29 marzo 2012

Il Flamengo e Ronaldinho inciampano ad Asunción

Olimpia (Par) - Flamengo (Bra) 3-2

Giocare ad Asunción non è mai facile, l'ambiente è sempre un fattore e l'Olimpia gioca una partita da coltello tra i dentri. Pressione, recupero e ripartenza. L'intensità tra le due squadre fa la differenza nel match. I padroni di casa vanno in vantaggio col migliore in campo, Orteman. Dopo la stagione all'Indipendiente e il passaggio anni fa, sembrava poter venire fuori un giocatore davvero buonissimo per l'Europa di medio livello: grande grinta e volontà non sono bastate per imporsi nel Vecchio Mondo (è passato anche all Racing Santander). Vederlo così determinato e determinante, qualche rammarico, per una carriera che poteva essere diversa, ti viene. Ieri ha braccato il povero Ronaldinho, costretto a giocare un sistema in cui non riesce a ricevere la palla se non spalle alla porta. Sovrastato dalla vigoria altrui, Dinho regala, al 48', la perla dell'assist sul primo gol di Vagner Love, anche lui da aggiungere alla serie: meritava un'altra carriera, e qui parliamo di altissimi livelli, pure ieri giocate favolose dell'ex CSKA. Il Flamengo tiene palla, ma il possesso è sterile, la difesa non viene mossa e l'Olimpia è sempre un pericolo quando riparte. Luiz Antonio e Muralha non giocano la loro migliore partita: non brilla neppure il talento di Zeballos tra i paraguayani (malino anche il giovane e giustamente quotato Caballero), ma è lui che firma il 2-1 e indirizza definitivamente il match. 3-1 di Aranda, poi un gran gol di Bottinelli, da 30 metri, regala un po' di speranza al Mengo, ma l'Olimpia, leader nel suo campionato, si mette in tasca i tre punti e raggiunge a 7 il Lanus, sorpassando i carioca che ora rimangono a meno due dalla coppia di vetta. Mancano due giornate dal termine della fase a gruppi.


Fonte: Tropico del Calcio

27 marzo 2012

(Almeno) un titulo per l'Inter




Finire la stagione con “Sero Tituli”. Una delle tante locuzioni incisive che José Mourinho ha regalato al giornalismo sportivo italiano, odiatissimo mantra ripetuto per mesi e anni dai tifosi interisti in tutti i bar del Paese, pareva giungere al naturale contrappasso. L'Inter, incagliatasi nell'ultima stagione nel pantano della mediocrità, era diretta verso il girone dei Senzatitoli.

Eppure la società nerazzurra un trofeo, anche importante, lo ha appena alzato: sotto gli occhi di Massimo Moratti l'Inter ha sollevato la coppa della Next Gen Series, il torneo, riservato ai ragazzi under 19, dove sono state impegnate le migliori squadre d'Europa e che nel giro di un paio di stagioni diventerà ufficialmente la Champions giovanile con il beneplacito dell'Uefa, che sta ora solo monitorando la competizione. Nella finale di Londra ha battuto l'Ajax, ai rigori, in una partita di orgoglio e sofferenza, in puro stile Inter, giocando 20 minuti e tutti i supplementari con un uomo in meno. La squadra olandese, probabilmente quella con maggiore talento in tutta la manifestazione, aveva fatto fuori anche il Barcellona nei quarti e umiliato il Liverpool in semifinale (6-0, il finale).

Alla guida della pattuglia vincente nerazzurra, Andrea Stramaccioni, 34 anni e un'esposizione mediatica eccessiva, in queste settimane, a causa della ottima competenza (ha già fatto bene nel settore giovanile della Roma) e per i continui inciampi della prima squadra del concittadino Ranieri. L'anno passato l'Inter vinceva il Torneo di Viareggio con Fulvio Pea, oggi ottimo trainer al Sassuolo, con una squadra mentalmente solida: le fondamenta sono rimaste (uomini chiave come Lorenzo Crisetig e Marek Kysela), l'architettura si è modificata mettendo al centro della manovra un brasiliano del 1993, finalmente pronto al grande salto.

