27 aprile 2008

Lisandro Lopez



Senza la platea adeguata è difficile mostrare al mondo il talento che si possiede. Il Porto, il palcoscenico principe della Champions’ League l’ha lasciato immeritatamente agli ottavi, dopo una partita maledetta contro lo Schalke 04, in cui Eupalla, dea del calcio breriano, si è schierata con bandiere e sciarpe dalla parte della squadra della Ruhr. In più, i portoghesi hanno pescato la miglior prestazione della giovane carriera di Manuel Neur, il portiere tedesco protagonista di interventi al limite del paranormale. Sostanza: Porto a casa dopo i calci di rigore, e addio ai quarti che sarebbero arrivati contro un Barça rabberciato, poteva starci anche la sorpresa... Sì, perché, questo Porto è nettamente il più competitivo dai tempi del celebre trionfo europeo di Mourinho a oggi, come dimostra pure il campionato nazionale stravinto (vedi box). Svaniti, come detto, i lustrini della Champions, i riflettori della popolarità sono girati altrove e ai Dragoni è rimasta l’insopportabile ombra dell’Europa che conta. E nell’oscurità rimangono una serie di ottimi giocatori che meriterebbero menzioni importanti. Tolti Quaresma e Lucho Gonzalez già piuttosto celebrati, specie il primo, Lisandro Lopez rimane uno dei segreti meglio custoditi del Vecchio Continente. Attaccante multidimensionale, “Licha” ha trovato quest’anno la definitiva consacrazione anche a livello realizzativo, oltrepassando già quota 20 gol in campionato, a cui si vanno ad aggiungere i 3 nella competizione continentale. Chi lo prende quest’anno fa un grande affare perché Lisandro, classe 1983, è giocatore in continua ascesa e rappresenta il prototipo dell’attaccante moderno: ha corsa, fiato, sa leggere le diverse situazioni, è disposto al sacrificio, sa muoversi senza palla, riesce a rendersi utile come uomo assist e non solo come interprete dell’ultimo tocco. Lo spazio nel Porto se lo conquistò giocando da esterno sinistro nel futuristico 3313 di Co Adriaanse e con Jesualdo Ferreira, quest’anno, è tornato a fare l’attaccante centrale, e in nessuno dei due casi ha mai trovato chi si lamentasse di lui, anzi. Così come all’inizio della sua carriera, nella natia argentina. Idolo della tifoseria del Racing Avellaneda (ha fatto in tempo a giocare con Diego Milito, bomber mai dimenticato a Marassi), la sua dipartita da Baires ha significativamente rappresentato la fine per l’Academia, costretta oggi a lottare contro l’onta della retrocessione. Apres moi le deluge, altro che Luigi XV: partito dal Sudamerica per raggiungere il Portogallo nel 2005, Licha ha portato via l’ultimo briciolo di dignità che ancora conservava il Racing, retto da tempo da una società per azioni (la Blanquiceleste) che sta violentando ogni giorno di più un simbolo della storica calcistica dell’Argentina. I tifosi dell’Academia, quelli che al “Juan Domingo Peron” supplicavano i loro dirigenti gridando “Lisandro no se va”, auspicando la conferma dell’attaccante, guarda caso l’ultimo del Racing a laurearsi capocannoniere del campionato, non l’hanno certo dimenticato. Era arrivato ad Avellaneda da un piccolo borgo, Rafael Obligado, dove fin da piccolo sfidava ragazzi più grandi su un campo da gioco che sarebbe difficile qualificare come campo di calcio, ma tant’è: “Ha sempre avuto coraggio questo ragazzo! “ ripete il nonno, Domingos Lopez. “ E a differenza di suo padre, che poteva diventare un grande calciatore, ha la voglia di allenarsi e migliorare.” Papà Miguel Angel, infatti, non è mai arrivato al calcio professionistico che conta, però qualche gene deve pur averlo trasmesso a Lisandro, insieme alla passione per la caccia e la pesca e al culto smodato per il San Lorenzo. Il San Lorenzo, società storica di Buenos Aires, anzi del Boedo, dove nacque il tango, era tra quelle che possedevano relazioni ottime su quel giovane di Rafael Obligado, ma il Racing fu più scaltro e lungimirante, assommando Lisandro alle sue Inferiores, le giovanili. Un sogno per Lisandro, che non si scoraggia nemmeno dopo un grave infortunio al piede destro. Anzi, quello stop, che gli ha fatto anche temere per la sua carriera, ha in un certo modo “aiutato” la sua testa a non considerarsi mai arrivato: situazione che lo spinge pure oggi a cercare sempre di migliorare, e anche in Europa i suoi progressi sono evidenti. Dopo un inevitabile periodo di adattamento, facilitato anche dalla compagnia di Lucho Gonzalez ( i resoconti delle loro prime uscite in auto per le vie di Porto, non esattamente New York, in cui inevitabilmente finivano per perdersi, rimangono un cult per i tifosi dei Dragoni), Lisandro ha ogni giorno di più riconosciuto il calcio europeo. Gli manca la platea luccicante, ma secondo più di un osservatore arriverà tra breve, magari anche in Italia. Una cosa è certo, chi lo prende fa un affare. Ne riparliamo tra qualche mese…

CARLO PIZZIGONI
Fonte: Guerin Sportivo

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