18 dicembre 2006

[media] Calcio e dittatura

Después de un período de silencio, coincidente con resultados poco favorables de la entidad que gobierna desde fines del 2001, Aguilar recuperó presencia en los medios. Dueño de una comicidad con la que bien podría haberse desarrollado como humorista, el Doctor dijo que "Sosa y Pavone ya son socios honorarios de la institución". Aguilar sabe de qué habla: ese título —el de socios honorarios del CARP [Club Atletico River Plate, ndr]— tuvieron Jorge Rafael Videla, Emilio Eduardo Massera y Orlando Ramón Agosti, más otra media docena de jefes militares, durante casi dos décadas. Aguilar, entonces vocal oficialista, redactó en abril 97 un proyecto para quitarles dicha condición. Lógico: en los 90, gracias a la democracia y a la biología, los integrantes de la 1 junta militar influían menos que en los 70. El que conservó su calidad de socio honorario, hasta su muerte en el 2004, fue Carlos Alberto Lacoste, quien llegó a la FIFA después de su rol organizativo en el Mundial 78. En función de aquellos antecedentes, ¿deberíamos decir que River ha sido una entidad represora y genocida? No, no lo merecen los hinchas del club que soportaron, como millones de argentinos, la dictadura. Vincular a una asociación civil con ideas y gustos de sus miembros famosos o gravitantes es un disparate, a diestra y siniestra. Si fuera válida la relación, a Boca se lo podría considerar refugio del castrismo por la amistad de Diego con Fidel. Y Curupaytí, donde Luis Zamora jugó al rugby, estaría identificado como un club trotskista.

Marcelo Guerrero. Olè, 18/12/2006

17 dicembre 2006

[recap] Internacional - Barça 1-0

Dedicato a chi pensa che in Brasile la tattica e la strategia non conta nulla. Umiliato il Barça, umiliato Laporta e i suoi proclami ormai degni di Florentino, umiliato Rijkaard, che non trova nessuna contromisura alle mosse di Abel Braga e perde la testa riuscendo in un cambio negli ultimi minuti Ezquerro - Gudjohnsen che fotografa la situazione. Al fianco degli ideali applausi per le dichiarazioni del tecnico olandese, che fuori dal campo riesce a risollevare l'immagine del club, ormai avviato, sotto la guida dell'avvocato taglia teste, a esibizioni di arroganza, dovrebbe emergere una standing ovation per Abel Braga e il suo capolavoro tattico. Dopo la più che sofferta partita con gli africani dell'Al Ahly (ben guidati da Manuel José) Abel si concentra sul Barça. Allenamenti specifici, riferiscono infiltrati, che mirano soprattutto a "far giungere quadrata la palla a Deco", cioè disturbare il normale flusso dei passaggi chiavi della mediana blaugrana che è sempre interno: l'unico modo (e il più efficace) per limitare l'armata miliardaria di Laporta. Disturbare i tempi di gioco, far cadere le sincronie della giocate dei campioni del Barça. Braga ci riesce fino alla fine, tanto che il Barça è raramente pericoloso, non ha un gioco di appoggio sulle fasce credibile e perde fiducia in una partita che credeva una passeggiata o poco più. Perfetta la coppia del centrocampo colorado Edinho - Welington, benissimo anche Fernandao nella posizione ormai disegnata per lui di punto riferimento defilato (già voluta da Braga per Felipe nel Flamengo, anche se esaudiva a dinamiche diverse) che viene premiata grazie al movimento di un giocatore decisamente sottovalutato, dal cervello calcistico elevatissimo: Iarley, orgoglio del Paysandù di Belem e apprezzatissimo dal Virrey Bianchi nel Boca. Buone giocate anche di Alexandre Pato, e ad un ragazzo che ha esordito in prima squadra poche settimane fa non si poteva chiedere di più, forse. Molto attenta anche la coppia centrale: Indio, miglior centrale dell'ultimo Brasilerao, e Fabiano Eller, pallino da tempo di Braga che se l'è trovato al Flamengo e se l'è portato prima al Flu e poi all'Inter, e incredibilmente mai preso in considerazione in questi anni per il ruolo di centrale della nazionale brasiliana dove non sono passati esattamente dei fenomeni. Ronaldinho non affonda su Cearà, ma la collaborazione del resto della squadra senza palla è limitata anche per la grande attenzione dell'avversario. "Al calcio non si vince solo con i nomi"dice Iarley, chi, come noi, ha nel cuore il Papão e pure questo bel gioco, sottoscrive.


Internacional: Clemer; Ceara, Indio, Fabiano Eller, Ruben Cardoso; Edinho, Welington Monteiro, Alex (Vargas, 45'), Fernandao (Adriano, 75'), Iarley y Alexandre Pato (Luiz Adriano, 61').

FC Barcelona: Valdés; Zambrotta (Belletti, 45'), Puyol, Márquez, Gio; Iniesta, Motta (Xavi, 58'), Deco; Giuly, Gudjohnsen (Ezquerro, 87') y Ronaldinho.

Gol:
1-0, Adriano (81')

[reading] Lettera di Giacomo

Questa settimana si legge la Lettera di Giacomo dalle Epistole Cattoliche del Nuovo Testamento, uno dei testi più belli e meno conosciuti (e poco letti) del Canone della Bibbia.


(...) sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all'ira. Perché l'ira dell'uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio. Perciò, deposta ogni impurità e ogni resto di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime. Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s'è osservato, se ne va, e subito dimentica com'era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla. Se qualcuno pensa di essere religioso, ma non frena la lingua e inganna così il suo cuore, la sua religione è vana. Una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo.
Cap.I vv. 19 -27

Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: "Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi", ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa.
Cap.II vv. 14-17

E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme; il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti. Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza.
Cap.V vv. 1-6

16 dicembre 2006

[ipse dixit] José M. Aguilar

(...) porque Boca ya no es un club de fútbol sino el buque insignia de la derecha argentina, que sueña con instalar a un presidente de la República.

José María Aguilar, presidente del River Plate.
Pagina 12, 16/12/2006

04 dicembre 2006

[recap] Guadalajara - América 2-0 (and more...)

Grande partita del Guadalajara, che si mette mezza finale del campionato messicano in tasca, e con pieno merito. Las Chivas affronta gli eterni rivali dell'América nella semi più equlibrata e di maggior fascino. Toluca e Pachuca si incontrano per l'altro posto al sole in un Messico politicamente e socialmente sempre più diviso dopo le elezioni politiche e la rivolta di Oaxaca. Allo stadio Jalisco la voglia di calcio è tanta, come da tradizione nella "Perla dell'Occidente". I biancorossi, la squadra formata esclusivamente da messicani (per scelta), ritrova gli antichi equilibri col 3412, col genio del Bofo Bautista dietro le due punte di movimento Omar Bravo e Medina, fondamentali anche nella fase di non possesso. Il costante movimento di tutta la squadra del Chepo De la Torre ricorda i bei tempi de las Chivas e, dopo i primi minuti in cui alcune escursioni delle Aquile di Città del Messico fanno correre qualche brivido alla linea a tre difensiva retta dal centrale Reynoso e in cui fa un figurone el Maza Rodrìguez, la partita la prende in mano il Rebaño Sagrado. Guadagna campo, così che non si deve ricercare l'apertura immediatamente sulle punte o sull'enganche Bautista, che invece entra nel vivo molto più spesso faccia alla porta. Fondamentali gli esterni, con il sempre utilissimo Moncho Morales e il suo favoloso sinistro che aprirà le marcature a seguito di un rigore nel secondo tempo. Il Guadalajara merita però già nella prima frazione: diverse le occasioni, una clamorosa di Omar Bravo che se aggiustasse anche la mira sarebbe nell'élite del calcio mondiale. Il 442 spurio dell'América, con Blanco che parte dall'estrema sinistra, si spegne lentamente e vive di qualche sprazzo di Cabañas e della costante sovrapposizione sulla destra del Gringo Castro: è necessario cambiare. Al debutto della ripresa il Piojo Lopez è immediatamente gettato nella mischia in luogo di uno spento Vuoso:i gialli si ricostruiscono con un 4321, con Cuauhtémoc Blanco e l'ex Lazio e Valencia dietro al centravanti paraguayo, ma la di linearità di gioco è definitivamente persa e si attendono giocate singole che non arrivano. Un errore sulla linea laterale di Villa lancia erroneamente il Bofo in area che viene stesoda Castro: rigore, con qualche dubbio sul primo movimento di Bautista che pare ai limiti del fallo nei confronti del difensore dell'América. 1-0. Passano pochi minuti, Tena, allenatore degli ospiti, richiama in panca Blanco (polemiche in arrivo...) per inserire Cuevas e cercare di impostare un 343: arriva la seconda mazzata: un centro del Bofo pesca Bravo che anticipa bene la difesa statica dei gialli e mette dentro di testa. Delirio allo Jalisco ma l'América finalmente si scuote e sale in cattedra Oswaldo, portiere davvero troppo poco noto (in Europa) in relazione alle sue capacità: prima neutralizza alla grande un diagonale di Cabañas poi ottiene la qualifica di "figura del partido" quando para in bello stile un rigore, ancora più dubbio di quello concesso ai padroni di casa, sempre calciato dall'attaccante del Paraguay che trova il portiere della nazionale messicana anche sulla ribattuta. Nel frattempo Bautista era uscito tra gli applausi del pubblico vomitando di tutto verso il suo tecnico, con più di un massaggiatore che cercava di riportarlo alla calma: se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo: al di là del bene e del male, il Bofo.
CARLO PIZZIGONI

GUADALAJARA 2 - AMERICA 0
1-0 Morales 53' su rigore
2-0 Omar Bravo 60'

Guadalajara: Oswaldo Sanchez; Magallon, Reynoso, Rodriguez; Martinez (Santana dal 79'), Araujo, Pineda, Morales (Patlan dal 72'); Bautista (Esparza dall'84'); Omar Bravo e Medina.

América: Ochoa; Castro, Davino, Ricardo Rojas, Oscar Rojas; Mosqueda (dal 79' Torres), Arguello, Villa, Blanco (dal 58' Cuevas) ; Vuoso (dal 46' Lopez), Cabanas.

Estadio "Jalisco", Guadalajara. 30 novembre 2006

Nel ritorno della semifinale finisce 0-0 all'Azteca e il Guadalajara si qualifica per la finale dove troverà il Toluca (1-1 e 1-0 col Pachuca)

23 novembre 2006

[preview] Fenerbahce

La calata da oltre il Bosforo si sta preparando. A dire il vero il programma di Aziz Yildirim, presidentissimo del Fenerbahçe, la squadra della zona asiatica di Istanbul, prevedeva già da quest’anno l’esibizione sul palcoscenico più luminoso d’Europa. La Dinamo Kiev e una preparazione non adeguata, hanno lasciato ai canarini di Zico solo l’Europa minore e la possibilità di concentrarsi sulla SuperLig, il campionato turco, che, stante le latitanze di Galatasaray e Besiktas, stanno contendendo alla sorpresa Vestel Manisaspor, squadra molto ben organizzata. Proprio la vittoria a Manisa, a dirla tutta non molto meritata quanto a volume di gioco, ha issato alla testa della classifica il Fenerbahçe e ha, soprattutto, regalato qualche certezza in più a Zico, che proprio padrone di tutto quello che avviene in campo decisamente non pare. Ma il calcio dell’icona flamenguista è volutamente alla ricerca di situazioni più che votato a una organizzazione rigorosa. Dopo la catastrofica campagna ucraina il Fenerbahçe ha messo mano alle casse, sempre più rigonfie grazie ai mille e uno progetti legati al merchandising di stile britannico, e ha portato sotto la mezzaluna laica (a proposito, il padre della Turchia moderna, Kemal Ataturk, tifava per i gialli) pezzi da novanta, a partire da Diego Lugano, centrale uruguagio ricercato da mezza Europa che conta. A fianco del grintoso ex San Paolo, nella difesa a quattro dei turchi, c’è il brasiliano Edu Dracena, altro obiettivo di tanti club importanti. Davanti alla difesa, Deniz è preferito al turco di Ipanema, Marco Aurelio (oggi Mehmet), in un centrocampo dove brilla il talento di Appiah, dietro le punte affinché ci sia anche riconquista alta della palla, e di Tuncay, da un po’ schierato anche a destra nel 4132 di Zico. Davanti, accantonata la formula delle tre punte, il genio di Alex è al servizio di un bomber di razza come Deivid: l’essenzialità di Kezman è seduta in panchina, ma può venir buona a partita in corso.
CARLO PIZZIGONI

Fonte: Guerin Sportivo

[analisi] dopo Svizzera-Brasile

Paolo Galli, giornalista svizzero del Giornale del Popolo di Lugano, analizza Svizzera e Brasile dopo l'incontro di alcuni giorni fa a Basilea.


