30 novembre 2005

[figura] Salomon Kalou

Salomon Kalou è un talento vero. Ennesimo prodotto dell'Accademie di Sol Beni, fratello minore del più celebre Bonaventure, si rifiuta di indossare la maglia degli Elefanti. Chiamato in Europa dal fratello, in quei tempi al Feyenoord, ha, probabilmente su invito di troppi consiglieri, optato da tempo per la nazionalità olandese. Di olandese, ovviamente, non ha nulla. Il giudice incaricato della domanda di naturalizzazione è fortunatamente una persona seria. Quindi Kalou, nonostante i desiderata di Van Basten, rimarrà calcisticamente ivoriano fino al 2009. Uguale: Mondiale in poltrona. Di seguito l'articolo pubblicato sul quotidiano ivoriano Notre Voie.

L'Etat néerlandais a estimé vendredi devant le tribunal de Rotterdam (sud-ouest) que l'Ivoirien Salomon Kalou (Feyenoord/1re div.) ne méritait pas une naturalisation accélérée faute d'être assez intégré, tandis que l'entraîneur national Marco van Basten affirmait le vouloir pour le Mondial 2006 de football.

Vêtu d'un jean et d'un polo gris-vert à capuche, le joueur s'est défendu devant le juge.

Je veux habiter aux Pays-Bas, j'ai choisi ce pays car il est agréable et que j'y suis heureux. Je rentre une fois par an en Côte d'Ivoire pour les vacances et je suis toujours content de revenir ici", a-t-il dit, dans un Néerlandais facile mais émaillé de quelques fautes.

Un juge de Rotterdam examinait la plainte introduite par le jeune joueur contre la ministre néerlandaise de l'Immigration et de l'Intégration, Rita Verdonk, qui lui refuse la naturalisation express lui permettant de jouer en équipe nationale.

Pour l'Etat néerlandais, Salomon Kalou, 20 ans, ne vit pas depuis 5 ans aux Pays-Bas et il n'est pas en mesure de réussir les tests d'intégration demandés à la plupart des nouveaux arrivants, comme l'aptitude au néerlandais écrit et parlé, ou la connaissance de la culture et de la société du royaume.

Il s'agit-là de critères essentiels pour bénéficier de cette procédure de naturalisation accélérée, a déclaré lors de l'audience l'avocat de l'Etat, Gerrit Hoogvliet.

"Salomon est un talent exceptionnel (...) s'il obtient la nationalité néerlandaise, il est assuré d'être pris dans la sélection des Pays-Bas (...) il a des qualités spécifiques", a expliqué au juge, Marco van Basten, venu témoigner en faveur du joueur.

Pour l'avocat du footballeur Jelle Kroes, "Salomon Kalou participe activement à la société néerlandaise, avec son travail. Il parle le néerlandais, il habite aux Pays-Bas et compte y rester, et il montre un intérêt particulier pour ce pays".

Aux Pays-Bas, la durée d'attente d'une procédure de naturalisation peut être accélérée pour certaines personnes, considérées comme "exceptionnelles" et présentant un "intérêt spécifique" pour le pays.

"La ministre lui refuse cette procédure arguant du fait qu'il est encore assez jeune pour attendre, mais M. Kalou a reçu une invitation à jouer avec l'équipe des Pays-Bas, il ne peut attendre 2009 car la carrière d'un footballeur est courte", a insisté son avocat.

28 novembre 2005

[recap] Corinthians - Ponte Preta 3 - 1

Timao ormai vicinissimo al titolo, ma sta finendo davvero male il campionato. Solo di nervi la vittoria in rimonta col Ponte Preta. Nervi che hanno tradito Tevez visto che sull' 1-1 ha mandato in curva un rigore che poteva essere decisivo. Una punizione di Coelho e una sberla da fuori di Carlos Alberto fanno esultare il Morumbi. L'Internacional viene raggiunto dal Palmeiras ma nel finale mantiene in vita il sogno del titolo. Sempre che il giudizio sulle partite cancellate per il giro di scommesse venga ribaltato come si accenna qui

Intanto, triste fine per il Galo: qualche lacrimuccia per l'Atletico Mineiro che retrocede matematicamente in serie B, insieme a Paysandu ( altro magone, per me), unico rappresentante della regione del Nord, e Brasiliense, neopromossa. L'ultimo posto del rebaixamento cercheranno di evitarlo Coritiba (46 punti e scontro con l'Internacional, praticamente spacciati),Ponte Preta (48) e Sao Caetano (49). Il Goias (che affronta il Timao nell'ultima giornata) raggiunge l'incredibile traguardo della Libertadores.

21 novembre 2005

[recap] Corinthians - Internacional 1- 1

Nella partita decisiva del Brasilerao meglio, molto meglio l'Inter rispetto al Timao, al Pacaembu. Muricy si conferma un ottimo tecnico, Rafael Sobis (in gol di destro da fuori area) ancora una volta un prospetto interessante. Bene anche Tinga che è al centro del giallo del match: una sua incursione ha costretto Fabio Costa a stenderlo in area: era rigore. Solito gol di Tevez nel Corinthains e malino sia Rosinei che Eduardo Ratinho. Mancano ancora due giornate: Timao 78, Inter 75. Alla prossima Inter-Palmeiras e Timao- Ponte Preta. L'ultima speranza dell'Internacional è il Goias (ottimo terzo davanti al Flu) che riceve il Corinthians per la chiusura del campionato.