Gli esperimenti tattici di “Strama” non hanno mai prescisso da Daniel Bessa, una delizia palla al piede fin dai tempi dell'Atletico Paranaense, dove il talent scout Pierluigi Casiraghi lo ha scovato. Il carattere c'è sempre stato, nonostante brutti periodi causati da problemi familiari, ma in campo, e non solo, la testardaggine e la grande personalità sono divise da un confine molto labile, e comunque spesso definito solo a posteriori, a seconda della riuscita o meno della giocata. Nella finale di ieri si è continuamente messo le mani al volto, nonostante non sia l'ultima partita dell'anno, ci teneva forse più di tutti, in una partita così importante, a dimostrare quello che è diventato: un giocatore vero, e non solo per l'assist che ha regalato al Samuele Longo in occasione del vantaggio nerazzurro.

L'anno prossimo giocherà tra i grandi, all'Inter o in qualche altro club in prestito, così come altri suoi compagni, a cominciare da Duncan, ragazzo ghanese dal sinistro educatissimo e dalla grande potenza fisica. Con un po' di enfasi, l'Amministratore Delegato dell'Inter Ernesto Paolillo, ha parlato di nascita di una Scuola Inter, tra i giovani, dopo quelle, arci-citate, di Barça e Ajax. Il campo senza barriere di Interello è pronto ad accogliere nuovi gioielli, ma la vera rivoluzione dovrebbe venire dalla Federazione: perché non facciamo giocare queste squadre Primavera, che praticano anche un gioco esteticamente godibile, con i professionisti della Lega Pro? Ad alzare la Coppa dei giovani non sarebbe solo l'Inter ma, finalmente, tutto il movimento calcio del Belpaese. In questo momento, più di una vittoria.

CARLO PIZZIGONI
Fonte: Max

24 marzo 2012

Bielsa: Inter, Italia cosa ci siamo persi! O no?





Cosa ci siamo persi. Marcelo Bielsa, dopo l’improvvisa partenza di Leonardo era stato contattato da Massimo Moratti per sedere sulla panchina dell’Inter: aveva tuttavia già un accordo con il futuro presidente dell’Athletic Bilbao e nei Paesi Baschi era destinato. Al numero uno nerazzurro era giunto solo il messaggio, in stile Bielsa, profondo, elegante e circostanziato, ma non il sì agognato. Un peccato, non solo e non tanto per l’Inter, quanto per il calcio italiano tutto. A Bilbao, Bielsa sta proponendo il calcio esteticamente più gradevole del Vecchio Continente, in Europa League ha appena eliminato il Manchester United (sic), andando a dominare pure a Old Trafford. Ma questo è il meno.

Il personaggio Bielsa è qualcosa che fa bene al calcio, e poi regala aneddoti davvero unici. Uno che “vive e respira futbol”, ma che salta di netto la lettura delle pagine sportive dei quotidiani per quelle di approfondimento e potrebbe raccontare nei dettagli la crisi della scuola pubblica cilena, uno dei tanti argomenti che gli sta a cuore, lui, fratello di un ex ministro della Repubblica Argentina. Se non ci credete potete chiederglielo direttamente, se passate a orari impensabili, di solito la mattina presto, sul lungomare di Las Arenas, nelle vicinanze dell’Hotel Embarcadero, dove ancora abita. Bielsa è unico. Dove è nato, a Rosario, dove ha giocato e allenato, al Newell’s, è un mito inarrivabile, tanto che è titolare del nome dello stadio del club.

Un idolo è anche in Cile, dopo aver portato la Nazionale dove mai era arrivata in un Mondiale. Bielsa è il primo a riconoscere che i risultati sono tutto, però l’aurea mitologica che lo circonda in ogni posto dove va (e oggi quindi anche a Bilbao, dopo un iniziale scetticismo), non dipende da un 3-0 in più o in meno. Perfezionista, esigente, carismatico, all’Inter sarebbe probabilmente l’unico a non perdere il confronto su questi campi con José Mourinho. A cui lo accomuna anche la fede cattolica, vissuta in profondità ma mai esibita, esattamente come nello Special One. Il loro approccio para-scientifico alla professione di tecnico contiene pure un retroterra di fede vissuta anche in maniera preconciliare, miracolistica ma con inserti culturali “progressisti”. Mou è figlio del cattolicesimo ai limite della superstizione del Portogallo ma anche di un Paese che ha respirato l’euforia “socialista” nel dopo Salazar, Bielsa proviene da una borghesia illuminata in un Paese però in cui la Chiesa, al di là di sparute eccezioni, non ha vissuto le stagioni di impegno sociale tra i Settanta e gli Ottanta, nell’America Latina incendiata dalla Teologia della Liberazione.

