27 aprile 2007

[figura] Mauro Zarate



Pietà per Catalina. Tutte le donne che si lamentano perché il proprio consorte non vede altro che calcio dovrebbero prima conoscere la mamma di casa Zárate. Catalina, appunto, che respira calcio da mane a sera. Cinque figli maschi, quattro professionisti di ottimo livello, per tacere poi del marito della signora, anch’egli calciatore nell’Independiente di Avellaneda, e del suocero Juvenal, nazionale cileno di fútbol ai bei dì. Insomma: circondata. Il primo della dinastia è Néstor, comincia con le giovanili del Vélez Sársfield ma non ingrana e si ferma qui. Al Vélez però gli Zárate gustano non poco e anche i successivi fratelli passano a Liniers. Quello a noi italiani più noto è senz’altro Sergio, “el Raton”, firmato da una sconclusionata Ancona dopo buone stagioni in Germania. A Norimberga tre ottime stagioni (l’ultima con 13 gol), il passaggio all’Amburgo prima di arrivare sul Conero: una disfatta. Carne per Gialappa’s dopo poche apparizioni. Negli anni marchigiani Sergio porta in Italia il fratellino Ariel, lo accasa al Riccione e ne vanta la sublime tecnica. Il “Chino” però non incanta e il foglio di via arriva per entrambi. Ariel però giunge in Spagna ed è protagonista di buone stagioni al Malaga (ma anche a Elche e Jerez): “il ricordo più bello è un mio tunnel a Zidane, ho zittito il Bernabeu, ho a casa la foto di quell’episodio, se i ladri entrassero gli direi di prendermi tutto ma di lasciarmi quel quadretto! Il tunnel era un po’ la mia specialità, lo feci anche a Hierro, tempo prima, però lo spagnolo la prese male. ‘Pendejo de mierda, mi disse (dove per “pendejo” si intende moccioso,ndr)’ gli risposi che era solo un povero vecchio.” Talentuoso, per carità, il Chino, però non esattamente il vostro uomo-squadra…Il penultimo della famiglia è un grande talento. Rolando “el Roly” Zárate, comincia al Vélez, lo vuole in prima squadra Marcelo Bielsa, il Real Madrid si accorge di lui e lo porta in Spagna. Gioca nella squadra B, ma Del Bosque gli regala anche qualche presenza in Coppa del Re e in Champions’, e il Roly non smentisce la sua fama di goleador. Si avvicina l’era dei Galacticos e i canteranos, specie se vengono da fuori, non hanno il necessario appeal. Il Madrid non lo riscatta. Comincia il suo pellegrinaggio – con qualche infortunio - tra Argentina (sempre Vélez) e Europa minore (il Murcia in Spagna e il Livingston in Scozia, dove è anche capocannoniere del torneo). Toccata e fuga anche in Arabia Saudita. Poi al Vélez la consacrazione con la vittoria del Clausura 2005. Miguel Angel Russo, l’allenatore, comincia a entrare in contrasto con lui, vuole Lucas Castroman, ex Lazio e Udinese, come punta e il Roly vede la panca e non ci sta. Si ribella, viene messo ai margini e poi ceduto in Messico, dove continua, oggi è al Monterrey, a bucare i portieri. Chi ci rimane peggio è il fratellino Mauro, classe 1987, che si allena da un po’ di tempo fianco a fianco al bomber. Mauro Zárate è però l’asso nella manica della società di Liniers, il quartiere di Buenos Aires dove gioca il “Fortin”.Velocità, controllo di palla, cambio di direzione improvviso: un attaccante moderno che in Europa sta già spezzando più di cuore (non è un mistero la richiesta pervenuta dal Barça). Mauro diventa attaccante titolare della squadra, l’hincha biancoblù, che ha sempre idolatrato il fratello più grande, comincia a spasimare anche per Maurito. L’Amalfitani, lo stadio del club, diventa il teatro delle sue gesta, il Vélez rimane nelle parti nobili della classifica, grazie anche all’inesauribile vivaio che produce continuamente buoni giocatori. Appena arriva l’offerta giusta, però, come per Leandro Gracian (finito in Messico), Leandro Somoza (ora al Villareal) o Jonas Gutierrez (super il suo campionato attuale col Maiorca, dove ce lo portò Hector Cuper) al Fortin si siedono a contare i dollari e a reinvestirli sui propri giovani. Per continuare il progetto hanno scelto, dopo la dipartita di Russo, finito al Boca Juniors e attualmente “indesiderato” a Liniers, Ricardo LaVolpe, reduce dal “fracaso” proprio coi Bosteros. Mauro è perfetto insieme al compagno Castroman per il gioco dell’ex CT del Messico, che vuole aperture palla a terra e superiorità sui lati con appoggio degli attaccanti, quindi necessita di velocità e tecnica. L’ultimo degli Zárate, perso un po’ anche nelle voci di mercato ha inizialmente maldigerito la gestione di LaVolpe, ora però sembra tornato il sereno tra i due, e il Vélez vola, anche in Libertadores, dove nel primo girone ha spappolato all’Amalfitani i campioni in carica della manifestazione – e anche del mondo – dell’Internacional di Porto Alegre. La polemica per niente sopita, al cui centro resta Zárate, insieme al compagno di squadra Damián Escudero - altro grande talento -, riguarda la mancata risposta alla convocazione per il Campionato Sudamericano Under 20, svoltosi in Paraguay fino alla fine di gennaio di quest’anno. I due del Vélez erano i pezzi forti della squadra che già doveva rinunciare a Leo Messi, Gonzalo Higuaín e Sergio Agüero (l’Argentina in futuro non è messa malissimo davanti, eh). Mauro avrebbe risposto “obbedisco” se il suo club non avesse posto il veto: “ci servi qui, quest’anno abbiamo la Libertadores”. E poi arrivano troppe buste dall’Europa, evitiamo rischi inutili. Alla recente chiamata di Alfio Basile, nell’ultima stage della nazionale, questa volta quella maggiore, il Vélez si è ben guardato dall’imporgli qualche divieto: con l’Albiceleste addosso, il tassametro corre più veloce… L’Europa sembra comunque alle porte. Mamma Catalina dovrà pure usare tanto telefono, però forse un film in santa pace se lo potrà vedere.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Guerin Sportivo