Svizzera: ci sono gerarchie da cambiare in fretta

A due facce. Una grigia e monocorde, l’altra allegra e viva. La Svizzera contro il Brasile ha dapprima rischiato di fare una figuraccia barbina, quasi dilettantesca, poi ha saputo cancellare tutte le incertezze e proporre un bel gioco, nel contempo fantasioso e concreto. Un segnale confortante prima del virtuale giro di boa di fine anno, un segnale soprattutto rassicurante dopo le recenti preoccupanti prestazioni; una per tutte quella di Innsbruck. Il cambiamento di ritmo è dovuto in gran parte alle mosse azzeccate da Kuhn nella pausa. Dare meriti al CT però è fuori luogo in questo caso, visto che quelle stesse mosse erano da pensare ben prima, magari a inizio gara. Streller e Vogel fuori, Dzemaili e Margairaz dentro, con spostamento di Vonlanthen nel suo ruolo naturale di folletto offensivo. Ma Köbi lo conosciamo, ha gerarchie rigidissime che modifica soltanto dopo lunghe ed estenuanti riflessioni.L’accantonamento di Huggel e Gygax dimostra comunque la sua attenzione crescente in questo senso.
Le giuste sicurezze Un nome su tutti, quello di Barnetta. L’esterno del Bayer è sempre uno dei più pericolosi, dei più vivi e moderni. Uno dei pochi insostituibili di questa nazionale. Con lui, a centrocampo, ha dimostrato di meritare fiducia il duro Cabanas, sempre motivatissimo, anche quando non è magari nella sua migliore serata. La difesa ha varie certezze, quelle cioè che hanno assicurato l’imbattibilità mondiale: Degen (assente contro il Brasile), Müller, Senderos e Magnin. Peccato che questi ultimi non riescano a trovare spazio nei rispettivi club: il prossimo anno sarebbe quindi loro consigliabile una scelta accorta di trasferimento. In attacco Frei ha ovviamente la fiducia del CT, ma anche la punta del Borussia non è sembrata contro il Brasile del tutto a suo agio, anzi... un Alex nervoso più del solito.
Pista, fate largo! Chi invece dovrebbe farsi da parte – o che dovrebbe meglio essere “invitato” a farsi da parte – è in primis Vogel. Il capitano non pare più quel giocatore disposto a tutto pur di vincere, di arrivare, è sazio e tronfio. Più fame ce l’ha Streller, un giocatore al quale non riusciamo a riconoscere alcuna qualità: un briciolo di generosità e quel gol alla Turchia non possono renderlo indiscutibile vita natural durante. Discorso simile per Zubi; il miracolo mondiale doveva essere la grande chiusura di una carriera discontinua e discutibile, e invece ha scelto di andare avanti, decidendo di tenersi il posto di titolare, come se fosse lui solo a decidere (ed infatti...). In quanto a Gygax e Huggel, la scelta di Kuhn di spedirli in tribuna ha regalato qualche sospiro di sollievo ai tifosi. Discorso analogo per il pur disciplinato Wicky, tenuto in panchina. Non sono giocatori inutili ma “in giro” c’è assolutamente di meglio. Le eterne esclusioni di Coltorti, Lustrinelli e Grichting, rincalzi che non trascureremmo con tanta superficialità, fanno capire quanto poco il coach si fidi di loro. Spycher, che ha davanti il titolarissimo Magnin, resta una riserva di lusso, ma appunto una riserva.
Il nuovo che avanza Kuhn li apprezza ma ancora non si fida ciecamente, forse con l’anacronistica paura di non bruciarli. Stiamo parlando dei giovani dello Zurigo, Margairaz su tutti, Dzemaili e, in parte, Inler, ma anche di Benaglio, di Vonlanthen – ieri utilizzato da esterno pur di non togliere Streller –, di David Degen, sicuramente di Behrami (con Barnetta il giocatore più moderno del panorama elvetico). Ad essi aggiungeremmo anche il ticinese Padalino, dimenticato a Piacenza, dove è sempre tra i migliori della squadra leader della serie B italiana. In quanto a Lichtsteiner e Djourou, hanno recentemente alternato ottime prestazioni a gravi capitomboli, sono acerbi ma meritano costante attenzione.
PAOLO GALLI

Brasile: con lo sceriffo è vietato il samba

Si è fatto un gran parlare recentemente della nuova versione della seleçao. Spazio in campo cioè ai calciatori-operai e in tribuna invece ai cosiddetti fenomeni leziosi e ingombranti. Risultati? Troppo approssimativo tracciare bilanci dopo la partita di ieri, ma qualche utile indicazione è emersa comunque con limpidezza. Dando un’occhiata alla formazione scesa in campo ieri, Robinho e Kakà a parte, gli altri erano tutto sommato dei quasi sconosciuti alle nostre latitudini. Nomi nuovi del panorama internazionale, mestieranti, poco artisti. Intendiamoci, qualche fiammata c’è stata, il pallone tra i loro piedi comunque ballava con sufficiente eleganza, ma sulla base di tutta un’altra musica rispetto a quella del Brasile che siamo stati abituati a sognare e desiderare. Ieri parlavamo del Brasile versione 1982, una delegazione splendida quanto fallimentare, mentre quella più recente addirittura non era neppure bella, soltanto fallimentare, la bellezza lasciata sulla carta e nell’inchiostro di giornalisti disattenti e superficiali. Quella attuale, o meglio, quella in divenire non ha apparentemente nulla di bello, dà piuttosto l’idea a tratti di un gruppo di buoni giocatori che si sforza di restare concentrato, ordinato, di spingere con in testa già l’idea della successiva fase di copertura. La fantasia bloccata tra troppi pensieri. «Serviva un Brasile di questo genere». Qualcuno almeno tenta di convincerci di questo. Mah! Alcuni dubbi restano. Siamo abituati ad un’altra musica, ad una bandella che a volte casca in qualche stonatura, ma che ci fa muovere, ci fa sognare e divertire. E non ad un’orchestra di disciplinati e precisi, quanto cupi, suonatori. Samba, bossanova, musica e calcio fatti per ballare stretti, brividi di calore, di colore e di fantasia. Dunga probabilmente riuscirà nella sua missione. Lui è lo “sceriffo”, la stella sul petto la porta con orgoglio e cattiveria, senza lasciare spazio ai sentimentalismi, esagera pur di ottenere una nuova mentalità. Se il fuorilegge sgarra, una prigione in cui sbatterlo la troverà sempre. Un po’ di spazio lo concede, non vuole sembrare ottuso, davvero non lo è, e allora ecco Kakà capitano – e vero e unico leader di questa squadra (ricorda un'altra situazione, non trovate?) – ed ecco Robinho libero di muoversi su e giù da mezzala destra. Poi gli Elano, i Sobis, gente svelta, col piede carico, non fenomeni. E dietro, i suoi sgherri, marcantoni, Fernando e Dudu in prima linea, a coprire altri armadi, Maicon, Luisão, Juan... «È tornato l’ordine in questo schifo di città!» sembra voler dire Dunga. Ma siamo sicuri che questa città facesse poi così schifo e che tutto, ma proprio tutto, era da cambiare?
PAOLO GALLI

18 novembre 2006

[figuras] Gago e Belluschi

Che la sorte ci mantenga l’equidistanza da Boca e River. Abbracciare una delle due sponde potrebbe farci odiare uno dei fenomeni del futuro centrocampo della Nazionale Argentina: Fernando Gago e Fernando Belluschi. Durante l’ultimo Supeclasico entrambi hanno indossato la fascia di capitano dei rispettivi club, a testimoniare l’ormai avvenuta consacrazione. Questa è però solo una puntata delle telenovela, una delle ultime girate in patria, dato che tra poco la sceneggiatura prevede nuove scenari, in Europa. Le menti che hanno costruito la storia si sono fatti un po’ prendere la mano. Fernando Gago tira i primi calci al Saavedra di Ciudadela, Buenos Aires, dove è nato il 10 aprile del 1986 (sic). Si illumina subito l’occhio di Ramon Maddoni, il più celebrato talent scout del paese, per anni gestore del Club Parque, dove sono passati tanti grandi d’Argentina (Riquelme, Tevez, Cambiasso e Redondo), che gli chiede subito di raggiungerlo. Per sei anni lo forgia, prima che intervenga il Boca a portarselo via. In quel periodo, intanto, un giovane proveniente dalla provincia di Santa Fé è alla Ribera per un provino. Il suo rappresentante, Alberto Meo, riesce a convincere i genitori di Fernando Belluschi di lasciare partire l’allora tredicenne da Los Quirquinchos, “solo per una prova”. Ai tecnici delle Inferiores Xeneizes Belluschi lascia immediatamente una buonissima impressione, tanto che è già pronto per lui un posto nell’alloggio dei ragazzi che vengono da fuori città. I genitori del “Pelado”, come lo chiamano nella sua città, non sono per nulla persuasi e la prospettiva di lasciare la famiglia non convince nemmeno la giovane promessa: Rosario è più vicina, crescerà nel Newell’s. I Fernandos si sono forse incontrati in quella occasione, magari hanno pure giocato contro qualche partitella: l’eleganza di Gago era cristallina, ma al Boca hanno subito chiarito che non bastava e da sempre Maddoni gli urlava di “mettercela la gamba”, Belluschi era già allora un tuttofare, un multiruolo che, in sovrappiù, non faceva fatica a vedere la porta. Ok, storia interrotta, le due promesse che non si incontrano e ognuno per la sua strada: avrebbero fatto faville assieme, uno a distribuire, l’altro a incunearsi nelle difese. Tutto finito? No. Dicembre 2004. Fernando Gago ha appena debuttato in prima squadra, al Chino Benitez, interessava poco una carta d’identità che sul campo si dimostrava evidentemente truccata. Belluschi è invece uno dei protagonisti del trionfo nell’Apertura 20o4 del Newell’s: la squadra del Tolo Gallego ha proprio nel giovane Fernando una pietra d’angolo che completa l’asse vincente formato dal portiere paraguayo Justo Villar e da un redivivo Ariel Ortega, decretato fallito in Turchia. Prima dello spuntare del 2005, Mauricio Macri, presidente del Boca, si siede al tavolo coi dirigenti Leprosos: vuole Belluschi, Marino e Garay. Non ha fretta, il dirigente boquense. Vuole solo bloccarli per anticipare i rivali del River: nel giro di qualche mese però Marino se lo porta a casa, gli altri due, in cambio di un milione di dollari per la metà del cartellino di entrambi, restano a Rosario, saranno Bosteros solo nel 2006. Intanto, il Boca constata il fallimento del progetto Benitez e comincia (dopo il no a Macri di Marcelo Bielsa) con il Coco Basile, voluto sulla panchina da Diego Maradona, in quel tempo appena nominato Vicepresidente del Consejo de Fútbol, un ciclo esaltante in cui artiglia trofei nazionali e internazionali. Gago è in costante crescita, le sirene europee sono già fortissime, ma Macri tiene duro convinto che il prezzo che spunterà più avanti sarà altissimo e intanto per fare cassa cede pezzi di minor qualità dell’argenteria di casa: salutano la Bombonera anche il Pato Abbondanzieri e il Pocho Insùa. Arriva il fatidico 2006: arriva il matrimonio? Il River Plate assiste sempre con maggiore amarezza alle continue vittorie del Boca, l’hinchada è furibonda col presidente José Maria Aguilar, incapace di invertire la rotta. Sulla panchina dei Millionarios ritorna, dopo una serie di fallimenti all’estero, Daniel Passarella. Il Kaiser, subentrato a Merlo, vuole rilanciare sé e la squadra della sua vita e nell’ultima campagna acquisti chiede al presidente un estremo sforzo: “Mi prenda Belluschi!” Aguilar da tempo si è mosso per portarlo a Núñez ma solo con l’intervento di una finanziaria straniera (si parla della solita MSI) riesce a trovare il contante per accaparrarsi l’80 % del cartellino (il resto rimane al Newell’s) e i servigi del giocatore. Insomma, ancora buca, per l’unione di cui sopra. Gago è diventato un giocatore completo, un 5 classico, mescolando eleganza ed efficacia, sempre a testa alta, grande idea del gioco sintetizzata dalle parole di José Malleo, allenatore delle giovanili del Boca: “Prima di ricevere la palla Fernando sa quello che deve fare, è il segreto dei grandi centrocampisti, quelli che sanno che la giocata non termina quando si passa la palla: lì comincia.” Ma qui stiamo parlando anche di un ragazzo che i palloni se li conquista, non li distribuisce solamente: un unicum, in prospettiva, proprio per questa caratteristica, superiore a Fernando Redondo, centrocampista a cui, per classe e grazia, è stato più volte accostato. Belluschi ci starebbe benissimo al fianco: giocatore moderno paradigmaticamente riepilogato dalle fredde cifre: in questo campionato è quarto nella classifica di chi tocca più palloni, quinto nella percentuale di efficacia dei passaggi, settimo nella precisione dei tocchi di prima, decimo nei tiri nello specchio della porta e quello che riceve più falli della sua squadra. Universale. Nell’ultimo clasico contro il Boca ha giocato più avanzato rispetto al solito, senza problemi di ambientamento o altro, anche se partendo da dietro diventa più devastante.

