18 aprile 2006

[recap] Lione campione

Ora è arrivata la conferma matematica: il Lione è di nuovo campione di Francia. Nelle settimane scorse per il Guerin Sportivo e Eurocalcio ho presentato due protagonisti dell'OL, più nell'ombra rispetto ad altri ma altrettanto importanti.

*Coupet

L’Esagono ha una sola luce. La Francia è provincia di Parigi. Se si leva Marsiglia, che possiede una forte identità autoctona, perfino le maggiori città francesi vivono all’ombra della capitale. Lione è una metropoli di quasi un milione di abitanti, eppure è provincia. Le prime “proiezioni” dei fratelli Lumière si sono svolte qui, in quest’incastro affascinante tra Rodano e Saona. Poi Parigi ha raccolto i due fratelli e li ha trasformati in concittadini, mettendoli alla luce del Mondo. L’allure di Lione sfugge e pur riconoscendo una serie infinita di elementi deliziosi, rimane un’ombra, manca di una personalità tutta sua, rimane fascinosa il giusto. La grande visibilità proposta dalle vittorie in serie dell’Olympique Lyon l’hanno fatta conoscere ai tifosi di tutta Europa. Eppure, molti, nella Francia che gli assegna “scudetti” in serie (siamo a quattro di fila e si va per il quinto), non gli riconoscono il prestigio che a uno sguardo esteriore sembrerebbe meritare. Canal Plus, il network che propone la Ligue 1, preferisce nettamente, cifre alla mano, un passaggio dell’Olympique Marsiglia alle invenzioni di Juninho Pernambucano. A chiedersi i motivi si rimane incagliati: ci hanno già provato in molti, buone penne, distinti sociologi, qualche storico, ma nessuno ha scovato l’arcano. Eppure il Saint-Etienne, centro che non fa nemmeno duecentomila anime, a cavallo tra anni Settanta e Ottanta, è stato l’orgoglio di una nazione. E’ l’assenza di appeal che preoccupa, nonostante gli incredibili e lodevoli sforzi che la società dell’OL sta facendo sul piano del marketing. Gli stéphanois si sono ripresi degnamente dopo anni di purgatorio, i Verdi sono tornati a calcare i campi della massima serie anche grazie ad alcuni sacrifici. Tra le cessioni illustri c’è anche quella di un portiere di belle speranze: Gregory Coupet. Era la fine del 1996 con l’ASSE, una volta condotto da Michel Platini, piombata nella seconda serie francese. Coupet era arrivato a Saint Etienne dalla natia Puy-en-Velay (Alta Loira) dove suo padre Pierre, ex portiere professionista a Hazebrouck in D2, l’aveva messo tra i pali già a sette anni. Passato da un centro di formazione trova nella capitale della Loira i consigli e la sempiterna amicizia di Jeannot Dées, ancora oggi apprezzatissimo preparatore di portieri (e non solo: le sue competenze sulla preparazioni fisica risuonano nei convegni che contano). Debutta da pro nella stagione 1993-94 dopo sette anni giovanili tra i Verdi. “Sale Vert” è infatti l’insulto più carino che gli viene rivolto dai tifosi del Lione quando arriva nella città del Guignol (ovviamente poi cooptato dall’ingorda Parigi). La rivalità tra l’ASSE e la nuovo squadra è enorme eppure Greg nemmeno sotto tortura ne parlerebbe male: “ chi come me è cresciuto in quell’ambiente, lo adorerà per sempre. Sono a Lione, mi piace, mi ha dato tanto, ma non può vietarmi di gridare, quando voglio, “J’aime Saint –Etienne!” La chiamata dall’ OL arriva nel momento in cui la società decide di dare il benservito a Pascal Olmeta, un corso amatissimo dal pubblico, testa disabitata, cavallo pazzo, ma capace di rapire l’attenzione con un semplice gesto: magari un dribbling all’attaccante