21 aprile 2007

[analisi] Academia Sporting


Sostiene Pereira che quei due ragazzi erano proprio diversi. Certo, arrivarono al campo in periodi differenti e con l’unico tratto comune delle grande classe quando si esibivano con un pallone tra i piedi, sostiene Pereira. Ricorda Pereira, che uno, il più anziano, arrivò a dodici anni all’Academia: fragile, deboluccio, piccolino ma con un senso di responsabilità e un equilibrio da vero adulto. L’altro, il più giovane, era alto e magro, tanto vivace che era impossibile tenerlo fermo, irrequieto: un undicenne estroverso, un ragazzino cresciuto tra le strade di Madeira, dove si era imposto come leader riconosciuto anche dai bambini più grandi. Sostiene Pereira che con il primo ragazzo tutto è filato liscio, naturalmente, mentre con il secondo è stato molto importante l’intervento psicologico che avevano a disposizione all’Academia dello Sporting Club.

Risoluzione facile del crittogramma: i due in questione rispondono al nome di Luis Figo e Cristiano Ronaldo. Entrambi prodotti creati dalle escolinhas dello Sporting, la società di calcio della capitale portoghese che da più di un secolo rivaleggia con il mito cittadino del Benfica. Pereira, ovviamente non è il dottor Pereira, giornalista del" Lisboa" nel romanzo di Antonio Tabucchi, ma avrebbe potuto ugualmente essere uscito dalla penna del celebre scrittore (che però è benfiquista) :un uomo che dall’ombra ha retto, con onestà e competenza, le sorti di quelli che sarebbero diventati grandi giocatori, senza mai una prima pagina dedicata.

Aurelio Pereira, baffo portoghese d’ordinanza, una sessantina d’anni e oltre 35 dedicati ai Leoni dello Sporting, anzi ai leoncini. Perché Pereira, una volta appesi gli scarpini al chiodo ha gestito, organizzato e guidato la prestigiosa Academia della società bianco-verde, costruendo la fortuna di questa società, che da qualche anno viene presa ad esempio, in Europa e nel mondo, per come gestisce e riesce a crescere i suoi piccoli calciatori. Negli ultimi mesi la BBC ha invaso il centro di Alcochete, la bellissima sede dell’Academia a venti minuti d’auto da Lisbona, per carpire il segreto di tanto successo. Successo non decretato da una giuria, ma dall’unico vero giudice in questioni calciofile, la Cassazione: il Campo. Paulo Futre è stato il primo vero campioncino costruito in casa dopo che la società ha scelto di investire nei giovani: tutto cominciò a metà degli anni Settanta con alcuni tornei per ragazzi di 8, 10 e 11 anni. Futre fu seguito da un’altra leggenda Luis Figo, ma i nomi sono tantissimi: il citato Ronaldo, poi, solo per riconoscere i più noti: Quaresma, Simão (oggi, dopo l’infelice passaggio al Barça, è il capitano del Benfica e in quanto a popolarità, tra i meno apprezzati all’Alvalade…), Hugo Viana, Nuno Valente, Caneira (rientrato a “casa”), Boa Morte, Paulo Santos e Miguel (“un ragazzo che mi ha davvero sorpreso, nelle giovanili giocava da centrocampista di costruzione, in seguito si è scoperto laterale di successo” sostiene con un po’ di rimpianto Pereira). Una lista fortemente incompleta, anche perché è al netto dei giocatori dell’ultima generazione, che oggi compongono la struttura base della squadra che sta ancora rivaleggiando con le altre due big portoghesi per aggiudicarsi il titolo (e rimane favoritissima nella coppa nazionale che ha già perso per strada Porto e Benfica). Nani, João Moutinho, Yannick Djálo, Miguel Veloso sono i ventenni più riconosciuti e ammirati ora agli ordini di Paulo Bento, oggi allenatore dei Leoni e con un passato, recente, da coach dei biancoverdi più piccoli. Nani e Moutinho, ormai stabilmente anche nel giro della Selecçao di Felipe Scolari, sono ormai da mesi lusingati dai club dell’aristocrazia europea. A Nani è stato appena rinnovato il contratto, con l’obiettivo di lucidare l’allegato della clausola di rescissione, che oggi dice trenta milioni di euro. Moutinho ha meno talento scenografico, è un mediano che sa giocare, e bene, senza palla ma soprattutto è molto duttile e capace tatticamente: rimane fregato dall’occhio di bue delle telecamere che si incolla alla palla, però, come noto, le verità ultime vengono proclamate dalla tribuna e dalla panchina, e lì il giudizio sul piccolo Joao non va mai sotto il buono. Se Djálo, attaccante- mezzapunta dai grandi mezzi atletici e tecnici sta guadagnando spazio e visibilità, Miguel Veloso, difensore centrale riciclatosi alla grande davanti alla difesa, ha da poco abbandonato l’oblio che gli era stato imposto per una mancata firma sul rinnovo. Perché all’Alvalade saranno pure orgogliosi delle belle parole che hanno tutti per il loro sistema e della riconoscenza che, ad esempio, Cristiano Ronaldo continua a dimostrare, però proprio da fessi non vogliono passare, e hanno tirato fuori gli artigli per controbattere ai sempre più intraprendenti manager dei giocatori.