19 novembre 2005

[reading] John Donne

Questa settimana, al bar, si legge John Donne "Poesie amorose, poesie teologiche", nella splendida traduzione di Cristina Campo.

" Sfascia il mio cuore, Dio in tre persone;
(...)
Divorziami, scioglimi, spezza il nodo,
rapiscimi, imprigionami: se tu
non mi incateni non sarò mai libero,
casto mai se tu non mi violenti."

16 novembre 2005

[reportage] Costa d'Avorio

Ho una profonda simpatia per la Costa d'Avorio. Ci sono stato lo scorso giugno e ho assistito alla vittoria casalinga della nazionale guidata da Henri Michel ( con me, sotto nella foto) contro l'Egitto. Dovevano ancora arrivare la sconfitta contro il Camerun e il rigore di Wome nell'ultimo match che ha messo il timbro sul passaporto per la Germania. Per la rivista Calciatori.com Magazine ho scritto un lungo pezzo, pubblicato sul numero di ottobre, sugli Elefanti. Eccolo.

A giugno piove sempre ad Abidjan. Piove, smette, piove e c’è sempre caldo.
Da qualche anno però non se ne accorge più nessuno.
Ovunque ci sono militari, specie sulla strada che collega l’aeroporto alla città. Divise militari, armi in bela vista e quel clima di emozione e paura quando ti si punta addosso la lampada all’ennesimo posto di blocco. Passaporto, s’il vous plait, lo sguardo che passa continuamente e velocemente dal tuo documento ai tuoi occhi. E così per dice venti volte al giorno. La Costa d’Avorio, per la prima volta dopo l’indipendenza ha un problema interno, che qui tutti chiamano “crise”. La pioggia scava nel cemento dissestato delle strade che nessuno mette più in ordine. Sembra il giorno prima della battaglia, un giorno che non può avere futuro, con la disoccupazione che aumenta ogni giorno e la corruzione dilagante che incancrena il resto.
Nel momento più brutto della sua storia, la Costa d’Avorio possiede la miglior generazione calcistica di sempre. Non è vero che gli Elefanti ( il nomignolo assegnato alla squadra nazionale, come d’abitudine in ogni stato africano) sono Drogba e altri dieci. D’altronde, Yves Didier Drogba Tébily l’ha più volte segnalato. In patria c’è chi lo chiama Fenomeno, pronunciato come fosse una parola tronca dato che i francesi in questo Paese qualcosa contano (per gli ivoriani contano troppo…), ma lui gradisce veramente poco. Al ritiro della nazionale è sempre disponibile con la gente. Berretto da pescatore abbassato sui capelli stirati, pantalone corto, ciabatte e calze al ginocchio, l’abbiamo avvicinato all’Hotel Golf Club nel ritiro della nazionale prima della gara di qualificazione ai mondiali contro l’Egitto. Ecco, incontro ai giornalisti smette il sorriso: “ la storia della mia vita la conoscete più di me, perché continuate a chiedermela?” Per convincere Tito, come lo chiamava la mamma, ci vuole ben altro. Il rito gli piace poco, anche se ha sopportato le solite domande alla conferenza stampa d’ordinanza con molta professionalità e sbriciolando, con movimenti del collo, increspature delle labbra e voce ferma, il culto della personalità che alcuni dirigenti e molti giornalisti gli vogliono disegnare addosso. E forse per questo che manda a vuoto il nostro continuo inseguimento, alla ricerca della infinitesimale curiosità che può illuminarci sul suo carattere: Drogba è sempre il ragazzo di Gnaprahio, timido, dal profilo basso. Mezzi straordinari gli hanno permesso di arrivare in una delle squadre più ambite del mondo, il Chelsea, concedendosi il lusso di fare la differenza anche a quelle latitudini. Gli analisti distratti, che non sempre superano quelli in malafede o peggio, fanno fatica addirittura a riconoscerlo nell’ élite assoluta del gioco. Cosa, questa, che farebbe impazzire tre quarti dei suoi colleghi e che invece, incarnando alla perfezione la mentalità africana a cui hanno infilato sottopelle l’istinto di confessare l’altrui egemonia, non scalfisce più di tanto il suo ego. Piuttosto gli ruga parecchio aver dovuto abbandonare la sua squadra del cuore, uno dei rarissimi anelli di congiunzione tra il Nord Africa a maggioranza culturale araba e l’Africa Nera: l’Olympique Marsiglia, universalmente adorata a sud di Lipari.
Il Golf Club dove ci intratteniamo con Drogba, ha una hall luminosissima. La mente di tutti tenta di piegare in un angolo le brutte sensazioni di questi mesi, gli attacchi dei ribelli dal nord,la possibilità della guerra civile: ognuno ha il diritto di rilassarsi, di sentirsi sollevato per qualche ora, e poi domani provvederà Qualcuno, lassù. Una sensazione di sollievo che non si ha più all’Hotel Ivoire, per anni simbolo della pacifica Abidjan, dove tutti i presidenti francesi ospiti, da De Gaulle in avanti, riconoscevano una piccola Parigi. L’hotel dà direttamente sulla laguna della città, dall’altro capo c’è lo stadio “Houphouet Boigny”, già padre della patria ivoriana e titolare di qualsiasi cosa importante di questo paese, aeroporto compreso. Uno stadio che le incurie della crisi avevano ridotto male e che ultimamente ha subito lavori di restauro, finanziati, nell’ombra, dallo stesso giocatore di cui parlavamo sopra: quanti che conosciamo avrebbero indetto una conferenza stampa urbi et orbi per benedire l’evento?
