20 maggio 2015

Champions Asia 2015: com'è andata la fase a gironi/2

Ecco la seconda parte dello straordinario studio di Nello sulla Champions asiatica (c'è anche il Guangzhou Evergrande di Fabio Cannavaro). Uno stile che ci accompagnerà anche su mondofutbol.com il nuovo sito sul calcio internazionale presto, prestissimo online.




GIRONE E


Giappone e Sud Corea hanno la meglio su Cina e Vietnam. Questa la sintesi del girone.
Fin troppo superiori i nipponici del
Kashiwa Reysol, campioni nel 2006, e le “tigri asiatici” del Jeonbuk, club noto anche come General Motors per i legami stretti con la casa automobilistica della Hyundai.
Un viaggio a braccetto evidenziato dalla classifica (11 punti a testa) e dal doppio confronto, ad armi pari (ognuno superiore sul terreno amico) ma che ha premiato il Kashiwa, uscito indenne dal Jeonju World Cup Stadium solo per merito delle mani d’oro
Takanori Sugeno e della dea bendata (due gol annullati e una traversa per il Jeonbuk), e vittorioso nel paese del Sol Levante (Reysol, fra l’altro deriva dallo spagnolo, rey (re) e sol (sole), nda).
Al di là di tutto è stato interessante osservare i due opposti stili di gioco: aggressivi in ogni angolo del campo per favorire il recupero palla e l’affondo rapido i sudcoreani, leader indiscussi della K-League e per la loro mentalità assai apprezzati in Asia orientali, più meticolosi i giapponesi, capaci, però, di ingranare la sesta quando
Kosuke Taketomi e Masato Kudo si mettono a fare i brasiliani, copiando chi sotto l’Ordem e Progresso ha avuto i natali come Cristiano, trequartista ex-Coritiba, e Leandro.
Sparring partner del girone il Becamex Binh Doung (Vietnam), supportato dai talenti di casa
Le Cong Vinh, Nguyen Trong Hoang e Le Tan Tai e dagli africani (gli scattisti Cheikh Abass Dieng (Senegal) e Ganiyu Oseni (Nigeria) e il centrocampista Moses Oloya (Uganda)) e lo Shandong Luneng Taishan (Cina). Entrambi si sono fatti apprezzare per l’organizzazione generale, lo spirito combattivo e la volontà di giocare sempre all’attacco, anche a costo di regalare praterie.
Un nome da ricordare nel gruppo cinese?
Yang Xu, attuale capocannoniere del torneo in compagnia di Ricardo Goulart del Guangzhou Evergrande Taobao.
Le basi ci sono. Ora serve costruire.


GIRONE F

Senza dubbio, il gruppo che ha regalato le maggiori emozioni, con numerosi sali e scendi e tre squadre arrivate in fondo con gli stessi punti.
La chiave di volta è stata la sconfitta casalinga del Buriram United contro il
Gamba Osaka (Giappone), novanta minuti dominati dai thailandesi, passati in vantaggio con una pennellata dalla bandierina di Theeraton Bunmathan, terzino sinistro inserito dall’AFC nella Top11 della “group stage”, ma segnati da numerosi errori di mira, alcuni clamorosi, degli avanti di mister Alexandre Gama, fino all’inevitabile beffe dell’uno-due.
Un vero peccato perché i titolati della Thai Premier League, vicini al tris in campionato, hanno espresso un 4-2-3-1 in salsa carioca (dall’allenatore, vice-allenatore della Corea del Sud nella Coppa d’Asia 2011, ai finalizzatori
Diogo e Gilberto Macena) essenziale, qualitativamente alto, ricco di fraseggi e giocate a rimorchio.
Forse ha pagato l’inesperienza (squadra giovane in maniera particolare nel pacchetto arretrato), forse altro, fatto sta che la classifica avulsa ha dato ragione al Gamba Osaka (1°) e
Seongnam FC (Corea del Sud) di Kim Dong-Sub, centravanti rapido e muscolare, e dei compagni di reparto, il ’92 Hwang Ui-Jo e il paulista Ricardo Bueno.
I giapponesi si sono svegliati strada facendo, recuperando una partenza ad handicap (un pareggio nelle prime tre giornate) con il la dato dal passaggio ad un modulo più accorto e dall’avanzamento di
Takeshi Usami a supporto di Patric, una mossa che ha reso esplosivo il tandem protetto da capitan Yasuhito Endo.
Lontano dalla vetta il Guangzhou R&F (Cina) che aveva approcciato il torneo con una prestazione maiuscola in casa del Gamba (prima squadra cinese a vincere a Osaka) per poi perdersi nel momento in cui
Abderazak Hamed-Allah si è inceppato e la squadra non è riuscita più a seguire le idee del tecnico Cosmin Contra.