E’ sempre più difficile trovare, crescere e difendere i propri gioielli, specie i più preziosi. Per farlo sono necessarie strutture adeguate ma anche conoscenze e voglia di rischiare, anche economicamente, su giovani e giovanissimi.

“Avevamo un credito con il Nacional di Madeira: circa 250.000 euro- sostiene Pereira. Un giocatore chiamato Franco aveva iniziato nella nostra Accademia e aveva poi firmato per loro: quei soldi ci spettavano per diritti di formazione. Loro però non potevano o volevano pagare: ci offrirono un ragazzino di undici anni. “Vediamolo” dissi. Arrivò per una settimana, in prova, e strabiliò tutti, tecnica e personalità. Il direttore finanziario del club mi prese per matto: “se lo vuole, mi deve assicurare che arriverà in prima squadra...” Gli risposi che avrebbe fatto ancora di più, e il contratto di Cristiano Ronaldo fu siglato.”

Sostiene Pereira che quel giovane avrebbe dominato e insieme ad altri giovani provenienti dalla scuola dello Sporting avrebbe fatto molto bene nel mondo.

Quel pomeriggio, sostiene Pereira, fece un sogno. Un sogno bellissimo, riguardo ai suoi giovani, riguardo al suo Paese. Ma preferisce non rivelarlo, perché i sogni non si devono rivelare, sostiene. Ammette solo che era felice. Noi lo abbiamo forse indovinato, e non vogliamo togliere l’incantesimo. Certo, aspettare ancora tre anni…

CARLO PIZZIGONI
Fonte: Guerin Sportivo



12 aprile 2007

[preview] Tippeligaen 2007

Introdurre e seguire un campionato vinto dalla stessa squadra per quattordici volte negli ultimi quindici anni può apparire poco elettrizzante, ma talvolta questi tornei minori fungono da comodo rifugio per chi, di tanto in tanto, vuole staccare un po’ la spina e disintossicarsi dallo spettacolo (a tratti bellissimo, a tratti soporifero) del calcio-business della Champions League, della Premiership, della Liga e via dicendo. In Norvegia non ci sono né grandi campioni, né tantomeno portafogli gonfi, e il calcio è letteralmente diviso in due; da una parte c’è il Rosenborg, dall’altra tutte le altre squadre. Per il club di Trondheim è sufficiente disputare una stagione appena discreta per potersi mettere in tasca il titolo, visto che la sparuta concorrenza crolla inesorabilmente alla distanza, leggi la fine dell’estate, e quando quasi per miracolo accade di leggere un nome nuovo nell’albo d’oro della Tippeligaen (anno 2005, Vålerenga), significa che il Rosenborg è incappato in un’annata nero pece. Quest’anno per i Troillongan (i figli dei Troll) si parte con il bilancio in rosso e con una squadra con più di un punto interrogativo, ma lo status di super-favoriti rimane d’obbligo; le novità sono rappresentate dall’arrivo di due centrocampisti ivoriani, Didier Ya Konan e il 18enne Abdoulrazak Traorè, per il resto tutto continua a ruotare attorno alla grinta di Roar Strand (37 primavere a febbraio), alle parate del canadese Lars Hirschfeld, alla geometrie dello slovacco Marek Sapara e alle reti di Steffan Iversen, a cui quest’anno dovrebbe essere affiancato con maggiore continuità l’ex meteora del Lecce Yssouf Konè, limitato finora da una serie di problemi fisici. La vera incognita è rappresentata però dalla panchina, con il nuovo allenatore Knut Tørum (l’anno scorso era il vice di Per Mathias Høgmo, dimessosi a fine ottobre e ritiratosi dal calcio) che dovrà dimostrarsi in grado di reggere la pressione di un ambiente condannato a vincere.