Uno stadio che intravede in Drogba il finalizzatore del gioco ma che non lo ama come dovrebbe. Non c’è infatti dubbio che l’idolo assoluto della città e del Paese, è e resta: Aruna Dindane, fenomenale assist man, artista della linea di fondo, a cui anche Drogba – sempre grazie alla sua diversità – ad ogni passaggio decisivo ricevuto gli si inginocchia davanti lustrandogli la scarpa a mo’ di sciuscià. Aruna (sotto nella foto) è uno dei talenti più luccicanti dell’incredibile Accademie, una vera e propria università del calcio retta dal genio incontrollabile di Jean Marc Guillou. Ex calciatore di buon livello ma di straordinario talento ( più di un cronista lo eguaglia a Platini), ha scelto l’Africa per applicare le sue bizzarre teorie sul calcio. Guillou basa tutto il suo credo sulla tecnica. Questo autentico visionario, d’accordo con Roger Ouegnin, presidente dell’ASEC, l’équipe più amata di Abidjan, ha costruito un piccolo villaggio per giovani calciatori. Vagando per le strade della città, osservando migliaia di provini ha costituito il primo gruppo di accademiciens, una trentina di ragazzi che tutta la città ha preso ad invidiare e adorare da lì a poco. Una incredibile serie di esercizi per affinare la tecnica in giovani incredibilmente coordinati e spaventosamente dotati fisicamente. Rimanere a “Sol Beni”, il nome della cittadella sportiva, significava anche accedere a studi regolari dato che era prevista una scuola interna con insegnanti di buon livello, un vero privilegio. Il germe della tecnica, il gusto dell’uno contro uno che esalta la folla è un trait d’union diretto col Brasile, che è culturalmente, secondo più di un antropologo, una nazione africana in terra sudamericana. Come tutti i rivoluzionari, Guillou ha sopportato ben presto il clima del Terrore, e ha dovuto riparare in Belgio, costituendo al Beveren una enclave ivoriana.. Incomprensioni iniziali, accuse gravissime, insulti gratuiti: è finita male la sua storia ad Abidjan, che ormai lo dichiara “persona indesiderata”. Eppure metà dei giocatori dell’attuale nazionale proviene dalla sua scuola: Aruna, Kolo Touré, Zokora, Yapi, Boka, Kouassi, Tiene, tutta gente che si disimpegna bene in Europa. Guillou ha fondato un’altra scuola calcio, di cui però non si occupa direttamente, fuori Abidjan.
Ci vorrebbe più ghiaia. Il temporale ha reso davvero ostico per il nostro taxi arrivare a Sol Beni; smontiamo a cento metri dall’entrata io e la ragazza che mi ha accompagnato fin qui, una splendida ivoriana, Andrea, che non ha voluto rinunciare alla scarpa aperta e che ne pagherà le conseguenze per tutta la giornata. Abbiamo appuntamento con Pascal Theault, il nuovo plenipotenziario dell’Accademie, un tecnico francese che è rimasto più di vent’anni al Caen, lavorando soprattutto coi giovani ( tra le sue scoperte, Gallas). Con Theault parlare di calcio è davvero un piacere, anche se la mia provenienza gli stimola un po’ troppe invettive anti-catenaccio. L’ex Caen è professionalmente molto preparato. Conosce bene l’aspetto fisico del calciatore (assolutamente ignorato da Guillou), quello tecnico e quello tattico. E’ convinto che i suoi giocatori debbano conoscere tutti i sistemi di gioco e, non essendoci un vero e proprio campionato, può organizzare amichevoli quando vuole per sperimentare le informazioni che regala ai suoi “studenti”. Forse, troppe informazioni, ma questa è una sensazione, bisognerebbe frequentare l’Accademie, migliorata dai tempi di Guillou con scuole interne più strutturate e nuove proposte come film e altre attività rigorosamente organizzate come in un collegio, anche se con la flessibile modalità africana, che noi non cataloghiamo come negativa. Anche le strutture sono decisamente migliorate rispetto a un tempo, con due campi di erba perfetta, una sala pesi a trenta metri dal mare, e una copia della celeberrima (da noi) gabbia di Orrico, dove il pallone è sempre vivo.
Passeggiando per le aule raccolgo qualche fischio di approvazione dei ragazzi all’indirizzo dell’eleganza di Andrea, qualche simpatica ironia sulla mia fortuna nell’accompagnare una ragazza così, evito loro quindi le solite domande dell’inviato, mi pare evidente che la vita qui dentro non scorra come in un lager.
