01 agosto 2008

José Mourinho

Il personaggio Mourinho mette in moto tante curiosità: burbero, sincero, antipatico, egocentrico, capace, tutto si mescola, tutto si evidenzia. Tuttavia, in tutto questo bailamme di interviste agli amici d’infanzia o al barista del paese, si rischia di perdere di vista l’aspetto principale della questione Mourinho, quello tecnico. Tutto nasce nei corridoi della casa di Setubal in cui il quindicenne Zé (abbreviazioni di José in tutti i Paesi lusofoni), dice a papà Felix che lui, da grande, vuol fare l’allenatore. E così comincia: “Quand’ero all’União da Madeira – ricorda Félix Mourinho - avevamo una partita molto importante contro l’Estrela Amadora, dovevamo almeno pareggiare per poter sperare di accedere alla prima divisione. Bene, Zé seguì per tutta la settimana gli allenamenti dell’Estrela, prese una quantità incredibile di appunti e poi ci diede ottimi consigli: riuscimmo nell’impresa di pareggiare zero a zero.” Insomma, un predestinato. Anche se la gavetta se l’è fatta tutta, Mourinho: assistente di Bobby Robson e van Gaal (entrambi, a loro modo, ultrasperimentatori, più naif il britannico, più analista e metodico l’olandese), allenatore di piccoli club come l’Uniao de Leiria, fino al grande salto col Porto e i trionfi che ormai tutti conoscono, prima del viaggio in Oltremanica. Questa esperienza variegata ci regala un tecnico flessibile nel disegno tattico ma rigoroso nell’applicazione del metodo di gioco. Soprattutto, con una grande carica motivazionale e una grossa capacità relazionale con gli atleti: difficile trovare giocatori allenati dal portoghese che non lo stimino. Nelle esperienze di alto livello The Special One ha sempre proposto idee particolare nelle singole situazioni di gioco e un approccio metodologico nell’allenamento che lui chiama “periodizaçao tactica”: mai un allenamento deve essere solo fisico, ma esiste sempre l’elemento tattico. Arrivato nei Dragoni del Nord del Portogallo cominciò a far conoscere prima al Paese e poi al Continente giocatore di grande potenziale ma che allora non erano per nulla considerati come Maniche, Paulo Ferreira, Nuno Valente e Derlei, questi ultimi due trascinati al Porto dopo l’esperienza comune a Leiria. Nella stagione 2002/03 ha quasi sempre impostato un 433, che diventava sempre più spurio fino alla definitiva svolta nel 41212 della stagione successiva, differente la spaziatura sul campo ma identica la filosofia portante: calcio molto elaborato in fase di palleggio ma conquista “alta” della palla e molta pressione (impronta di chiaro stampo vangaalliano). A cui però è anche disposto a rinunciare se non possiede calciatori adatti alla bisogna oppure intravede una differente visione d’insieme del calcio: sbarcato in Inghilterra si convince che può essere eccessivamente rischioso e alla lunga controproducente il recupero alto. Da qui, la scelta di utilizzare il pressing in zona offensiva solo con blitz individuali o a coppie e solo in determinate fasi. La difesa è molto più coperta, c’è più densità al limite della propria area (fondamentale l’uomo davanti alla difesa:il nuovo Costinha, a Stamford Bridge, sarà Makelele, un principe del recupero palla), è decisamente più ricercata la soluzione diretta sulle punte: la capacità di Drogba di giocare bene anche spalle alla porta è un’opportunità da sfruttare immediatamente per Mourinho. Per questo motivo probabilmente Ibrahimovic, pur non essendo un cecchino come l’Ivoriano, rimane un giocatore chiave anche per il portoghese: Zlatan vede gioco anche lontano dalla porta, è forte fisicamente, sa “assistere” i compagni: l’Inter probabilmente assomiglierà più al Chelsea che al Porto. Fondamentale per l’uomo di Setubal è anche l’uomo del centrocampo che più accompagna l’azione offensiva, il “10”: Deco (Porto) e Lampard (Chelsea), pur con caratteristiche non sempre sovrapponibili, hanno cambiato tante partite delle squadre del portoghese: per José meglio un centrocampista, anche offensivo che una mezzapunta classica. L’estrema cura nella preparazione dei match per Mourinho è, trattandosi di un allenatore moderno, riservata alla fase di transizione, offensiva e difensiva: nei casi di ripartenza sono molto apprezzatiti giocatori “esplosivi”, i Maniche e gli Essien, incursori di grande efficacia e dotati di un buon tiro da fuori.

CARLO PIZZIGONI


FONTE:GUERIN SPORTIVO

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