Fallita l’unione in Patria, per vederli uniti restano due chances: Europa o nazionale Argentina. In bianco celeste, poco maturi sotto Pekerman (che ovviamente li ha allevati nelle nazionali giovanili), è giunto ora il loro momento. Buona parte della stampa li reclama, Basile vacilla anche perché l’inizio della sua avventura è stato decisamente disastroso, perdendo di goleada con il Brasile e non facendo una grande figura con la Spagna: si chiede una ripartenza convinta. Capitolo Europa: Si dice che Belluschi sia già in orbita Abramovich, mentre il furbo Macri ha organizzato una super asta tra le grandi d’Europa, con Real Madrid e Barça in testa ma in cui non manca la sempre più comune super offerta russa: pare che Evgeni Giner, proprietario del CSKA Mosca, oltre che della compagnia petrolifera Slavneft Oil Company, buon amico del padrone del Chelsea, abbia promesso cifre in cui gli zeri in fondo siano tendenti a infinito. Pochi mesi e vedremo la nuova maglia di Gago, anche se i bookmakers quotano bassa la Spagna.

Ma alla fine, il matrimonio? Le telenovele sono lunghe, ma coi finali affatto prevedibili. L’Argentina se lo augura: Qui viene fuori il centrocampo che dominerà i prossimi mondiali.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Guerin Sportivo

08 novembre 2006

[preview] Royal League

Parte in settimana la terza edizione della Royal League, la Champions League scandinava che raccoglie le quattro migliori classificate della Superliga danese, dell’Allsvenskan svedese e della Tippeliga norvegese. Una competizione modellata sulla falsariga della “vera” Champions, con prima fase a giorni e seconda a eliminazione diretta (da quest’anno però, dai quarti di finale in poi, niente più incontri di andata e ritorno bensì match unico), che secondo l’opinione di molti addetti ai lavori avrebbe una duplice funzione: incrementare il livello qualitativo e lo sviluppo del calcio scandinavo, e porre le basi per la tanto agognata (da molti presidenti dei club locali) unione dei tre campionati nazionali in quella che è già stata definita la Royal SuperLeague, un tema quest’ultimo che interessa anche altri stati (Olanda-Belgio e la loro BeNeLiga, i maggiori club scozzesi) ma nei confronti del quale finora né la FIFA né l’UEFA hanno voluto sentire ragioni. Di seguito una breve presentazione dei gironi e delle squadre.

Gruppo 1 (Brann, Helsingborgs, Odense, Rosenborg)

Dopo un 2005 disastroso, il Rosenborg è tornato al posto che gli compete in Tippeliga, vincendo il suo quattordicesimo titolo negli ultimi quindici anni. Il grande merito per aver rivitalizzato una squadra senza nerbo è da ascrivere al tecnico Per-Mathias Høgmo, non a caso ribattezzato dai tifosi Per-Messias, che però immediatamente dopo la festa-scudetto ha salutato la compagnia annunciando l’intenzione di chiudere con la carriera di allenatore. Un addio che può avere qualche contraccolpo sulla squadra la quale, a dispetto di un collettivo indubbiamente di livello superiore rispetto ai parametri medi del calcio scandinavo, spesso necessita di una spinta “motivazionale” che durante la carismatica gestione-Høgmo non è mai mancata. Anche perché, nonostante il club di Trondheim risulti sulla carta superiore ai principali avversari (la squadra ha tutto: un bomber come Steffen Iversen, rinato una volta rientrato in patria dopo le opache esperienze in Inghilterra, l’esperienza dei veterani Frode Johnsen e Roar Strand, la fisicità dell’eterna promessa Jan Gunnar Solli, la fantasia dello slovacco Marek Sapara e un portiere affidabile come il canadese Lars Hirschfeld), il girone non è facile. Tralasciando il Brann dell’ex Bruges Bengt Sæternes, rivelazione della prima parte della Tippeliga arrivata però a fine stagione con la lingua a penzoloni, sia i danesi dell’Odense che gli svedesi dell’Helsingborg sono clienti da non sottovalutare. I primi, visti in Uefa contro il Parma, sono una squadra tosta e grintosa a cui manca solamente una prima punta dal gol facile, assenza alla quale il tecnico inglese Ricoh sopperisce con un centrocampo a cinque basato sui dinamici Bechara Oliveira e Martin Borre, e sul trequartista svedese Tobias Grahn, abile negli inserimenti e concreto sottoporta. Gli svedesi puntano invece tutto su Henrik Larsson, arrivato in estate a raddrizzare una barca che faceva acqua un po’ da tutte le parti. L’obiettivo quarto posto, l’ultimo disponibile per la Royal League, è stato centrato senza brillare particolarmente, il resto è tutto nelle mani di Henke.

Gruppo 2 (Brøndby, Hammarby, Køpenaghen, Lillestrøm)

Vincitore delle due edizioni precedenti, il Køpenaghen è la grande favorita anche per questa Royal League. Il livello tecnico della squadra è decisamente una spanna sopra a quello di tutte le rivali (Rosenborg escluso), idem la disponibilità economica del club. A sfavore degli uomini di Solbakken potrebbero però giocare le fatiche di Champions, competizione chiaramente fuori portata per la società danese, affrontata però con una determinazione che tante altre “cenerentole” d’Europa si sognano, tanto che è arrivato anche qualche risultato di prestigio (le vittorie contro l’Ajax e il Manchester United). In attacco Markus Allback, pur non essendo un giocatore né da palati fini né da reti a grappoli, garantisce sostanza, sulla destra il terzino Lars Jacobsen spinge che è un piacere, al centro della difesa c’è la diga Micheal Gravgaard, in mediana il nazionale Tobias Linderoth sa far valere la propria esperienza; ciò che manca è un pizzico di fantasia, il giocatore dotato del guizzo che mescola le carte e scombina i piani. A dire il vero ci sarebbe anche quello, ma langue in infermeria; è Jesper Gronkjær, formidabile (a livello tecnico) ma altamente discontinua ala che dopo aver sperperato il proprio talento nei campi di mezza Europa aveva optato per il ritorno a casa allo scopo di “far entrare il Køpenaghen tra le migliori 32 squadre Europa”. Missione compiuta, adesso Solbakken deve solo sperare che il recupero del suo uomo migliore sia quanto più breve possibile. Nel girone l’avversaria più ostica è il Lillestrøm, squadra difficile per tutti da affrontare in un singolo incontro ma priva della continuità necessaria per poter ambire al titolo in un torneo di lunga durata. Una squadra quindi più da Royal League (dove infatti lo scorso anno arrivò in finale) che da Tippeliga, la cui discontinuità è giustificata da un’età media alquanto bassa (nessun giocatore in rosa supera i 30 anni) e il cui elemento migliore è il centrocampista sloveno Robert Koren, assistman per eccellenza (una qualità della quale quest’anno ha beneficiato soprattutto l’attaccante maltese Micheal Misfud, ex Kaiserslautern) ma anche buon finalizzatore. Delle squadre rimanenti, il Brøndby è in piena crisi, stenta in campionato, dove occupa attualmente la settima posizione, e i fasti dell’era Micheal Laudrup, dimessosi nella primavera del 2006 per motivi di natura contrattuale (ma esistevano delle divergenze anche sulla politica orientata al risparmio attuata dalla dirigenza), sembrano lontani già anni luce. Per il piccolo ma ambizioso Hammarby guidato dalle reti del brasiliano Paulinho Guarà, ex Atletico Mineiro, la qualificazione alla Royal League è la conferma dello status di squadra di vertice (nel 2001 è arrivato anche il primo titolo nazionale) raggiunto dal club nell’ultimo quinquennio di Allsvenskan.

Gruppo 3 (AIK Stoccolma, Elfsborg, Vålerenga, Viborg)

Il girone più incerto. Il “vuoto di potere” creatosi quest’anno in Svezia, con tutte e tre le grandi (Djurgarden, Malmö e IFK Göteborg) incappate in una stagione nerissima che le ha fallire anche la qualificazione alla Royal League, per la quale serviva almeno il quarto posto in classifica, ha portato sotto la luce dei riflettori una piccola realtà come l’Elfsborg, che ha vinto il titolo nazionale quarantacinque anni dopo il suo ultimo successo, e una nobile decaduta come l’AIK Stoccolma, piazzatasi da neo-promossa al secondo posto, preceduta dell’Elfsborg per un solo punto. L’equilibrio tra le due compagini è sostanziale; i neo-campioni di Svezia si affidano ai due Svensson, il regista Anders (ex Southampton) e la punta Matthias (ex Portsmouth, Charlton e Norwich), e a un pacchetto arretrato che concede poco, in casa come in trasferta (solo due le sconfitte in tutto il campionato, con 19 reti subite in 26 partite); anche l’AIK punta forte sul pacchetto arretrato, guidato da Johan Mjällby, leone di mille battaglie con la maglia del Celtic Glasgow rientrato in patria dopo una fugace esperienza in Spagna nel Levante, e da Markus Jonsson, terzino destro che sostiene di non aver mai sbagliato un rigore in carriera (nel 2006 ne ha realizzati cinque su cinque per l’AIK). Ai gol ci pensa invece il brasiliano Wilton Figuerido. Il Vålerenga ha vinto la Tippeliga lo scorso anno, ma le intenzioni della dirigenza di costruire una squadra in grado di combattere ad armi pari con il Rosenborg sono state frustrate da un mercato che ha visto partire molti dei pezzi migliori (Iversen, Gashi, Ishizaki) della squadra. Il tecnico Rekdal ne ha preso atto, e si è dimesso a campionato in corso lamentando proprio l’impossibilità, causa mancanza di materia prima, di lavorare in prospettiva futura (basta dire che il miglior giocatore della squadra è risultato essere il 37enne Ronny Johnsen, ex Manchester United degli anni d’oro) per creare una rosa competitiva ai massimi livelli. Ne è nata una stagione altalenante, con un terzo posto in Tippeliga che non ha soddisfatto nessuno, e la certezza che Tore Andrè Flo è ormai ben avviato sul viale del tramonto, tanto da far ipotizzare, anche per i continui guai fisici, un suo ritiro in tempi brevi. Il piccolo Viborg infine veleggia nei bassifondi della Superliga e difficilmente la sua partecipazione andrà oltre il mero atto di presenza, a dispetto di avversarie non certo imbattibili.

ALEC CORDOLCINI, Guerin Sportivo

24 ottobre 2006

[figura] Didier Drogba

Arrivano a tutte le ore gli aerei ad Abidjan. Anche di notte. La strada che conduce dall’aeroporto alla città è piena di soldati. La Costa d’Avorio voleva affrancarsi definitivamente dalla potenza coloniale, cominciando a commissionare grandi opere fuori Parigi. Guarda il caso: nascono gruppi ribelli nel Nord e il Paese si ritrova sull’orlo della Guerra Civile ormai da tempo. Sopra il tappeto rosso De Gaulle e Mitterand parlavano di “Piccola Parigi” indicando Abdjan. Ora la ritrovi con posti di blocco un po’ ovunque, armi in bellavista e tanto verde militare per le strade. In questa tristezza, c’è un cappello da pescatore che fa da passepartout, fisico e magico. Attraversa i posti di blocco, accende l’orgoglio di Patria e fa ancora sognare. Il copricapo scende sugli occhi, si intravede appena lo sguardo ed è sempre quello del ragazzino della SICOGI di Yopougon, un quartiere popolare. Dall’alto, le case devono apparire un unicum, invece ci sono viette di un paio di metri le dividono. Anzi: le uniscono, come fosse un corridoio esterno che mette in comunicazione i vicini di casa, che sono, spesso, poco meno di familiari. Sotto quelle case fa un caldo terrificante, non ci sta nessuno se non per costrizione. Drogba bambino, Tito, secondo il battesimo della mamma, cercava il primo pezzo di sterrato per giocare a pallone, ora lo solca con la sua Jeep e passa a trovare amici e parenti praticamente ad ogni estate o appena gli impegni in Europa glielo consentono. “On dit quoi?” ripete, come ogni buon ivoriano, ogni volta che sulla celeberrima Rue Princesse di Yopougon, Drogba entra a "Le Fouquet's", il débit de boisson, diciamo il bar, che ha aperto a uno dei suoi familiari.
Il cappello è appena sopra gli occhi ma è difficile passare inosservati, specie a “La case Blanche”, uno dei locali “in” della città, i cui proprietari sono i membri del Magic System, gruppo capofila della musica zouglou non una dance band come qualche inesperto li etichetta, famosissimi nel Paese (per gli appassionati di note consigliamo la loro hit “petit pompier”). Ad Abidjan Tito è una leggenda, anche se forse l’affetto della maggior parte della città va agli Académiciens, Aruna Dindane, Zokora, Kolo Touré sopra tutti, cresciuti nella scuola calcio più importante del Continente, voluta dal patron dell’Asec, Roger Ouegnin. Drogba, bersagliando le porte di tutta Europa è però diventato e riconosciuto il leader della Selephanto, la selezioni degli Elefanti, come sono chiamati i giocatori della nazionale ivoriana, da poche settimane affidata a Uli Stielike. Cos’è un leader?Dopo la sconfitta casalinga col Camerun che sembrava aver pregiudicato il viaggio ai Mondiali tedeschi (poi ci sarebbe stato il rigore di Wome contro l’Egitto e quindi il suicidio dei Leoni Indomabili), molti avevano preso ad attaccare Bonaventure Kalou, classe cristallina ma eccessiva indolenza: “non ha cuore”, la frase più gentile. In un’intervista a inizio 2006 Drogba fissando l’obbiettivo era stato chiarissimo: “Giocherò la coppa d’Africa con la mia nazionale, e la giocherò, insieme ai mie compagni, per vincerla, solo se cesseranno gli attacchi a Kalou, che sono davvero indegni.”
La Coppa d’Africa l’ha sfiorata, perdendo ai rigori la finale con l’Egitto padrone di casa, ai mondiali una difesa ballerina ha minato la qualificazione ma gli Elefanti hanno giocato alla pari con Argentina e Olanda, poi hanno sconfitto la Serbia facendo abbracciare una nazione sul precipizio di una guerra civile, che è parecchio più di una vittoria su un campo di calcio. C’è un leader e qualcosa di più, sotto quel cappello.
CARLO PIZZIGONI

