24 ottobre 2006

[figura] Didier Drogba

Arrivano a tutte le ore gli aerei ad Abidjan. Anche di notte. La strada che conduce dall’aeroporto alla città è piena di soldati. La Costa d’Avorio voleva affrancarsi definitivamente dalla potenza coloniale, cominciando a commissionare grandi opere fuori Parigi. Guarda il caso: nascono gruppi ribelli nel Nord e il Paese si ritrova sull’orlo della Guerra Civile ormai da tempo. Sopra il tappeto rosso De Gaulle e Mitterand parlavano di “Piccola Parigi” indicando Abdjan. Ora la ritrovi con posti di blocco un po’ ovunque, armi in bellavista e tanto verde militare per le strade. In questa tristezza, c’è un cappello da pescatore che fa da passepartout, fisico e magico. Attraversa i posti di blocco, accende l’orgoglio di Patria e fa ancora sognare. Il copricapo scende sugli occhi, si intravede appena lo sguardo ed è sempre quello del ragazzino della SICOGI di Yopougon, un quartiere popolare. Dall’alto, le case devono apparire un unicum, invece ci sono viette di un paio di metri le dividono. Anzi: le uniscono, come fosse un corridoio esterno che mette in comunicazione i vicini di casa, che sono, spesso, poco meno di familiari. Sotto quelle case fa un caldo terrificante, non ci sta nessuno se non per costrizione. Drogba bambino, Tito, secondo il battesimo della mamma, cercava il primo pezzo di sterrato per giocare a pallone, ora lo solca con la sua Jeep e passa a trovare amici e parenti praticamente ad ogni estate o appena gli impegni in Europa glielo consentono. “On dit quoi?” ripete, come ogni buon ivoriano, ogni volta che sulla celeberrima Rue Princesse di Yopougon, Drogba entra a "Le Fouquet's", il débit de boisson, diciamo il bar, che ha aperto a uno dei suoi familiari.
Il cappello è appena sopra gli occhi ma è difficile passare inosservati, specie a “La case Blanche”, uno dei locali “in” della città, i cui proprietari sono i membri del Magic System, gruppo capofila della musica zouglou non una dance band come qualche inesperto li etichetta, famosissimi nel Paese (per gli appassionati di note consigliamo la loro hit “petit pompier”). Ad Abidjan Tito è una leggenda, anche se forse l’affetto della maggior parte della città va agli Académiciens, Aruna Dindane, Zokora, Kolo Touré sopra tutti, cresciuti nella scuola calcio più importante del Continente, voluta dal patron dell’Asec, Roger Ouegnin. Drogba, bersagliando le porte di tutta Europa è però diventato e riconosciuto il leader della Selephanto, la selezioni degli Elefanti, come sono chiamati i giocatori della nazionale ivoriana, da poche settimane affidata a Uli Stielike. Cos’è un leader?Dopo la sconfitta casalinga col Camerun che sembrava aver pregiudicato il viaggio ai Mondiali tedeschi (poi ci sarebbe stato il rigore di Wome contro l’Egitto e quindi il suicidio dei Leoni Indomabili), molti avevano preso ad attaccare Bonaventure Kalou, classe cristallina ma eccessiva indolenza: “non ha cuore”, la frase più gentile. In un’intervista a inizio 2006 Drogba fissando l’obbiettivo era stato chiarissimo: “Giocherò la coppa d’Africa con la mia nazionale, e la giocherò, insieme ai mie compagni, per vincerla, solo se cesseranno gli attacchi a Kalou, che sono davvero indegni.”
La Coppa d’Africa l’ha sfiorata, perdendo ai rigori la finale con l’Egitto padrone di casa, ai mondiali una difesa ballerina ha minato la qualificazione ma gli Elefanti hanno giocato alla pari con Argentina e Olanda, poi hanno sconfitto la Serbia facendo abbracciare una nazione sul precipizio di una guerra civile, che è parecchio più di una vittoria su un campo di calcio. C’è un leader e qualcosa di più, sotto quel cappello.
CARLO PIZZIGONI

Fonte: Guerin Sportivo

2 commenti:

valentino tola ha detto...

Complimenti per l'articolo.

Per caso hai tratto qualche pezzo da quell' altro reportage che avevi scritto qualche mese fa (che ho letto con gusto)?

Carlo Pizzigoni ha detto...

La fortuna di vedere le cose sul posto ti agevola non poco. In più ti dà la possibilità di formarti una buona rete di contatti. Scrivere è, paradossalmente, il meno.