30 settembre 2007

[analisi] Mondiali under 17


Fantastica giocata di Kabiru Akinsola durante i supplementari della finale Spagna-Nigeria


Il ritorno dell’Africa. Sotto le continue piogge dei cieli coreani la Nigeria vince per la terza volta il Mondiale under 17 e, di concerto con l’ottima semifinalista Ghana, ridona prestigio e credibilità al Continente Nero. La solita querelle sul calcio del futuro stavolta merita un approfondimento più circostanziato. La squadra di Yemi Tella “allarga” il campo. La palla viaggia molto in aria perché la capacità di calcio di quasi tutti gli elementi della squadra nigeriana è notevole, così come il fisico che permette continui scatti e accompagnamenti numericamente importanti dell’azione. Ma la variabile decisiva è un’altra. I nigeriani sono nettamente migliorati rispetto agli ultimi anni sotto l’aspetto tecnico: molti i giocatori da segnalare per il bel controllo di palla, la familiarità con essa in più situazioni e per la precisione dei lanci. La Nigeria, rispetto alle altra potenze calcistiche del Golfo di Guinea, culla del football africano, ha sempre avuto gap deficitari rispetto al Ghana o alla Costa d’Avorio, storicamente meglio preparati sotto il profilo dei fondamentali. Soprattutto la Costa d’Avorio negli ultimi anni ha conosciuto, grazie alla “rivoluzione” dell’Academie voluta diversi lustri fa da Jean Marc Guillou e da Roger Ouégnin, presidente dell’Asec di Abidjan, un incredibile sviluppo tecnico. A maggiore ragione, in un Paese sconfinato e con un numero di praticanti elevatissimo come la Nigeria, questo percorso potrebbe rappresentare una chiave di volta decisiva. Sarà questo fattore, e non la tanto invocata preparazione tattica, la nuova frontiera dell’Africa calcistica? Il 442 (o 4411) nigeriano è senza fronzoli, ma sviluppato con i valori fisici e tecnici di cui si parlava, diventa difficilmente arginabile: infatti, pur vincendo solo ai rigori e non offrendo il meglio di sé nella finale, gli aquilotti nigeriani hanno dominato il torneo con sei-vittorie-sei dal primo turno alle semifinali. Quando subisce il possesso di palla altrui, come è stato nella semifinale con la Germania, rischia di perdere in concentrazione e di indolenzirsi, abbassando eccessivamente le prime due linee, ma le ripartenze sono micidiali, e il raggio di tiro di tanti elementi supera comodamente i venticinque metri. Là davanti è stato molto celebrato, a ragione, Macauley Chrisantus, centravanti capocannoniere del torneo (7 gol in 7 partite), attaccante longilineo e con buone intuizioni, ma la squadra presenta più di un elemento interessante. Il capitano Lukman Haruna, il tecnico rifinitore Rabiu Ibrahim, un grande cursore di centrocampo come Ganyu Oseni, attivissimo sottoporta, la forza fisica di Yakubu Alfa, la spinta sulla fascia di Mustapha Ibrahim, la grande pulizia del difensore centrale Kingsley Udoh, e gli inserimenti spesso decisivi di Kabiru Akinsola e Ademola Rafeal. Da aggiungere la grande prestazione, specie nella finale dove ha ipnotizzato tutti i tiratori spagnoli, del portiere Oladele Ajiboye. Del Ghana si è detto, ma l’Europa che conta ha fatto il suo. Spagna, Germania, Francia e Inghilterra hanno tutte proposto squadre altamente competitive. Se dagli spagnoli ci si aspettava molto, pure se a livello di prestazione mai ha del tutto convinto (ha giocato la finale senza la stella Bojan, espulso in semi), la sorpresa è arrivata dalla Germania. I tedeschi hanno prodotto un calcio fatto di possesso palla, di grande qualità tecnica e hanno forse difettato di “punch” in mezzo al campo. Ottima davvero la Francia, uscita rocambolescamente dal torneo dopo una partita sostanzialmente dominata nei quarti con la Spagna. Bene anche l’Inghilterra.
Disastro, ormai l’ennesimo, per il Brasile. Dopo aver fatto una magra figura in patria nei Giochi Panamericani (ma lì c’era la gabola: altre squadre han schierato, legittimamente, una formazione under 20 contro i diciassettenni brasiliani), i giovani di Luiz Nizzo si sono ripetuti qui contro i pari età: partiti con due vittorie tonitruanti con Nuova Zelanda (7-0) e Corea del Nord (6-1) hanno balbettato calcio fino a uscire contro il Ghana negli ottavi, peggiore prestazione di sempre in un mondiale under 17. Male Lulinha, sempre a caccia della giocata ad effetto, e quasi mai con la necessaria concentrazione. L’Argentina non aveva grandi pretese da questo gruppo di ragazzi, uscito comunque con onore contro la Nigeria ai quarti. In crescita le altre due formazioni sudamericane, Colombia, soprattutto, e Perù. Desolante, ma ormai è un’abitudine, la prestazione delle asiatiche: quella che più ha convinto è stata la Siria, uscita dopo una partita gagliarda contro l’Inghilterra. Bene, in relazione alle possibilità, anche il Tagikistan, mancano però le nazioni guida: la Corea padrona di casa ha fatto peggio dei cugini del Nord vincendo una sola partita (contro il Togo) e abbandonando dopo la fase a gironi il torneo, esattamente come il Giappone. Tra due anni l’organizzatore della competizione sarà proprio il paese campione, la Nigeria.