Fonte: Guerin Sportivo

15 ottobre 2006

[recap] Peñarol - Miramar Misiones 1-0

E' triste osservare uno stadio Centenario così vuoto. La partita non sarà memorabile, coppa uruguaya sponsorizzata Coca Cola, come ossessivamente il telecronista di VTV si prodiga di sottolineare, ma qui sembra un match a porte chiuse con qualche familiare in tribuna. Triste anche il Penarol, per quella divisa grigia che indossa, brutta e antistorica, e, soprattutto, per lo spettacolo che ci propina. Attenuanti, però, tante. Persi Carlos Bueno, Cristian Rodríguez, il cagliaritano Joe Bizera e Sergio Leal, tra l'altro in situazioni rocambolesche che rischiano di non fare entrare nulla di sostanzioso nelle casse del club, si deve pensare alla ricostruzione attraverso i giovani, che però prontissimi non sono. La "chioccia" Montero, al rientro da un infortunio, orchestra bene la linea difensiva a 4 ma un'entrata fuori tempo nel recupero gli vale il doppio giallo che gli fa terminare anzitempo il match . Deludono Batjer e Morena, specie il secondo, ma, appunto, si tratta di ragazzi gettati anzitempo nella mischia, un po' di pazienza è necessaria. Nel primo tempo soprattutto la palla gira davvero lentamente, non arriva un cambio di gioco, le sovrapposizioni giungono lente e l'unico sbocco è il lancio verso Delorte, rilanciato dal primo minuto per l'infortunio di Pedro Cardoso. L'argentino, ex Olimpo, è continuamente pizzicato dal pubblico ma mi pare che il suo lo faccia ampiamente: in più, in occasione del gol, ci mette la testa su un calcio d'angolo e allunga la parabola in maniera decisiva verso Vigneri, che davanti alla porta mette dentro. Piuttosto, è l'attaccante della Celeste a deludere per tutto il match, perdendo una marea di palloni e vincendo pochissimi duelli individuali. Chiudo con una nota di merito per i telecronisti: preparati, avvincenti e competenti come solo in Sudamerica mi capita di incontrare.

MIRAMAR MISIONES: Gonzalo Noguera (22' Sergio Migliaccio); Eduardo Mieres, Agustín Lucas, Carlos De Castro; Gastón Yaque, Fernando Rocha, Marcelo Martucciello (66' Adrián Speranza), Fabián Coelho (83' Sebastián Merlo); Rodolfo López; Sebastián Fernández, Andrés Rodríguez. Director Técnico: Carlos Laje.

PEÑAROL: Juan Castillo; Nelson Olveira, Luiz Nunes, Paolo Montero, Diego Rodríguez; Maximiliano Bajter (70' José Santana ), Egidio Arévalo Ríos, Darío Flores (46' Maximiliano Arias), Diego Morena (46' Rodrigo Cubilla ); Nicolás Vigneri , Alejandro Delorte. Director Técnico: Gregorio Pérez.

GOL: 80' Nicolás Vigneri

Estadio Centenario, Montevideo - 15 ottobre 2006

28 settembre 2006

[recap] Bordeaux-Psv Eindhoven 0-1

Ma guarda a chi è toccato decidere un incontro cruciale del gruppo C quale Bordeaux-Psv. Il finlandese Mika Vayryren era uno abituato ad essere decisivo quando giocava nell’Heerenveen, moto perpetuo e cervello pensante di metà campo sulla falsariga del Van Bommel-pre Barcellona (ma il buon Mark a Monaco può davvero rilanciarsi alla grande), tanto che per lui si erano mossi gli osservatori di alcune big d’Europa. Ad Eindhoven invece poche presenze (anche a causa di numerosi problemi fisici) e parecchio anonimato; Hiddink lo vedeva poco, Ronald Koeman forse ancora meno. Ma quando infortuni e squalifiche in casa Psv gli hanno offerto una chance da titolare in Champions, Mika l’ha sfruttata ai dovere, funzionando a meraviglia nel centrocampo a tre degli olandesi come punto di raccordo tra il belga Simons, chiamato a compiti di puro contenimento, e l’ecuadoriano Edison Mendez, al quale viene demandato un sostanzioso apporto anche in fase di costruzione. Vayrynen, la cui pronuncia in finlandese è “Vaurunen”, ha impostato e rubato palloni, come ai vecchi tempi, entrando in tutte le azioni pericolose del Psv. Bello lo scambio con Konè per la rete decisiva. L’attaccante ivoriano, cui uno strepitoso intervento di Ramè (su angolo battuto da Vayrynen) ha negato di sbloccare in risultato già nel primo tempo, è il solito pasticcione; ha un potenziale devastante, ma spesso si perde in errori banali, fa il “veneziano” (in Olanda adesso lo chiamano Bobby Solo) e spreca parecchio. E’ capace di farti innervosire e poi strapparti applausi nel giro di cinque minuti, ti mette sempre in difficoltà quando devi giudicare la sua prestazione, eppure rappresenta uno di quegli elementi calcisticamente “destabilizzanti” che, quando la giornata è quella giusta, possono mandare in tilt qualsiasi difesa. Contro i francesi sbaglia molto, salvo poi inventarsi l’assist che mette Vayrynen davanti a Ramè per il gol-partita. Il Bordeaux ha invece deluso, soprattutto per l’atteggiamento a tratti poco convinto di fronte ad un Psv ben organizzato ma che non è apparso invulnerabile in difesa, dove ha giganteggiato il solito Alex e hanno sofferto, ma anche questa non è una novità, i terzini Kromkamp e Lamey (in estate lo davano vicino al Livorno, ma quanti se ne trovano di terzini sinistri migliori anche nella nostra Serie B?!). I Girondini ci hanno provato con Darcheville, propositivo ma troppo isolato in avanti, e con il brasiliano Mauricio Wendel, ma è mancato l’apporto del centrocampo, con Micoud abulico, Menegazzo e Faubert imprecisi, e Mavouba poco brillante. L’inserimento del marocchino Chamakh nella ripresa e il passaggio al 4-4-2 ha migliorato le cose, almeno fin al gol di Vayrynen, arrivato proprio nel miglior momento per il Bordeaux. Va bene che la Champions non è propriamente il pane quotidiano per il popolo dell’ex Parc Lescure (oggi Stade Chaban-Delmas), ma mister Ricardo Gomes un po’ di coraggio in più avrebbe anche potuto mostrarlo.

Bordeaux (4-2-3-1): Ramè; Jemmali (Laslandes 89’), Enakarhire, Enrique, Jurietti (Stéphane Dalmat 74’); Mavuba, Menegazzo ; Faubert, Micoud (Chamakh 46’), Wendel; Darcheville.

Psv Eindhoven (4-3-3): Gomes; Kromkamp, Alex, Salcido, Lamey; Mendez, Simons, Vayrynen (Eric Addo 79’); Afellay (Aissati 72’), Konè, Tardelli (Beerens 84’).

Marcatori: Vayrynen 65’

Stade Chaban-Delmas – Bordeaux, 27 settembre 2006

ALEC CORDOLCINI, Guerin Sportivo

24 settembre 2006

[recap] Konyaspor - Fenerbahçe 0-1

Avevo lasciato un Fenerbahce inguardabile, lo ritrovo in piena crescita. Sono contento per Zico, che propone sempre un calcio di letture, ma che offre finalmente un canovaccio degno. Merito anche della società dell'altra parte del Bosforo che ha allargato i cordoni della borsa e portato a casa gente come Kezman, Deivid, Lugano (assente in questo match) e Edu Dracena. La differenza della cifra tecnica è evidente, però lascia molto persuasi la crescita dello spirito di squadra. In mezzo centrocampo a tre con Marco Aurelio (ora ribattezzato turco) davanti alla difesa e Appiah e Tuncay ai lati, ma con un costante aiuto dei tre attaccanti, specie di Deivid, sulla fascia destra. A sinistra Tuncay scivola anche dietro Umit e prende la sovrapposizione altrui. Qualche corsetta in più anche per Alex ma, con Kezman che fa esclusivamente il centravanti ed è pressoché sollevato da compiti di copertura (anche se almeno rientra dietro la linea della palla), Deivid a tutto campo è una piacevole sorpresa: grande impegno dell'ex Santos e Sporting e sontuosa partita (insieme a Tuncay mio MVP), anche in fase di palleggio e di movimento senza palla, oltre che di coperture continue. Dopo alcune occasioni la partita viene sbloccata da un gioiello di Kezman che pesca un pallonetto da 25 metri che è una favola che toglie la ragnatela all'incrocio. Un colpo da fenomeno che cerca di bissare più tardi, con il piede sinistro e che però si stampa sulla traversa. I minuti dopo il gol sono uno spettacolo di convinzione per la squadra di Istanbul. Quando gioca così credo possa avere pochi rivali in Turchia. Il problema è che ancora manca continuità mentale, per alcuni tratti della partita, specie nel secondo tempo, la concentrazione si abbassa, e in molti escono dalla partita: lì si rischia anche con il Konya, in uno stadio davvero partecipe.

Konyaspor: Özden Öngün, Yasin Çelik (Ufuk Ateş 88), Ömer Gündostu, Abdelzaher El Saka, Kauê, Erkan Sekman (Aleksandar Aleksandrov 46), João Batista, Sedat Ağçay, Erman Özgür, Ahmed Belal (Tayfun Türkmen 81), Éder Ceccon
Coach: Nurullah Sağlam

Fenerbahçe: Rüştü Reçber, Kerim Zengin, Edu Dracena, Önder Turacı, Ümit Özat, Stephen Appiah, Mehmet Aurélio (Selçuk Şahin 41), Tuncay Şanlı, Alex, Deivid (Tümer Metin 80), Mateja Kežman (Semih Şentürk 90)
Coach: Zico

Marcatori: 0-1 Kežman 31

Atatürk Stadyumu, Ankara. 22 settembre 2006

15 settembre 2006

[recap] Vitória Setúbal - Heerenveen 0-3

Risultato esagerato ma vittoria meritata per l’Heerenveen grazie ad un piccolo ma tutt’altro che insignificante particolare: giocatori capaci di buttare la palla in rete. Afonso Alves nell’occasione, abulico e fuori dal gioco nella prima frazione tanto da farlo sembrare il tipico brasiliano ammalato di saudade cronica, non fosse per i cinque campionati nell’Allsvenskan svedese dai quali è fresco reduce, ma dotato di classe sufficiente per risvegliarsi dal torpore e piazzare nel giro di sei minuti due calci di punizione che hanno di fatto chiuso l’incontro. Troppo guardingo il 4-5-1 del Setubal, superiore agli olandesi in fase di possesso palla (sono piaciuti i due terzini, il nazionale di Capo Verde Jànicio e Nandinho, entrambi dinamici e propositivi) ma privo di interpreti all’altezza nel reparto avanzato, incapace di sfruttare un Heerenveen che nel primo tempo faticava ad imbastire un’azione degna di tal nome e anche sfortunato nel palo colpito da Auri (un difensore centrale però). Nell’Heereveen crescono le quotazioni del portiere belga Vandenbussche e del centrocampista croato Danijel Pranjic, fosforo e polmoni nel muscolare centrocampo a tre (con il vecchio guerriero Paul Bosvelt costantemente a rischio espulsione) della squadra della Frisia. Resta il problema della prima punta: un Huntelaar non si trova ogni anno (e quando lo scorso gennaio passò all’Ajax venne ceduta anche la sua riserva, il greco Samaras), e quest’anno ci si deve accontentare del canadese Friend e del finlandese Tarvajärvi, meno di cinquanta reti in due in carriera. Anche perché sin dalle prime giornate di Eredivisie Afonso Alves ha lasciato intendere che la continuità non è il suo pezzo pregiato…

Vitoria Setubal
(4-5-1): Marco Taubas; Jànicio, Auri, Hugo, Nandinho; Varela, Binho, Bruno Ribeiro (Amuneke 66), Sandro, Adalto (Mbamba 66); Lourenço (Marcio Carlos 80).

Heerenveen (4-3-3): Vandenbussche; Zuiverloon, Dingsdag, Hansson, Breuer; Bosvelt (Kissi 76), Prager, Parnjic; Nilsson, Friend (Tarvajärvi 80), Afonso Alves (Yildirim 88).