Ha fatto rumore, nella Spagna che ancora conserva anime distinte, una fortemente anticlericale l’altra al limite del bigottismo, l’ “Enigma Clarisa”. Durante il match contro l’Osasuna, Bielsa ha fatto appiccicare alla panchina un foglio con un oscuro riferimento alle clarisse: “ E’ stato un gesto fatto per provocare felicità, nulla di più.” L’arcano fu svelato giorni dopo: Bielsa, con la moglie, aveva visitato un paio di settimane prima il Convento di Santa Clara, a Guernica, quella di Picasso e del bombardamento nazista. “Sono argentino e alleno l’Athletic, potrei entrare?”, si sarebbe presentato a mezza voce così. Suor Teresa ha svelato il mistero: “ Ci ha detto che una zia monaca ha rafforzato la sua fede, ci ha chiesto di pregare per lui. Ci avrebbe anche ringraziato e salutato dalla sua panchina. Ci ha fatto piacere: ma noi non abbiamo la tv, abbiamo sentito tutto per radio.”

Più di un giocatore perpetua il medesimo ritornello: “mai nessun altro tecnico mi aveva chiesto quello che mi chiede Bielsa”. Eppure gli allenamenti sono vissuti con un bello spirito: in uno di questi, recentemente, dell’Athletic il Loco Bielsa ha chiesto a un bambino che stava in tribuna se poteva scendere e dargli una mano: “mi ha chiesto di ripetere ogni volta a Susaeta di calciare forte i corner”, è l’incredibile resoconto del niño. Bielsa è un riconosciuto Maestro dell’organizzazione di gioco e produttore di un calcio talmente offensivo che pure il Barça, al confronto, pare un gruppo di catenacciari trovatisi la sera prima della partita. Proprio dalla Catalogna BlauGrana, che qualcuno sibila possa essere la sua prossima destinazione, giunge il complimento più pesante: per Guardiola, Bielsa è semplicemente “l’allenatore migliore del mondo”. E il Loco, come gli ha risposto? “Grazie”, stop. Semplicemente unico.


CARLO PIZZIGONI

Fonte: Max

22 marzo 2012

Senza Oscar, l'Internacional si salva in Bolivia. Corinthians solido e sicuro in casa

The Strongest (Bol) – Internacional (Bra) 1-1

La partita di “andata”, dominata dall’Internacional (5-0 il finale), è rimasta solo una voce d’almanacco: i boliviani di The Strongest, giocando agli oltre 3500 metri di La Paz, in casa sono di altra pasta. In verità, non è solo l’altitudine. I ragazzi di Acosta giocano, ogni volta meglio, un calcio propositivo e spesso piacevole da vedere. L’Internacional con un reparto di costruzione molto lineare, guidato da due mediani di contenimento come Tinga-Guiñazú, non riesce a fornire palle “pulite” gli avanti: Leandro Damiao non è nemmeno ispiratissimo di suo; inoltre, non riuscendo a tenere un ritmo alto, per le condizioni “altimetriche”, subisce per tutta la gara i padroni di casa. Il problema nasce dall’assenza di Oscar: il ragazzo è nel mezzo di una battaglia legale tra il Colorado e il San Paolo, dove è cresciuto calsticamente. Un giudice dello stato paulista ha dato ragione al Tricolor, invalidando di fatto il trasferimento all’Inter, che per cautelarsi non lo schiera. Dagoberto rimane l’unico giocatore in grado di creare qualcosa davanti, ma predica nel deserto. Molto bene invece la squadra di La Paz che va in vantaggio meritatamente con il giovane attaccante Ramallo. Sfiora più volte il raddoppio ( Muriel è miracoloso in più di una occasione) grazie alle ottime giocate dell’esperto Escobar e del ragazzo meraviglia Chumacero (un peccato il suo fisico sia così minuto, altrimenti l’Europa gli avrebbe già aperto la Porta Grande). L’Inter trova però il pari importantissimo nel finale con Gilberto, gol rocambolesco che avvicina il Colorado alla qualificazione.