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Al fianco degli ottimi nigeriani, molti sono stati i giovani interessanti, i cui nomi hanno fatto capolino sui bloc notes degli osservatori. La Spagna, da tanti considerata la favorita, in finale si è arresa solo ai rigori, e molto del suo percorso lo deve alla qualità dei singoli. Di Bojan si sa già tutto, dato che è oramai pronto per l’empireo Barça dopo aver segnato senza posa in tutte le formazioni giovanili blau-grana, Fran Merida è l’altro predestinato: centrocampista offensivo con classe da vendere a cui manca ancora la continuità, i colpi ci sono tutti e Wenger, come ha fatto con Cesc Fabregas, ha pensato bene di operare un altro “furto” alla florida cantera del Barcellona, portandoselo all’Arsenal. Dietro, bene il “Kaiser” Rochela, centrale molto interessante, e sicuro il portiere dell’Atletico Madrid, De Gea. Nella semifinale con i Ghanesi l’hanno vista però poco: tra gli africani, segnaliamo il “mini” cannoniere Ransford Osei (elogi pubblici da Claude Le Roy, tecnico della nazionale “senior” delle Black Stars), il compagno di reparto Sadick Adams e il centrocampista Enoch Adu. Al fianco del miglior giocatore del torneo, Toni Kroos (vedi box), ottimo il centravanti Sukuta Paso, agile e potente, bravo anche schiena alla porta. Mettesse su qualche chilo (oggi supera a fatica i 50…) sarebbe da seguire la carriera di Sascha Bigalke, centrocampista tecnico dei teutonici. Nell’Inghilterra, che forse meritava un po’ di più, molta autorità del centrocampista centrale Henri Lansbury e segnalazione per Rhys Murphy, entrambi dell’Arsenal. Livello medio alto anche tra i francesi: scegliamo l’ala destra Henri Saivet, classe ed eleganza. Nel Brasile si salvano in pochi, citiamo il vascaino Alex, mezzapunta, dribblomane di qualità.

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Non che mancassero le alternative, eh. Però la scelta di premiare il tedesco Toni Kroos come miglior giocatore del Mondiale ha messo d’accordo tanti. Grande tecnica, sublime visione, ha giocato dietro la punta evoluendo a destra e a sinistra dell’attacco e favorendo con le sue rasoiate in profondità gli inserimenti dei compagni, grazie anche alla dimestichezza con entrambi i piedi (4 assist vincenti in tutto il torneo). Bravo a difendere la palla, sa riconoscere il momento esatto dell’assist, e poi vede la porta: 5 gol all’attivo nella competizione. Nuovo Riquelme? Mmmh, ci sta…Nato nel ’90 a Greifswald, dove solo sulla carta non era più Germania Est, Kroos esplode calcisticamente nelle giovanili dell’Hansa Rostock e viene prelevato dal Bayern che anticipa anche offerte straniere. Uli Hoeness, GM dei bavaresi, l’ha voluto già quest’anno nella rosa della prima squadra.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Guerin Sportivo