Marcatori: Afonso Alves 59, Afonso Alves 65, Nilsson 90.

José Alvalade - Lisbona, 14 settembre 2006

ALEC CORDOLCINI, Guerin Sportivo

11 settembre 2006

[recap] Sparta Rotterdam - Feyenoord 1-4

Tre partite, tre moduli diversi (3-4-3, 4-3-3, 4-4-2); verrebbe quasi da credere ai critici in servizio permanente che vedono in Erwin Koeman un allenatore un po’ sopravvalutato. Con il trio d’attacco Castelen-Kuijt-Kalou lo scorso campionato la formazione era praticamente fatta; oggi, infortunato il primo, ceduti in Premiership gli altri due, è necessario inventare, organizzare, proporre, tutte attività che nel confuso Feyenoord di inizio stagione si intravedono a malapena. Vero è che, e bisogna ammetterlo nel rispetto di un personaggio comunque serio come Koeman, il mercato ha portato tanti soldatini diligenti (Lucius, Kolkka, Huysegems, Charisteas, Tiendalli, Buijs, quest’ultimi comunque elementi di buon valore), nessuno però in grado di accendere la miccia, e così anche il 4-1 rifilato nel derby allo Sparta lascia parecchie perplessità. Può sembrare una provocazione per chi non ha visto l’incontro, ma sul piano del gioco gli Spartaans hanno prevalso, ingabbiando con i dinamici Obodai e Medunjanin il legnoso centrocampo del Feyenoord (ma quanto si sta involvendo De Guzman?) e mostrando una fluidità di manovra che solamente il livello piuttosto modesto della squadra ha impedito di concretizzare una bella rimonta dopo il doppio svantaggio iniziale firmato da Nicky Hofs. Poi l’affrettata espulsione di Gudde a inizio ripresa e il rigore del 3-1 per il Feyenoord pressochè regalato hanno fatto il resto, e non è che nonno Anastasiou, non un fenomeno già negli anni d’oro a Kerkrade nel Roda, possa fare miracoli, ma l’impressione, già confermata dalla prima di campionato in trasferta a Groningen, rimane quella di un Feyenoord in netta difficoltà tattica e organizzativa di fronte ad avversari di livello un po’ più alto di quelli dello Sparta. Note positive? Hofs, in luna giusta (e quando si impegna ricava dal suo sinistro colpi mirabili), e il terzino sinistro Royston Drenthe, un classe 87 destinato a diventare l’Emanuelson di Rotterdam, meno tecnico ma più potente. Infine Charisteas; lungi dall’infierire su un giocatore al suo esordio con una nuova maglia, ma nel 4-4-2 che Koeman gli ha disegnato attorno (scelta quasi obbligata, vista la negativa esperienza all’Ajax come prima punta nel tridente) non è riuscito a incidere. Ma in alternativa al greco c’è solamente il 36enne Pierre van Hooijdonk, in declino da ormai un paio di stagioni (nemmeno le punizioni, il suo fiore all’occhiello, gli entrano più). Poi non bisogna sorprendersi se i tifosi organizzano sit-in di protesta fuori dal civico 3 di Zandvlietplein, la sede del club…

Sparta (4-3-3): Ponk; De Roover, Gudde, Schenkel, Polak; Rose (Kaita 77), Obodai, Medunjanin; Oost, Anastasiou, D. van Dijk (Bouaouzan 62).

Feyenoord (4-4-2): Timmer; Tiendalli (Saidi 68), Bahia, Greene, Drenthe; Buijs, Hofs (Pardo 70), Lucius, De Guzman; Charisteas, Huysegems (Boussaboun 62).

Marcatori: Hofs 10, Hofs 14, Anastasiou 17 rig, Lucius 85 rig, Boussaboun 88

Sparta-Stadion – Rotterdam, 10 settembre 2006

ALEC CORDOLCINI, Guerin Sportivo

09 settembre 2006

[recap] Romania - Bulgaria 2-2

La mucca di Nikolic. La Romania produce ottimo calcio e butta via tutto in un minuto e mezzo, facendosi raggiungere all'84' dopo una partita dominata. Dominata sul piano delle occasioni ma soprattutto su quello del gioco: pressing alto e organizzato, impostazione con movimenti coordinati di centrocampisti e attaccanti: quando si coinvolge tanti giocatori è sempre buon segno. Piturca disegna un rombo davanti alla difesa a quattro presidiata da Chivu e Tamas, con Codrea, perfetto, al vertice basso e Dica dietro alle due punte. Gli inserimenti dei due "esterni" fanno molto male, specie nel primo tempo con Rosu, autore del primo gol col suo bel sinistro e di una partita da incorniciare (non avesse alti e bassi, altro che Recreativo Huelva...). Davanti ispirati e vogliosi sia Mutu che Marica, a cui forse mancherà sempre quel quid per diventare un grande ma che rimane un bel giocatore comunque. Non molte le sovrapposizioni di Contra e Rat, probabilmente in nome dell'equilibrio generale. Bulgaria disastrosa. Stoichkov, in tribuna per tutto il match, vuole un 4231 col solo Berbatov davanti ma è tutto appiattito sul centrocampo e non c'è mai rilancio dell'azione. Poco gioco anche da Martin Petrov che però segna i due gol dell'incredibile pareggio, prima su generosa punizione concessa da Farina e mezza papera di Lobont che prende gol sul suo palo, poi per un'errata chiusura di Contra sul lato debole dove si inserisce il laterale sinistro per infilare il portiere rumeno. Due gol negli ultimi minuti non cancellano la prestazione opaca dei bulgari che, colmo, potrebbero addirittura vincere quando allo scadere Bojinov (subentrato a Berbatov dopo un'ora di gioco) si gioca un uno contro uno con Chivu, che se lo mangia vivo ed esce palla al piede. Che bello, nonostante tutto, rivedere la Romania, sparita da qualche anno dalla geografia del calcio, giocare a questo livello: speriamo Piturca insista.

Romania: Lobont – Contra, Tamas, Chivu, Rat – Codrea, Fl. Petre (’71 Nicolita),Rosu (’79 Maftei), N. Dica (’58 Cocis)- Mutu, Marica.

Bulgaria: Petkov – Angelov, Topuzakov, Tunchev, Wagner – Kisisev (’46 Iankov) – Peev (’46 Gheorghiev), S. Petrov, Jankovici, M. Petrov – Berbatov (’62 Bojinov).

Farul - Costanza, 2 settembre 2006

07 settembre 2006

[recap] AEK - Hearts 3-0

Curiosi di osservare la cura Serra Ferrer ci vediamo il ritorno del preliminare di Champions' che ha poi classificato l'AEK ammettendolo al tabellone principale (sarà nel girone del Milan). Il tecnico catalano, titolare del peggior Barça degli ultimi vent'anni (visto a San Siro pareggiare col Milan 3-3 con tripletta di Rivaldo e doppietta di Albertini - sarebbe meglio dire di Dutruel...), ha sostituito un tecnico preparato come Fernando Santos, giunto finalmente sulla panchina del Benfica. La vittoria a Edimburgo nell'andata pone i greci in una posizione di estremo vantaggio psicologico ma gli scozzesi ci provano lo stesso, anche dopo l'espulsione di Brellier (primavera Inter e poi tanta provincia italiana) che abbandona dopo 28' per doppia ammonizione. I gialloneri schierano un 442 abbastanza statico, la cui unica fonte di pericolosità è rappresentata dalle iniziative di Julio Cesar, brasiliano tutto sinistro ex Gil Vicente di ottimi mezzi ma quasi sempre pessimo nelle scelte, cercato molto anche con lanci dalla linea difensiva, specie di Dellas. La difesa ha troppo gusto per l'anticipo (Cirillo) e Dellas può metterci più esperienza che velocità: i rischi corsi sono un po' troppi anche con la superiorità numerica. Il palleggio dei greci è spesso impreciso anche se a metacampo viaggia l'elemento più interessante della squadra, Ivic, lungagnone con un bel destro e una bella pulizia di gioco. L'esterno destro, Lagos, si formerà (è un '85 e reduce da una bella stagione all'Iraklis) ma nel match è decisamente assente. Davanti, l'Aek riesce a sfondare solo dopo la seconda espulsione scozzese (entrata criminale di Mc Cann al 63') e il 3-0 è un risultato bugiardo: il totem Liberopoulos e il centravanti Kapetanos sbagliano parecchio. L'era Romanov in Scozia deve comunque ancora iniziare.


AEK: Chiotis, Pautasso (Tozser 72), Cirillo, Dellas, Georgeas, Lagos (Lakis 54), Emerson, Ivic, Julio Cesar, Liberopoulos (Kampantais 84), Kapetanos.
Hearts: Gordon, Neilson, Pressley, Berra, Fyssas, Brellier, Mikoliunas, McCann, Cesnauskis (Wallace 81), Hartley (Jankauskas 61), Mole (Pinilla 89).

Gol: Julio Cesar 79 rig, Liberopoulos 82, Julio Cesar 86.

Spyros Louis - Atene, 23 agosto 2006.

30 agosto 2006

[recap] Racing Santander - Atletico 0-1

Il debutto del Kun Aguero nella Liga è un evento, la possibilità di rivedere all'opera Felipe Melo è sempre un piacere. Il Kun rimane in panca fino al 67' ad osservare le barricate del nuovo Atletico di Aguirre, Felipe Melo regala i soliti lampi: uno con la sua classe non doveva nemmeno sapere dove si trovava Santander, uno con la sua attitudine, la sua testa è già un miracolo che giochi ancora nella Liga. Ennesimo caso criminale di dilapidazione del talento, un vero peccato. Qui gioca a sinistra e più di una volta ha delle visioni che i compagni proprio non colgono, una palla dentro con quel destro che parla, un colpo di tacco smarcante dopo la partnza devastante nell'uno contro uno... Tornando sulla terra, la prima del messicano in biancorosso ci ha persuaso poco. Solo qualche minuto a cercare qualche situazione partecipata e nel giro di una decina di minuti si è vista la volontà di arrivare subito dalle punte che, ahinoi, erano Mista e Fernando Torres, autore del gol decisivo dopo soli dieci minuti di gioco (solito Torres, comunque, molti appoggi, alcune buone invenzioni ma tirare in porta rimane un sollazzo da prendersi col contagocce, inutile pensare il contrario). Sugli esterni del 442 viaggiano Jurado, che viene spesso in mezzo a cercarsi palloni e cercare di smistare gioco, e Petrov, a sinistra. Costinha e Luccin in mezzo non si preoccupano minimamente né di costruire, né di appoggiare l'attacco con proiezioni o sovrapposizioni: nulla, anzi, capita che escano contemporaneamente sullo stesso uomo quando pressano, unico loro compito. La difesa balla che è un piacere, Pablo sbaglia ogni intervento e goffamente quando la palla sembra morta si inventa un colpo di tacco in piena area a mo' di assist agli avversari. Il meglio dell'Atletico sta in alcuni ribaltamenti di azione (che dovrebbe essere il loro marchio di fabbrica) ma la vera differenza nella partita risiede nelle deficienze altrui: ci fosse uno in biancoverde che vedese la porta! Juanjo schierato centravanti ha fisico longilineo, buona tecnica ma è incerto e timoroso quando deve puntare a rete, Munitis viaggia largo e sarebbe utile con una punta vera (se arriva, come si vocifera, Zigic, non sarebbe affatto male). Vitolo è un buon motorino e recupera palloni che poi diligentemente cede a Colsa, dotato di buon calcio e desideroso di cambiare il lato appena possibile ma a tirare in porta seriamente ci deve pensare il centrale Oriol che stampa sulla traversa una bella girata di testa. A fine primo tempo un'entrata criminale di Seitaridis lascia i colchoneros in dieci: quasi un favore per questo Aguirre: all'intervallo gli esterni "offensivi" Jurado e Petrov, ricevono l'ordine di cambiarsi, in campo ci vanno Valera, schierato terzino destro e Gabi che, sempre a destra, completa il centrocampo che rimane a tre. Iniziano le barricate. Non c'è nemmeno idea di contropiede se non in sortite assolutamente estemporanee. Gli uomini di Portugal sotto porta insistono nello sbagliare tutto, bruciando i continui regali frutto delle disattenzioni dei centrali, andati in completa bambola. Bene, invece, Leo Franco che evidenzia una parata monstre dopo pochi minuti della ripresa e fa la cosa migliore dell'Atletico nel secondo tempo: mangia minuti quando deve rimettere in gioco. Finche si vince va bene, ma qui c'è da lavorare, e pure parecchio.