Corinthians (Bra) – Cruz Azul (Mes) 1-0

Il Timao di Tite, ormai lo abbiamo capito, non è esattamente il club che ti conquista con la sua estetica calcistica. Tuttavia, rimane tremendamente efficace e finché vince le critiche dei puristi brasiliani rimangono in galleria. Anche contro i messicani del Cruz Azul, sprovvisto di diversi uomini (Waldo Ponce, Domínguez e Torrado più i giovani Araujo e Aquino impegnati con il Tri nel Preolimpico), quello che brilla nel Corinthians è la struttura difensiva, con la linea invalicabile in mezzo formata da Ralf e Paulinho. Davanti ci pensa il solito Alex, prima e unica fonte delle giocate offensive: da lui nasce tutto, anche la punizione per l’unico gol della partita, realizzato di testa da Danilo. Il trio d’attacco dei Cementeros Bravo-Giménez-Perea è pericoloso nelle ripartenze e dà una mano anche in fase passiva, il gol però non arriva.


CARLO PIZZIGONI
Fonte: Tropico del Calcio

21 marzo 2012

Libertadores. Lanus corsaro a Guayaquil: qualificazione a un passo

Due le partite che aprono la metà settimana di Copa Libertadores.

Emelec (Ecu) – Lanus (Arg) 0-2

Partita molto importante nell’equilibrato gruppo 2, con tutte le squadre racchiuse in due punti. A Guayaquil, ottimo inizio del Lanus che va subito in vantaggio: schema su punizione laterale a liberare Regueiro, sinistro e vantaggio argentino. Il match è molto equilibrato e poco spettacolare: Diego Valeri prova a innescare le giocate di Camoranesi e di Regueiro, l’Emelec riparte discretamente e fa molto gioco sugli esterni dove eccellono Gimenez e Enner Valencia, interessante ragazzo del 1989. La squadra preferita dal Presidente ecuadoriano Correa gioca con una linea dietro a tre centrali, manca un po’ l’apporto, sia nell’appoggio in ripartenza che a difesa schierata ( e si mangia pure un gol clamoroso) del centravanti, Luis Figueroa, che pure a Genoa non ha lasciato cuori infranti dopo il suo addio. Il giovane Marlon De Jesus (1991) inizia malino ma cresce alla distanza con la squadra ecuadoriana che guadagna sempre più campo. Un fallo da rigore sul Tanque Pavone, però, chiude la gara: segna ancora Regueiro e avvicina sensibilmente il Lanus al passaggio del turno.



Bolivar (Bol) – Junior (Col) 2-1

Vittoria di misura ma meritata del Bolivar che sostanzialmente esclude dalla Libertadores i colombiani del Junior di Barranquilla (un solo punto in quattro partite). In rete per i boliviani Lorgio Álvarez y Jhasmani Campos, dimezza lo scarto Carlos Ruiz. Il Bolivar, sempre una squadra interessante da vedere, controlla la partita dall’inizio alla fine, mettendo di nuovo in mostro il piccolo gioiello del calcio boliviano, Rudy Cardozo.

17 marzo 2012

Roberto Di Matteo, l'uomo del Destino





L’uomo del Destino. Ci voleva l’eroe per caso Roberto Di Matteo a riportare il Chelsea a respirare un po’ di gloria anche in Europa. Eliminando il Napoli e qualificandosi per i quarti di finale (con la possibilità di andare pure oltre: in semi c’è il Benfica) l’ex centrocampista della Lazio ha già fatto meglio dell’illustre predecessore Carlo Ancelotti, che coi Blues si era fermato agli ottavi. In tema di Italian Job ha fatto ombra anche aRoberto Mancini, che dopo la debacle nel girone di Champions è riuscito anche a farsi eliminare in Europa League dal non irresistibile Sporting Lisbona: il suo City mantiene quindi una sola leadership, quella degli stipendi e delle spese folli per ammonticchiare giocatori di talento.