L’avversario più quotato per il Rosenborg rimane il Vålerenga, club di Oslo la cui dirigenza sta pazientemente tentando di far diventare una società d’elite, almeno nel calcio norvegese. La squadra naviga nelle parti alte della Tippeligaen da un abbondante triennio, nel 2005 è arrivato il titolo nazionale, ma la strada da percorrere è ancora lunga se il tuo miglior attaccante (Iversen), reduce da una grande stagione, ti lascia non per qualche campionato europeo di livello ma per il tuo rivale numero uno, il Rosenborg appunto. Persi Ardian Gashi, Magne Hoseth e Tore Andrè Flo (quest’ultimo finito al Leeds, ma nessuno lo rimpiangerà), sono arrivati Jørgen Jalland (rientrato dopo l’esperienza in Russia con il Rubin Kazan) e soprattutto il polacco Sebastian Mila, duttile elemento di centrocampo da porre accanto a Christian Grindheim, capitano (a 24 anni) e leader della squadra destinato in tempi brevi a fare le valigie con destinazione Inghilterra. Davanti, con Rune Lange, Jan-Derek Sørensen (capocannoniere dell’ultima Royal League) e Morten Borre, ci sono esperienza e potenza, ma manca freschezza atletica, qualità di cui invece non difetta il Lillestrøm, squadra per la quale sembra davvero essere arrivato il momento della piena maturazione. Dei “canarini” si è parlato spesso in questi ultimi anni come di un club molto attento ai giovani, tosto e arcigno ma privo del pragmatismo necessario per centrare il bersaglio grosso. Una squadra insomma più da coppa che da campionato, difficile da affrontare in una partita secca, poco continua nell’arco di un’intera stagione. Ci si aspetta molto dalla mezzapunta tunisina Karim Essediri, acquistata dal Rosenborg, e dal colosso canadese Olivier Occean, rapidamente eclissatosi dopo i bagliori iniziali, ma quest’anno il pezzo forte del club siede in panchina e si chiama Tom Nordlie, l’artefice del miracolo Start (dall’Adeccoligaen, la seconda divisione, alla Coppa Uefa in due anni); giovane e ambizioso, per il Lillestrøm sarebbe stato difficile trovare un condottiero migliore. Infine la quarta e ultima “pretendente”, il Brann, capolista lo scorso anno fino a poche giornate dalla fine salvo poi crollare verticalmente, squadra che propone un calcio veloce, piacevole ma anche parecchio dispendioso. Ripetere l’annata 2006 non sarà semplice, ma la dirigenza non ha lasciato nulla di intentato acquistando dal Rosenborg l’ex promessa (mai pienamente mantenuta) Jan Gunnar Solli, seguito anche dal Milan qualche anno fa, e il bizzoso Ardian Gashi, genio e sregolatezza (nel 2005 si fece due settimane di prigione per eccesso di velocità) in versione norvegese. Da seguire le prestazioni di Håkol Opdal, eletto miglior portiere del campionato norvegese la passata stagione.

Due parole sulle possibili rivelazioni; lo Start di Kristiansand ha salutato a gran voce il ritorno alla base del centrocampista Kristofer Hæstad, artefice principale della splendida annata 2005 (la squadra lottò, da neopromossa, fino all’ultima giornata per il titolo, ottenendo comunque la qualificazione alla Coppa Uefa) ma talento bruscamente ridimensionato dal fallimento dell’esperienza con il Wigan, durata appena tre mesi. Gli anni sono 23, il tempo per ripartire perciò non gli manca, e la doppietta all’esordio in casa dell’Aalesund fa ben sperare. Il Tromsø, salvatosi lo scorso anno sul filo di lana, riparte al solito dalle reti della vecchia volpe Ole Martin Årst, ex bomber di Anderlecht, Gand e Standard Liegi, ma c’è anche la novità del nazionale costaricano Douglas Sequeira, terzino-incursore di fascia che ha già avuto un assaggio di calcio europeo con le maglie di Feyenoord e Kalrsrhue. L’arma segreta dei Gutan (i ragazzi) è però l’Alfheim Stadion, luogo gelido e ventoso (il Tromsø è il club più a nord d’Europa) in cui nessuno ama andare a giocare. Infine per uno Stabæk che punta molto sulla vena realizzativa dello svedese Daniel Nannskog, capocannoniere dell’ultima Tippeligaen, c’è un Lyn che si coccola il gioiellino Chinedu Obasi Ogbuke, attaccante nigeriano classe ’86 (seguirà le orme del connazionale Obi Mikel, che ha fatto litigare Chelsea e Manchester United?), ingaggiando nel contempo Matias Almeyda, visto per anni in Italia (Lazio, Parma, Inter, Brescia), e Josè Oscar Flores, entrambi ritirati dall’attività agonistica, oltre che la vecchia bandiera del Rosenborg Ståle Stensaas. A quando l’arrivo di Stan Collymore e Dino Baggio? In coda rischiano Odd Grenland (unica nota lieta la permanenza di Per Nilsson, miglior difensore della Tippeligaen 2006), Fredrikstad, Aalesund e Sandefjord, mentre diversi addetti ai lavori stanno tenendo gli occhi puntati sulla matricola Strømsgodset, fresca di festeggiamento per il centenario della fondazione del club e pronta a dar fastidio a molti. Daranno una mano alla squadra di Drammen, meno di 8mila spettatori di media, gli ex nazionali Espen Johnsen, Øyvind Leonhardsen e Andrè Bergdølmo, più la punta svedese Mattias Andersson, miglior realizzatore della scorsa Adeccoligaen.

