21 maggio 2011

Il Porto di Villas Boas vince l'Europa League





Al Porto sono proprio bravi. Pochi giorni fa hanno vinto l’ennesima coppa internazionale, l’Europa League, spolverando una sala trofei che fa invidia a tante big del Vecchio Continente e comprende, tra gli altri, due Champions League e due Coppe Intecontinentali. Trofei vinti senza l’appeal del blasone né con i quattrini dell’annoiato sceicco di turno ma solo con la capacità di fare calcio, di sapere individuare potenziali talenti in tutto il mondo, di scegliere, soprattutto, gli uomini giusti. Nel gennaio dell’anno passato si stava consumando il matrimonio tra lo Sporting Lisbona e André Villas Boas reduce dalla prima esperienza da allenatore-capo sull’Academica di Coimbra: tre mesi in cui l’ex assistente storico di José Mourinho aveva fatto intravedere grandi cose. La leggenda narra che il presidente del Porto, Pinto da Costa, protagonista di tutte le vittorie dei Dragoni negli ultimi trent’anni (è titolare dello scranno dal 1982), lo abbia chiamato e convinto ad aspettare la chance nella sua città. Dom Luís André de Pina Cabral e Villas Boas è infatti figlio della buona società portense. Di più: ha sangue blu nella vene, di derivazione lusitana ma anche inglese. La nonna, Margaret Neville Kendall, nuora del visconte di Golhomil, è quella che gli ha insegnato la lingua d’Albione. Che è venuta davvero comoda per assecondare la vera passione del rampollo aristocratico: il calcio.
Giovincello, André attendeva l’ascensore al fianco di Bobby Robson, all’epoca tecnico del Porto, la squadre del cuore di Villas Boas. Sciolta l’emozione, con un inglese fluente e una dose massiccia di faccia tosta l’attuale allenatore del Porto ha suggerito a Robson come utilizzare al meglio il suo idolo, l’allora attaccante Domingos. Non l’omonimo, proprio l’allenatore attuale dello Sporting Braga che ha conteso l’Europa League a Villas Boas: pare la sceneggiatura di un film da cassetta, e invece è tutto vero, lieto fine incluso. Robson rimane sorpreso dall’acume e dalla sfacciataggine e lo invita al campo d’allenamento dei Dragoni. Dopo intere giornate a divertirsi con Championship Manager, il gioco al computer che simula la gestione di una squadra di calcio, suo passatempo preferito, comincia così, nemmeno maggiorenne, la carriera di André Villas Boas. L’ereditiero aristocratico ci mette tutto se stesso nel nuovo “lavoro”, collabora a vario titolo con diverse selezioni giovanili dei Dragoni e da mascotte che era si trasforma in pupillo. E’ già in nuce un allenatore del Nuovo Millennio, istruito come deve essere un erede di una famiglia nobile, affabulatore aggraziato e profondo, attento alle scienze sociali e a quelle motorie, oltre che innamorato del possesso palla. “Chi sa solo di calcio, non sa nulla di calcio”, avrebbe sentenziato, alcuni lustri più tardi, José Mourinho, che lo prende con sé quando Pinto da Costa setaccia il mercato allenatori e sceglie l’uomo di Setubal per il Porto. Coi Dragoni lo Special One vince tutto, replica parecchi successi al Chelsea, in Inghilterra, e all’Inter, sempre con al fianco Villas Boas che al video analizza gli avversari di turno situazione per situazione, evidenziando i punti deboli. Piccoli capolavori che non sono tangenziali ai successi di Mourinho. “ José diventerà il più grande allenatore della storia del calcio - dirà l’appena ribattezzato “Principezinho” -, io voglio però seguire la mia ambizione”, così si dividono le strade. L’ambizione lo aveva portato a inviare, ventenne, un curriculum che mentiva sull’età alle Isole Vergini: “hai perso 9-0 con le Bermuda e vuoi fare l’allenatore?”, lo canzonava Mourinho, impegnato diversi anni più tardi a contrattare per lui l’uscita dall’Inter e a regalargli suggerimenti via sms nei primi mesi dell’avventura portoghese all’Academica.
Oggi non ne ha più bisogno e anzi, per quel che è possibile, cerca di affrancarssi dal pesante e inevitabile accostamento. Simili nella metodologia di lavoro (riassunti per brevità nella formula “ Periodização Táctica”, la base dei nuovi tecnici lusitani), con caratteri in qualche modo paragonabili, figli però di un Portogallo diverso (il Post Salazar e l’apertura all’Europa) e di una classe sociale distante (la piccola borghesia mourinhana contro l’aristocrazia) Mourinho e Villas Boas sono entrambi il prodotto di un club che sbaglia assai raramente, e che due giorni fa ha incamerato l’ennesimo trofeo. Non l’ultimo, forse sempre con André al comando.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Corriere del Ticino

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