Aruna ha passato cinque anni all’Anderlecht, ottimi campionati con la solita scarsa visibilità. Avrebbe voluto il palcoscenico inglese, anche di una piccola, ma l’offerta migliore, quando i belgi hanno realizzato che il matrimonio era, nei fatti, terminato, l’ha allungata il Lens e così Aruna ha preso l’autostrada verso sud e si accontenterà della coppa Uefa. E la strada per farsi riconoscere il talento ridiventa in salita, se proprio non dovesse bastargli l’amore incondizionato della sua terra.
Se è vero che dell’Accademie non si interessano molto i media italiani, qualcuno ci pensa: Luciano Moggi. Che ha fatto seguire Didier Zokora, noto qui sul golfo di Guinea col soprannome di Maestro. Zokora gioca nel Saint Etienne, nasce difensore centrale poi si specializza nel recuperare palloni in mezzo al campo e fa la sua fortuna: presto qualche squadra di casa nostra gli concederà la chance. La sua sberla da fuori, stampatasi sulla traversa nel match di qualificazione al Mondiale contro il Camerun, ha mandato all’ospedale più di una persona e gettato nello sconforto tutti gli altri.
Solo un fastidioso infortunio alla testa ci ha tolto una serata all’Allocodrome ( un locale all’aperto dove si mangia anche la banana fritta) con Marc Zoro. Incontrato al bar dell’hotel ci ha illustrato, insieme al suo amore per Zeman e ai suoi ringraziamenti per Sonetti, la considerazione che tutti hanno per l’Accademie. “Kalou – ci ha detto il difensore del Messina - è un giocatore tecnicamente fenomenale, impressionante, una rarità: pensare che non ha nemmeno lavorato con Guillou!”
Bonaventure Kalou, nuovo idolo del PSG, ha debuttato nell’AS Oumé, paesotto a circa 300 chilometri a nord di Abidjan. Le due squadre della capitale economica del Paese, l’Africa Sport e l’Asec, hanno lottato per accaparrarselo con quest’ultima che ne è uscita vincitrice. Partner d’attacco, il burkinabè Mamadou Zongo, che raccoglie gloria da anni in Olanda (Vitesse e De Graafschap, le sue fermate) . In panchina un santone giramondo, l’argentino Luis Oscar Fullone, apprezzatissimo da queste parti. Avvistato dai miglior talent scout, Kalou cade nelle fauci dei più scaltri: gli olandesi da secoli girano il mondo col fiuto per gli affari; al Feyenoord ha passato sei ottime stagioni allargandosi sulla fascia. Riportato dietro la prima punta da Guy Roux all’Auxerre ha mostrato ancora il suo gioco fatto di frequenti appoggi e di molte carezze alla palla. Quest’anno, una partenza sprint ne ha già fatto l’idolo del Parco dei Principi. Molto interesse aveva destato il fratellino, Salomon (un 1985), cresciuto, ovviamente, nell’Accademie. Anche qui, il Feyenoord si è mosso per tempo e ha in mano un gioiellino che, sotto forte pressioni sta decidendo di prendere la cittadinanza olandese.
Salomon Kalou è uno dei tanti nomi della nuova generazione ivoriana. Gente da segnarsi sul bloc notes (i primi: Bakary del Nizza, Arouna Koné al Feyenoord, Fae del Nantes) e che costituirà l’ossatura della nuova nazionale dietro gli Zokora e i Kolo Touré. Proprio quest’ultimo, affermato e velocissimo centrale dell’Arsenal può riconoscercene due: il fratello Yaya, quest’anno all’Olympiacos ed Emmanuel Eboué, suo compagno a Londra. Entrambi sono in mano ad ottimi tecnici, Sollied al Pireo e Wenger: soprattutto due allenatori che amano lavorare e migliorare i giocatori che hanno a disposizione. Questo il segreto di pulcinella della crescita dei giovani. Da qualche anno, sotto la guida diretta della federazione ivoriana, in primis dello svizzero Ammann, il paese sta sviluppando un interessante progetto per una prima formazione di base dei giovani calciatori. Proprio Ammann, arrivato ad Abidjan per l’amore di una donna di qui, ci ospita nel suo ufficio e ricostruisce la genesi del suo progetto con un’attenzione maniacale ai particolari e ci invita allo spettacolo degli incontri (organizzati proprio dalla federazione) tra i bambini di dieci anni che giocano a piedi nudi in meta campo. “Bisogna conoscerli bene i giovani, le loro vite, le loro difficoltà quotidiane, questa non è l’Europa. Mi viene in mente un ragazzo, Marco Né, ora al Beveren. Un giocatore super, riempito da mille attenzioni, mille richieste dei maggiori club europei ma con un carattere particolare, troppo chiuso, che gli nega continuità in campo. Per me è il miglior talento di questo paese, se si sblocca, abbiamo uno dei centrocampisti migliori d’Europa.”
Piove ancora ad Abidjan, il calcio non può cancellare la crisi e la paura rimane tanta, troppa. Qualcuno però riesce ancora a chiudere un occhio e sognare.