ALEC CORDOLCINI

10 aprile 2007

[preview] Allsvenskan 2007

Dopo il colpo grosso messo a segno la scorsa stagione dall’Elfsborg, tornato sul trono di Svezia dopo 45 anni di digiuno, l’Allasvenskan riparte all’insegna della massima incertezza, con almeno cinque potenziali candidate per il titolo, nessuna delle quali però, tanto per confermare quanto detto poco sopra, ha vinto nella prima giornata, disputata a cavallo della Pasqua. I campioni in carica dell’Elfsborg, reduci da un’onesta Royal League e da un precampionato tutto sommato soddisfacente, si sono rinforzati con l’acquisto dell’attaccante inglese James Keene, messosi in evidenza a suon di reti (10) lo scorso anno con la maglia del GAIS. La grinta di capitan Anders Svensson e l’estro dell’ex meteora genoana Stefan Ishizaki costituiranno nuovamente i punti di forza del club di Borås, che dovrà difendere il titolo dagli assalti di Helsingborg, Malmö e dai due club di Stoccolma, Djurgården e AIK. Vediamoli brevemente: lo scorso anno l’Helsingborg aveva inanellato, nel girone di andata, una serie di risultati negativi che lo avevano portato a un passo dalla zona retrocessione, poi il cambio di allenatore (lo scozzese Stuart Baxter sostituì Peter Swärdh, licenziato dopo l’ennesimo capitombolo nel derby col Malmö) e l’arrivo di Henrik Larsson a supportare la coppia giamaicano-ruandese Shelton-Kerekezi, avevano rivitalizzato l’ambiente portando la squadra fino al quarto posto finale. Oggi il nuovo Helsingborg ha perso Shelton, finito allo Sheffield United, e il difensore Andreas Granqvist, in prestito al Wigan, sostituendoli con Razak Omotoyossi, 21enne punta del Benin, e Samir Beloufa, stagionato algerino svincolatosi dai belgi del Westerlo e visto anche in Italia tra le fila di Milan e Monza; a prima vista nel cambio ci hanno perso, ma il ritorno di un’icona quale Henke “God” Larsson può ancora fare la differenza. Il Malmö è reduce da due stagioni poco brillanti, ma sulla carta resta una delle squadre dal potenziale più elevato: ai gol ci pensano il brasiliano Junior e il finlandese Jonathan Johansson, agli assist le vecchie volpi Jari Litmanen e Yksel Osmanovski, l’arrivo del liberiano Jimmy Dixon dovrebbe garantire maggiora sicurezza al reparto arretrato, mentre occhi puntati sul neoacquisto (arriva dal retrocesso Örgryte) Ola Toivonen, centrocampista offensivo classe ’86 che ha da poco esordito con la nazionale maggiore svedese. Come i rivali del Malmö, anche il Djurgården, il club di Allsvenskan più titolato nel nuovo millennio (tre campionati e tre Coppe di Svezia vinti dal 2000 a oggi), proviene da un campionato molto deludente, in cui si è vista una squadra sfilacciata e in grossa difficoltà nel trovare la via del gol. Per ritornare ai vertici la dirigenza ha rinnovato completamente lo staff tecnico, guidato ora dall’islandese Siggi Jónsson, che ha giubilato il modulo a tre punte sostituendolo con il 4-1-3-2. In casa Djurgården le speranze sono due: che si risvegli il coloured Jones Kusi-Asare, brillante nel 2005, spento l’annata successiva, e che il brasiliano Quirinho dimostri di valere almeno in parte la sostanziosa cifra sborsata dal club di Stoccolma all’Atletico Mineiro un anno or sono. Da tempo inoltre ci si aspetta qualcosa di più dal trequartista Daniel Sjölund, ex West Ham e Liverpool; gli anni sono ormai ventiquattro, sarebbe anche ora di darsi una mossa. Rimanendo a Stoccolma, l’AIK ha superato bene lo shock della retrocessione del 2004 ritornando immediatamente nella massima divisione e rischiando di vincere l’Allsvenskan da neopromossa; difficile riesca a ripetersi, perché l’effetto sorpresa è oramai svanito e la concorrenza quest’anno appare più agguerrita, ma gli uomini di mister Rikard Norling, l’artefice della rinascita del club, potranno contare su un pubblico caldo e partecipe come non mai. La scorsa stagione infatti per vedere l’AIK contendere il titolo all’Elfsborg si registrò un afflusso di oltre 21400 persone, il più alto numero di spettatori in un match di Allsvenskan dal 1977.

