dare dei frutti, ma la partita non ha nessuna scossa psicologica, né l'Inter prova a modificarea assetto o strategia di gioco. Si sposta più avanti Cambiasso, si cerca qualche volta il gioco diretto verso Pazzini, ma sono situazioni estemporanee, vissute come iniziative dei singoli. Risultato: l'Inter nel secondo tempo, sotto, non è mai pericolosa.

LA VITTORIA E LA CONSAPEVOLEZZA. La Juve non è una squadra definita, però messo da parte l'audace e mediatico 424, ha trovato non solo identità in questo 433 spurio, ma anche la capacità di adattarsi alle diverse situazioni della partita, senza dovere stravolgere l'undici in campo. E' una grande dote, merito della versatilità di giocatori come Vidal, Marchisio e Vucinic, versatilità nella qualità. Conte, deciso e determinato, studente per essere un grande allenatore, anche sul piano dei rapporti coi media, ha trovato un assetto interessante. Dietro manca forse qualche individuaità di spicco, sull'uno contro uno soprattutto Bonucci (saltato più volte con facilità da Zarate) ovviamente va emergenza, ma Barzagli riesce a tenere una linea molto coordinata e attenta nei movimenti e nelle spaziatura. Unica nota molto stonata, alcune giocate di estrema superficialità di Pirlo (persa palla al limite dell'area, scherzato da Sneijder sul tentavio di raddoppio in occasione del gol nerazzurro).

Inter-Juventus 1-2
INTER: Castellazzi; Maicon, Lucio, Chivu, Nagatomo; Zanetti, Cambiasso, Obi (64' Stankovic); Sneijder (78' Alvarez); Pazzini, Zarate (46' Castaignos).
A disposizione: Orlandoni, Cordoba, Jonathan, Milito. Allenatore: Ranieri.
JUVENTUS: Buffon; Lichtsteiner, Bonucci, Barzagli, Chiellini; Marchisio, Pirlo, Vidal (89' Pazienza); Pepe, Matri (70' Estigarribia), Vucinic (84' Del Piero).
A disposizione: Storari, De Ceglie, Elia, Quagliarella. Allenatore: Conte.
Arbitro: Rizzoli.
Marcatori: 12' Vucinic (J), 28' Maicon (I), 33' Marchisio (J).

28 ottobre 2011

Shehata, il vecchio che avanza nel Nuovo Egitto

Ricominciare da capo è complicato. L’Egitto è il Paese guida del mondo arabo, culturalmente, prima ancora che politicamente o economicamente. Dopo l’entusiasmo dei giorni di Piazza Tahrir, è ora il momento di costruire il post Mubarak, con tutte le difficoltà e le pressioni interne e internazionali, anche quelle oscure. C’è da ricominciare anche nel calcio, vera passione degli egiziani, proponendo un modello nuovo. Per dare un chiaro segnale, la Federazione (forse su imbeccata extrasportiva) ha scelto un CT statunitense, Bob Bradley, ex direttore tecnico del team USA, apprezzato insegnante di calcio, per costruire la Nazionale del futuro, dopo la débâcle della mancata qualificazione alla Coppa d’Africa. I Nuovi Faraoni si intravedono già, da Hegazy a Salah, da El-Nenny a Sobhy, solo per citare i più talentuosi, tutti tra 19 e 20 anni. E per loro un probante banco di prova sarà il campionato nazionale che è iniziato lo scorso week end. E’ interessante notare come questi ragazzi debutteranno in squadre di non elevato rango, al riparo dalle troppe pressioni che si respirano invece negli squadroni. Ma se l’Al Ahly, campione d’Egitto ininterrottamente dal 2004, ha comunque pensato a un ringiovanimento della rosa e a una programmazione a medio termine, lo Zamalek deve vincere, subito.
Per riuscirci ha richiamato uno dei suoi figli prediletti, Hassan Shehata, il tecnico tre volte campione d’Africa con l’Egitto (2006-2008-2010). Grande centrocampista, proprio dei “Bianchi” del Cairo (anche se la squadra formalmente è di Giza, la località dove sorgono le piramidi più note dell’Egitto), Shehata ha iniziato la carriera da allenatore senza grandi exploits. Nel 2004 la Federazione, stufa di Marco Tardelli si affida a lui: più di qualcuno racconta che, oltre al suo curriculum da calciatore, abbia contato, ai fini dell’ingaggio, anche la sua amicizia con Gamal Mubarak, potentissimo figlio del presidente dell’Egitto oggi incriminato. Shehata però stupisce tutti. I suoi metodi non saranno all’avanguardia, né i suoi modi molto liberal, ma il gruppo che crea raggiunge il massimo dei risultati, vincendo in serie (chiude con 59 partite vinte e solo 18 sconfitte). Il CT assomiglia più a uno di quei grigi burocrati che troviamo nei romanzi di Ala Al-Aswani che a un allenatore di livello, eppure i risultati sono dalla sua, e lui non manca di ringraziare il regime per il continuo appoggio, tanto che qualche lingua lunga inizia a chiamare i Faraoni con un nuovo nome: “Selezione del Partito Democratico Nazionale”, quello, ovviamente, di Hosni Mubarak. Come vivesse in simbiosi col passato, la Nazionale si sfalda alle prime picconate della Rivoluzione. La Mummia Mubarak (83 anni, 30 anni di governo del Paese) si è portato via anche i Faraoni. Shehata, inviso a tanti appassionati, proprio per questa “vicinanza” al Rais, poteva ripartire solo da casa sua, dallo Zamalek. Una partenza stentata la sua, però. Alla prima occasione ha subito fallito, perdendo la finale di Coppa d’Egitto con il non irresistibile ENPPI. E una partenza non scevra da polemiche, visto che alla sua corte ha voluto quello che per anni è stato il giocatore copertina degli acerrimi rivali cittadini dell’Al Ahly, l’icona sportiva Ahmed Assan. Scaricato dai rossi del Cairo, Ahmed, apprezzato fantasista all’Anderlecht, ha scelto di prendersi la rivincita col club maggiormente assetato di vittorie: lo Zamalek continua a sopportare i festeggiamenti dei rivali che, oltre a vincere in Patria, negli ultimi due lustri hanno messo in bacheca quattro Champions africane. L’anno passato si è vissuta l’ennesima umiliazione, con i Bianchi avanti nettamente in campionato prima dello stop dovuto alla Rivoluzione e la rimonta in classifica subito nella prosecuzione del torneo. Quest'anno si deve vincere: così si giustifica anche l’ingaggio di Mido, lui pure cresciuto nello Zamalek. L’ex Roma ha avuto la carriera internazionale stroncata proprio da Shehata, che lo sostituì nella Coppa d’Africa del 2006, giocata in casa, e si prese gli insulti dal bizzoso attaccante (vedi video sotto): Mido fu allontanato come un reprobo e lì si capì chi e cosa rappresentava il CT. Oggi ripartono, insieme, anche loro. Come il Nuovo Egitto.

CARLO PIZZIGONI
Fonte: Extra Time - Gazzetta dello Sport del 18 ottobre 2011