È quindi Di Matteo, l’italiano che ci dà maggiore lustro all’estero: italiano vero perché è sì nato in Svizzera, a Sciaffusa, ma da genitori proveniente da Paglieta, in Abruzzo, e non ha mai ceduto alle lusinghe rossocrociate, attendendo la chiamata della Nazionale Azzurra, dove ha collezionato alla fine 34 presenze. «Sono cresciuto giocando a calcio. Ero nella Serie B svizzera, occupando un posto da straniero. Mi dissero: potrai fare molta più carriera diventando svizzero. Ma io avevo già deciso: sarei rimasto italiano anche per fare l'operaio, sarei tornato in Italia pure per lavorare in fabbrica».

Il Destino, non si sa se per premiarlo per questa dichiarazione strappalacrime, decide di scartare Mirafiori e di farlo approdare alla Lazio di Zoff. Cacciato il numero 1 di Spagna ‘82 è Zdenek Zeman a servirsi delle sue qualità in mezzo al campo: gioca più di ottanta partite in biancoceleste ma dopo un errore in una gara contro l’Inter il Boemo gli mette una croce sopra e lo emargina. Tocca di nuovo al Destino occuparsi di lui, e lo spedisce a Stamford Bridge, dove diventa un idolo: serio, lavoratore, uomo di poche parole e tanti fatti, cresciuto con gli emigranti italiani, ne ha ereditato i tanti pregi, con il plus di possedere due buoni piedi e un grado elevato di QI calcistico.

Si guadagna un paio di Coppe d’Inghilterra e soprattutto l’affetto dei tifosi del Chelsea quando saluta definitivamente i Blues e il calcio. Diventa telecronista ma da Lassù c’è un nuovo intervento. Quasi per caso diventa manager, e fa benissimo col West Bromwich Albion, portandolo in Premier League. Tanti gli preconizzano un futuro da ottimo tecnico e lui, invece di attendere la chiamata di una grande squadra, decide di sedersi tranquillo e di fare da vice ad André Villas Boas, già assistente di Mourinho e vincitore di tutto col Porto.

Qui però gli sceneggiatori si fanno prendere un po’ la mano: il portoghese che tutti volevano a inizio stagione (Abramovich ha sborsato 15 milioni cash al Porto per averlo) fallisce, Robbie si mette in panchina e non sbaglia un colpo: vince in campionato e Coppa e fa fuori dalla Champions una delle squadre più in forma d’Europa, il Napoli di Mazzarri. Fermarsi qui? Vediamo cosa ne pensano lassù.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Max

16 marzo 2012

Libertadores. Super Santos con lo zampino del Ganso. Flamengo rimontato dall'Olimpia

Ultima notte di Libertadores della settimana. con due incontri decisamente spettacolari. Brasiliane in chiaro-scuro, bene il Santos male il Flamengo.

Juan Aurich (Per) – Santos (Bra) 1-3

Il Santos di Muricy è davvero tornato quello dell’anno scorso: piacevole da vedere, concreto e convinto. Non avrebbe potuto permettersi la partia che ha giocato senza queste condizioni, soprattutto dopo lo svantaggio iniziale: gran gol di Tejada, dopo un’ottima incursione di Israel Kahn, centrocampista classe ’88 in forte ascesa. Nel vortice delle polemiche, con il tecnico colombiano Umaña, vero protagonista della vittoria nel campionato passato (in finale contro l’Alianza Lima), nell’occhio del ciclone (la sua permanenze è appesa a un filo), la squadra di Chiclayo difende compatta dietro, cercando di raddoppiare e triplicare quando la palla giunge nei piedi di Neymar. L’inerzia della partita la cambia, dopo le difficoltà del Santos anche di adeguarsi al campo in sintetico, la rete di Jorge Fucile (ottima la gara anche dell’altro esterno, Juan). L’ex Porto pareggia poco dopo la mezz’ora e il Santos riprende vita, senza fermarsi più. Il palcoscenico, più di Neymar, lo prende il Ganso, finalmente tornato su livelli di gioco eccellenti: segna il gol del vantaggio su punizione e regala un assist dei suoi per il terzo gol del Peixe, realizzato dal sempre presente Borges. La prestazione di stanotte rilancia le quotazioni di questo giocatore così particolare, che va a un’altra velocità e tocca picchi di squisitezza tecnica cui giungono davvero in pochi. I peruviani, che perdono per doppio giallo Guadalupe, si arrendono. E la partita scema di interesse. Per i brasiliani qualche errore di troppo di Arouca, mentre sale sempre più il rendimento di un centrocampista tuttofare come Ibson.