fonte: Calciatori.com Magazine

14 novembre 2005

[figura] Baixinho

Ne avrò sentite una dozzina di storie su Romario dai tassisti di Rio de Janeiro, molte delle quali irripetibili. Romario è certamente il giocatore in attività più amato dai brasiliani.
Anche domenica, doppio sigillo nel classico contro il Fluminense, nel 2-0del suo Vasco, la squadra che l'ha visto crescere e che ha già ritirato la sua maglia numero 11. Quest'anno sono già 18 gol, lo stesso numero di Carlitos Tevez, giustamente celebratissimo.
L'anno scorso sono stato a Laranjeiras, al campo di allenamento del Flu dove all'epoca giocava il Baixinho. Ovviamente non era presente. L'allenatore, Ricardo Gomes (ora al Bordeaux, dove sta facendo molto bene), che aveva nello stesso spogliatoio anche Roger e Edmundo, venne assaltato dai cronisti: "Lo sa che Romario il giorno prima della partita contro il Vasco ( dove è uscito per infortunio al secondo minuto del primo tempo...) è stato visto giocare più di tre ore in spiaggia?" "Lei c'era?" "No, ma me l'hanno riferito, è sicuro." " Se non c'era non può essere sicuro" chiudeva Ricardo Gomes. L'indomani, Romario viene avvistato e prontamente gli viene chiesta la verità. Romario è l'unico che poteva rispondere: " Certo che è vero, gioco sempre a foot-volley sulla spiaggia il sabato. Gioco e continuerò a giocare. Ci vedi qualcosa di male?" 27 partite sulle 38 disputate fanno 0,66 gol a match, niente di male, peixe. Inimitabile. In tutto.

13 novembre 2005

[opinione] Le football, ciment d'une société

L'incredibile attenzione degli svizzeri per la nazionale di calcio, in questi giorni di spareggi per l'accesso ai Mondiali del 2006, ha stupito prima di tutto loro. La stupefacente ricaduta sociale del calcio non interessa, quindi, esclusivamente realtà "difficili". Interessante l'analisi che ne ha tratto Ignace Jeannerat su " Le Temps", il più autorevole quotidiano svizzero di lingua francese.
Eccola.

Des billets pour le match Suisse-Turquie vendus en moins d'une heure, un pays tout entier qui se passionne pour une rencontre ouvrant sur la Coupe du monde de football en Allemagne, un Stade de Genève sans équipe à demeure qui se remplit presque aisément pour une confrontation «amicale» Angleterre-Argentine... Passion autour d'un ballon.

Irraisonnable? Absurde? Insensé? Non. Même les plus sceptiques ou les plus ignares doivent en convenir, le football est au cœur de la société. Ni un miroir aux alouettes, ni une drogue pour le peuple. Une réalité sociale et économique.

Inutile d'argumenter longtemps sur la place du ballon rond au Brésil, en Italie, en Espagne et plus récemment, en Corée du Sud ou au Japon. Le football habite l'âme de ces pays.

Il y a aussi le football ciment. En Afrique du Sud il y a une dizaine d'années, au Rwanda plus récemment, chaque match de l'équipe nationale est vécu comme un acte de réconciliation nationale. Idem en Côte d'Ivoire. La sélection des Eléphants a créé par-delà les antagonismes fratricides, par-delà la ligne de rébellion, un sentiment d'appartenance, de vivre ensemble.

Football reconnaissance sociale. Regardez dans les quartiers déshérités, et pas uniquement français. Beaucoup de jeunes que la société décourage ou déçoit apprennent l'école de la vie en jouant au football. Un vrai chemin initiatique, une porte vers l'avenir et même une image de réussite sociale. Le football a pris une telle importance que, chaque fois que la télévision a diffusé un match de football au cours des quinze derniers jours, les banlieues françaises ont été moins éruptives que la veille.

En 1998, sans la victoire de la Coupe du monde, la France aurait déjà explosé dans les coutures de ses banlieues. Cette équipe championne du monde «black-blanc-beur» dans laquelle coulait du sang africain, antillais, calédonien, guyanais, arménien, mais aussi basque, normand, languedocien et breton a fait écran, a anesthésié un malaise croissant. Déjà il y a vingt ans, la marche des Beurs qui avaient exprimé les protestations des jeunes Français d'origine arabe ou africaine contre les obstacles mis à leur intégration avait révélé ce sentiment de hors-jeu. Zidane, Thuram et Makelele avaient provisoirement transformé ce malaise en fierté. Comme eux, ils étaient issus des quartiers.

Alors, si comparaison n'est pas raison, pourquoi ne pas regarder l'équipe suisse de football comme un lien fédéral plus fort et plus vivant que le pluralisme des langues?

[recap] Al Ahly - Etoile du Sahel 3-1

Gli egiziani dell'Al Ahly vincono la Champions' africana. In attesa di commenti meno didascalici accontentiamoci del resoconto della BBC:

http://news.bbc.co.uk/sport1/hi/football/africa/4387762.stm

12 novembre 2005

[guida tv] Al Ahly - Etoile du Sahel

Oggi si gioca pure la finale di ritorno della Champions' africana. L'andata la trasmise Eurosport, per il ritorno temo ci sarà da arrangiarsi per vederla. Sarà senz'altro un grande match.