Racing de Santander, 0: Toño; Pinillos, Oriol, Alfaro, Luis Fernández; Cristian Álvarez (Balboa, m.64), Vitolo, Colsa, Melo (Momo, m.84); Munitis y Juanjo (Aganzo, m.69)
Atlético de Madrid, 1: Leo Franco; Seitaridis, Pablo, Perea, Antonio López; Jurado (Valera, m.46), Luccin, Costinha, Petrov (Gabi, m.46); Torres y Mista (Agüero, m.67)

Campos de Sport del Sardinero, domenica 27 agosto

23 agosto 2006

[recap] Boca Jrs - Indepediente 1-0

Il Boca controlla bene il match, riesce a segnare con Silvestre di testa e crea molto altro. Bene sia Marino che Neri Cardozo ( l'ennesimo gioiello dei bosteros), malino Gago. Fenomenale il Cata Diaz, dietro, francamente inspiegabile la mancata convocazione in nazionale proprio del suo mentore Basile: devono essere bravissimi i consiglieri di Coloccini e Milito... Il Rojo non esiste nel primo tempo, se non nei soliti combattenti come Orteman e Machin. Armenteros solito preoccupante pisolino: quando entra Rodrigo Diaz (non sono suo tifoso ma stavolta mi tolgo il cappello), nella seconda frazione, la partita della squadra di Burruchaga ha qualche scintilla e nel finale rischia anche il pari con un Boca un po' troppo in apprensione

Boca: Bobadilla; Ibarra (Calvo), Silvestre, Díaz, Krupoviesa; Battaglia (Marino), Gago, Cardozo; Marino (Dátolo); Palacio y Palermo.

Independiente: Ustari; Lorgio Álvarez (Barijho), Rodríguez, Gioda, Marín; Machín, Carrizo, Orteman, Armenteros (Rodrigo Díaz); Montenegro y Denis.

1-0: 36' Silvestre

21 agosto 2006

[recap] Galatasaray - Kayserisport 4-0

Per un problema tecnico aggiungo solo ora il recap della partita, svoltasi nel passato week end.

La curiosità di vedere Arda Turan, tornato alla base e reduce da un ottimo Europeo under 19, mi ha spinto a rintracciare questo match. E sono rimasto deluso dal Galatasaray. Gerets sceglie un 451 con tanti palleggiatori a metacampo ma il movimento è ai minimi termini e la punta centrale, il celeberrimo Hakan Sukur è poco credibile anche come sponda, dato che è quasi sempre anticipato dal ghanese Johnson, non proprio nel momento più esaltante della sua carriera che ha vissuto, in Turchia, palcoscenici di miglior livello. La palla arriva al limite dell'area del Kayseri con discreta facilita ma qui nasce il difficile e i continui uno-due non sviluppano nulla: gli ospiti scelgono di riempire questa fascia di campo e sono molto bravi a ripartire (Mondragon salva il risultato un paio di volte sullo 0-0). Nei contropiedi altrui saltano fuori tutte le difficoltà della squadra di Gerets, terribilmente disequilibrata (i terzini sono sempre fuori posizione e pensano solo ad attaccare) e con una capacità di rientrare ordinatamente davvero prossima allo zero, i difensori prendono troppi rischi e le entrate alla disperata, specie di Song, sono il leit motiv della fase centrale della prima frazione. Rischia tanto, poi vince e il gol lo trova, nell'ultimo minuto disponibile del primo tempo, proprio Arda Turan, che nel calcio dei grandi non perde il suo fenomenale cambio di direzione. Geniale sinistro, riesce a segnare col destro dopo una bella percussione di Sabri: la partita si apre in due e nei primi minuti del secondo tempo Ilic, l'altra mezzapunta mascherata del Galatasaray la inchioda con una doppietta. Il turno preliminare favorevole di Champions' la mettono ai ripari da un'uscita prematura dall'Europa che conta (al contrario del Fenerbahce- visto contro il Gençlerbirliği di Ankara: una pena- altra bella squadra con il cartello lavori in corso, che con la Dynamo Kiyv rischia l'esclusione): Gerets deve ancora lavorare tanto e, se vuole farci contenti, provi a inserire con continuità Marcelo Carrusca, non si va via dal Pincha per fare la panca, ok?

1-0 Arda 44, 2-0 Ilić 53, 3-0 Ilić 65, 4-0 Cihan 69
Galatasaray:
Faryd Mondragón, Cihan Haspolatlı, Stjepan Tomas, Rigobert Song, Orhan Ak, Sabri Sarıoğlu, Ayhan Akman, Mehmet Güven, Arda Turan (Marcelo Carrusca 72), Saša Ilić (Oğuz Sabankay 84), Hakan Şükür (Necati Ateş 75)
Subs: Fevzi Elmas, Özgürcan Özcan, Tolga Seyhan, Uğur Uçar
Coach: Eric Gerets
Kayseri:
Dimitar Ivankov, Tayfun Cora, Samuel Johnson, Aydın Toscalı, Delio Toledo, Kamber Arslan (Fatih Ceylan 46), Mehmet Topuz (Hamed Kavianpour 75), Ragıp Başdağ, Bülent Bölükbaşı, Muhammet Akagündüz (Leonardo Iglesias 60), Gökhan Ünal
Subs: Nuri İlker Kıldır, Ali Turan, Räşad Sadıqov, İlhan Parlak
Coach: Ertuğrul Sağlam

15 agosto 2006

[recap] OM - Rennes 2-0

Sono arrivato in tribuna stampa prima dei giapponesi ( una ragazza disponibile a mettersi in mostra nonostante la bilancia reclami qualche chilo di troppo, e un perfetto collega, sulla cinquantina, che pescava da ogni tasca diavolerie tecnologiche). Volevo vedere com'era la reazione del Vélodrome al ritorno di Franck Ribery. Le curve erano già piene e presto si sarebbe riempito il resto: presenti anche Michel Platini e Michel Hidalgo, il primo a colloquio con il presidente dell'OM Pape Diouf (lodato da alcuni striscioni appesi sul Virage Sud) e disponibile alle foto coi tifosi. Proprio il vero uomo nuovo del football francese, in pantaloni corti color crema è stato il primo a mettere piede in campo per saggiarne l'atmosfera: gli applausi hanno coperto i fischi, che pure ci sono stati. La partita di Ribery è stata fenomenale, da fuoriclasse, come ormai bisogna cominciare a chiamarlo. Partito esterno di sinistra nel centrocampo a tre dell'OM ha continuato a perforare la difesa del Rennes di uno spento Faty anche con il 4231 che ha tolto molta fluidità ai marsigliesi:Niang punta unica centrale ha davvero poco senso e poco ha fatto anche Bamogo: finché non rientra Cissè direi ad Emon di lasciar perdere questa formula. Meglio, molto meglio nel secondo tempo con la riproposizione del 433, Pagis in mezzo all'attacco, al fianco Niang e il ritorno sulla linea mediana di Ribery, degno di ripartenze alla Kakà, con perfetto controllo della palla in velocità e idee sempre chiare. In mezzo notevoli disastri di Lamouchi ( a parte l'azione della riconquista del pallone sul primo gol non mi ha entusiasmato nemmeno Cana, osannato da molti colleghi) superati solo dalle corbellerie di Taiwo, o gli si insegna a difendere, soprattutto sul lato debole o sarà necessario correre ai ripari. Ogni cambio di gioco era un'azione da gol per il Rennes ( zeppo di defezioni e con Mvuemba dirottato in poanchina) che, fosse stato in campo Utaka, avrebbe gozzovigliato con questa "difesa" che si avvale, diciamo così, anche delle prestazioni di Cesar e Zubar, altri bei pasticcioni e più volti guardati male dal capitano, il senegalese Beye, che agisce sulla destra. Insomma, Ribery predica nel deserto e il 2-0 del tabellone dovrebbe mostrare il suo nome al posto di quello dell'OM. Il pubblico lo capisce e nell'azione del secondo gol, serpentina di "Scarface" e assist al bacio per Maoulida, torna a eleggerlo leader. I destini della Francia, non solo quelli dell'Om, passano dalle sue giocate. Piuttosto in soggezione nei suoi venti minuti in campo, il celebrato gioiello Nasri ha mostrato un lancio di esterno destro davvero notevole: poco per quello che si dice di lui (adesso non può essere decisivo), molto nella valutazione in prospettiva del ragazzo.

OM : Carrasso, Beye, Zubar, César, Taiwo; Lamouchi, Cana, Ribéry; Bamogo (Maoulida 68'), Pagis (Nasri 72'), Niang (Oruma 84').

RENNES : Pouplin, M'Bia, Bourillon, Faty, Jeunechamp; Sorlin, Cheyrou; Moreira, Monterrubio, Hadji; Briand (Sow 59')

Gol: 1-0 Pagis 38', 2-0 Maoulida 85'.

09 agosto 2006

[recap] Stella Rossa Cork 3-0

Una formalità. La Stella Rossa va avanti liquidando senza problemi il Cork, colpito pure dal Miedo Escenico del Marakana di Belgrado. Vittoria con qualche brivido in Irlanda, in casa gli slavi segnano dopo due minuti (lancio da dietro del centrale Bisevac, sponda del'interminabile Zigic e sberla in corsa, sotto la traversa, di Milovanovic) e allontanano tutte le eventuali preoccupazioni. Solito 433 spurio, con il bulgaro Georgiev attivo a tutto campo, la Stella Rossa preferisce la palla a terra, con l'accompagnamento dei terzini, sempre molto propositivi. Paradigmatico il secondo gol, più di venti tocchi, con la palla che parte dalla linea difensiva, muove la difesa anche con una sponda di piede di Zigic, libera sulla sinistra Perovic che non può ricevere un raddoppio, mette in mezzo col suo bel sinistro, velo del pericoloso Djokic, portiere irlandese fregato e rete di testa proprio di Zigic, che poi realizzerà anche la terza segnatura, sempre di testa. Alla Stella Rossa piace giocare, si esalta nel farlo (e il merito è anche dell'ex tecnico Walter Zenga) ma lascia anche giocare un po' troppo. Molto dinamico il centrocampo con Kovacevic fisso davanti alla difesa e Milovanovic e il biondo Basta sempre in movimento.

Crvena Zvezda: Randjelovic, Pantic, Bisevac, Joksimovic,Perovic (Milijas 78), Basta, Kovacevic, Milovanovic,Blagoy Georgiev, Djokic (Jankovic 69), Zigic (Purovic 63).

Cork: Devine, Bennett, Brian O'Callaghan, O'Brien, Fenn, Woods, O'Donovan, Cillian Lordan, Softic, Behan (Sullivan 80), Horgan.

Goals: Milovanovic 2', Zigic 34', 59'

07 agosto 2006

[europeounder19] FINALE Spagna Scozia 2-1

Sarebbe stata una beffa perdere il torneo, per la Spagna. Un torneo che ha dominato dalla prima partita. Incontrava una squadra battuta 4-0 nel girone che mancava anche del centravanti titolare Fletcher, squalificato per un'ammonizione per simulazione che grida vendetta nella molto deludente partita di semifinale con la Repubblica Ceca. Out anche l'altro attaccante Robert Snodgrass, con la Spagna a fare la prima punta è andato Elliot, per noi il migliore del lotto (non che ci voglia molto, in maglia blu...). La Scozia, non avendo altre armi, ha pressato con grande continuità e lucidità e ha tirato fuori il meglio per la finale dove pur nettamente inferiore tecnicamente non ha affatto deluso, anzi. Spagna più compassata ma inarrivabile, con un Bueno decisivo.
CARLO PIZZIGONI

Una Spagna non nella sua miglior versione batte 2-1 la Scozia e vince un Europeo Under 19 che sembrava davvero impossibile da perdere, per la qualità di gioco e la solidità superiori mostrate.
In una serata un po' scialba per Mata e Javi Garcia, con Capel come al solito solo a lottare contro i mulini a vento, decisiva è stata la genialità in fase realizzativa di Bueno. Doppietta che lo porta a 5 gol e al titolo di capocannoniere in coabitazione con il turco Parlak. Straordinaria intuizione sul primo gol, seppur con un leggero aiuto del portiere scozzese, da opportunista puro il secondo centro.
Il primo quarto d'ora è tutto della Scozia, che sorprende la Spagna con un pressing forsennato e sfiora il gol, mettendo in evidenza finalmente che la Spagna ha anche un buon portiere in Adan. Poi il ritmo dato dai tre mastini di centrocampo scozzesi ( Grant, Ferry e Cameron ) cala necessariamente, la situazione si normalizza ma la Spagna fa circolare poco, e troppo lentamente il pallone, mostrando soltanto qualche spunto isolato di Toni Calvo. Manovra molto poco fluida, Javi Garcia mai in partita, Suarez solo a tratti.
Il match procede stancamente fino all' 1-0 di Bueno che fa saltare l'unico copione che la Scozia conosceva: centrocampo affollato, contenimento e sperare nel golletto. 2-0 sempre di Bueno, partita che sembra chiusa, ma c'è il gol della speranza scozzese di Dorrans all' 87', con la Spagna che rischia addirittura di farsi raggiungere immediatamente dopo in un'azione nella sua area di rigore, in seguito a uno di quei suoi rilassamenti difensivi, una volta andati in vantaggio, che hanno costituito uno dei pochi difetti dell'eccellente compagine di Gines Melendez.
Ora bisognerà dare qualche chance nel calcio dei grandi a talenti come Piquè, Suarez, Javi garcia, Mata, Jeffren, Toni Calco, Diego Capel ( da sgrezzare parecchio ) e Bueno, sennò questo lavoro non è servito a nulla.
VALENTINO TOLA