24 settembre 2007

[reportage] Società in prestito

Dici che non bastano Fernando Belluschi e Gonzalo Higuain a metterti dietro tutta la serie B svizzera? Perché? Eh, perché il Locarno Football Club, squadra ticinese che naviga appena sopra la media classifica nel campionato elvetico di Challenge League, possiede (meglio possedeva, Higuain è finito al Real Madrid) tra le sue fila i due ex giocatori argentini del River Plate, oltre a una piccola pattuglia di “primavera”, sempre ex Millionarios. Al Locarno? Mai visti. E Rivas, Nelson Rivas, quest’anno giunto all’Inter, il difensore colombiano che chiamano Tyson, nemmeno si è visto in Canton Ticino? Eppure le carte federali parlano chiaro: l’Inter ha prelevato il giocatore dal Locarno… No, guarda, tra i biancoblù c’è un pezzo, diciamo così, di Inter: è il fratello di Mariano Gonzalez (ricacciato da Branca a Palermo e ora finito in prestito al Porto), Pablo, ma non pare proprio un fenomeno. Surreale. Un dialogo surreale che contiene tante verità, che verità non sembrano o non devono sembrare. Il Locarno ha sì avuto la proprietà di giocatori provenienti dall’Argentina ma, ovviamente, mai sono arrivati in Svizzera. Un articolo di Juan Pablo Varsky, insigne firma di La Nacion, ha scoperchiato verità mai chiaramente affermate. Ma la primogenitura dell’indagine spetta a Alejandro Casar Gonzalez, altro giornalista argentino, che si era occupato del caso alcuni mesi prima. Tutto nasce da alcune ricerche su Pini Zahavi, potentissimo procuratore, che insieme a un altro collaboratore molto noto anche in Italia, Fernando Hidalgo (agente dei maggiori calciatori argentini), fonda la HAZ Sport Agency: “Sono le iniziali dei cognomi – ci suggerisce Casar, da noi contattato -, il terzo del gruppo è Gustavo Arribas, ex collaboratore di Mauricio Macri, oggi presidente del Boca. La società che ha gestito i trasferimenti è la filiale argentina della HAZ, impresa fondata nelle Isole Vergini. La prima volta che se ne sente parlare è durante il trasferimento di Carlos Tevez dal Boca al Corinthians, trasferimento finanziato dal fondo MSI, già legato a Zahavi.” Le inchieste giornalistiche fanno parecchio rumore. “Tanto rumore per nulla” incalza però il presidente del Locarno, Stefano Gilardi, che tiene a sottolineare come tutte le operazioni siano condotte nel massimo della trasparenza e legalità. Durante una conferenza stampa indetta negli ultimi giorni di agosto lo stesso Gilardi ci ha tenuto a chiarire tutto:”Grazie ai contatti stabiliti in tutti questi anni a livello nazionale e internazionale un gruppo di investitori si è rivolto a noi, chiedendoci se eravamo disposti ad esplicare un’attività di intermediazione calcistica per i trasferimenti di giocatori. Secondo i regolamenti della FIFA – prosegue il presidente ticinese - un giocatore di un Club affiliato può essere ceduto ad un altro se è stato rilasciato il certificato internazionale di trasferimento. Questi diritti federativi valgono solo tra club di football che sono sottoposti alla giustizia sportiva. Alla stessa non può ricorrere un investitore, individualmente o in società, che ha rapporto con il calciatore trasferito. Aggiungo che Higuain non c’entra nulla e che da noi non è transitato.” E il Locarno che ci guadagna, scusi? “Sulla base di questi rapporti di fiducia un gruppo di investitori a partire dalla stagione 2006 finanzia in via anticipata l’attività calcistica della Prima Squadra con un importo forfetario di 600.000 franchi svizzeri all’anno versato ad inizio stagione ai quali si aggiungono 30.000 franchi per il Settore Giovanile. Abbiamo così potuto mantenere la squadra nella Challenge League e dare l’opportunità ai giovani locali e ai giocatori di scuola ticinese di affacciarsi al palcoscenico della Lega Nazionale.” Insomma, una società in prestito. Più o meno. Alcuni procuratori, non potendo disporre di una società a piacimento per i loro legittimi affari, ne affittano una, dove fanno transitare i giocatori che poi rivendono a club prestigiosi. Inutile dire chi ci guadagna in tutto ciò. Una pratica, quella della gestione-affitto di società, piuttosto diffusa nel Canton Ticino, dato che il Bellinzona (famosi i casi Matuzalem, Russotto e De Martino, “transitati” dai castelli dell’Unesco) ha un rapporto fiduciario con la Promosport. Esiste poi il caso di acquisto diretto di società: Giambattista Pastorello, vicepresidente del Genoa ed ex patron dell’Hellas Verona, ha comprato il Lugano. Naturale che ognuna di queste partnerships possa svilupparsi secondo cavilli differenti: resta, quantomeno, la stranezza. La Fifa ha voluto vederci chiaro, tanto più che la società che governa il calcio mondiale ha sede proprio in Svizzera. Indagherà. Intanto in Argentina, il River Plate, la società argentina in grave crisi finanziaria, da dove provengono i cinque calciatori “passati” al Locarno è ultimamente sotto torchio da parte della magistratura. Sì, perché ci sarebbe la questione della provenienza dei fondi per l’acquisto dei giocatori: “ Abbiamo controllato tutto, ci dice Giraldi, la provenienza è perfettamente lecita.” La contiguità Zahavi – Berezovskij (miliardario russo e oppositore di Putin) è solo chiacchierata, la vicinanza con Abramovich, certa. Sui capitali russi c’è un’ampia letteratura, ma questa è un’altra storia, più grande del Locarno, del Ticino, della Fifa e forse del calcio. Forse.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Guerin Sportivo

23 settembre 2007

[reading] Pär Lagerkvist

E' profondamento bello il romanzo "Barabba" di Lagerkvist.
Così il poeta svedese racconta la morte del protagonista. Capolavoro.

(...) Barabba rimase un'altra volta solo. Rimase solo per tutti i giorni che trascorsero nel carcere. Appartato e disgiunto dagli altri. Li udì cantare i loro inni traboccanti di fede e discorrere pieni di fiducia della loro morte e della vita eterna che li attendeva. Soprattutto, dopo che fu pronunciata la sentenza, parlarono molto di questo. Erano sempre fiduciosi, non vi era in loro ombra di dubbio. Barabba ascoltava, ma immerso nei suoi pensieri. Anche lui meditava su quello che lo attendeva. Si ricordava dell'uomo del Monte Uliveto, quello che aveva diviso con lui il pane e il sale, e che era morto da un pezzo. E che sogghignava dal suo teschio, nella tenebra eterna.
Furono fatti uscire e condotti alla crocifissione. Erano incatenati a due a due ma, poiché non erano in numero pari, toccò a Barabba l'ultimo posto della fila e non fu incatenato con altri. Fu così, per un caso. E fu pure appeso, da solo, fuori della fila delle croci. C'era molta gente, e ci volle parecchio tempo prima che tutto fosse terminato. Ma gli uomini crocifissi parlavano continuamente fra loro, pieni di fiducia e di speranza. Con Barabba non parlava nessuno.
Al calar della sera, gli spettatori, stanchi di attendere, già se n'erano andati. E d'altra parte tutti, là, erano morti. Barabba soltanto era ancora confitto, ed era vivo. Quando sentì appressarsi la morte, della quale aveva sempre avuto tanta paura, disse nell'oscurità, come se parlasse con essa "A te raccomando l'anima mia", ed esalò lo spirito.

Pär Lagerkvist "Barabba", Jaca Book, 1998

21 settembre 2007

[analisi] Olandesi in Coppa Uefa

Dopo l’importantissima, ancorché sofferta, vittoria in Champions League del Psv Eindhoven sul CSKA Mosca, in un girone che si prospetta tra i più equilibrati dell’intero torneo (qualcuno crede ancora alla favola dell’Inter grande squadra in Europa?), la settimana europea delle squadre olandesi era tutta focalizzata sulla coppa Uefa. Analizziamo brevemente incontri e prospettive dei cinque club oranje impegnati nella competizione.