GIRONE G

A differenza del gruppo precedente qui i conti sono stati regolati, almeno sulla carta, in anticipo di due turni, tanto è vero che il Beijing Guoan (Cina) si è concesso il lusso di cedere tre punti a chi rincorreva (Brisbane Roar) prima di fari pari e patta con i sudcoreani del Suwon Bluewings, e godersi mano nella mano la traversata che porta alla “round 16”.
Il Gouan allenato da Gregorio Manzano, che i tifosi del Maiorca ricorderanno con assoluto piacere (i rossoneri devono allo spagnolo uno dei due trofei conquistati nella loro storia, la Copa del Rey 2002/03), ha saputo dosare le forze, palesando maturità e acume tattico. Non a caso la porta di
Zhi Yang, splendidamente sostituto da Hou Sen quando è servito, si è confermata come la seconda meno battuta di questa fase del torneo. A questo piccolo premio hanno contribuito il terzino sinistro Hejing Zhao, che giusto oggi (ieri per chi legge) compie 30 anni, e il mediano Xiaobin Zhang. Per quanto riguarda la fase di possesso chiedere informazioni a Dae-Sung Ha, centrale di centrocampo, intelligente nello scaricare palla nei piedi dell’argentino Pablo Batalla, colui che ispira il tridente capeggiato dal montenegrino Dejan Damjanovic.
Quanto a bomber non scherza nemmeno il Suwon che all’Europa ha preferito il Sudamerica, così come va di monda in Oriente. Capocannoniere della squadra, però, resta il coreano
Jung-Jin Seo, esterno alto di destra e compagno ideale di Kaio, vigorosa boa from Paraná, per tutti meno per Jung-Won Seo che ha gettato nella mischia lui e gli altri suoi connazionali (Léo Itaperuna e Santos) quasi sempre a partita in corso.
Ritorno nel Vecchio Continente con l’Urawa Reds, attrezzatasi con lo sloveno
Zlatan Ljubijankic e con l’allegria di un gioco “tutti all’attacco’’ che fa molto Capitan Tsubasa, il nostro Holly & Benji, per intenderci. La fantasia però non supera la realtà e i numeri dicono altro (5 reti all’attivo) e non mentono. Così come non mente la classifica del Brisbane Roar, giunto terzo. Gli australiani hanno fatto quel che hanno potuto, denotando una lampante mancanza di idee in prossimità dell’area avversaria, raggiunta in maniera egregia attraverso le intuizioni del playmaker tedesco Thomas Broich). Detto questo, non si può negare che sotto porta Brandon Borrello, italo-aussie di soli 19 anni, non abbia fatto il proprio dovere.


GIRONE H

Missione compiuta per Fabio Cannavaro, alla sua prima esperienza in solitaria in panchina, ma quanta fatica.
Una promozione non a pieni voti (3 vittorie, tutte di misura, e 2 pareggi), da soppesare con attenzione perché le avversarie erano di tutto rispetto e chiedere la luna, pur con un’invidiabile rosa e specie in questo periodo della stagione, può risultare eccessivo. Sotto il piano della qualità del gioco, certo, era lecito aspettarsi qualcos’altro. Come spesso accade in queste situazioni, a togliere le castagne del fuoco al campione del mondo azzurro ci hanno pensato i singoli, nelle vesti di
Ricardo Goulart, prelevato dal Cruzeiro a Gennaio vincendo la concorrenza di alcuni top club europei, e di Elkeson. Quel che conta per i supporters de Le tigre della Cina meridionale è che il Guangzhou Evergrande sia fra le prime sedici squadre del continente, pronto a giocarsi tutte le carte a disposizione per restituire a Canton un trofeo mollato nel 2014 al Western Sydney, avversario diretto nel girone di quest’anno. I motivi per pensare che un nuovo passaggio di consegne non sia pura coincidenza abbondano. Dalla presenza di un tecnico italiano ad un 4-3-3 con ali sudamericane, passando per un fase a gruppi superata per un pelo davanti ad una squadra coreana. Se allora alle spalle dei cinesi arrivò il Jeonbuk, quest’anno è stata la volta del Football Club Seoul, energico mentalmente forte come vuole Yong-Soo Choi, vincitore della AFC Coach of the Year Award nel 2013 nonché alla guida delle vecchie Lucky-Goldstars nella semifinale della scorsa stagione. Riuscissero a trovare con più facilità la porta potrebbe davvero far paura a chiunque, vista la compattezza fra i reparti e un centrocampo ben assortito con Myong-Jin Koh a tirare i fili manco fosse un maestro di bunraku. Un’arte che nonostante l’origine di questo particolare teatro con le marionette non è nelle corde del Kashima Antlers di Toninho Cerezo, sciupone come pochi e in mezzo ad un periodo di transizione. Nonostante tutto con Caio (piccola, per età e statura, ala brasiliana), Yasushi Endo, resistenza e buona tecnica, e Shoma Doi, trequartista giapponese classe ’92, arrivare ultimi con soli 6 punti grida vendetta.
Di delusione in delusione, ecco il Western Sidney, meno ricercati tecnicamente ma robusti. Gioco lento, tanti lanci lunghi a scavalcare il centrocampo verso la testa di Tomi Juric. La pressione della fascia iridata ha fatto il resto, togliendo tranquillità a Matthew Spiranovic, interessante centrale difensivo, e Kerem Bulut, di chiare origini turche ma calcisticamente mezzo ceco, incapaci davanti al pubblico di rispettare il ruolo di primadonna. E pensare che pure senza la sconfitta in zona Cesarini contro l’Antlers gli australiani sarebbero probabilmente usciti per lo scarto reti.
La legge di Murphy non lascia scampo.

@AnielloLuciano 
@MondoFutbolCom

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