[preview] Svizzera - Turchia

Tra gli spareggi di oggi è questo quello che più ci incuriosisce. Peccato sia contemporaneo ad Australia - Uruguay: attenderemo gli aggiornamenti via cellulare di Stefano Olivari che è già pronto col frittatone ( come noi) per il match dei canguri. Crediamo però che rinunciare a vedere all'opera Tranquillo Barnetta, straordinario talento rossocrociato, è un delitto. Stasera dovrebbe giocare a sinistra per la squalifica di Wicky (brutto fardello) e lasciare la fascia destra a Valon Behrami, talento fisico e mentale sottovalutatissimo (è anche lui un '85).
La Svizzera sarebbe già intenta a prenotare il viaggio tedesco se Frei non si fosse divorato l'impossibile a Lansdowne Road, nell'ultima partita del girone, anche se Given ha dimostrato una volta di più, senza squilli di tromba di tanti addetti ai lavori, che nella ristrettissima élite dei numeri 1 c'è pure lui. Grande qualità, la Svizzera difetta in zona gol e non è sicurissima di Zuberbühler. Su "Le Temps" di ieri, condividendo le nostre perplessità, chiedevano a Marco Pascolo (ha lasciato ricordi anche in Sardegna) e a Christophe Bonvin (ex Xamax e Servette) di inviare qualche suggerimento ai due punti interrogativi del team. Ecco i due trattati. Pascolo:"Avec l'expérience qu'il a emmagasinée, Zuberbühler ne sera pas troublé par les critiques. Il a l'habitude. Il sait. En un arrêt, un gardien a le pouvoir de retourner toute l'opinion publique. Y parvenir est l'apanage des tout grands. Seuls les meilleurs ont la faculté de réagir sans tarder, de réaffirmer leur présence, de se soustraire à un environnement défavorable. Ce n'est pas toujours facile, mais les événements comme Suisse - Turquie, avec l'attention de tout un pays, sont des stimulants inestimables." Bonvin:"Les buteurs types, attachés à cette seule fonction ou presque, sont rares. Pour eux, la pression est forte parce que, quand ils ne marquent pas, ils ne font pas leur boulot. Du moins s'en persuadent-ils.Alors, ils commencent à réfléchir, mais le jeu ne leur en laisse pas la possibilité. Pour surmonter un passage à vide, le meilleur moyen est de se réfugier dans le travail, d'augmenter sa contribution aux tâches collectives; même si personne n'est dupe: ce n'est pas la fonction première d'un buteur...Ce type d'attaquant obéit beaucoup à son instinct. Une carrière l'amène à traverser des périodes d'état de grâce, où il marquerait les yeux bandés, et d'autres où rien ne va. Moi, j'ai toujours douté. Du début à la fin. Mais je n'ai jamais perdu l'envie. On ne devient pas attaquant, on l'est depuis tout gosse; parce qu'on aime rôder dans ce petit carré, parce qu'on ressent une folle attirance pour le but, les filets qui gonflent sous l'impact du ballon, les clameurs de la foule. Maintenant, Alex Frei doit tout oublier et s'imprégner du caractère événementiel de la soirée. Personne ne lui réapprendra à marquer. Il sait le faire. En outre, les buteurs ont le privilège de pouvoir réaliser une performance abominable, mais de polariser tous les éloges en un coup de patte. Que Frei se souvienne de Suisse-Chypre, où il avait inscrit le 1-0 dans les dernières minutes, au terme d'une action irrationnelle, comme surgie du néant...»

Questi gli schieramenti previsti stasera a Berna.

Svizzera: Zuberbühler; Ph. Degen, Müller, Senderos, Magnin; Behrami, Vogel, Cabanas, Barnetta; Frei, Streller. Coach: Köbi Kuhn.

Turchia: Volkan; Akyel, Alpay, Toraman, Özat; Selcuk Sahin; Okan, Tümer, Cimsir; Halil Altintop, Sükür. Coach: Fatih Terim.

11 novembre 2005

[reading] José Saramago

Questa settimana, al bar, si legge "L'anno della morte di Ricardo Reis" di José Saramago.

L'incipit: "Qui il mare finisce e la terra comincia. Piove sulla città pallida, le acque del fiume scorrono limacciose di fango, la piena raggiunge gli argini. Una nave scura risale il flusso tetro, è la Highland Brigade che va ad attraccare al molo di Alcantara."

09 novembre 2005

[figura] Osaze Odemwingie

Mi sono segnato il suo nome sul taccuino l'8 febbraio del 2004. Ero a Monastir (Tunisia)a seguire il quarto di finale della Coppa d'Africa. Piccolo stadio e scarsa risonanza sui media locali che invece puntavano l'attenzione su Marocco-Algeria, che si svolgeva lo stesso giorno e che avrebbe poi provocato gravi disastri all'ordine pubblico di Sfax, la città sede dell'incontro vinto dai marocchini. Camerun - Nigeria fu uno spettacolo con al centro del proscenio JJ Okocha, forse al suo meglio di sempre. In attacco era fondamentale il movimento di Osaze. I movimenti senza palla, che non mirano sempre a una ricezione ma che obbligano la difesa a muoversi, sono raramente nel DNA di un attaccante africano, che invece vuole palla sui piedi e non vede l'ora di giocarsi l'uno contro uno. Osaze, che poi sbagliò il rigore decisivo nella semifinale contro la Tunisia, non era così e mi piacque segnalarlo tra i giovani interessanti del torneo (è del 1981) in un articolo che feci per "il Messaggero", anche se non possedeva la classe del marocchino Chamakh. Osaze, papà nigeriano e mamma russa, ha tirato i primi calci nelle giovanili del CSKA. Poi, dopo qualche anno al sole della Nigeria è tornato in Europa, sollecitato da piccole squadre belghe. Spontandosi a sud di qualche chilometro ha trovato il Lille che gli sta offrendo il palcoscenico della Champions'.
Riporto di seguito l'articolo che scrissi subito dopo il citato Camerun - Nigeria.