Ajax. Solito pallido Ajax europeo, che nella prima ora di gioco raccoglie solo un tiro da 25 metri di Huntelaar finito fuori. Ten Cate tenta la carta del 4-4-2 ma la musica non cambia, perché il centrocampo Gabri-Maduro-Ogararu-Emanuelson garantisce corsa ma è povero di idee, del resto un nuovo Sneijder non lo si trova dall’oggi al domani. Ci pensa quindi Stekelenburg a tenere in piedi la baracca, salvando la squadra in almeno tre occasioni. La combinazione Huntelaar-Rommedahl che manda il danese in rete taglia le gambe a una Dinamo Zagabria intraprendente (bene Modric e Balaban) e per la quale il gol sembrava ormai nell’aria. A quel punto per l’Ajax è sufficiente controllare, magari ringraziando Sokota per aver sciupato con un tiro fiacco la palla del possibile pareggio. Luis Suarez viene mandato in campo solo nei minuti finali; probabilmente Ten Cate avrà voluto risparmiarlo in previsione del big match di domenica contro l’Az. Se così non fosse, saremmo nel masochismo più puro.

Az Alkmaar. Cinismo da grande squadra, direbbero molti. Preferiamo invece chiamare le cose con il loro giusto nome, ovvero fortuna. La vittoria in trasferta (1-0) sul campo del Pacos Ferreira è grasso che cola per la squadra olandese, che dopo un avvio lampo con un paio di buone occasioni nei primi minuti per Dembele è stata schiacciata per tutto l’incontro dagli arrembanti portoghesi, alla loro prima assoluta in una coppa europea. “Abbiamo avuto la sorte dalla nostra parte”, ha commentato onestamente Louis van Gaal a fine partita. Altre parole in effetti sarebbero state fuori luogo dopo i pali colpiti da Edson e Dedè, il salvataggio all’ultimo respiro di Steinsson su Roversio e le diverse occasioni sprecate, anche grazie a un po’ di imperizia sotto porta, dal sorprendentemente aggressivo Pacos. Nell’Az ci si attendeva Graziano Pellè in campo dal primo minuto, invece Van Gaal gli ha preferito Ari, assolutamente spento, facendo entrare l’italiano solamente al minuto numero sessanta. Il cambio giusto è stato però azzeccato quattordici minuti dopo con l’ingresso di Sebastien Pocognoli, match winner allo scadere. Un gol importantissimo per una squadra che stenta ancora terribilmente a imporre il proprio gioco come invece accadeva nelle ultime stagioni. Il rientro di Schaars e Mendes da Silva, più il risveglio di Martens, diranno se questo è solo un malessere passeggero.

Groningen. E’ durata poco più di mezzora la supremazia del Groningen sulla Fiorentina, poi i viola hanno preso le misure facendo valere il loro miglior tasso tecnico. Non potendo annoverare tra le proprie file un Montolivo o un Liverani, né tantomeno un Mutu, il Groningen ha puntato sulla corsa e sulla fisicità per sopravanzare gli uomini di Prandelli, ma una volta terminata la benzina ha addirittura rischiato il ko. Bene la difesa con Sankoh e Kruiswijk che hanno annullato il lentissimo Vieri, ottimo l’uruguaiano Bruno Silva, inarrestabile sulla fascia destra, mentre poco da segnalare dal centrocampo in su. In attacco ha deluso Nevland, dal quale ci si aspettava più spessore, mentre il giovane Nijland ha fatto ciò che poteva, supportato a sprazzi dal croato Lovre, autore del gol del momentaneo vantaggio ma anche uno dei primi a calare vertiginosamente alla distanza (clamorosa la chance gettata a fine partita in una situazione di contropiede due contro uno). Dopo le sconfitte con De Graafschap e Utrecht, anche stavolta il Groningen non è riuscito, a differenza degli anni passati, ad applicare la legge dell’Euroborg. Gli uomini di Jans finora rendono meglio in trasferta. Ma le chance di qualificazione, alla luce della qualità dell’avversario, rimangono flebili.

Heerenveen. Afonso Alves, chi è costui? Chi pensava che l’Heerenveen fosse dipendente dal capriccioso brasiliano capocannoniere dell’ultima Eredivisie è stato accontentato. Cinque gol sabato a Rotterdam contro l’Excelsior, altrettanti ieri all’Helsingborg, al termine di una partita scoppiettante giocata a viso aperto da due squadre che cercano di mascherare gli evidenti problemi della propria retroguardia con un atteggiamento tattico spregiudicato. Nei Frisoni si attendono gli assist di Pranjic e invece emerge l’americano Micheal Bradley, classe 87, già protagonista con gli Stati Uniti ai Mondiali under 20. Spetta a lui aprire e chiudere le marcature dell’Heerenveen, salvo poi macchiare parzialmente la propria serata con il fallo su Skulason per il rigore del 5-3 finale firmato da Henrik Larsson, assolutamente immarcabile per la frastornata difesa degli olandesi così come il compagno di reparto Omotoyossi. Dalla parte opposta ci pensa invece Gerald Sibon, doppietta, a tenere alta la bandiera dei vecchietti terribili. Una volta che Beerens (altro classe 87) e Sulejmani (classe 88), più rifinitori che finalizzatori ieri, avranno pienamente recepito gli schemi di mister Verbeek, allora l’Heerenveen potrà tornare davvero competitivo. E cacciare finalmente a calci Afonso Alves, come già desidererebbero fare ora molti giocatori della squadra.

