29 maggio 2008

«Special One» con due anime

Aggiungo un bellissimo pezzo di Sandro Modeo, uomo di cultura e appassionato di calcio vero, apparso sul Corriere della Sera di ieri.


«Special One» con due anime. Narciso, ma anche timido

di SANDRO MODEO

L' uomo non sempre riesce a essere «un passo avanti», come nello spot dell' American Express. Non sempre, cioè, gli riesce di aprire l' ombrello un attimo prima del temporale. Qualche anno fa, per esempio, aveva tentato una goffa censura preventiva cercando di stoppare - con 40 minuti di telefonata all' autore - l' uscita della biografia poco ortodossa di Joel Neto (pubblicata in Portogallo dalle edizioni Dom Quixote), dovendo poi accontentarsi - a libro uscito - di una querela per diffamazione. Eppure, coi suoi chiaroscuri, è un libro più utile per illuminare il suo approdo all' Inter che non quello - apologetico - del suo amico d' infanzia Luis Lourenço. Da una parte, Neto conferma l' immagine da copertina di Capital che ha già eletto Mourinho a nuovo Avversario della visione calcistica poetico-nostalgica. La ricchezza che gli proviene dal patrimonio del nonno materno, magnate nell' establishment nel Portogallo di Salazar; l' infanzia dorata nella villa a quindici stanze di Setubal; l' appartenenza al mondo-Logo, in cui scorrono, oltre all' American Express, le conferenze per la Microsoft portoghese; tutto questo - con le esplicite simpatie di destra e una concezione in apparenza freddamente efficientistica del gruppo - sembra rinsaldare un' icona da calcio-Playstation opposto - secondo schema assurdo quanto diffuso - a quello da Album Panini. Sembra. Perché scavando, Neto trova un Mourinho-ombra sorprendente: un bambino difficile e problematico che a cinque anni rischia di morire di peritonite; un giovane che dopo una severa educazione cattolica rigetta la «business school» e si diploma all' Isef, insegnando a lungo a ragazzi gravemente disabili in un rapporto di profonda empatia; un uomo che dopo una lunga gavetta da secondo (soprattutto al Barcellona con Robson e Van Gaal) accetta di fare non uno, ma venti passi indietro, allenando un piccolo club come l' União de Leiria. Se si aggiungono altri episodi insospettabili (il tentativo di aiutare un «Primavera» del Benfica, da poco orfano di padre, facendolo allenare con la prima squadra) o il sodalizio di una vita con una moglie - Matilde detta Tami, nata in Angola - a capo di un' associazione per bambini disadattati, sentiamo quanto l' immagine univoca di Mourinho sia almeno pregiudiziale. Del resto, che l' uomo sia complesso e contraddittorio lo si vede su tutti i versanti. Mourinho sa di essere carismatico e a volte sprezzante (vedi i gratuiti insulti a Grant); ma non c' è bisogno di uno psichiatra come Carlos Dia per scorgere dietro l' arroganza narcisistica una timidezza patologica. La sua concezione del calcio è ossessivamente razionale, perché nessuno come lui cura le «transition» da una metà campo a un' altra, il possesso-palla in «stand by» per rifiatare o le variazioni su palla inattiva (insomma, il respiro tattico della squadra); eppure, nel prepartita, bacia la foto dei tre figli e un crocifisso comprato a Braga. E la sua predilezione va spesso a giocatori sottopagati e semisconosciuti (più facili da motivare); ma non c' è campione - da Deco a Drogba - che non sottolinei la sua disponibilità al dialogo. Fra i traumi della sua parabola, Mourinho ricorda - con parole ai limiti della reticenza - la morte, nel ' 97, della sorella trentenne Teresa, dopo l' abuso di droga e un diabete che l' ha resa cieca. Forse non c' è un diretto rapporto di causa-effetto: ma ogni volta che Mourinho (come a Oporto dopo la stagione trionfale del 2003) sembra un alieno o uno spettatore disorientato nelle feste dei suoi successi, è difficile non pensare anche a quell' amputazione affettiva. Forse, l' uomo che è (quasi) sempre un passo avanti agli altri, è sempre (nello stesso momento) un passo dentro se stesso, sull' orlo dei propri abissi.

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