26 luglio 2006

[europeiunder19] Portogallo Spagna 1-1

Partita piacevole fra Spagna e Portogallo: 1-1, un tempo di predominio a testa ma il Portogallo resta fuori, scavalcato dalla sorpresa Scozia che nell'altra partita batte la Turchia.
Squadra come al solito con individualità interessanti quella lusitana. Nel 4-3-3 quelli che son piaciuti i due uomini di fascia dell'attacco: il destro Bruno Gama a sinistra e il mancino Hélder Barbosa a destra. Quest'ultimo studia da funambolo con le sue accelerazioni palla al piede ed è già a buon punto per quanto riguarda individualismo e simulazioni, il primo sembra un po' più maturo e in qualche giocata ricorda Simao. Centrocampo discreto con il buon dinamismo di Zezinando e Condesso, difesa da rivedere ( non la rivedremo però ) con Paulo Renato disattento sul gol del pareggio spagnolo e il terzino destro Mano un po'scomposto in alcuni interventi. I portoghesi hanno giocato un ottimo primo tempo, ma nel secondo tempo son stati messi sotto dalla manovra spagnola, non andando oltre qualche azione isolata.
La Spagna è venuta fuori nella seconda frazione, quando è riuscita ad azionare il suo gioco sulle fasce. Nel primo tempo molte difficoltà con Granero forse troppo arretrato e costretto a giocare sulla stessa linea di Elustondo. In attacco, ancora una volta inesistente Pedraza ( anche nell'Under 17 di due anni fa non riusciva mai a entrare in partita ). Son mancate le geometrie di Suarez, perchè Elustondo è esclusivamente difensivo. Sulle fasce le cose hanno funzionato solo a tratti. Nel secondo tempo molto bene le sovrapposizioni e gli scambi fra Barragan e Toni Calvo sulla destra, mentre a sinistra non mi è piaciuto Diego Capel: tende a portare troppo palla e a ficcarsi in un imbuto accentrandosi quasi sempre. Ha meno talento puro, ma Toni Calvo mostra più concretezza chiedendo triangolo e scattando in profondità nello spazio. Grezzo ma efficace Diaz in attacco, mi ha fatto ancora un'ottima impressione Crespo, che mi sembra possa evidenziare meglio il suo senso dell'anticipo da centrale. Quando Piquè tornerà dall'infortunio, mi sembra che la coppia centrale migliore possano formarla lui e il sivigliano.
VALENTINO TOLA

Ero davvero curioso di vederlo il Portogallo, a cui, come da tradizione, manca sempre qualcosa. Va fuori ma può solo prendersela con la sua inconsisitenza offensiva. Sinceramente, mi aspettavo un po' di più da Bruno Gama, assolutamente scioltosi dopo il gol spagnolo a inizio ripresa (che denotava l'inconsistenza dei centrali portoghesi, molto spesso anticipati, e i miglioramenti che devon essere richiesti a un bel prospetto come André Marques). Il Portogallo piazza Zezinando davanti alla difesa, ha buoni tempi di pressing ma molti limiti nell'impostazione e nella fasi di transizione fa spesso pasticci. Anche perché i lusitani fanno davvero poco movimento. La voglia di arrivare a segnare produce una serie infinita di duelli individuali dove tanti possono mettere in mostra le loro qualità ma rimangono poco funzionali al risultato di squadra. Ricevere palla tra i piedi e cominciare da trequarticampo un lavoro individuale per andare in porta mi pare un'idea poco sensata, anche se si hanno buone qualità, tecniche e agonistiche, come Hélder Barbosa, assolutamente da disciplinare ( e magari insistere per fargli usare anche il piede destro). I centrocampisti più interni dello spurio 4141 portoghese (con il centravanti Diogo Tavares troppo isolato ma che regala qualche perla nel primo tempo), Pererinha, ottima tecnica, e Condesso, strepitoso fisico, non riescono mai a entrare nel vivo dell'azione se non, pure loro, con azioni individuali: insomma, non ci sono situazioni dove vengono coinvolti più di due uomini, troppo poco per meritarsi di andare avanti in questo torneo.
CARLO PIZZIGONI

18 luglio 2006

[europeounder19] Spagna Turchia 5-3

Stimolante gara d'apertura per l'Europeo delle nuove leve. Due portaerei della categoria si scontrano subito e subito si vede il talento purissimo dei giocatori delle due squadre. La Turchia rischia l'inverosimile, e pure oltre, con due mediani bravi e volenterosi ma tatticamente un po' disattenti: a questo si aggiunga una linea a 4 dietro disordinata nelle coperture e nella spaziatura e 3 uomini e mezzo totalmente disinteressati alla fase difensiva (qualche volta il capitano Caferkan Acsu, dal fascinoso sinistro, tornava nella sua metacampo). Tra i disinteressati il talento cristallino di Arda Turan, eleganza e equilibrio, visione di gioco e assist man, a cui si deve programmare un luminoso futuro. Qualche fiammata sospetta del centravanti Ilhan Parlak, autore di una doppietta. Molto più solida la Spagna a cui accompagna dosi di talento in ogni parte del campo: si rilassa sul 4-1 (eccessivo fino a quel momento) e non spinge con continuità specie sugli esterni dove invece una fisicità mescolata a tecnica davvero strabordante (evidenziare Toni Calvo e il "venezuelano" delle Canarie Jeffren Suárez)la renderebbe difficilmente arginabile. Belle invenzioni di Juan Mata che regala una gemma al pubblico con un pallonetto da fuori area delizioso in occasione della terza rete spagnola. Dietro, potenza devastante di Piqué, ma qualche difettuccio per il transfuga catalano.
CARLO PIZZIGONI

Si è complicata un po'la vita nel secondo tempo rilassandosi eccessivamente ( e calando anche dal punto di vista fisico ), ma questa Spagna ci ha fatto vedere cose molto interessanti: ordine e molta qualità. La Turchia non è da buttare assolutamente, ma è un po'troppo dipendente dagli estri delle sue individualità in attacco e con scompensi intollerabili in difesa, soprattutto sulle fasce.
Grande spinta sulle fasce degli iberici con Toni Calvo a destra e Jeffren a sinistra ( anche se spesso si sono scambiati le fasce ). Il secondo non passa certo inosservato per la sua elettricità, anche se a volte esagera con gli effetti speciali. Attacco a due punte, con Bueno uomo d'area e Mata seconda punta, autore di tre gol, il secondo dei quali degno del Raul dei bei tempi. Molto interessante questo piccolo attaccante dal gran controllo di palla, scattante e dotato di un sinistro chirurgico. Il centrocampo spagnolo ha funzionato bene soprattutto nel primo tempo, con Suarez, poi calato nettamente, più brillante di un Javi Garcia un po'macchinoso. Ottimo Suarez nella visione di gioco e nella qualità delle aperture, sempre giocando a uno-due tocchi. In difesa molto relax nel secondo tempo, ma comunque si è potuta apprezzare tutta la personalità e la prestanza a questi livelli di Piqué, che ha mostrato pure dei bei lanci col destro. Ottima la falcata di Barragan.
Nella Turchia c'era il giocatore con forse più qualità in campo, il trequartista Arda Turan, dal controllo di palla straordinario, a tratti davvero immarcabile, anche se tende a liberarsi un po'troppo a malincuore del pallone. Due gol, il primo bellissimo in una combinazione con Turan, li ha segnati Ilhan Parlak, attaccante interessante, veloce e sempre pungente, una minaccia in profondità. In difesa, nonostante i disastri si è un po'salvato Serdar, che ha mostrato buona personalità.
Partita molto divertente in un girone molto competitivo, con il Portogallo e la sorprendente Scozia, dal quale probabilmente uscirà la vincitrice finale di questo EURO Under 19.
VALENTINO TOLA di Calcio Spagnolo

13 luglio 2006

[dialoghimondiali] FINALE

L'Italia vince il quarto mondiale, senza grandissimi meriti. Dopo un primo tempo giocato meglio dagli azzurri, svegli, compatti e rapidissimi nel ribaltare l'azione, a differenza dei "bleus", la Francia infatti prende, a partire dal secondo tempo, chiaramente il controllo del gioco, sfiorando più volte il gol del vantaggio, fermata solo dall'implacabile Buffon. A un certo punto, sembrava che Domenech dovesse solo mettere il fatidico uomo d'area per portare a casa la logica vittoria, ma una volta entrato lo juventino, si è autoescluso Zidane, fin lì protagonista di un degnissimo addio al calcio, con uno di quei gesti folli che hanno periodicamente disturbato la sua carriera. Anche in 10 i galletti hanno cercato di più il gol, ma ormai si era ai rigori. E dire che dopo il primo tempo sembrava che l'Italia dovesse andare tranquilla verso la vittoria. La cosa migliore degli uomini di Lippi, oltre al Mondiale vinto, of course, è stata la reazione dopo il vantaggio francese: il pareggio è andato letteralmente a prenderselo, assediando la Francia. Dopo il gol di Materazzi, che ha rimediato nel migliore dei modi all'errore commesso, in complicità con Cannavro, sul rigore, si è tornati a un certo equilibrio, pur con l'Italia più convincente in generale. Questo fino ai primi quarantacinque minuti: dopo, come detto, è stata solo Francia, cui è mancato il gol. L'Italia, pagando forse la stanchezza per i supplementari con la Germania, ha progressivamente rinunciato a giocare, infoltendo il centrocampo e cercando soltanto la corsa di Iaquinta coi lanci lunghi.
I migliori in campo sono stati Cannavaro, di gomma !, da una parte e Makelele, che ha dato lezioni a centrocampo, e Thuram( anche Gallas l'ha spalleggiato come al solito perfettamente ) dall' altra. Henry ha giocato un brutto primo tempo, poi ha avuto alcune azioni maestose. Ottimo anche Vieira, finchè è restato in campo, anche se Alou Diarra non l'ha fatto rimpiangere. Fastidiosissima, come al solito, la zanzara Ribery. Si può dire che la Francia ha avuto in meno rispetto all'Italia i terzini, davvero poco incisivi nelle avanzate, soprattutto l'approssimativo Sagnol, che non finirò mai di sottolineare quanto sia sopravvalutato. Nell' Italia, buono anche se non eccezionale Pirlo, sempre attivo Grosso, redento Materazzi, attento ma non straripante Zambrotta, mentre Totti è stato come al solito deludentissimo, fuori dal gioco. Toni spesso troppo solo là davanti.
Comunque, complimenti ai campioni !
VALENTINO TOLA

[dialoghimondiali] Francia Portogallo 1-0

Altra bruttissima partita, col secondo tempo davvero infimo. Qui nessuno chiede 6 gol a partita ( non è quello il bello del calcio ), ma di vedere un livello tecnico un po' superiore e squadre che, proprio in virtù del loro supposto spessore, siano disposte a rischiare di più. A parte i supplementari dell'Italia e qualche sprazzo di altre squadre, solo calcio modesto. Lippi dovrebbe essere molto contento dopo aver visto la Francia rinunciataria del secondo tempo, graziata soltanto dall' inconsistenza dell' attacco portoghese. Già Pauleta e Postiga son disastrosi di per sè, ma le mezzepunte, straordinarie tecnicamente, non propongono mai tagli e inserimenti volendo sempre e solo palla sui piedi. Finisce che l'unico terminale del gioco portoghese diventa Maniche coi suoi tiri da fuori. E' davvero sconcertante non riuscire a produrre nulla dopo un secondo tempo passato quasi tutto nella metà campo francese. I migliori son stati Meira e Costinha, hanno tremendamente deluso Deco e Miguel, mentre Carvalho ha commesso una sciocchezza madornale sul rigore. E poi quanti tuffi ragazzi !
La Francia ha giocato una partita davvero mediocre, capitalizzando al massimo il rigore di Zidane. solo qualche giocata di Henry e qualche buon controllo di Zidane, gli altri tutti sottotono a parte Thuram. C'è da notare un fatto: la Francia crea molte poche azioni pericolose, anche quando gioca bene come contro Spagna e Francia. Inoltre rende al meglio quando può permettersi di attaccare con i 4 uomini offensivi più qualche inserimento di Vieira, perchè i terzini appoggiano molto male il gioco.
VALENTINO TOLA


Il Portogallo controlla il ritmo dal primo minuto, ma dopo venti minuti di discreto livello si affloscia, manca di proposte, di movimenti e si appiattisce in un ruminare calcio alla ricerca di una squillo di genio che, con Deco ai minimi termini, non arriva dall'altra stella Cristiano Ronaldo, troppo voglioso di fare, ma con letture non adeguate. Figo sulla papera di Berthez manca l'occasione della vita mettendo sopra la traversa un facile colpo di testa. Francia che rinuncia alle ripartenze e a i contropiedi finalizzati alla porta avversaria, ma che non soffre molto anche perché fisicamente è nettamente superiore, specie in area difensiva. Centrocampo perfetto, benino Zidane che però non si fa ipnotizzare da un pararigori come Ricardo (unica qualità del portiere portoghese, peraltro). Essendo il Portogallo, doveva pur mancare qualcosa per il successo finale...
CARLO PIZZIGONI