Twente. Avversario tosto il Getafe, rivelazione di provincia dell’ultima Liga così come i Tukkers lo sono stati in Eredivisie. Partita a senso unico, ma c’è voluto un guizzo del nigeriano Uche al novantesimo per piegare la resistenza del club di Enschede, che si è presentato in Spagna senza rinunciare al 4-3-3 (con tutti i big in campo, da N’Kufo a El Ahmadi fino a Denneboom) ma con una chiara predilezione al contenimento. Un atteggiamento prudente che è stato accentuato nella ripresa dall’espulsione di Braafheid. Huysegems, imbeccato dal sempre ottimo N’Kufo, ha sfiorato il colpaccio presentandosi a tu per tu con Abbondanzieri, ma il numero argentino ha ancora una volta mostrato le proprie qualità nell’uno contro uno. Per il resto solo Getafe, con un grande Boschker a salvare di tutto e di più (vedi le velenose punizioni di Belenguer e Albìn). Si prevede un ritorno ad alto tasso emozionale.

ALEC CORDOLCINI

19 settembre 2007

[recap] Milan - Benfica 2-1



CVD. Senza idee, o con idee raffazzonate, in Europa si fa poca strada. Attenuanti generiche per le assenze sulla linea difensiva (Luisao, David Luiz e pure Zoro) possono essere pure concesse a Camacho, così come lo sfortunato stop di Petit, anima di questa squadra.. Il problema rimane: giocando così passivi l’unica cosa certa sono le brutte figure, come quelle di stasera in cui un Milan motivato ha disintegrato il Benfica. Anche per giocare in contropiede bisognerebbe avere qualche idea sulla gestione: il Benfica è tutto un raffazzonare, un insistere in uno contro uno: è produrre un calcio vecchio, stravecchio in cui tra l’altro non c’è nemmeno quel briciolo di garra che almeno queste partite dovrebbero iniettare. Il nulla di Camacho ( e di chi l’ha voluto, tra l’altro a campionato iniziato, quindi senza la possibilità di poter svolgere una preparazione mirata agli obiettivi di costruzione della squadra) è anche nell’attenzione della squadra in fase di non possesso: Pirlo libero di aprire il gioco: Cardozo a pressare sui due centrali (ma che senso ha, contro il Milan?) e Rodriguez e Di Maria in costante attesa dietro la metacampo, larghi, mai a “spingere” la pressione sui lati. Rui Costa cammina, ma quando ha la palla è l’unico che accende l’azione, con iniziative individuali mai inserite in uno spartito, ovvio: quindi male strutturate, col risultato di transizioni che concedono al Milan continue situazioni pericolose, addirittura, in alcuni casi, la parità numerica. Insomma, tutto quello che non si doveva fare, si è fatto. Milan troppo superiore? Certo, anche con Fernando Santos probabilmente l’avrebbe portata a casa e, se girava in un certo modo, pure con un risultato più largo, certo o Engenheiro se la sarebbe giocata di più. Bisognava inventare qualcosa per ottenere qualcosa: la linea a 3 dietro avrebbe certamente levato dalla partita uno tra Di Maria e Rodriguez, il “salvato” (per noi, Di Maria) avrebbe dovuto affiancare Cardozo – magari spostato nella zona di Jankulovski o Oddo per evitare il continuo appoggio dei terzini all’azione- con Rui Costa dietro. Però si poteva sperare in un maggiore pressione a centrocampo. E invece nulla: un’esibizione vinta meritatamente, e anche di più, dal Milan.


MARCATORI: al 9' pt Pirlo (M), al 23' pt Inzaghi (M); al 47' st Nuno Gomez (B)

MILAN (4-3-2-1)
: Dida; Oddo (dal 36' st Bonera), Nesta, Kaladze, Jankulovski; Gattuso, Pirlo, Ambrosini; Kakà, Seedorf (dal 30' Emerson); Inzaghi (dal 39' Gilardino). A disp.: Kalac, Favalli, Simic, Brocchi. Allenatore: Ancelotti.
BENFICA (4-2-3-1): Quim; Luis Felipe, Miguel Vitor (dal 28' st Binya), Edcarlos, Leo; Maxi Pereira, Katsouranis; Di Maria, Rui Costa (dal 42' st Nuno Assis), Rodriguez; Cardozo (dal 18' st Nuno Gomes). A disp.: Butt, Nelson, R. Ribeiro, Bergessio. Allenatore: Camacho.

Spettatori 38.358

Stadio San Siro, Milano - 18 settembre 2007

CARLO PIZZIGONI

14 settembre 2007

[analisi] Benfica

Una mina vagante che rotola per l’Europa. Luís Filipe Vieira, presidente del Benfica, ha licenziato l’allenatore Fernando Santos e il suo progetto di calcio razionale dopo un precampionato poco convincente e una giornata di campionato stentata. Vulcanico, irascibile, scostante Vieira ha creato un guazzabuglio in cui si fatica a intravedere pianificazione, però le Aquile fanno lo stesso paura: i giocatori affidati ora a José Antonio Camacho, gloria merengue, sergente di ferro ben voluto dalla tifoseria e amico personale del presidente, in giornata favorevole possono mettere sotto tanta gente in Europa. A dispetto delle pesanti perdite dell’estate (Simão, Miccoli e Manuel Fernandes) le Aquile hanno investito su giovani magari non conosciutissimi ma di sicuro valore: Angel Fabio Di Maria, ex Rosario Central e tra i migliori nella vittoria argentina del Mondiale under 20, è un piccolo genio, una mezzapunta mobile capace di inventare e concludere , Oscar Cardozo, paraguagio prelevato dal Newell’s, un cannoniere sottovalutato che ha già cominciato a impallinare i portieri lusitani, e Cristian Rodríguez, detto Cebolla, ha fatto piangere diversi avversari nella recente Copa America. Rui Costa, dopo un anno disgraziato, ha iniziato alla grande la nuova stagione e insieme a Petit, dovrà assicurare un contributo di solidità mentale che, viste le mattane del presidente (anche un altro “vecchio” dello spogliatoio, Nuno Gomes, ha chiesto apertamente alla società “tranquillità per lavorare”), sarà indispensabile in tutta la stagione e in Europa soprattutto. Abbandonate quindi le sperimentazioni di Fernando Santos, con Camacho si ritorna a un 442 (o 4411) scarno, con recupero basso della palla, movimenti eminentemente verticali per creare profondità e puntare la porta (così come nella precedente versione del Benfica di Camacho –anni 2002/2004 – dove esplose il Tiago oggi alla Juve), contropiede, se possibile, quindi ritorno immediato nelle zona di competenza appena persa palla: si rinuncia così al pressing alto che voleva “O Engenheiro” e si ritorna alla pressione in forma di blitz in zone predeterminate. Il tecnico murciano punta molto sul suo carisma e sulla compattezza dello spogliatoio, ora disorientato ma non (ancora?) diviso. Sono tutti curiosi di vedere che ruolo avranno Adu (classe 1989), reduce da un grande Mondiale giovanile con gli USA, e Yu Dabao (1988), giovane speranza del calcio cinese.

