01 dicembre 2009

Svizzera Campione del Mondo under 17 - Analisi

Tutto vero. La Svizzera ha vinto il Mondiale under 17, a cui partecipava per la prima volta in assoluto. Non ci credevano in tanti, manco al di là della Frontiera di Brogeda: il giornale più popolare del Paese, il Blick, relegava tra le brevi le prime, ottime prestazioni dei ragazzi elvetici in Nigeria. Poi il boxino che diventa la mezza pagina e esplode nello speciale a tre facciate confezionato per celebrare la vittoria. La Svizzera, per la prima volta, campione del Mondo in una competizione calcistica, non era forse l'obiettivo o la speranza del progetto costruito più di una dozzina di anni fa da Hansruedi Hasler, chiamato dalla Federazione Svizzera a risollevare il cupo incedere del calcio d'oltralpe. Eppure tutto è cominciato da lì, le giocate di Ben Khalifa, eletto secondo miglior giocatore del Mondiale (ma ci stava, eccome, pure il Pallone d'oro), i gol di Haris Seferovic, autore pure dell'unica rete della vittoriosa finale contro i padroni di casa nigeriani, le parate di Benjamin Siegrist, promessa dell'Aston Villa probabilmente non ci sarebbero state, almeno a questo livello, se tanti anni fa la Federazione non avesse intrapreso la strada della riorganizzazione del settore giovanile tramite un processo coerente e sistematico. All'inizio della sua avventura Hasler riferiva come “nel confronto internazionale, i nostri juniores migliori risentono di una formazione carente a livello tecnico, tattico e atletico”. Per vincere con Messico, Giappone e Brasile e superare la fase a gironi partendo da outsider, mettere sotto due favorite alla vittoria finale come Germania e Italia, disintegrare la Colombia in semifinale (4-0!) e prevalere nell'ultimo match si è partiti da lontano, alimentando un processo che ha visto nella creazione di tre Accademie di calcio sorte a Tenero (Ticino), Payerne (Romandia) e Emmen (Svizzera tedesca), elementi chiave alla funzionalità del sistema generale. In questi centri di formazione, per usare ancora le parole di Hasler, “si promuove l'eccellenza dei giovanissimi calciatori”, con allenamenti di elevata qualità dal punto di vista metodologico e cura del ragazzo anche fuori dal campo. Sono poi sempre più proficue le collaborazioni con le società e, negli ultimi anni, si è spinto per la costituzione di settori giovanili a base cantonale: non più, per fare un esempio, il Locarno o il Bellinzona che si organizzano per conto proprio, ma la creazione di “Team Ticino”, che raggruppa l'élite del calcio attorno al Monte Ceneri, e che ha infatti portato il proprio contributo alla vittoria di questo Mondiale con tre elementi: l'ottimo difensore Bruno Martignoni, e i meno utilizzati Matteo Tosetti e Igor Mijatovic. Mijatovic, non Rezzonico: già perché al di là delle strutture messe in piedi dalla Federazione, la Svizzera ha beneficiato anche dal fatto di essere diventato un Paese multietnico. I ragazzi che hanno alzato al cielo la Coppa del Mondo tra i mortaretti che esplodevano nella notte di Abuja sono anche i figli degli albanesi, dei tunisini, dei bosniaci, dei congolesi, dei portoghesi, dei cileni, dei croati, dei ghanesi, dei serbi (citando le nazionale rappresentate in questa squadra) che hanno scelto nella Svizzera la propria patria e che ora, insieme agli elvetici figli solo del cioccolato e degli orologi, hanno prodotto un melange che è diventato un iride Mondiale. Per assemblare ragazzi figli di tante culture differenti era necessario un pedagogo, oltre che un ottimo allenatore: professioni-qualità tutte contenute nel CT Dany Ryser, 52enne con alle spalle una carriera modesta come calciatore e, soprattutto, una cultura di formatore-educatore presso l'Associazione Svizzera di Calcio che gli è valsa la promozione a tecnico di questa under 17. Disegnata tatticamente con un 442 lineare dove certo eccellono i due fenomenali attaccanti Ben Khalifa (che ha già esordito nella SuperLeague svizzera col Grasshoppers: 10 presenze due gol, un predestinato) e Seferovic, la Svizzera di Ryser è un monolite compatto e aggressivo in mezzo al campo (molto “futuribili” Pajtim Kasami, tesserato per la Lazio, e Granit Xhaka), con una difesa attenta e sempre concentrata condotta da elementi di spicco come il portiere Siegrist e i due centrali Veseli (Manchester City) e Chappuis (Grasshoppers). Organizzazione e multiculturalità per avere ragione di potenze notevoli come Nigeria e Spagna, che ha chiuso al terzo posto. Gli africani, campioni in carica uscenti, hanno evidenziato una serie notevole di talenti, a cominciare dal Pallone d'Oro del torneo, l'attaccante Sani Emmanuel e dal terzo miglior giocatore, secondo la giuria della FIFA, l'ottimo centrocampista Ramon Azeez, senza dimenticare l'altra punta Stanley Okoro, già messosi in luce con i suoi Heartland nella Champions League africana: velocità, controllo e tiro (e con entrambi piedi) che hanno addirittura scomodato paragoni con Messi. La mancanza di una punta di peso e una certa frenesia malcontrollata dal CT John Obuh in diverse fasi chiave dei match, specie in finale, hanno prodotto solo un secondo posto per la Nigeria. Ma la squadra ha enorme potenziale. Così come la Spagna, come futuribilità forse addirittura una delle migliori Furie Rosse di sempre, con talenti come il centrale del Barça Muniesa, il basco Iker Munian (il più giovane giocatore ad avere segnato nella Liga, con l'Athletic), la strombazzata promessa del Real Madrid Pablo Sarabia e l'ottimo Isco (Valencia).

CARLO PIZZIGONI
(Ha collaborato Paolo Galli)


Fonte: Guerin Sportivo n.47/09

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