Possibili sorprese possono arrivare dal Kalmar e dal suo Ari da Silva Ferreira, nazionale under-23 brasiliano nonché capocannoniere dell’ultima Allsvenskan, e dall’Halmstad, vice-campione nel 2004, che in tempi recenti ha sofferto terribilmente la partenza per Hannover del bomber islandese Thorvaldsson. Oggi il vuoto sembra poter essere colmato dal talento del baby Emra Tahirovic, già definito da qualche addetto ai lavori “il nuovo Ibrahimovic”, mentre importante è stata la conferma del centrocampista Dusan Djuric, altro prospetto interessante nonché punto fermo della squadra assieme al centrale lituano Tomas Zvirgzdauskas. Difficile si ripeta invece l’Hammarby, terzo l’anno scorso, che ha cambiato parecchio (tredici acquisti e dieci cessioni tra cui quella, importante, del difensore tedesco Max von Schlebrügge, finito all’Anderlecht) riuscendo comunque a trattenere l’attaccante brasiliano Paulinho Guarà, mentre punta decisamente sui giovani l’IFK Göteborg, e non potrebbe fare altrimenti viste le precarie condizioni economiche; un quarto posto in funzione Royal League sarebbe già un bel risultato. In coda da segnalare invece l’esordio assoluto in Allsvenskan del Brommapojkarna, ennesimo club di Stoccolma (proviene da Bromma, quartiere occidentale della capitale) che la scorsa annata ha sorpreso tutti guadagnandosi la promozione dopo aver superato l’Häcken nei play-off salvezza/promozione. Candidato numero uno alla retrocessione quindi (altri indiziati sono una delle squadre yo-yo per eccellenza, il GAIS di Göteborg, e il Trelleborg, quest’ultimo campione del Superettan 2006 con sole 13 reti subite in 30 partite, ma adesso la difesa blindata potrebbe non bastare…), ma anche pronto a vendere cara la pelle, visto che all’esordio ha battuto 1-0 il Djurgården grazie a una rete-lampo di Joakin Runnemo, che ha impiegato solamente 76 secondi per entrare nella storia del club. In più quest’anno a favore del Brommapojkarna giocherà anche la diminuzione delle retrocessioni (sarà solo una) in seconda divisione decisa dalla Federcalcio svedese, per un’Allsvenskan che dal 2008 passerà da 14 a 16 squadre.

ALEC CORDOLCINI

[figura] Pepe





Da Maceió al tetto del mondo. No, no, non è la storia di Mario Zagallo, che dalla capitale dello stato dell’Alagoas, Nordest del Brasile, è diventato un grande del calcio mondiale ed è ancora adesso un maestro venerato. Questa è una storia che riguarda l’oggi, una versione riveduta e corretta del mito di Zagallo, anche se mantiene come luogo di gestazione Maceió e un destino che molti pronosticano roseo. Képler Laveran Lima Ferreira è il nuovo protagonista, il mondo lo sta imparando a conoscere come Pepe. Un giornale spagnolo, uno inglese e uno italiano, a rotazione, stanno, ormai da mesi, ipotizzando scenari per pronosticare quella che appare una certa dipartita del difensore centrale brasiliano da Porto, squadra dove quest’anno Pepe ha trovato la definitiva affermazione continentale, sfiorando, con gli azul e branco, di estromettere il Chelsea dalla Champions’. Ma questo è il finale del racconto, quello che ci narra di un difensore sicuro, forte di testa, alto ma molto agile, più coordinato e pulito negli interventi della maggior parte dei big mondiali del ruolo. Se torniamo indietro lo rivediamo giovanissimo a tirare calci a un pallone nel Corinthians Alagoas (che ovviamente non c’entra nulla con il Corinthians di San Paolo, la squadra più amata, dopo il Flamengo, di tutto il Brasile, presidente Lula in testa). Ora, se da questo stato uscì un campione come Zagallo, chissà quanti altri buoni giocatori può mettere in mostra. Bene, nell’ultimo campionato brasiliano, i calciatori di serie A provenienti da questo micro stato vicino Bahia erano zero (sic). “Promettente quel lungagnone, lo portiamo a casa noi”: a 18 anni si accorgono di lui solo dall’altra parte dell’Oceano, e non è proprio un top team. Col volo Varig atterriamo a Funchal nell’arcipelago di Madeira, al club del Marítimo. Nel primo anno ci scaldiamo con la squadra giovanile, ma a più di un tecnico viene un sussulto: “è pronto”. Nella stagione d’esordio gioca quattro partite, l’anno dopo è titolare ben 29 volte, mette due gol (altra specialità della casa) ed è schierato quasi sempre da difensore ma anche da centrocampista e, addirittura, una volta pure al centro dell’attacco. Il Porto gioca come spesso gli capita d’anticipo e nel 2004 lo porta in continente per due milioni di euro. Co Adriaanse è il tecnico della svolta: l’olandese lo riconosce come centrale del futuro ma anche del presente e, a testimonianza di ciò, una leggenda dello spogliatoio biancoblù, Jorge Costa, viene gentilmente invitato a svernare da un’altra parte. L’indicazione di Adriaanse è chiara: Pepe è un difensore moderno che assomma anche la caratteristica di essere un buon lettore di situazioni, caratteristica fondamentale per giocare la difesa a tre, a sistema puro, cioè senza esterni che continuano ad abbassarsi sull’ultima linea. Il resto è cronaca, con il presidente Pinto da Costa che ad ogni richiesta proveniente dall’Europa più nobile fa montare il prezzo del cartellino del giocatore: oggi non bastano nemmeno venti milioni di euro.
Pepe sarebbe brasiliano, sarebbe un centrale difensivo: perché non veste l’amarelinha? La gloriosa casacca verde oro l’ha sfiorata solo una volta quando Ricardo Gomes lo voleva nell’under 23 che doveva vincere le Olimpiadi e che invece nemmeno si qualificò per Atene. Poi, interruzioni delle trasmissioni per Pepe, e ancora adesso, si rivoltano le squadre più impensate per trovare un centrale difensivo decente mentre se ne avrebbe uno pronto per l’uso immediato. “Beh, allora basta, voglio giocare per il Portogallo!” ha precisato Pepe, che ha la cittadinanza lusitana, e per rincarare la dose contro Dunga, prima dello scontro tra le due nazionali ha chiamato i giornalisti per far sapere al mondo che lui avrebbe tifato per gli europei. Il Ct Scolari rimane in ascolto, certo che Ricardo Carvalho e Jorge Andrade, gli attuali titolari, sono una garanzia. Si vedrà.
Una bella storia, quindi, dopo Zagallo un altro maceioense che sfonda per davvero. Bella storia, ma non proprio limpida. Dal Corinthians di Alagoas è passato anche Deco, prima di venire in Europa, all’Alverca: è passato solamente, non ha mai giocato. Altri giocatori di discreto livello hanno fatto la stessa strada, Serginho Baiano, ad esempio, ora al Nacional, sempre nell’arcipelago colonizzato dai portoghesi. Quantomeno strano. La chiave di volta di tutti questi misteri risponde al nome di Antonio Araújo. Araújo è un brasiliano attualmente sotto l’occhio del ciclone in Portogallo per lo scandalo legato alla corruzione arbitrale, il cosiddetto caso “Apito dourado” (fischio d’oro, letteralmente). Un caso ancora non chiuso, pieno di polemiche, smentite e contro smentite. Sembra che tra le altre cose Araújo organizzasse a Madeira un bel dopo cena per gli arbitri, che si intrattenevano con giovani ragazze molto disponibili: nelle intercettazioni le chiama “frutas”, il nobiluomo. Le conversazioni coinvolgono in qualche modo anche Pinto da Costa. Lo stesso presidente del Porto che ha sganciato i due milioni per Pepe. Due milioni che però non sembrano essere andati tutti nelle casse del Maritimo. La metà della cifra qualcuno sostiene essere stata ceduta ad Araújo, “rappresentante” del Corinthians di Alagoas nelle trattative e, secondo più fonti, all’epoca ancora proprietario del 50 per cento del cartellino. “Tutte balle” sostiene Carlos Pereira, presidente dei rosso verdi dell’isola, “quei due milioni sono finiti solo a noi.” Il fisco portoghese vuole vederci più chiaro e sta ancora indagando. Tutta l’Europa che si occupa d’altro ha già visto: Pepe è davvero bravo.