CARLO PIZZIGONI
Fonte: Guerin Sportivo

13 settembre 2007

[analisi] La Svizzera verso l'Europeo

La Svizzera, co-organizzatrice dell'Europeo dell'anno prossimo, ha partecipato al torneo "dei continenti" appena disputato in Austria (l'altra nazione che organizza l'Europeo), cui hanno partecipato anche Giappone e Cile.
Paolo Galli, giornalista del Giornale del Popolo, ha visto le due partite della nazionale rossocrociata dal vivo e gentilmente ci ha concesso la possibilità di pubblicare degli articoli apparsi sul quotidiano di Lugano. A margine, una riflessione sulla condizione attuale della compagine Svizzera.


SVIZZERA - CILE 2-1

Vienna. Un passo indietro rispetto alle ultime incoraggianti prestazioni (contro Argentina e Olanda). Nel freddo e sotto la pioggia di Vienna, gli svizzeri si sono ritrovati, come gamberetti, a ripercorrere quella fase che sembrava ormai superata. Non c’è buona prestazione del Cile - schierato con un'inedita difesa a quatto da Bielsa - che tenga, già, perché all’Ernst Happer Stadion, a non funzionare è stata proprio la formazione di Köbi Kuhn. Fortunatamente c’è subito un’altra occasione, martedì contro il Giappone a Klagenfurt, per tornare a mostrare il meglio di sé. In campo con l’ormai classico 4-4-1-1, i rossocrociati hanno affrontato bene almeno la fase iniziale, come sottolineato d’altronde dallo stesso Kuhn: . Davvero bellissimo. Un’azione di prima tra Behrami, Inler, Margairaz, Degen e infine Barnetta, il cui tiro è stato rimpallato in rete da Fuentes. Poi però...

Da lì è nato il gol di Sanchez (da seguire!), bravo a sorprendere un comunque colpevole Zubi con un tiro dal limite dell’area. . Già sono stati utili nella pausa, visto che la Svizzera è rientrata in campo con maggiore rigore, ma anche con tre volti nuovi, quelli di Vonlanthen, Streller e, nuovissimo, Eggimann. I tre si sono fatti preferire ai titolari, ma... .

L’attaccante del Basilea addirittura si è creato tre occasioni da gol, sfruttando la prima per il definitivo 2-1 al 55’ con un preciso diagonale su assist di Vonlanthen. Poi ancora un po’ di sofferenza nel mantenere intatto il risultato in un ambiente anche un tantino surreale. ci si può accontentare.


Reti: 13’ Barnetta 1-0; 44’ Sanchez 1-1; 55’ Streller 2-1.

Svizzera: Zuberbühler; Degen, Djourou (46’ Eggimann), Senderos, Magnin; Behrami (46’ Vonlanthen), Celestini, Inler (87’ Huggel), Barnetta (74’ Spycher); Margairaz (65’ Yakin); Nkufo (46’ Streller).

Cile: Bravo; Alvarez (87’ Fierro), Riffo, Fuentes, Vidal (66’ Estrada); Isla (66’ Jimenez), Iturra; Fernandez; Sanchez, Suazo (84’ Salas), Rubio.


Ernst Happel Stadion di Vienna, 2.500 spettatori

SVIZZERA - GIAPPONE 3-4

Klagenfurt. Doveva essere la partita delle conferme, e invece è saltato tutto per aria. La Svizzera si è ritrovata quindi due passi indietro, si è risvegliata confusa e con qualche insospettabile dubbio di troppo. Colpa del Giappone? No di certo. Modesto avversario, lo si era capito bene nel corso del primo tempo, e non c’era Nakamura che tenesse. Colpa solo della Svizzera stessa, incapace di gestire una situazione di comodo, di chiudere una partita che sembrava predestinata sin dai primi minuti di gioco, di sfruttare una rara occasione per mettere in risalto persino le singole individualità.

Se nel primo tempo, il vivere di rendita sembrava poter essere abbastanza per avere la meglio sui giapponesi, nella ripresa, la verve degli asiatici si è ridestata, trovando impreparata e quasi addormentata la nazionale di Kuhn. . Cosa i giocatori svizzeri abbiano preso nella pausa, non lo possiamo sapere, e non possiamo certo attribuire la colpa del crollo ai due cambi. È mancata la concentrazione, la voglia di sacrificarsi nel restare ordinati fino in fondo. E poi ancora una volta si sono visti i limiti di questa squadra nel gestire i ritmi, nell’alternare accelerazioni e frenate. La dote principale di una grande squadra. Ecco, la Svizzera si è ritrovata piccola proprio sotto quest’aspetto. Le prime avvisaglie, anche se sicuramente minori, più timide, erano piombate sul nuovissimo (e bello, davvero) Wörthersee Stadion già nel primo tempo. Vittime principali Huggel e, in particolar modo, Margairaz. Dal centro era impossibile attendersi cambi di marcia.