che ti sta pressando. Jean Tigana e Guy Stephan, suoi allenatori in un Lione poco vincente, si inchinano ai suoi miracoli in campo, alla sua voglia di vincere ma soffrono le continue bizze, soprattutto lontano dal terreno di gioco. Sommerge di calci e pugni il compagno di squadra Jean Luc Sassus perché, a suo dire, ci aveva provato con la bonazza che, all’epoca, accompagnava le lunghe serate del portiere rasato. La società presenta il foglio di via entrambi, Olmeta va all’Español, a Barcellona: “sarete voi a perderci” sostiene il corso e pensano i tifosi, illuminati da una personalità forte, ancora attualissima, che gli ha permesso la vittoria nel reality francese simile alla nostra “Fattoria”. Ecco, Olmeta è un tipo così, con modella d’ordinanza al fianco. Arriva il timido Coupet. Chi? Tecnicamente il miglior portiere di Francia, soffre nelle prime stagioni a Gerland, anche lo storico presidente Jean Michel Aulas storce il naso, Bernand Lacombe, direttore sportivo, poi allenatore e manager del club ascoltano qualche sirena che gli consiglia la cessione. Resiste. E si trova in mano la continuità e la sicurezza di un portiere che aiuta il Lione nel poker di vittorie nel campionato nazionale ed è già nell’élite europea. Un leader silenzioso che parla con i fatti. Alla definitiva consacrazione manca però la maglia titolare nella Francia. Che non riesce ad ottenere nemmeno infilando una serie di stagioni perfette. Davanti ha sempre Fabien Barthez, un Olmeta adattato ai tempi più televisivi di oggi e con un’esperienza e delle amicizie che contano. La solita luce troppo forte per Coupet, troppo forte per Lione, che non riesce a uscire dall’ombra. Il Manchester, l’Olympique Marsiglia, cioè la squadra con più tifosi e con più fascino nella Francia attuale, abbagliano. E come se non bastasse Barthez offre un fuori campo che chiama la top model Linda Evangelista e qualche testa coronata del Principato di Monaco, perfino l’accusa di qualche “canna”, che aiuta l’edificio del personaggio. La Federazione, o qualcuno lassù, sembrava dare una mano al portiere del Lione. A inizio 2005 Barthez viene squalificato per tre mesi per aver sputato all’arbitro durante un’amichevole dell’OM in Marocco. E’ la grande occasione per Coupet, promosso dal CT Domenech alla titolarità dei Bleus. Eppure lo spogliatoio rimane con Barthez, voci autorevoli più o meno palesate fin dall’inizio del periodo di squalifica continuano a sostenere l’ex Red Devil. E, puntualmente, rientrato dallo stop il numero uno dell’OM, anche se è evidente a tutti il suo declino, torna tra i pali della Nazionale. Le primarie per i mondiali danno ancora lui come favorito, nonostante un sondaggio recente ( chissà quanto veritiero e attendibile: buona parte della Federazione Francese non sopporta Barthez) dia Gregory Coupet in cima ai desideri dei tifosi francesi. Domenech ha un carattere poco flessibile ma non è stupido. Se Zidane, Thuram, Vieira e Henry mostrano una preferenza tende a seguirla, a meno di stravolgimenti importanti che, al momento, non sono nel radar. Cosa farai a fine carriera? “Credo – dice sinceramente il trentatreenne leader del Lione - che allenerò i ragazzi, spero di riuscire a consigliare loro come si diventa buoni portieri.” Coupet non sa che volare basso, per indole, per carattere, non per umiltà. L’occhio di bue del palcoscenico viaggia sempre da un’altra parte. Se uno non ci tiene, non ne soffre. Per leggere gli almanacchi cartacei basta una candela.

