08 novembre 2005

[comincio io] Il Mondiale under 17

Si è concluso da più di un mese il campionato mondiale under 17. L'ho seguito per il Guerin Sportivo. Il pezzo che segue è comparso nelle pagine di "Spring", la rubrica sul calcio giovanile del GS condotta da Gianluca Grassi, un nome troppo poco noto al grande pubblico.
Eccolo.

¡Arriba Mexico! Per la prima volta nella sua storia il Messico alza la coppa del Mondiale under 17.
Vittoria arrivata con pieno merito, quella in Perù, dato che dal girone eliminatorio il Tri ( nomignolo della nazionale messicana, sta per Tricolor) ha proposto il miglior calcio della manifestazione. Un calcio fatto di partecipazione, di movimento senza palla, di ordinato accompagnamento degli esterni, anche di difesa, soprattutto a sinistra, e di coinvolgimento ininterrotto di più elementi nelle giocate. A tutto si sommi l’incredibile estro di Giovani Dos Santos (origini brasiliane, gioca nelle giovanili del Barça), stimmate del fuoriclasse già evidenti, sinistro con buon controllo del destro e cambi di velocità e direzione palla al piede da Ronaldinho, e la classe di Carlos Vela (Chivas), capocannoniere del torneo, che abbina potenza e eleganza. Entrambi nati nel 1989, cioè più giovani di un anno rispetto allo standard richiesto, ma non così piccoli da tenere lontano la miriade di club europei che già si fanno sotto. Se Giovani verrà blindato (anche due squadre messicane hanno chiesto il prestito del giocatore), al padre di Vela, Francisco, hanno già sottoposto decine di offerte, la prima delle quali (“muy atractiva”) proprio dal Barcellona. Jorge Vergara, proprietario del Chivas di Guadalajara nega di voler trattare il giocatore prima di una reale affermazione nel Rebaño. Intanto, però, se lo coccola insieme ai compagni, tutti decisivi per la vittoria finale, che indossano già il biancorosso: il carismatico portiere Sergio Arias, il capitano Patricio Araujo e il grintoso Omar Esparza autore del secondo gol nella finale dove i messicani hanno schiantato il Brasile 3-0. Menzione d’obbligo, nell’equilibrato e divertente 442 voluto da Jesus Ramirez, per Cesar Villaluz (Cruz Azul), moto perpetuo sulla fascia destra e qualità nelle giocate come nel fantastico sette trovato nella semifinale stravinta (4-0) contro l’Olanda. Sconfitto in finale ma tatticamente lontano da standard assoluti il Brasile. Le giocate individuali dei suoi uomini migliori l’hanno portato in fondo e se Celso (Portuguesa), fenomenale finale di torneo il suo, grande nell’uno contro uno, non avesse centrato la traversa ancora sullo 0-0 nella finale col Messico forse celebreremmo altro. Senza merito di squadra, è evidente. Anderson (Gremio), eletto miglior giocatore del torneo davanti a Dos Santos e fisicamente pronto per la prossima esperienza europea nel Porto (dopo gli abbocchi con Palermo e Inter), aveva trascinato i suoi con l’assist decisivo nella tirata semifinale con la Turchia (4-3 all’89’), oltre a esibire maturità in tutto il torneo, ma aveva abdicato subito contro i messicani per un colpo ricevuto dopo meno di 10 minuti. “Siamo partiti senza Kerlon (considerato il migliore al mondo), qui si è infortunato prima Ramon poi Anderson: la finale è un ottimo traguardo”, si giustifica Nelson Rodrigues, allenatore di un Brasile che propone l’ennesimo favoloso esterno sinistro, Marcelo (Fluminense). Difficile che troverà parole per scusarsi per l’esordio: Gambia 3 – Brasile 0, ma lo aiutiamo noi. Prima della competizione più di un addetto ai lavori africano accusava, a microfoni spenti, il Gambia di truccare carte d’identità. Sospetto, questo, palesato in una conferenza stampa di metà torneo dall’allenatore del Qatar, l’olandese Tini Ruijs. Qualche sospetto anche per i coreani del nord, che hanno messo in mostra un rigido 442 e l’ottimo attaccante Myong Ho Choe. Quest’anno per la prima volta si è sperimentato il test MRI (Magnetic Risonance Imaging) che “misura” e “pesa” le ossa per evitare i vecchi trucchi identitari; si sono scelti a estrazione giocatori, non più di quattro per squadra, per testare gli atleti senza nessuna comunicazione a posteriori, quasi a mo’ di monito per le prossime volte. Vedremo. Se hanno deluso le africane ( piuttosto sfortunato però il Ghana che, pur giocando bene, soffre della malattia della squadra A: poca gente che vede la porta), insieme ai padroni di casa del Perù (fuori subito), ci si aspettava qualcosa di più dagli Stati Uniti e, soprattutto, dalla Cina che ha raggiunto i quarti costruendo monumentali catenacci davanti al portiere Wang, strepitoso nel match col Perù, ma proponendo davvero poco. Buon cammino per il Costarica che, grazie a un’incredibile autorete di Andrade e a situazione fortunose, stava per estromettere nei quarti il Messico, qualificatosi poi nei supplementari. Ottime le europee, al netto dell’Italia: Turchia e Olanda hanno raggiunto entrambe le semifinali. Alta qualità media per l’Olanda con la conferma del centravanti Diego Biseswar (Feyenoord), potente, agile e che non manca di confidenza nello stretto. Ottima figura per i turchi, probabilmente la miglior squadra insieme al Messico, con più sciabola e meno qualità di tocco, anche se la grazia mescolata, purtroppo, alla discontinuità si accendeva in Ylmaz Deniz (Bayern) e Sahin Nuri (Borussia Dortmund), autore quest’ultimo della gemma del torneo: un pallonetto da trequarti campo al portiere brasiliano Felipe per il temporaneo pareggio in semifinale dopo che si erano trovati in 10 e sotto, immeritatamente, di tre gol. Partita incredibile che ha esaltato la tenacia di Caner Erkin (Vestel Manisaspor), anima della squadra e tutt’altro che goffo coi piedi: da seguire. Il chip nel pallone è servito solo a segnalare due nuovi, interessanti files: Messico e Turchia. Salva con nome.

Fonte: "Il Guerin Sportivo"

1 commento:

Anonimo ha detto...

I tuoi articoli sono sempre molto interessanti. complimenti
Giuseppe