E pensare che, come detto, era stata proprio la Svizzera a centrare per prima il bersaglio. Irrisoria la facilità nel trovare la fuga, due gol, il primo su schema di punizione con Magnin, il secondo su rigore di Nkufo per atterramento ai danni dello stesso Magnin. Nella ripresa, il tracollo rossocrociato. La doppietta su rigore di Nakamura, intervallata dalla rete di testa di Maki: e sempre, di mezzo, gli errori di Behrami, sfortunato protagonista in negativo dei due falli e della marcatura errata; tre suoi errori diretti e tre gol per il Giappone. La rete di Djourou da azione di calcio d’angolo e, al 92’, quella di Yano, opportunista a sfruttare un tap-in da una splendida parata di Benaglio, hanno chiuso la partita: 4-3 per gli uomini di Osim. Una sconfitta bruciante.

Ma la scottatura non è stata tanto causata dal risultato, ma proprio dall’attitudine con cui è stata affrontata la partita, in particolare la sua seconda frazione. Gli errori dei singoli, il marasma che ne è scaturito, la mancanza di personalità di alcuni attesi protagonisti, l’incapacità nel difendere un facile successo, una serie altrimenti vincente. Kuhn sperava di poter chiudere al meglio questa tournée, al di là di tutto interessante, ma questo calo ha destato tanta preoccupazione. Ora i dubbi sono aumentati, anche in merito alla capacità di alcuni elementi di sopportare il peso di certe responsabilità. Non mancheranno le occasioni per ritornare a camminare in avanti, ma questo, a caldo, è stato davvero un brutto brusco risveglio.

Reti: 11’ Magnin 1-0; 13’ Nkufo (rigore) 2-0; 52’ S. Nakamura (rigore) 2-1; 68’ Maki 2-2; 77’ S. Nakamura (rigore) 2-3; 81’ Djourou 3-3; 92’ Yano 3-4.

Svizzera: Benaglio; Behrami, Von Bergen (84’ Eggimann), Senderos, Magnin (46’ Barnetta); Vonlanthen (70’ Lichtsteiner), Huggel (69’ Celestini), Inler (78’ Djourou), Spycher; Margairaz (46’ Yakin); Nkufo.

Giappone: Kawaguchi; Kaji, Nakazuka, Tanaka, Komano; Inamoto; S. Nakamura (90’ K. Nakamura), Suzuki, Endo (84’ Sato), Matsui (70’ Yamagishi); Maki (80’ Yano).

Wörthersee Stadion di Klagenfurt, 19.500 spettatori;

PAOLO GALLI

  • Austria e Svizzera sulla stessa barca. “Elveticocentrici” come siamo, ovviamente non spenderemo che una riflessione sui nostri vicini di casa, ma è perlomeno da evidenziare che anche loro vivono la stessa astinenza da competizione vera, da partite che contano sul serio. Comunque, intendiamoci, non vogliamo certo far passare questa problematica per un alibi alle recentissime brutte prestazioni di svizzeri e austriaci. Gli “aquilotti” sono usciti dal loro torneo addirittura con le ali rotte, dopo il pareggio contro il Giappone e la sconfitta per 2-0 subita dal Cile, 180’ senza segnare neppure un gol. I rossocrociati hanno almeno portato attraverso il confine una vittoria (sui cileni), sì, che però non ha accontentato nessuno. Insomma, il “torneo dei continenti” – definizione assurda per una competizione dalla formula ancora più assurda – non ha dato i verdetti auspicati, né sul piano dei risultati, né tanto meno su quello del gioco. Forse è servito soltanto al giovane Cile – anche se ha poi vinto il Giappone –, ma, con tutto il rispetto, potete ben immaginare quale sia il nostro reale interesse nei confronti del movimento calcistico cileno con un campionato europeo alle porte che la Svizzera vorrebbe vivere da protagonista.

  • Subito dopo i Mondiali dello scorso anno, ricordo che si sprecavano i “fondi” in cui si paragonava l’avvicinamento a quell’evento da parte della Germania, a quello che attendeva la Svizzera in vista degli Europei. Ebbene, i tedeschi, sotto la guida a distanza, dalla California, del moderno e multi...modale Klinsmann, riuscirono a studiare una preparazione miratissima, che infatti ebbe un effetto ottimale al momento decisivo. Quel tipo di programmazione, e soprattutto quel senso di protezione del progetto stesso, non riusciamo invece ad intravederli ora da parte della nazionale svizzera di Köbi Kuhn. Troppi i cambiamenti in corsa, troppe le incertezze mascherate da dati di fatto, troppe le debolezze fisiche e caratteriali. E ieri si è persa anche quella sensazione di squadra in (lento ma effettivo) divenire. La Germania, nelle due annate precedenti i Mondiali, dall’agosto 2004 (dopo il disastroso Europeo portoghese) al giugno 2006, giocò 27 partite amichevoli, ottenendo 15 vittorie e 7 pareggi, solo 5 le sconfitte, tra le quali quella rovinosa di Firenze. La Svizzera, dalla fine dei Mondiali ad oggi, ha disputato solo 12 gare (6 vittorie, un pareggio e 5 sconfitte), due o forse tre sono in programma entro la fine dell’anno, poi rimarranno soltanto le bricioline, gli ultimissimi test. Manca poco tempo.