08 luglio 2006

[dialoghimondiali] Italia Germania 2-0 dts

Strameritata vittoria dell' Italia, che ora ha la convinzione e la compattezza per vincerli questi mondiali. Già nel primo tempo aveva dato la sensazione di poter attaccare coi giocatori che si inserivano( soprattutto Perrotta ) alle spalle dei difensori tedeschi, lenti e sempre a rischio nel fuorigioco. Però, dopo 90 minuti sostanzialmente equilibrati è nei supplementari che l'Italia ha dilagato, con molte energie in più dei tedeschi anche grazie ai cambi intelligenti di Lippi che ha messo uomini più freschi in attacco come Gilardino, Iaquinta e Del Piero. E poi c'è Grosso, che meriterebbe un encomio solenne per quanto è stato decisivo sia contro l'Australia che contro la Germania. Ma l'Italia non sarebbe nelle finale senza gli incredibili Buffon e Cannavaro ( miglior giocatore in assoluto del mondiale) e senza la regolarità di Zambrotta e Pirlo. Male anche oggi Totti, unica nota stonata. Al di là dei discorsi sulle due punte e mezza, si capiva ormai che Lippi non avrebbe più rinunciato a questo 4-4-2 che gli permette di non patire l'inferiorità numerica a centrocampo come nelle prime gare e di essere più imprevedibile con gli inserimenti dei centrocampisti.
Si sapeva già che la Germania era inferiore all' Italia, ma lo ha ribadito, non riuscendo mai a controllare il gioco, anche se è riuscita comunque a creare alcune buone occasioni. Ballack ancora una volta ha dimostrato la sua mancanza di carattere, mentre Klose non ne più. I cambi che sembravano poter essere azzecati, non hanno dato nulla: Borowski era assolutamente da cambiare ma Schweinsteiger è stato irritante, mentre a Odonkor andrebbe spiegato che la velocità da sola non serve a nulla. Schneider, uno dei pochi con qualità, gli ha fatto spazio e la Germania ci ha perso, anche se il cambio pareva azzeccato. Podolski sciupone. Comunque, una volta calata a livello fisico, puff !, crollato il castello di sabbia. Niente più pressing, niente più sovrapposizioni, è venuta fuori la qualità superiore dell' Italia.
VALENTINO TOLA

05 luglio 2006

[dialoghimondiali] Francia Brasile 1-0

Svelato l' arcano: il Brasile è un bluff, alla faccia di Parreira e di certi Machiavelli di casa nostra che quasi pensano che si debba giocare male per vincere. No, la Francia, che sta completando una delle resurrezioni più insperate della storia recente, ha fatto grande calcio e, almeno una volta, come conseguenza logica, ha staccato il biglietto per la semifinale. Trascinata da un commovente Zidane che ha sembrato quasi voler riassumere come in un' antologia tutta l' arte mostrataci in questi anni, la Francia ha fatto la partita dall' inizio alla fine, sorretta dalle colonne Vieira e Makelele e vivacizzata, anche se meno rispetto alla Spagna, da Ribery. Dominio totale del possesso-palla, palleggio fluido ed eccellente condizione atletica. Chissà che i bleus non concedano il bis.
Non voglio usare toni scandalistici, però non so trovare altri aggettivi per la Seleçao che non siano "vergognosa": nenanche la mossa Juninho è servita per avere il controllo del centrocampo. Sempre in ambasce, è arrivato il gol non appena la difesa, il reparto migliore in questo mondiale, si è distratta un attimo. Ronaldinho finito l' incubo potrà fortunatamente tornare a giocare nel Barça, mentre a Ronaldo stavolta non si può dare la colpa della mancanza di gioco. Pure Kaka è mancato stavolta. Non c'è mai stata una squadra brasiliana in campo in questo mondiale. Cafu e Roberto Carlos, mi ripeto, sono logori: per il futuro opterei per Adriano Correia a sinistra e Cicinho e lo strepitoso Daniel Alves in concorrenza sulla destra.
VALENTINO TOLA

Vergogna totale. Il più brutto Brasile di sempre, un'accozzaglia di figuri, specie i più titolati, con l'amarelinha, niente di più. Parreira può tornare a fare il commentatore televisivo, dato che sono mesi che non prova nulla (naturalmente inserire giocatori nell'11 non è allenare: ma che senso aveva mettere Juninho? Trovare una sua punizione dal limite?). Ronaldinho e Adriano da sberle,il fantasma di Ronaldo un po' meglio, un Kakà non al meglio fisicamente perde tutto il suo devastante potenziale (e questo è davvero un limite): eccolo il quartetto meraviglia che doveva stravincere senza giocare il Mondiale. L'unico vivo, Robinho, confinato in panca. Difesa a parer mio completamente da ricostruire, senza Cafu, che già si appresta a dire che vuol giocare il prossimo Mondiale da centrale... Benino Gilberto Silva e Ze' Roberto, ma la personalità di un Dunga in mezzo al campo, proprio non c'era: forse si dovrebbe partire da qui per trovare una risposta a tanti perché...
CARLO PIZZIGONI

[dialoghimondiali] Portogallo Inghilterra

Dopo l'Argentina un' altra delle grandi favorite del mondiale ( assieme al Brasile erano le mie tre) esce ai rigori. Anche qui partita equilibratissima, solo gli illusi potevano aspettarsi i fuochi d'artificio. Son partite queste dove le squadre controllano tutto, fino al minimo gesto. Ahimé, non vedo nessuna selezione che va in campo ccon quella ragionevole spregiudicatezza che gli consiglia di andare sempre a imporre il suo gioco. Chi aveva questa mezza idea si è arenato per altri motivi, vedi la Spagna. Comunque, un' Inghilterra non bellissima ma migliore delle altre volte e anche leggermente preferibile rispetto agli uomini di Scolari. Ancora 4-1-4-1 per Eriksson con però un incredibile Hargreaves, praticamente in ogni luogo, al posto di Carrick. Ancora deludente purtroppo Lampard, eccellenti Terry e Ferdinand( soprattutto Rio ). Inghilterra però penalizzata da Elizondo con l'inconcepibile espulsione di Rooney. Comunque anche in 10 ha retto bene: manovra sempre coi soliti difetti, ma si è vista più voglia. Anche se sei uno in meno poi se hai Lennon lo senti di più. Il buon Aaron dovrà cercarsi al più presto uno sponsor, una WAGS e conciarsi da metrosexual perchè Eriksson si accorga che è più forte di Beckham. Il Portogallo ha domostrato ancora una volta solidità, pazienza e qualità pur risentendo immancabilmente del suo scarso peso offensivo: trasparente Pauleta, addirittura dannoso Postiga. Figo è restato in campo pure troppo, mentre Tiago ha dato lentezza e imprecisione al gioco. Regolare come sempre Maniche, così così oggi il magnifico Miguel, mentre Carvalho ( che strano ) non ha sbagliato una virgola. Nei supplementari emblematica la situazione del Portogallo: tutto il tempo a far scorrere la palla da una fascia all' altra, come nella pallanuoto, senza mai sfondare. Però credo che in questo mondiale i lusitani abbiano finalmente raggiunto quella maturità tanto auspicata.
VALENTINO TOLA

Ce l'ha fatta ancora una volta Felipe Scolari, alla faccia di un allenatore veterano di casa nostra che dopo il mondiale del 2002 se ne uscì con "questo in Italia potrebbe al massimo portare le borse del massaggiatore." Felipao è in semifinale, alla solita maniera: ritmo controllato, pochi rischi e grande fiducia nei propri mezzi, forma mentis sempre assente in passato dalla nazionale portoghese. Perfetto l'innesto di Petit e di un motivatissimo Maniche, Tiago, invece, da vice Deco ha fatto fatica a trovare la posizione e a mostrare le sua qualità. Pauleta come al solito sacrificato da punta unica, mai innestato dagli uno contro uno sulle fasce di Figo e Ronaldo, che spesso sono alla ricerca dell'inserimento da dietro o del tiro piuttosto che del centravanti del PSG. Dietro, fenomenale Meira, protagonista di un fantaastico mondiale fin qui. Ricardo si dimostra un vero specialista dei rigori, e la Francia dovrà stare attenta a non fare la stessa fine degli inglesi. Gerrard e Lampard hanno ancora dimostrato una certa idiosincrasia a questo sistema, il 4141, che in linea teorica dovrebbe regalargli la possibilità di inserirsi e andare al tiro , sfruttando al meglio le proprie caratteristiche. Entrambi, fiore all'occhiello della nazionale inglese in sede di presentazione, hanno fatto cilecca alimentando interrogativi sulla loro reale capacità di leggere i match. Molto bene dietro, gli inglesi hanno avuto i soliti sprazzi da Joe Cole e poco da Rooney che è riuscito nel giro di pochi minuti a svirgolare vergognosamente in area e a farsi espellere per un calcio nelle parti bassi di Carvalho. Rimango alla fine basito dall'Inghilterra che avrebbe tutto per imporsi e ancora stenta paurosamente: credo, pero, che la dose massiccia di sopravvalutazione di alcuni elementi chiave che ha inebetito tanti di noi sia l'opzione da preferire rispetto alla condanna del tecnico.
CARLO PIZZIGONI

03 luglio 2006

[dialoghimondiali] Germania Argentina

E' stata una partita non entusiasmante ma equilibratissima, decisa da un errore dal dischetto del migliore in campo, Ayala. L'Argentina ha fatto il grave errore, dopo il gol del vantaggio, di chiudersi eccessivamente dietro. Prima aveva evidenziato tutti i limiti dei tedeschi, abbassandone i ritmi e sequestrando il pallone. Calma, saggezza e classe nel gestire il gioco, peccato per un Riquelme disastroso, mai ai suoi livelli migliori in questo mondiale. Tevez si è dannato l' anima, ma per motivi tattici ( anche se per me Friedrich non era così temibile, mentre su Odonkor dopo era giusto che desse una mano ) ha giocato defilato sulla sinistra, potendo poche volte far pesare il suo talento da "barrio". Crespo non è esistito, forse un po' timido Lucho Gonzalez, si è invece esaltato alla distanza Mascherano. Come detto, Ayala è stato immenso nel guidare la difesa e limitare i danni che un Heinze ancora fuori fase ha rischiato spesso di combinare. Dopo il gol di Ayala, l' Argentina non ha più voluto controllare i tempi, si è difesa e basta e ha pagato. Dopol'1-1, ci ha riprovato, ma il treno era già passato. Volevo risparmiarmelo, ma ancora devo criticare Pekerman ( sfortunato comunque per l' infortunio di Abbondanzieri che gli ha levato un cambio) : ha sacrificato Tevez e Messi è restato in panchina a gustarsi anche i rigori: non posso non pensare che, complice anche lo scarto di energie, la Pulga nei supplementari avrebbe potuto fare più danni sia della grandine che di Cruz.
Della Germania si son visti, una volta buona, anche i tanti difetti oltre che i pochi, ma chiarissimi pregi. Quando il ritmo si abbassa, emergono tutte le carenze tecniche. Ballack, siamo alle solite, fuori partita e Lahm frenato sulla sua fascia, Schweinsteiger da schiaffi, è emersa tutta la linearità di Frings. Podolski continua a non convincermi, Odonkor ha fatto solo fumo, mentre a Klose dovrebbero costruirgli un monumento. Ancora non sono emerse tutte le debolezze della difesa, mentre l' Italia deve prendere nota della scoperta straordinaria che abbiamo fatto, sulla quale c'era già qualche sospetto: per mettere in difficoltà la Germania occorre più tecnica e far girare bene il pallone. Una ricetta sana e tradizionale.
VALENTINO TOLA

Uscire ora signfica fallimento totale per l'Argentina, e per José Pekerman che da uomo vero qual è ha rassegnato le dimissioni prendendosi le sue colpe. Che sono molte, a cominciare dal primo tempo giocat senza la minima volontà di rischiare un poco. Rischi che si devono correre quando davanti la qualità abbonda. Ancora una formazione schiava dell'apatia di Riquelme (che una volta in vantaggio è stato fatto sedere per inserire Cambiasso, bah) con una difesa a tre e proposizioni maggiori di Sorin (deludente) che definiva la linea di centrocampo. A destra Maxi, vicino a lui Lucho, tutti a cercare di fare un movimento decente ma senza un briciolo di coordinazione. E allora i duelli di Tevez, partito largo a sinistra, non avevano rinforzi adeguati, così come certi inserimenti dei centrocampisti finivano fuori tempo. Una gran confusione, purtroppo la solita. In più, Pekerman ha avuto la fortuna di andare in vantaggio: se Ballack trovava il gol nel primo tempo, la partita era già chiusa. A me sarebbe piaciuto vedere Palacio al posto di Riquelme, per sfruttare appieno il contropiede e servirsi di rimorchi di lusso come Maxi e Lucho. Invece niente, difesa a oltranza. La Germania ha messo cuore e entusiasmo, dato che tecnicamente è di un'altra galassia rispetto agli argentini e non solo agli argentini. Di qualità ne ha davvero poca, ma spesso vale di più la voglia di prevalere. Ieri è stato sicuramente così. Finalino su Lehmann, assolutamente ritrovato.
CARLO PIZZIGONI