Flamengo (Bra) – Olimpia (Par) 3-3

Al Flamengo non fa difetto la tecnica, la qualità, manca proprio la zucca. Farsi rimontare tre gol nell’ultimo quarto d’ora del match, testimonia della mancanza di anima di questa squadra. Il Mengo inizia con una sorta di 4321, in mezzo insieme a Bottinelli ci sono i due ragazzi che i carioca stanno lanciando nel grande calcio, Muralha (oggi sotto il suo standard)e Luiz Antonio, poi Ronaldinho e Thomas (altro ’93) dietro al riferimento offensivo Vagner Love (migliore in campo dei suoi), che manda in rete Bottinelli a fine primo tempo. Dinho su rigore e Luiz Antonio paiono chiudere la partita nel secondo tempo, e invece la debacle finale divide la posta in palio. Bene nell’Olimpia la coppia d’attacco Biancucchi – Luis Caballero (un ’90 che segna la rete del 2-3).

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Tropico del Calcio

12 marzo 2012

Il bravo Stefano Pioli, il nuovo Bologna e la fortuna di incontrare un Presidente Tafazzi





Maurizio Zamparini ha l’abitudine di pentirsi. Uomo senza filtri, pensa solo dopo aver agito, e rientra spesso alla perfezione nella sagoma di Tafazzi. Pure peggio, il Presidente del Palermo confessa che non si limita più a fracassarsi i gioielli di casa come il celebre personaggio di MaidireGol, oggi si “mangerebbe un testicolo”. Per la rabbia, il rimorso di aver licenziato dopo nemmeno due mesi e prima dell’inizio del campionato, Stefano Pioli, oggi alla guida del Bologna, davanti in classifica ai rosanero e soprattutto celebrato come uno dei migliori tecnici della nostra Serie A.

L’incredibile estate di Pioli, che ieri ha sdraiato la Lazio all’Olimpico, era cominciata con il corteggiamento da parte della Roma. Il “Progggetto” della nuova Roma americana poteva cominciare con lui: il DS Sabatini lo aveva incontrato almeno un paio di volte e, certamente, fosse dipeso solo da lui, oggi l’allenatore parmense sarebbe a Trigoria. L’Uomo per far ripartire i giallorossi viene invece individuato da Franco Baldini, deus ex machina della “Magica”, in Luis Enrique, anche per dare un segnale di forte rottura rispetto a tutto l’ambiente interno e esterno.

Sabatini però una telefonata al suo ex datore di lavoro, Maurizio Zamparini, la fa: “Pioli è uno buono”, e Zampa allunga immediatamente un biennale al tecnico reduce da una bella stagione al Chievo. Punta Raisi però ha appena visto i decolli di Javier Pastore e Salvatore Sirigu, direzione Parigi-Charles de Gaulle, hanno salutato anche altri elementi importanti come Mattia Cassani e Cesare Bovo: i rosanero devono ricostruire.

La pazienza non è tra le prime virtù dello Zampa, che dopo un paio di amichevoli e l’esordio sfortunato in Europa League, decide che Pioli non è l’allenatore per lui: passerà Mangia e ora c’è, ma non si sa per quanto, Lino Mutti. Dalla centrifuga estiva salta fuori qualcosa di interessante in autunno, per il nostro: il Bologna, la squadra dove Pioli aveva cominciato ad allenare, coi giovani, anni fa, lo vuole per sostituire l’esonerato Bisoli. Destino. E immediato successo. L’ex giocatore di Juve e Fiorentina, costruisce la squadra attorno a Perez e Mudingayi, rudi professori di metacampo, cervelli fini che lasciano la vetrina al talento da fuoriclasse di Gaston Ramirez e permettono le giocate a Diamanti e al capitano Di Vaio.

