Dopo anni di richieste, a vuoto, finalmente Alessandro Penna, migliore conoscitore del calcio brasiliano di tutto lo Stivale (con il secondo che arriva quinto, tra l'altro) mi ha fatto l'onore di un suo pezzo. Tratta di Dyego Coelho, laterale acquisito dal Bologna durante l'ultima estate.
Vietato chiamarlo terzino. Dyego Rocha Coelho, neo acquisto (in prestito) del Bologna, si offenderebbe. Venticinque anni timbrati lo scorso marzo, il paulista verace Coelho è infatti il classico laterale alla brasiliana, ben accessoriato per spingere e colpire, piuttosto svagato se si tratta di coprire e disegnare diagonali.
Quando volava negli juniores del Corinthians e con le Seleçao di categoria era considerato un piccolo craque da esportazione, un'ala che avrebbe fatto parecchia strada e diversi scali nei migliori aeroporti europei. Poi qualcuno (l'indiziato è il tecnico delle giovanili José Augusto) gli ha arretrato il raggio di azione e, forse, «rimpicciolito» la carriera.
Nella casella delle virtù, ci mettiamo un fisico possente ma asciutto (178 centimentri per 75 chili), polmoni da fondista, buona corsa e, soprattutto, un piede destro educatissimo, che ne fa uno specialista dei calci piazzati (famose e spesso letali le sue punizioni a «folha seca»), un crossatore di rara precisione. Il saldo di gol, 11 negli 82 match spartiti tra le sue due patrie Corinthians e Atlético Mineiro, sono conferma dell'attitudine-abitudine a offendere.
Ugualmente «denso» lo scomparto dei difetti. Oltre alla già citata pigrizia difensiva, un carattere facile all'ira e ai cartellini: in campo e fuori, Dyego è l'esatto contrario del suo cognome, che in portoghese significa «coniglio». Basti dire che ai tempi gloriosi (e sospetti) del Timao di Kia Joorbachian, campione brasiliano nel 2005, il suo migliore amico era l'irrequieto Carlitos Tevez, che scarrozzava in giro per le mille luci della notte paulista.
A rafforzare l'immagine di «cattivo», la squalifica lunga quattro mesi (poi ridotta a cinque giornate) che si buscò per gioco violento nel settembre del 2007.
Al Mineirao si giocava il derby col Cruzeiro e dalle parti di Dyego guizzava spesso "Foquinha" Kerlon, la mezzala che ama incollarsi la «bola» sul capo e partire a razzo verso la porta avversaria. Ebbene, quando Kerlon imitò la foca, Coelho non fece il coniglio: gomitata al volto e, per condimento, pure una bel fiotto di paroline dolci. Quel raptus spalancò una rissa in campo e un dibattito nelle tavole rotonde televisive: tutti a chiedersi se la specialità di Kerlon fosse futebol arte o arte irrisoria, e se Coelho avesse esagerato nel reprimerla. Il neo-bolognese ne uscì bene, incassando persino la solidarietà di Dunga, che etichettò la sua micidiale entrata come "un normalissimo tackle" e invitò la promessa cruzeirense a fare più calcio e meno circo.
L'Atlético, per il rossoblu, è stato ricovero coatto e clinica rigenerante: fuggito dal Corinthians (tuttora proprietario del cartellino) perché ignorato da Emerson Leao (freddura zoologica circolata a lungo sulla stampa paulista: come faceva, un leone, a non sbranare il coniglio?), a Belo Horizonte ha ripreso a macinare chilometri e buone prestazioni, aggiungendo un pizzico di costanza al repertorio. «Merito», dice lui, «di Levir Culpi e Alexandre Gallo, due allenatori che mi hanno dato affetto e fiducia». L'anno dentro alla camisa del Galo ha riacceso l'interesse dei club europei (il Celtic e il Lione si erano messi sulle sue tracce) e la speranza di rivestire l'amarelinha della Nazionale maggiore (all'attivo un gettone ormai arrugginito, raccolto nella finale della Gold Cup nel 2003). Bologna è l'ora e il luogo della verità, l'ultimo bivio: campione vero o promessa ormai sbiadita?
ALESSANDRO PENNA
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