CARLO PIZZIGONI
Fonte: Guerin Sportivo

08 aprile 2007

[reading] Dietrich Bonhoeffer

Oggi è Pasqua. Domani, 9 Aprile, ricorre il triste anniversario della morte del teologo, attuata nel campo di Flossenbuerg, per mano dei nazisti e per volere diretto di Adolf Hitler. Bonhoeffer, resistente in prima persona all'inferno di quel tempo, scrive alcune poesie dal carcere di Tegel dove è rinchiuso per aver attivamente partecipato al putsch del 20 luglio che prevedeva l'assassinio del Fuhrer.
Il componimento "Passato", poeticamente il più riuscito, è diretto alla fidanzata Maria, ma evidentemente delle letture possono e devono essere sovrapposte. Eccone un breve estratto illuminante, e a mio parere bellissimo.


Passato

...Vorrei respirare il profumo del tuo essere,

vorrei assorbirlo, restare in esso,

come in un caldo giorno d'estate i fiori carichi invitano le api

e le inebriano;

come i nottambuli di ligustri s'ubriacano;

ma un brusco colpo di vento distrugge profumo e fiori.

E io sto come un folle

Davanti a ciò che è svanito, che è passato...


Da: D. Bonhoeffer "Resistenza e Resa. Lettere e altri scritti dal carcere" Queriniana, 2002

03 aprile 2007

[analisi] Eredivisie 06/07 - volata finale

Pronostici di fine stagione

Difficile ipotizzare se nel mondo calcistico esista un luogo più comune di quello che vede il campionato olandese quale regno del tutto già scritto con mesi di anticipo, anche se nelle ultime stagioni, dati alla mano, il tasso di incertezza che ha accompagnato la Eredivisie non è sembrato poi di gran lunga inferiore rispetto a quello di una Ligue 1, di una Premier League o di una Serie A. Questione di disponibilità economiche; tanto per capirci, la differenza di budget che quindici anni fa separava Ajax e Psv Eindhoven da Willem II o Utrecht, e che polarizzava così marcatamente i rapporti di forza in campionato, può essere raddoppiata, al massimo triplicata, mentre quella tra Inter e Ascoli o tra Manchester United e Watford è quantomeno decuplicata, con tutto ciò che consegue sul piano della competitività interna dei tornei. Nel medio periodo il luogo comune citato poco sopra è pertanto destinato a perdere di significato, vuoi anche grazie all’ingresso nel mondo del calcio olandese di nuovi e facoltosi imprenditori (vedi Dick Scheringa dell’Az) non penalizzati da una modalità di spartizione della torta (comunque misera, 37 milioni di euro di diritti televisivi per 18 squadre) eccessivamente squilibrata nei confronti delle big. La Eredivisie in corso è un buon esempio del mutamento di certi valori; quattro squadre teoricamente ancora in lotta per il titolo a quattro giornate dalla fine. Roba da leccarsi i baffi per chi da anni è stato abituato a lunghi monologhi piuttosto che a esibizioni corali. Analizziamo in breve condizioni e chance di vittoria delle quattro protagoniste.