Pioli domina a San Siro contro l’Inter, vince all’Olimpico, è vicino alla salvezza e può osare anche qualcosa di più. Soprattutto, più di tutto, ha ridato dignità calcistica ai rossoblù, oggi il Bologna è tornato finalmente a proporre calcio dall’estetica apprezzabile e dalla grande sostanza: merito di un’estate di rifiuti e di un uomo troppo incline al pentimento.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Max

07 marzo 2012

Libertadores. Peñarol ferma l'Universidad de Chile, Vasco nel segno di Dedé e Barbio

Note di emozione e di spettacolo in Libertadores, almeno sui due campi principali.

Peñarol (Uru) - Universidad de Chile (Cil) 1-1

Al Centenario di Montevideo, il Peñarol riesce a bloccare l'Universidad de Chile sull'1-1, e guadagna il primo punto nel girone più equilibrato, come valori, di tutta la competizione. La squadra di Sampaoli dopo un primo periodo di affiatamento è ritornata ad essere la miglior proposta estetica di calcio di tutto il subcontinente: se ne sono andati Vargas e Canales ma la squadra è rimasta competitiva. Castro, Fernandes e Ruidiaz (proveniente dall'Universitario), più il baby Henriquez (classe 1994, ieri in campo al posto del peruviano), favoloso prospetto già bloccato dal Manchester United, paiono essere inseriti da tempo nel complicato ma efficacissimo tecnico di scuola Bielsa.

LA PARTITA: Il Peñarol è andato in vantaggio con un bel gol di Freitas, e ha accentuato la sua strategia di difesa compatta e ripartenza, lasciando volentieri la palla ai cileni. La U raggiunge il pareggio poco dopo la mezz'ora con Fernandes, e continua a macinare calcio di qualità. nella ripresa cambio offensivo di Da Silva che inserisce Maxi Perez, poi sostituzione per l'ex Juve Zalayeta (poco ispirato) con l'ex Palermo Joao Pedro; un 433 propositivo con Freitas in mezzo, Joao Pedro e Cristoforo ai lati, Mora centravanti con il supporto di Maxi e Estoyanoff, la squadra paradossalmente guadagna in equilibrio ma alla fine non riesce nell'impresa di guadagnarsi i 3 punti e resta con un punticino (in tre gare) all'ultimo posto di un girone che comprende anche i colombiani dell'Atletico Nacional e il Godoy Cruz.



Vasco (Bra) - Alianza Lima (Per) 3-2

Forti emozioni anche il Sao Januario in un match condotto dal Vasco, che è riuscito a complicarsi la vita contro i peruviani dell'Alianza Lima sbagliando due dei tre rigori che si era conquistati (entrambi con Alecsandro, che al terzo penalty ha girato al largo e ha lasciato l'incombenza alla classe di Juninho Pernambucano).

LA PARTITA: Gestisce bene la partita il Vasco in mezzo al campo ma ha difficolà nell'ultimo terzo di campo, dove le giocate migliori sono dell'ultimo arrivato, l'interessante giovane Barbio (qualcuno parla già di un interessamento dell'Inter). Classe 1992, ex Nova Iguaçu, Barbio ha dato ampiezza e profondità nella parte destra dell'attacco vascaino, col supporto anche della sovrapposizione di Fagner, e da un paio di sue giocate nascono le situazioni chiave del match, l'autorete di Ramos e l'espulsione di Carmona, dopo che l'Alianza aveva trovato il gol del vantaggio (Charquero al 17', bel contropiede). Con la superiorità numerica, Cristovao rinuncia al volante Eduardo Costa per inserire la classe di Felipe. Il Vasco ritrova il vantaggio con un gran colpo di testa del trascinatore Dedé, centrale difensivo cui si sono interessato tutti i top club del vecchio continente. Juninho dal dischetto e Ibanez nel finale fisso il tabellone sul 3-2, sono i primi tre punti della Croce di Malta in Libertadores.