  • Una delle voci che è tornata a farsi largo prepotentemente tra i discorsi della combriccola di addetti ai lavori al seguito della nazionale svizzera, riguarda il reale ruolo di Kuhn all’interno dello staff tecnico della “nati”. . . E la verità? Alcuni cambiamenti di rotta intrapresi in questi ultimi mesi fanno credere che qualcosa o qualcuno, al di là dell’innesto di Knup, abbia portato a modificare le gerarchie. Il fatto è che queste stesse voci già circolavano prima dei Mondiali, non sono una novità. Eppure, per fare un esempio, le convocazioni di Nkufo e Celestini – checché ne dicano i diretti interessati – fino a qualche tempo fa non si potevano neppure nominare. Il peso di Kuhn, il peso di Pont, il peso di Knup, il peso dei dirigenti... vacanzieri, e le idee si confondono. Parlando con i giocatori, parrebbe che addirittura il selezionatore titolare ultimamente non si faccia mai neppure sentire, né nello spogliatoio, né in allenamento, e che la situazione sia passata nelle mani del suo vice. Ma il manifestamente ambizioso Pont sarebbe in grado di guidare una nazionale chiamata all’evento della vita?

PAOLO GALLI - Fonte: Giornale del popolo - Lugano

08 settembre 2007

[analisi] Il nuovo Cile di Marcelo Bielsa

E' iniziata ieri l'avventura di Marcelo Bielsa sulla panchina del Cile. Un inizio con sconfitta (2-1 dalla Svizzera)ma anche con alcune cose pregevoli. Mercoledì bis con l'Austria.
Di seguito il mio pezzo di presentazione, pubblicato sul giornale svizzero Il Corriere del Ticino.

Il futuro è adesso. Il calcio cileno sta crescendo, la selezione giovanile (la Rojita) ha raggiunto il terzo posto nel recente Mondiale giovanile in Canada, proponendo giocatori già pronti per la selezione maggiore e prospetti interessanti. Non perdere l’occasione: dopo gli anni di Nelson Acosta in cui lotte fratricide tra diversi clan hanno distrutto lo spogliatoio, con il tecnico intento più a mantenere la panchina e quindi a gestire il traffico più che ad allenare, si è deciso un taglio netto. Rivoluzionario, addirittura. E’ stato scelto Marcelo Bielsa, argentino, tecnico tra i più arditi in circolazione quanto a sperimentazioni tattiche, che debutta sul “pino” della Roja proprio con le due amichevoli contro Svizzera e Austria a Vienna. Bielsa, il cui fratello Rafael è apprezzato politico (è stato ministro con l’attuale presidente Kirchner), è un allenatore davvero fuori dal comune. Buon giocatore, “el Loco”, come lo chiamano in Sudamerica, ha vinto da tecnico titoli in serie con Newell’s e Vélez, inventando calcio, prima di sedersi sulla panchina della Nazionale argentina e mettere in bacheca “solo” un oro all’Olimpiade greca del 2004: da lì, dimissioni e il silenzio, nonostante le continue sollecitazioni di tante squadre, Boca su tutte. Cervellotico, sorprendente Bielsa è tornato ai campi da gioco dove proprio nessuno se l’aspettava. Mossa da “Loco”, appunto. Forse convinto dalle potenzialità di quei ragazzi che in Canada hanno fatto tanto bene. A poche settimane dalla nomina, mossa alla Bielsa: prima convocazione per uno stage di tre giorni, solo 13 elementi tra cui spicca Marcelo Salas, centravanti dalla tecnica cardinalizia, ammirato in Italia con Juve e Lazio, ma considerato al capolinea della carriera, che ha voluto chiudere in patria, all’Universidad de Chile. “ Marcelo è un grande giocatore, l’età non conta.” Conta la testa, conta il” vedere calcio”, conta il leggere le situazioni nel 3313, modulo per antonomasia del tecnico rosarino. Nel primo allenamento in Europa ovviamente grande spazio alla tattica: linea difensiva impostata su Ismael Fuentes, ottimo avvio di stagione per lui nei Jaguares in Messico, Waldo Ponce, rianimatosi dopo la brutta esperienza in Germania di un paio di anni fa quando giovanissimo si trasferì al Werder, e Arturo Vidal, classe da vendere, testa da registrare, polivalente talento, mattane a parte uno dei più convincenti giocatori dell’ultimo Mondiale giovanile, dove ha fatto sia il difensore che la mezzapunta. Senza dimenticare l’esperienza di Miguel Riffo e la voglia di emergere di Mauricio Isla, altro giovanissimo “multiruolo”su cui ha scommesso l’Udinese. Con Mark Gonzalez (Betis) leggermente infortunato e l’esclusione a sorpresa di Arturo Sanhueza (ritorna invece Luis Jimenez dell’Inter), in mezzo al campo dovrebbero giocare Manuel Iturra, Marco Estrada (entrambi alla “U”, come Salas) e Hugo Droguett, che gioca, e bene, in Messico ai Tecos di Cesar Menotti. Dietro le tre punte, il genio di Mati Fernandez del Villareal, atteso quest’anno alla definitiva consacrazione. In mezzo all’attacco Humberto Suazo, sottovalutatissimo cecchino, leggermente acciaccato, ora pure lui in Messico al Monterrey. Nei ruoli di “Wines”, terminologia del Bielsa per indicare gli esterni d’attacco che devono “aprire” il campo e generare opzioni sulla fasce (settore strategico del calcio bielsista), Eduardo Rubio e Carlos Villanueva si giocano un posto mentre l’altro dovrebbe essere già assegnato al “Niño Maravilla”, Alexis Sanchez, acquistato dall’Udinese giovanissimo, prospetto di crack, attualmente in prestito al River Plate. Da domani, col Cile ci si diverte.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Corriere del Ticino. www.cdt.ch