Psv Eindhoven (68 punti). In crisi nera, ma anche penalizzati da una sfortuna non indifferente, gli uomini di Koeman stanno pagando a caro le prezzo le fatiche (e le imprese) di Champions con la perdita di alcuni pezzi fondamentali nello scacchiere della squadra, ovvero Alex e Arouna Koné. Grave l’assenza del primo, tamponata parzialmente dalle buone prestazioni del messicano Salcido e dalle parate del sempre più bravo Gomes (provo a spararla, ma nell’attuale top five mondiale dei portieri il brasiliano ci sta eccome…), gravissima quella dell’ivoriano, visto che il contemporaneo infortunio di Tardelli e le sempre precarie condizioni di Kluivert costringono Farfàn a sobbarcarsi il peso dell’intero attacco. Il centrocampo a cinque funziona quando devi contenere l’Arsenal, non quando devi aggredire il Nac Breda. Adesso ci sono Nec Nijmegen e Twente in casa, Utrecht e Vitesse, per un calendario non privo di insidie. Tutto dipende però dal doppio scontro di Champions con il Liverpool; i Reds potrebbero prosciugare le ultime energie rimaste a Mendez, Cocu e compagni. [Percentuale di vittoria: 45%]

Ajax (65 punti) Un mese e mezzo fa appariva spacciato, e già si imbastivano processi; del resto, i punti di svantaggio dal Psv erano una decina, in casa si pareggiava con l’Excelsior e si perdeva con l’Heerenveen, la squadra era la solita accolita di belli senz’anima. Poi il principale indiziato dell’insuccesso dei lancieri, Klaas-Jan Huntelaar, si è risvegliato di botto e a suon di doppiette e triplette ha riaperto scenari che nemmeno il tifoso più ottimista avrebbe potuto immaginare. L’araba fenice Huntelaar è stata seguita a ruota dai compagni, che hanno fatto a fette Psv Eindhoven (5-1) e Twente (4-1) a domicilio, e adesso che la vetta è a soli tre punti non possono far altro che crederci. Del resto le partite rimanenti sono roba da fregarsi le mani: Rkc Waalwijk e Willem II in trasferta, Nac Breda e Sparta Rotterdam in casa. Unica domanda: ma non potevano svegliarsi prima? [Percentuale di vittoria: 35%]

Az Alkmaar (63 punti). Per come giocano lo scudetto lo meriterebbero almeno da un paio di stagioni, ma siccome nel calcio bisogna mostrare anche un pizzico di cinismo e di pragmatismo, non puoi pensare di pareggiare in casa con il derelitto Ado Den Haag e in trasferta ad Almelo contro l’Heracles e pensare di farla franca. Perché l’unico limite degli uomini di Van Gaal è proprio questo: tengono duro e rendono al meglio quando la situazione appare compromessa (vedi in Uefa contro il Newcastle, dominatore in Inghilterra, annichilito al DSB Stadion), girano a vuoto quando la strada è diritta e senza intoppi. Adesso ci sono Nac Breda e Excelsior in trasferta, Vitesse e Heerenveen in casa; sulla carta dai dieci ai dodici punti, poi bisogna fare gli scongiuri perché Psv e Ajax si fermino quel tanto che basta, o che almeno qualche dio del calcio decida di fare un po’ di giustizia e regalare a una delle poche squadre che, sempre e comunque, scende in campo per giocare a Calcio (con la c maiuscola), almeno un trofeo da mettere in bacheca. Una Coppa Uefa magari, o anche una Coppa d’Olanda, dalle parti di Alkmaar ci si accontenta con poco. [Percentuale di vittoria: 15%]

Twente (61 punti). I Tukkers il loro scudetto lo hanno già vinto, combattendo un intero campionato ad armi pari con le big d’Olanda e arrivando in dirittura d’arrivo nemmeno troppo in debito d’ossigeno. Già, perché per N’Kufo, Bakircioglu (bravissimo, meriterebbe una chance in un campionato di primo livello, magari in una squadra pochi fronzoli-tanta sostanza come Lazio, Bolton o Stoccarda) e compagnia bella adesso ci saranno, salvo improvvisi e improbabili terremoti ai piani alti, i play-off Champions League, e con le carte giuste possono persino far saltare il banco, come quasi riuscì a fare il Groningen la scorsa stagione. Miracoli del calcio di provincia. [Percentuale di vittoria: 5%]

ALEC CORDOLCINI