Monastir, 8.2.2004 NIGERIA CAMERUN.

Nigeria Camerun è la partita di JJ Okocha. Nelle precedenti edizioni della competizioni i leoni indomabili l'hanno sempre mandato a casa. Oggi si prende la sua rivincita con una partita memorabile che sigilla con il gol del pareggio grazie a una punizione dal limite che è una prodezza balistica.

A Monastir, dove si incontrano le due grandi rappresentanti dell'Africa Nera, c'è davvero un bel clima sugli spalti, accompagnamenti musicali assordanti dei camerunensi che, a fine match, chiamano i giocatori nigeriani per tributare loro l'applauso e i complimenti che meritano ( com'è lontano Rades e i fischi ai senegalesi...).

Chukwu ha terminato gli esperimenti della prima fase e la partenza del ribelle, Yakubu, gli permette di razionalizzare un 442 che grazie alla qualità di Utaka sul lato destro diventa davvero pericoloso. Kanu offre la solita partita smorta, molto di più, almeno in termini di movimenti, regala l'atra punta, Odemwingie (nome) Osaze (cognome).

Il faro è pero' Okocha, nel primo tempo non disdegna, partendo da regista della linea dei 4 centrocampisti, il pressing, ma il meglio lo dà negli inserimenti (diverese conclusioni), negli assist e nelle aperture. Stilisticamente è perfetto, e oggi non ha portato con sè, fortunatamente, il suo istitno dribblomane che spesso lo ha limitato.

Uno dei rarissimi errori di posizionamento sul campo del Camerun offre a Utaka la palla della vittoria: Atouba, che parte da esterno offensivo nel rigido 442 di Schaefer per abbassarsi all'entrata in campo di Idrissou, è naturalmente fuori posizione dopo un corner, perde palla, i due centrali non riescono a chiudere sull'apertura verso l'esterno destro nigeriano e la semifinale è andata.

Schaefer ha costruito un 442 classico, con coperture e sincronie da squadra europea, in mezzo, pero', Djemba Djemba e Mbami proteggono bene Song e Mettomo, ma non hanno la velocità mentale di giocata e ruminano gioco, senza accendersi mai: rimane la stella di Eto'o che con giocate individuali e intuizioni geniali regala opportunità ai compagni e a sé, da una di queste, grazie a un rapido contropiede e a un bel lancio del terzino destro Doumbe, riesce a sbloccare il risultato.

Non basta, perché manca velocità di azione e, almeno questa volta, la potenza e l'organizzazione non bastano. Mboma finisce la sua triste partita dopo l'ennesimo colpo di tacco fuori bersaglio, ma pare che nella scelta di far giocare l'ex Parma e Cagliari, Schaefer centri poco, dato che si mormora sia volontà del capo di stato, anche se speriamo non sia vero.

La Nigeria ha sfatato il tabù Camerun e dopo dieci anni ha la concreta possibilità di ritornare alla vittoria ( la precedente volta fu proprio qui in Tunisia): è pronta per la semifinale ma chiede alla sua stella più lucente, Okocha, vicino al pallone d'oro africano, un'altra partita da favola. Per gli amanti del calcio di squadra, raccomandiamo invece la visione dell'altra semifinale, dove si sfideranno le squadre che hanno proposto il miglior calcio della manifestazione: Marocco e Mali.

08 novembre 2005

[comincio io] Il Mondiale under 17

Si è concluso da più di un mese il campionato mondiale under 17. L'ho seguito per il Guerin Sportivo. Il pezzo che segue è comparso nelle pagine di "Spring", la rubrica sul calcio giovanile del GS condotta da Gianluca Grassi, un nome troppo poco noto al grande pubblico.
Eccolo.

