10 giugno 2008

Donadoni e un silenzio che disturba

Di Marcello Ierace

Fonte: Giornale del Popolo - Lugano


Davvero curiosa la sorte di Roberto Donadoni. Un piccolo siparietto per rendere l’idea. Un gruppo di giornalisti assiepati davanti ad un televisore stanno cercando di ascoltare la conferenza stampa del ct azzurro. Un altro, più in là, inizia a fare il “caciarone” e si becca, giustamente, una serie di “ssssst”. Lui, per tutta risposta, molla lì un «Ma che lo stai senti’ a fare quello lì». Ci si aspetterebbe lo sdegno dei colleghi e, invece, questi si rendono conto di aver violato una sorta di patto non scritto e si allontanano dal televisore e spengono i microfoni. Ecco, questo è il simpatico clima che vive attorno al tecnico bergamasco. Uno che ha, come sua unica, vera colpa, quella di essere un antidivo. Uno che sta male sotto riflettori, uno che non “tira”, che non fa audience. Un uomo schivo, oggi come ieri. Anche quando giocava, alternava genio e talento (in campo) a grandi silenzi ed estrema riservatezza (fuori campo).Il problema – almeno per la stampa italica questo è un problema – è che un atteggiamento così lo si può perdonare a un giocatore, uno fra mille, ma non certo al selezionatore della nazionale. E infatti non glielo stanno perdonando. Le domande tendenziosi ai giocatori si sprecano. Altro siparietto. Una giornalista si avvicina a Buffon e gli fa: «Sì, però questo qui (inteso come Donadoni, ndr) non è come Marcello (inteso come Lippi, ndr)…». Il portiere è un po’ imbarazzato: «In che senso?». «Nel senso della personalità, questo qui (sempre Donadoni, ndr) nessuno lo sta a sentire». «Ma no, ha solo un carattere diverso». E dire che ci sarebbero tutti i motivi per apprezzare Donadoni. È un tecnico giovane, ha idee innovative (non a caso è un allievo di Sacchi), ha coraggio, intelligenza e competenza da vendere. E poi è uno che sta facendo bene. A prescindere da come andranno questi Europei, l’ex centrocampista rossonero ha già vinto una sua prima sfida.
Partito piuttosto male nelle qualificazioni (pareggio casalingo con la Lituania, sconfitta a Parigi per 3-1 con la Francia), ha rimesso in piedi una squadra che era per metà stanca (e soprattutto ben sazia) dal trionfo mondiale, e per metà nuova. Ha creato un amalgama, facendo anche scelte difficili (e mettendosi contro giocatori, dirigenti e intere tifoserie molto influenti), e, nel giro di pochissimo
tempo, ha rimesso in corsa gli azzurri, inanellando una serie di nove successi e un
pareggio che, oltre a aprirgli le porte per gli Europei, avrebbe dovuto anche fargli trovare (almeno) la comprensione dei suoi connazionali. Macché. La federazione prima
l’ha tenuto in bilico senza rinnovo di contratto e poi, proprio per pietà, questo
benedetto contratto gliel’ha fatto, giusto prima di partire per l’avventura continentale, ma l’ha anche riempito di clausole liberatorie.
Così, giusto per mettere le cose in chiaro: «Erano altre persone ad averti scelto, non noi». Il vento di Calciopoli è già passato da un pezzo, ora è tutto come prima. Ma il buon Donadoni, un po’ come faceva Ralph Fiennes nel film “The Constant Gardener”, va avanti nella sua strada, silenzioso, tenace e senza curarsi di ciò che si dice, e si scrive, sul suo conto. Il campo parlerà. O forse non basterà
neanche quello

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