Il Barça è la migliore squadra del Mondo. Lo rimane anche se l'Inter vince meritatamente la semifinale di andata di Champions e acquisisce un vantaggio in vista del ritorno del Camp Nou. Lo rimane perché non rinuncia mai al suo stile di gioco (che non è solo il possesso palla), anche in una serata difficile, una delle più difficili dell'éra Guardiola, e dove l'avversario strategicamente gli è superiore. Gli uomini di Mourinho vogliono la finale ma anche solo con questa prima tranche di semi dovrebbero essere orgogliosi per aver fatto qualcosa di veramente speciale: battere meritatamente i più forti.
LA SCELTA DEL MODULO NERAZZURRO. Si capisce subito che l'Inter è disposta bene in campo e senza complessi mentali (scoglio, quest'ultimo, non da sottostimare quando si incontra il Barça, vedi tre-quarti dei match della Liga). La scelta di Mourinho è prima logica che vincente: l'obiettivo principe dei nerazzurri deve essere la ricerca della profondità e contro il Barça è obbligatorio avere più di un centravanti che sappia battersi centralmente e spalle alla porta. E' necessario trovarla sugli esterni, con esterni che però sappiano trovare adeguati tempi e modalità di pressione e di scivolamento all'indietro: Eto'o e Pandev sono ottimi per questo lavoro, Balotelli, per mentalità e per evidenti limiti di lettura del gioco, no. Ergo, scelta obbligata davanti. Mourinho ci aggiunge una fase di pressing alta ma non altissima, lasciando la circolazione sulla linea dei difensori e attaccando la palla appena più avanti. Nella fase di possesso se la riconquista è a centrocampo l'ordine è la verticalizzazione immediata, la ricerca diretta (provata con insistenza da Thiago Motta, soprattutto), meglio se con palle alle spalle dei difensori, centrali o laterali: si deve sfruttare la fase più delicata, anche a costo di qualche errore di misura, perché in quella frazione di tempo il Barça, avendo la mentalità che ha, è in evidente disequilibrio. C'è il contropiede, bene; non c'è, si gestisce, provando il cambio di gioco veloce evitando di farsi intrappolare su un lato dal pressing furioso dei catalani. A dirlo si impiegano poche righe, realizzarlo e, più, convincere i giocatori della bontà del piano, all'attenzione (unico errore: il difetto di comunicazione Cambiasso-Maicon-Lucio sulla percussione di Maxwell in occasione della rete blaugrana) e al sacrificio necessario, anche quando la squadra va sotto di un gol, anche quando il Barça ti umilia con il suo possesso palla favoloso: ecco il vero miracolo del portoghese in panchina.
SPONDA CATALANA. Pep Guardiola sceglie Messi dietro Ibrahimovic, Sergio davanti la difesa alta a 4 e Pedro a destra Keita a sinistra e l'immenso Xavi nel vivo del gioco. La circolazione è buona ma non a livello-Barça (Guardiola si lamenterà anche del fatto che il terreno non è stato bagnato, ma Pep è un signore: "nessuna polemica, giocavano in casa loro e scelgono loro"), i due centrocampisti in mezzo più la posizione di Sneijder (un "triangolo" fastidioso che si forma continuamente) e i due attaccanti abbassatosi sui lati danno fastidio. Il miglior Barça è quello dell'ultima parte del primo tempo, quando guadagna campo, ma non è mai incisivo e Messi è costretto a uno contro tutti che, stavolta, non gli riescono. In fase di non possesso i catalani sono spaventosi: spendono le prime frazioni di secondo del momento in cui perdono la sfera alla ricerca immediata del pallone, con organizzazione e straordinaria determinazione, uno spettacolo ( e la vera arma in più del Barça di Guardiola). Dopo l'1-1 della prima frazione, il Barça parte addirittura con un 442, ma viene subito infilzata da un grande contropiede (bravissimo Pandev)e perdendo palla dopo un'uscita sbagliata (altre fase delicatissima: attento e deciso Thiago Motta) lascia il gol del pesante 3-1 all'Inter. L'ultima frazione del match il Pep la gioca senza un centravanti fisso (negli ultimi minuti sposta Piqué là davanti), con Pedro e Maxwell esterni d'attacco e un giro palla furibondo che provoca mischie e paura diffusa in casa nerazzurra.
IBRAHIMOVIC. L'Idea che ha perseguito Guardiola, nel formulare la richiesta alla sua dirigenza al fine di trovare un attaccante forte fisicamente e con qualità, era certamente quella di aggiungere un'opzione offensiva all'arsenale blaugrana. L'appoggio alla manovra di Ibra è lineare: Lucio e Samuel lo hanno raramente anticipato. Però Ibra non ha prodotto nemmeno uno spunto dei suoi, sostanzialmente non ha mai tirato in porta, limitando la sua azione in una zona intermedia e quasi sempre spalle alla porta. Ovviamente, poi, lo svedese non ha la predisposizione al pressing ultra offensivo della squadra. E' un Ibra annacquato, sicuramente in parte debilità dalla convalescenza appena superata, che subisce, lui re di San Siro per anni, addirittura l'onta della sostituzione dopo una partita in cui ha combinato pochino.
ALTRO SPETTACOLO. Finisce 3-1 la gara di andata, ma c'è ancora una partita da giocare e tutto è ancora aperto. Al di là di tifo, antipatie e simpatie, preferenze e analisi: avercene di spettacoli del genere nel calcio, è questa la differenza tra a Champions League e tutte le altre manifestazioni per club. E tra una settimana è già pronto un altro show, imprevedibile e imperdibile.
INTER (4-2-3-1): Julio Cesar, Maicon (28' st Chivu), Lucio, Samuel, Zanetti, Cambiasso, Thiago Motta, Eto'o, Sneijder, Pandev, D. Milito (30' st Balotelli). (21 Orlandoni, 2 Cordoba, 23 Materazzi, 11 Muntari). All.: Mourinho.
BARCELLONA (4-1-3-2): Valdes, Dani Alves, Piqué, Puyol, Maxwell, Sergi Busquets, Pedro, Xavi, Keita, Messi, Ibrahimovic (17' st Abidal). (13 Pinto, 4 Marquez, 18 G.Milito, 24 Touré, 11 Bojan, 14 Henry). All.: Guardiola.
Gol: 0-1 19' Pedro, 1-1 30' Sneijder, 2-1 48' Maicon, 3-1 61' D.Milito.
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