*Cris

Ancora con ‘sta storia dei portieri brasiliani? Dopo una fucina di talenti, alcuni già arrivati da noi, e altri in arrivo, bisognerebbe riaggiornare i cliché: non c’è nemmeno un lontano parente di Aldair, oggi, con l’amarelinha. Sono per i difensori gli insulti più pesanti dell’incontentabile pubblico brasiliano. Piccola nota ad uso europeo: in Brasile i difensori (zagueiros) sono esclusivamente i difensori centrali mentre i terzini che infestano tutto il Mondo, appartengono a un’altra categoria: laterais. La tradizione e la mentalità brasiliana (cultura, nella testa della maggior parte degli allenatori sudamericani) vuole il centrale alto e forte fisicamente. Bersagli del disprezzo unanime, i difensori centrali pagano la scarsa dimestichezza che possiedono con la palla, una delle più inaccettabile bestemmie, nel paese cattolico più grande del Mondo.
Carlos Alberto Parreira, CT brasileiro, rispettato soprattutto per la sua nonchalance davanti ai microfoni, nonostante la sua intellettuale diversità segue il gruppo: nella sua gestione, in mezzo alla difesa, ha attivato solo Lúcio, Juan, Roque Júnior, Luisão e Cris.
Per continuità di rendimento negli ultimi mesi ci sono pochi dubbi su quale dei cinque scegliere. A Lione, il suo compagno di squadra Grégory Coupet, piuttosto interessato alle evoluzioni del brasiliano, lo ha soprannominato “ Le Policier”, perché “mette sempre a posto le cose.” E Cristiano Marques Gomes, classe 1977, paulista di Guarulhos, sede del più grande aeroporto del Paese, le cose, con le buone o, spesso, con le cattive, le ha sempre fatte andare nel verso giusto, fin da quando nelle giovanili del Corinthians, dove vinceva l’importantissima Copa São Paulo riservata ai giovani (il vero campionato giovanile brasiliano), faceva salivare gli osservatori con l’occhio lungo. In un Timão in cui impressiona un fuoriclasse, Vampeta, che in Europa perderà sicurezza e status, fa in tempo a festeggiare il titolo nazionale del 1998, sotto l’attenta guida di Luxemburgo che lo alterna a Batata sulla linea difensiva al fianco dell’ex Inter Carlos Gamarra (vincitore no contest di tutti i sondaggi in cui si chiede del migliore difensore degli ultimi dieci anni nel campionato brasiliano.) Tuttavia le potenzialità del giovane centrale non sfuggono a dirigenti esperti come quelli del Cruzeiro che propongono lo scambio con il nazionale João Carlos, che ora sverna a Belém, nel Paysandu retrocesso in serie B l’anno scorso. Toca da Raposa, un centro di allenamento che invidierebbero, se lo conoscessero, anche prestigiosi club europei, vede crescere Cris: sempre migliori letture difensive con l’affinamento dell’anticipo, grande tempo sulla palla, ottimo stacco di testa. La grinta, la voglia, quella ce l’ha sempre avuta dentro. Al Cruzeiro comincia a vincere da titolare, al fianco di Luisão, ora compagno-rivale nella Seleção, e Maicon, esterno del Monaco in odore di Inter e si spalancano, giovanissimo, le porte dell’Europa. In quei tempi, il Vecchio Continente viene scosso dalla tempesta Bayer Leverkusen, che, Cenerentola, arriva in finale di Champions’ e, guidata dal sedicente profeta Toppmoeller, spaventa i galacticos originali del Madrid. Durerà poco: come può testimoniare Cris. Arrivato in Germania nel gennaio del 2003, il paulista è corresponsabile di una stagione disastrosa, e dopo cinque mesi è di nuovo a sfidare il traffico di Belo Horizonte e le urla di Vanderlei Luxemburgo. Con il santone in panchina e i numeri di Alex sul terreno di gioco, è campione del Brasile e gioca da protagonista le partite decisive per il titolo. L’esperienza tedesca avrebbe abbattuto un toro, ma Cris la usa per darsi forza: “Mi è sembrato –dirà poi - di arrestare un lavoro non portato a termine, dovevo, in qualche modo, finirlo e le buone prestazioni che ho registrato nel finale di stagione col Cruzeiro erano stimolate da questa sensazione. In Germania mi ero trovato bene, ho fatto esperienza in Champions’ League dove ho giocato una manciata di partite, sapevo che mi sarebbe tornata utile un giorno.” Poco da dire: o garoto tem raça, ha le palle, tradurremmo noi. Pure troppo!
