01 giugno 2010

Benfica: l'Aquila torna a volare





Wankdorfstadion (Berna), 31 maggio 1961: Benfica - Barcellona 3-2. Olympisch Stadion (Amsterdam), 2 maggio 1962: Benfica – Real Madrid 5-3. I portoghesi demoliscono i due colossi del Vecchio Continente e spolverano la propria bacheca col trofeo calcistico più importante. Il Portogallo si scopre riconoscibile sulle mappe calcistiche, finalmente. Il Benfica diventa un simbolo, un mito, e gestire un mito è complicato. Il fardello dell'uomo bianco-rosso comincia qui. Perché, quando hai dominato senza nessun limite territoriale, la tua condanna è quello di replicare ad libitum l'impresa. Anche senza la classe di Eusebio e Coluna in campo e l'intelligenza e il carisma di Béla Guttman in panchina.

“Somos Benfica” , non basta più: essere Benfica senza vincere vuol dire non essere più. E il tifoso non accetta di non essere più, in particolare il tifoso ( e i benfichisti raggruppano più della metà della popolazione del Portogallo) di un mito, di un mito vero. Lo ricercano, credono di vederlo all'orizzonte, e invece crollano delusi scoprendo che quella partita, quella vittoria, quella coppa era solo un segnale interlocutorio che non portava a nulla. Si attende sempre il ritorno, in un Paese che fin dal Cinquecento, ha alimentato per secoli l'attesa di Re Sebastiano (messa in musica dal genio bergamasco di Donizetti) , scomparso misteriosamente e che sarebbe rispuntato, un giorno, a risvegliare i cuori del Portogallo. Uno sguardo di un popolo di naviganti, pieno di angoscia, attese, illusioni, uno sguardo rivolto al mare infinito che hanno, immobile, di fronte, uno sguardo che è tutto ed è alla base della cultura e della visione del mondo che abita le note di una musica magica, il Fado, e l'anima di ogni lusitano. Ma Re Sebastiano non tornerà più, come quel Benfica. Attorno però a un nuovo Benfica si sta creando qualcosa di magico, qualcosa che sembra andare oltre le (poche) vittorie fallaci del secolo scorso (l'ultimo “scudetto” nel 2004, con Trapattoni in panchina, il penultimo nel lontano 1996). Il vento che sempre accarezza Lisbona sembra abbia portato, per una volta, qualcosa di nuovo. Una società che sta lavorando bene sul mercato e che in campo regala emozioni nuove e diverse dall'ordinario. Dietro la scrivania, Rui Costa, il “Maestro”, nato nelle viscere del “Glorioso”, passato a illuminare anche l'Italia e tornato a casa per appendere gli scarpini e inventarsi una carriera nuova altrettanto insigne. Sulla panchina un apprendista stregone che ha tutte le qualità per diventare un vero Maestro di calcio: Jorge Jesus è l'ultimo riuscito calco di una scuola futebolistica di allenatori lusitani segnata da un approccio sistemico che mescola modernità, internazionalità e pragmatismo. Dopo Quieroz (C.T. della “Geração de Ouro” che ha vinto tutto a livello giovanile, quella dei Figo e dei Rui Costa, poi straordinario uomo di campo di Ferguson allo United) e José Mourinho, Jorge Jesus sembra possedere le stimmate per appartenere alla storia del calcio continentale che verrà, e non è un caso che sia già associato a importanti club europei (ma ha firmato fino al 2011 per rimanere nelle Aquile). La classe media dei tecnici portoghesi è preparatissima: cresciuta in un ambiente permeabile alle contaminazioni (leggi: idee e codici di tecnici stranieri) ha elaborato una metodologia di lavoro moderno che si serve anche del contributo di diverse scienze umane e ha prodotto una serie di sistemi di allenamento all'avanguardia, a partire, ad esempio, dalla novità della “Periodização Táctica”, che vanta innumerevoli casi di applicazioni pratiche. Molti allenatori non hanno raggiunto le attese, notevoli, a cui era associata la loro ascesa nel calcio portoghese, come nel caso di José Peseiro, assistente al Real Madrid proprio di Queiroz, altri mantengono una rotta interessante. E Jorge Jesus è la rosa dei venti dell'attuale movimento nazionale. Dopo una grande stagione nello Sporting Braga, lo scorso anno (con il raggiungimento, pure, degli ottavi in Coppa Uefa ) e il progetto di un originale sistema di gioco, un 4-1-3-2 insieme propositivo, spettacolare e produttivo, Jorge Jesus giunge al Benfica e fa il bis. Trovare la disponibilità di uomini di seconda/terza fascia del campionato portoghese può non essere complicato: meno, si dice, far digerire un calcio del genere all'élite. Eppure il cinquantacinquenne tecnico di Amadora riesce nell'impresa: il 4-1-3-2 esposto al Da Luz è una favola per gli occhi, con