14 febbraio 2006

[spillo finale CAN 2006] Egitto campione

Chiusi i battenti anche per quest'anno. Nonostante abbia ammirato la gentilezza degli egiziani (polizia esclusa, specie quella negli stadi, specie nei confronti dei giornalisti) la trasferta all'ombra delle piramidi mi lascia un po' perplesso, per motivi diversi : il calcio africano fa passi avanti, indubitabili, ma la Coppa, secondo tanti commentatori, quest'anno ha deluso. Francamente sono rimasto più deluso, dal punto di vista tecnico, ma non solo, dall'Europeo portoghese o dall'ultimo Mondiale. Anzi, proprio in queste ultime competizioni si è registrato un deciso passo indietro del gioco. Formazioni ultraspeculative che avanzavano e tutte le altre a proporre davvero poco, con piccole eccezioni (tra queste mi viene in mente il team USA di Bruce Arena - eliminato dalla Germania in un match dove gli Dei del Calcio erano decisamente altrove -, che però gode di benefici logistici ed economici che altri non si possono permettere).
In Africa, non mi pare sia andata così. Purtroppo, e qui vivo un'altra dose di desolazione, alla fine ha vinto una squadra che non rimarrà nella storia, però se si sbircia oltre la superficie qualcosa di interessante rimane, come ho scritto nel mio articolo da Alessandria che ho pubblicato giorni fa.
L'Egitto di Hassan Shehata, gloria nazionale ma mai su una panchina importante, nemmeno in patria, ha però approfittatto della dinamicità dei suoi centrocampisti per costruire azioni d'attacco ma ha alzato la coppa per la solidità della sua difesa, questa sì certamente da evidenziare e tramandare ai posteri. Signore incontrastato di questo regno Ibrahim Said, una testa matta che gli ha già fatto bruciare un contratto con l'Everton dopo alcuni mesi di prova, poi allontanato dalla corazzata Al Ahly e ora in rotta anche con i dirigenti della seconda squadra del Paese, lo Zamalek, ma capace di letture difensive superiori. Uno che potrebbe far benissimo anche da noi, ma, probabilmente, i pregiudizi sulla sua origine non glielo permetteranno mai. Ottimo pure Wael Gomaa, uno dei pochi a salvarsi anche nell'ultimo Campionato del Mondo per Club con l'Al Ahly. Meno perfetto nel trio difensivo Abdel el Saka, che gioca in Turchia, immenso, invece, nei rigori finali il portiere El Hadary, ma nelle prime partite protagonista di qualche incertezza, ovviamente oggi dimenticata. Il 3511 adottato nell'epilogo della manifestazione dagli egiziani, prevedeva Emad dietro alla punta principale, prima Mido, poi, dopo la sceneggiata, il generoso Amr Zaki (contatto da qualche clunb europeo non foss'altro per l'età: è un 1983) e con Mohamed Barakat, eletto miglior giocatore africano quest'anno, a destra e in costante spinta. Principio fondamentale, come detto, l'inserimento degli altri centrocampisti, tra questi il capitano Ahmed Hossan (Besiktas), proclamato miglior giocatore del torneo più per premiare il Gruppo-Egitto che per le sue prestazioni, mai sotto la sufficienza ma neanche da stropicciarsi gli occhi. Era sicuramente un altro calcio, ma l'Egitto del grande El Gohari, oggi esiliato in Giordania, era un'altra cosa.
Insomma, come per la vittoria di due anni fa per la Tunisia, niente stelle, niente grandi innovazioni, tanta strategia, specie difensiva, e tanta sostanza.
Spiace un po' per il movimento del continente, che con il successo della Costa d'Avorio avrebbe ostentato maggiore credibilità, dato che gli Elefanti hanno illuminato sia sotto il punto di vista individuale (Yaya Touré e Arouna Koné, solo per nominare i più positivi) che da quello di squadra con i continui e senza difficoltà eseguiti cambi di modulo voluto dalla coppia di tecnici Henri Michel - Gérard Gili ( ho assistito agli allenamenti e quelli di tattica erano condotti tutti dal secondo). Esattamente come sarebbe stato per la Nigeria, oltretutto incredibilmente fuori dai Mondiali.
Appuntamento a Ghana 2008.

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