L’11 aprile 2004 si gioca la finale di ritorno del campionato Mineiro. Deciderà il classico più prestigioso della terra che ha dato i natali a Pelé: Atletico – Cruzeiro, con la Raposa che ha vinto 3-1 nella finale d’andata. Minerão stracolmo e il prepartita del Galo si sintetizza nella frase del difensore, e alla fine unico marcatore del match, Luiz Alberto: “dobbiamo sudare sangue!” L’Atlético mette sotto pressione Gomes, oggi al PSV, sfiorando più volte il gol, ma non va oltre la singola marcatura. La partita è molto nervosa, Tucho e Cris si strattonano continuamente finché il difensore chiude la questione con una testata: rosso ad entrambi. Al triplice fischio le bandiere azzurre dominano lo stadio, si accendono anche torce commemorative. Una la prende in mano anche Cris,la porta in alto come per sollevare una coppa, poi piega la schiena all’indietro e lancia l’oggetto in direzione della tribuna, quella sbagliata, perché occupata da tifosi atleticani. Il portiere bianconero Eduardo, rimasto in campo a piangere, appena scorge il gesto assale il difensore con calci e pugni, Cris, da buon samaritano, non si sottrae dalla lotta. Una rissa che coinvolge una quindicina di giocatori e rischai pericolosamente di degenerare sugli spalti. “Non ho dormito tutta la notte, chiedo scusa per quello che ho fatto” dice con un filo di voce, la sera seguente, Cris, in uno dei programmi sportivi più seguiti del Paese, “Terceiro Tempo” di Milton Neves. Non si fa fatica a crederci anche perché il fatto scatena mitomani che arrivano a minacciare di morte il giocatore e la bella moglie, titolare di una copertina di “Sexy”, un settimanale non proprio per intellettuali che attira parecchie attenzioni nelle edicole brasiliane. La Commissione Disciplinare si impietosisce poco: 180 giorni di squalifica. Per una serie abbastanza evidenti di fattori alla Reposa decidono di metterlo sul mercato e i primi a suonare alla porta sono gli ucraini dello Shaktar Donetsk. Il giocatore e il suo agente partono per l’Est-Europa ma nonostante i primi segnali positivi l’affare non va in porto. Cris deve giocare la Coppa America con la nazionale (che aveva già agganciato dai tempi di Scolari), una vetrina importante che può allargare il ventaglio dei possibili compratori e, con esso, il portafoglio del Cruzeiro, che infatti decide di frenare con gli ucraini. Parreira grazie alla solita dialettica convince tutti che Cris, pur essendo squalificato in Patria, può giocare il trofeo continentale. Il Brasile, schierando una formazione B, vince, grazie a un fenomenale Adriano che stende l’Argentina in finale, con il centrale del Cruzeiro che gioca tutto il torneo da titolare. Di lì prenderà un Air France, siederà a fianco di Bernard Lacombe in una tribuna di uno stadio su in Lorena, si fingerà interessato a un Metz-Lione, riconoscerà più di un compagno di Seleçao in campo e, alla fine, firmerà un quadriennale per l’OL, ottenendo il numero 3 di maglia, appena lasciato libero dal connazionale Edmilson, passato al Barça. E’ l’agosto del 2004. Qualcuno giura che da quel giorno non ha sbagliato una partita, ma i tifosi di Gerland, che lo hanno eletto a beniamino quasi immediatamente, probabilmente esagerano. Certo, se Real Madrid e Milan rosolano il telefono di Jean Michel Aulas, presidente del sempre più sorprendente Lione, non è certo per chiacchierare del tempo che si respira sotto la più brutta cattedrale d’Europa, la Fourvière. Pare che le sparate di Aulas siano veramente alte ma c’è tempo per farle scendere. Adesso c’è un delicatissimo doppio match di Champions’ da giocare contro i rossoneri. Cris, vedrai, il Duomo è bellissimo…

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