¡Arriba Mexico! Per la prima volta nella sua storia il Messico alza la coppa del Mondiale under 17.
Vittoria arrivata con pieno merito, quella in Perù, dato che dal girone eliminatorio il Tri ( nomignolo della nazionale messicana, sta per Tricolor) ha proposto il miglior calcio della manifestazione. Un calcio fatto di partecipazione, di movimento senza palla, di ordinato accompagnamento degli esterni, anche di difesa, soprattutto a sinistra, e di coinvolgimento ininterrotto di più elementi nelle giocate. A tutto si sommi l’incredibile estro di Giovani Dos Santos (origini brasiliane, gioca nelle giovanili del Barça), stimmate del fuoriclasse già evidenti, sinistro con buon controllo del destro e cambi di velocità e direzione palla al piede da Ronaldinho, e la classe di Carlos Vela (Chivas), capocannoniere del torneo, che abbina potenza e eleganza. Entrambi nati nel 1989, cioè più giovani di un anno rispetto allo standard richiesto, ma non così piccoli da tenere lontano la miriade di club europei che già si fanno sotto. Se Giovani verrà blindato (anche due squadre messicane hanno chiesto il prestito del giocatore), al padre di Vela, Francisco, hanno già sottoposto decine di offerte, la prima delle quali (“muy atractiva”) proprio dal Barcellona. Jorge Vergara, proprietario del Chivas di Guadalajara nega di voler trattare il giocatore prima di una reale affermazione nel Rebaño. Intanto, però, se lo coccola insieme ai compagni, tutti decisivi per la vittoria finale, che indossano già il biancorosso: il carismatico portiere Sergio Arias, il capitano Patricio Araujo e il grintoso Omar Esparza autore del secondo gol nella finale dove i messicani hanno schiantato il Brasile 3-0. Menzione d’obbligo, nell’equilibrato e divertente 442 voluto da Jesus Ramirez, per Cesar Villaluz (Cruz Azul), moto perpetuo sulla fascia destra e qualità nelle giocate come nel fantastico sette trovato nella semifinale stravinta (4-0) contro l’Olanda. Sconfitto in finale ma tatticamente lontano da standard assoluti il Brasile. Le giocate individuali dei suoi uomini migliori l’hanno portato in fondo e se Celso (Portuguesa), fenomenale finale di torneo il suo, grande nell’uno contro uno, non avesse centrato la traversa ancora sullo 0-0 nella finale col Messico forse celebreremmo altro. Senza merito di squadra, è evidente. Anderson (Gremio), eletto miglior giocatore del torneo davanti a Dos Santos e fisicamente pronto per la prossima esperienza europea nel Porto (dopo gli abbocchi con Palermo e Inter), aveva trascinato i suoi con l’assist decisivo nella tirata semifinale con la Turchia (4-3 all’89’), oltre a esibire maturità in tutto il torneo, ma aveva abdicato subito contro i messicani per un colpo ricevuto dopo meno di 10 minuti. “Siamo partiti senza Kerlon (considerato il migliore al mondo), qui si è infortunato prima Ramon poi Anderson: la finale è un ottimo traguardo”, si giustifica Nelson Rodrigues, allenatore di un Brasile che propone l’ennesimo favoloso esterno sinistro, Marcelo (Fluminense). Difficile che troverà parole per scusarsi per l’esordio: Gambia 3 – Brasile 0, ma lo aiutiamo noi. Prima della competizione più di un addetto ai lavori africano accusava, a microfoni spenti, il Gambia di truccare carte d’identità. Sospetto, questo, palesato in una conferenza stampa di metà torneo dall’allenatore del Qatar, l’olandese Tini Ruijs. Qualche sospetto anche per i coreani del nord, che hanno messo in mostra un rigido 442 e l’ottimo attaccante Myong Ho Choe. Quest’anno per la prima volta si è sperimentato il test MRI (Magnetic Risonance Imaging) che “misura” e “pesa” le ossa per evitare i vecchi trucchi identitari; si sono scelti a estrazione giocatori, non più di quattro per squadra, per testare gli atleti senza nessuna comunicazione a posteriori, quasi a mo’ di monito per le prossime volte. Vedremo. Se hanno deluso le africane ( piuttosto sfortunato però il Ghana che, pur giocando bene, soffre della malattia della squadra A: poca gente che vede la porta), insieme ai padroni di casa del Perù (fuori subito), ci si aspettava qualcosa di più dagli Stati Uniti e, soprattutto, dalla Cina che ha raggiunto i quarti costruendo monumentali catenacci davanti al portiere Wang, strepitoso nel match col Perù, ma proponendo davvero poco. Buon cammino per il Costarica che, grazie a un’incredibile autorete di Andrade e a situazione fortunose, stava per estromettere nei quarti il Messico, qualificatosi poi nei supplementari. Ottime le europee, al netto dell’Italia: Turchia e Olanda hanno raggiunto entrambe le semifinali. Alta qualità media per l’Olanda con la conferma del centravanti Diego Biseswar (Feyenoord), potente, agile e che non manca di confidenza nello stretto. Ottima figura per i turchi, probabilmente la miglior squadra insieme al Messico, con più sciabola e meno qualità di tocco, anche se la grazia mescolata, purtroppo, alla discontinuità si accendeva in Ylmaz Deniz (Bayern) e Sahin Nuri (Borussia Dortmund), autore quest’ultimo della gemma del torneo: un pallonetto da trequarti campo al portiere brasiliano Felipe per il temporaneo pareggio in semifinale dopo che si erano trovati in 10 e sotto, immeritatamente, di tre gol. Partita incredibile che ha esaltato la tenacia di Caner Erkin (Vestel Manisaspor), anima della squadra e tutt’altro che goffo coi piedi: da seguire. Il chip nel pallone è servito solo a segnalare due nuovi, interessanti files: Messico e Turchia. Salva con nome.

Fonte: "Il Guerin Sportivo"

L'inizio

Nato come rubrica del sito di Stefano Olivari, Indiscreto.it , il bar si trasforma in blog e prova a camminare da solo.
Ancora ci rivolgiamo a quelli che seguono con passione le infinite strade del calcio: facciamo quattro chiacchiere?