Fonte: Tropico del Calcio

05 marzo 2012

Non è un Paese per interisti? L'Inter ovvero l'impossibilità di essere ordinari

Dell’impossibilità a essere ordinari, ovvero l’Inter. La squadra nerazzurra nel maggio 2010, a occhio e croce quindi non un secolo fa, vinceva tutto in Italia e in Europa, e avrebbe poi vinto anche il Mondiale per Club nella stagione successiva. Oggi, marzo 2012, dopo una stagione nata male e proseguita peggio, è diventata popolata da incompetenti e San Siro è ritornato insofferente, mugugna a ogni passaggio e si lamenta perché le conclusioni non finiscono sempre nella porta avversaria.

Si sa, in Italia, non solo al Meazza, si reagisce male a ogni stagione storta, o vinci (nel caso dell’Inter stravinci, in ossequio all’assenza di ordinarietà del club) e sei un semidio o “devi andare a lavorare”. Non è solo l’assenza di cultura sportiva del nostro Paese, è proprio non riuscire ad accettare l’idea che professionisti seri, pur lavorando al massimo possano, in una stagione, non riuscire a trovare una quadratura d’insieme (ma non succede così anche nelle aziende di tutto il mondo?): no, se non vinci, te ne freghi, te ne basti, sei un infame. Punto.

L’Inter ieri è finita sotto due a zero contro il Catania, probabilmente la squadra con la migliore proposta di calcio di tutto il campionato, ma non si è mai arresa: Forlan (miglior giocatore dell’ultimo Mondiale e reduce dal successo in Coppa America), ha collezionato un gol e un assist, giocando in un ruolo totalmente inedito (e inadatto alle sue caratteristiche), così come Milito, declassato da Principe dei sogni delle notti di Champions a infido mercenario, che si è scoperto tappabuchi di fascia, e ha segnato la rete del pareggio.

Tra incitamenti random della curva, lamentele dei distinti, fischi e applausi, il top della serata si è avuto con il boato nel momento della sostituzione di Esteban Cambiasso, uno dei cardini dell’Inter vincente di questi anni, dentro e fuori dal campo. Sì, perché il Cuchu, secondo la vulgata semplicistica e per questo accreditatissima, sarebbe uno dei “senatori” - cancro che sta affossando la squadra con non meglio definiti poteri di veto su campagna acquisti e schieramento in campo. Ma siccome all’Inter non si fanno mancare nulla, non sono sufficienti le critiche al presidente Moratti, che avrà anche avuto fortuna nella vita, ma è stato lui l’inventore di Roberto Mancini come tecnico di alto livello ed è stato sempre lui a volere a Milano José Mourinho, uno dei miglior allenatori della storia del calcio (cfr. anche la stagione in corso).

All’Inter esagerano per statuto: le colpe principali sarebbero del direttore sportivo: tutto vero. La prima squadra al mondo che critica il DS. Cioè Marco Branca l’uomo che ha portato all’Inter per due soldi (in alcuni casi manco per quelli) Julio Cesar, Maicon, Lucio, Cambiasso, Sneijder e compagnia, senza parlare di Ibrahimovic ed Eto’o, è ricoperto di contumelie da stampa e tifosi, perché quest’anno ha sbagliato mercato, prendendo Alvarez e Jonathan. Sbagliare, perché lavorando si sbaglia (e vince chi sbaglia meno), è vietato. Lo sa bene anche Villas Boas, finito nel tritacarne Chelsea dopo aver vinto tutto, nella scorsa stagione, col Porto: la mai silenziosa maggioranza rimane ferma lì: o vinci, sempre, o rubi i soldi che ti danno.

Se il feeling con le anime forti dello spogliatoio del Chelsea era doloso lo sapremo subito, vedendo la reazione che i giocatori avranno col nuovo tecnico Di Matteo. Noi che non crediamo alla teoria del “vincente nato”, sappiamo che Villas Boas potrà imparare anche da questa esperienza per dimostrare in futuro di essere un ottimo professionista. Dove? Mourinho abbandonò il Chelsea (Abramovich ancora rimpiange quel distacco) per vincere tutto nell’Inter, Villas Boas parla già italiano e non crediamo sia un pirla: ad Appiano Gentile potrà ribadirlo, citando il suo connazionale e cercando di far pentire l’oligarca russo.

Fonte: Max