due terzini di spinta, un unico mediano vero, Javi Garcia (cresciuto nelle giovanili del Real Madrid), tre giocatori dinamici a centrocampo (Ramires, Aimar e Di Maria), che da altre parti occuperebbero il ruolo di attaccante, e due punte: il bomber paraguayano Oscar Cardozo e Javier Saviola. Sì, sì, quel Saviola che dopo aver sbadigliato nei luccicanti spogliatoi del Camp Nou e del Bernabeu sta proponendo, a 28 anni e con una patente di “bollito” sulla schiena appiccicatagli dalla stampa iberica, la sua migliore stagione europea di sempre. Velocità, combinazioni tra più giocatori, movimento coordinato di palla e uomini, pressing, ripartenze, organizzazione e tanti tanti gol, così è tornato a fantasticare il popolo “Encarnados”, dall'alto del primo posto in classifica nel Campionato Portoghese, cosa che non si registrava da troppo tempo. Il passaggio a vuoto del Benfica nella Europa League, eliminato dal miglior Liverpool della stagione dopo aver estromesso il Marsiglia, ha solo in parte raffreddato l'entusiasmo dei tifosi. Per modalità e circostanze, l'avventura europea appena conclusa è valutata da molti osservatori come un passo in avanti deciso e un'esperienza messa in cascina e che servirà, a breve, nella competizione principe del Vecchio Continente. Tra le massime meno esplorate di un portoghese famoso, José Mourinho, c'è anche questa:“Non credo che, nel calcio di oggi, ci siano squadre allenate bene e altre male. Piuttosto, ci sono squadre adattate o meno al metodo di gioco dell’allenatore. Quello che si cerca è che la squadra si adatti allo sforzo che il sistema di gioco esige.” E qui l'allenatore è fondamentale, ma lo è, di conseguenza, il ruolo della società. Che deve assecondare il lavoro del mister e mettere a disposizione dello stesso giocatori adeguati al progetto. Il Benfica, anche qui, ha oggi tutte le carte in regola. La presidenza di Luís Filipe Vieira ha come copertina visibile l'acredine e le continue polemiche contro il padrone del calcio portoghese, impersonato dal Presidente del Porto Pinto da Costa. Nelle pagine interne, tuttavia, l'operazione della squadra di Lisbona è più interessante: i rivali del Nord sono stati presi da esempio per il loro modo di fare mercato e, grazie anche al lavoro di Rui Costa, da due anni diventato Direttore Sportivo del club, il sorpasso del Glorioso pare essere avvenuto. Capacità di scouting, contatti con i procuratori giusti e prontezza nella trattativa: così sono arrivati al Da Luz ragazzi di straordinaria prospettiva come David Luiz, pescato dal niente del Vitoria Bahia, e raggiunti giovani nella fase ascensionale della carriera, poco prima che i top club d'Albione o di Spagna dischiudessero il portafoglio, come nel caso di Angel Di Maria, prenotato durante i Mondiali giovanili, e Ramires, firmato poco prima della Confederations Cup che lo consacrò nel Brasile. E parliamo di gente che ora vale oro. Aggiungiamo una nutrita serie di giovani interessanti (Fabio Coentrao, Sidnei, Patric) e una lungo plotone di acquisizioni e prestiti nel sottobosco locale, tra massima serie e leghe minori. Ultimo degli arrivi, il promettente centravanti brasiliano Alan Kardec: appena ha fatto bene, nel Mondiale under 20 ultimo scorso, è approdato al Da Luz. Tutto gira per il verso giusto. Certo, non tornerà mai più il vecchio Benfica di Eusebio, ma all'orizzonte c'è forse qualcosa di vero e di grande, e ha un'Aquila sul petto.

CARLO PIZZIGONI

FONTE: GS - GUERIN SPORTIVO

1 commento:

The Chosen One ha detto...

Articolo stupendo!!!!
I miei sentitissimi complimenti!!!

A questo punto per il Benfica viene il bello perchè deve riconfermarsi e c'è di mezzo anche una Champion's League che deve essere vissuta al meglio.
Bisognerà resistere alle sirene del mercato per evitare di rompere il giocattolo messo su da Jorge Jesus e Rui Costa.
Limitare a massimo 2, le partenza dolorose; con Cardozo quasi certo e uno tra Di Maria e Ramires destinati a fare le valigie.
Si incasseranno molti milioni, da poter investire subito per non indebolire la squadra, magari sul florido mercato sudamericano, sulla falsa riga del Porto.
Centrare un altro colpo alla David Luiz o Di Maria sarebbe l'ideale per garantirsi una continuità nel medio-lungo periodo.
Sembra quasi un'utopia, ma del resto anche l'Ajax dopo il periodo d'oro degli anni 70 sembrava non poter ripetere mai più un ciclo del genere eppure a metà degli anni 90 riusci a costruire di nuovo una squadra competitiva ai massimi livelli...sognare non costa nulla...