L'Egitto di oggi è una camminata sul confine della modernità. Fuori e dentro il Cairo International Stadium, teatro delle ultime sfide del Mondiale di calcio under 20, ci sono poche certezze come se la cappa di calore, inquinamento, rumore che copre la capitale egiziana rendesse tutto meno limpido, meno decifrabile. Tutto. Il futuro di un Paese dove il padre padrone, Hosni Mubarak, sta lentamente spegnendosi senza trovare una nuova guida forte che sappia accompagnare un Paese gonfio di inquietudini e dubbi (civili, religiosi, politici); e il futuro di uno sport, il football, che potrebbe oggi avere preso una sterzata decisa verso un nuovo padrone, l'Africa. Il Ghana alza per la prima volta nella storia la coppa del Mondo giovanile, battendo, dopo supplementari e rigori, nientemeno che un Brasile zeppo di talento, e per di più giocando per più di un'ora in dieci uomini contro undici. Favola africana, realtà. Il Ghana vince con la forza di volontà e la testa, perché la tecnica fine a se stessa non conta più nel calcio d'oggidì. Miglior giocatore e miglior marcatore due anni fa, alla stessa competizione, fu tale Sergio Agüero, oggi nell'élite del calcio europeo. Quest'anno è toccato a Dominic Adiyiah, centravanti agile, scattante e con elevatissimo fiuto del gol (otto in totale nella manifestazione mondiale) del Fredrikstad (prima divisione norvegese), anche se i suoi giorni a rimirare i fiordi termineranno tra poco. Diversi anni fa, Adiyiah e Ransford Osei, oggi al Twente, erano la coppia d'attacco che incamerava coppette e targhe ricordo per la Anglican Senior High School di Kumasi, oggi i loro uno-due li riservano al mondo, che si chiede ancora se stavolta sarà la volta buona per l'Africa. Il tecnico ghanese, Sellas Tetteh, commosso fino alle lacrime,celebra l'avvenimento ammonendo che stavolta sarà diverso e al Mondiale sudafricano, il primo del Continente Nero, chi vorrà vincere dovrà prestare attenzione anche alle big d'Africa. “Siamo in un periodo di transizione, come sempre”, scriveva sarcastico Ennio Flaiano tempo fa contro i permanenti profeti del cambiamento in arrivo. Eppure stavolta sentiamo di essere vicino al confine. Interessante è capire in che senso e con quali modalità interverrà il cambiamento, e fine a quale profondità attecchirà, per durare. Il Ghana venuto ai Mondiali almeno nel lotto dei favoriti, aveva appiccicata l'etichetta del “vediamo cosa combinano per farsi eliminare” e invece si sono dimostrati forti mentalmente, soprattutto nei momenti più delicati, nella finalissima, e in special modo nelle situazioni di estrema difficoltà hanno letto nel modo migliore la partita, dimostrando di credere fino in fondo in se stessi. Finalmente. Il sacrificio e la voglia di vincere di Andre Ayew, che con la metà del talento paterno (geni del genio Abedì Pelé) farà certamente una carriera migliore del predecessore, la grande intelligenza calcistica di ragazzi come Emmanuel Agyemang-Badu (flash del giovane Essien), Jonathan Mensah e Mohamed Rabiu (già bloccato dalla Sampdoria) testimoniano delle certezze del futuro ghaneano ad alti livelli. Quando? E' sapere leggere il segno dei tempi la sfida decisiva della modernità, anche quando si ciarla di football. L'esempio del Ghana ci sottopone l'ennesimo processo. Finirà come le altre volte? Noi crediamo di no.
CARLO PIZZIGONI
“O Brasil dominou !” mi grida rabbioso un giornalista del Paese del Carnevale, e del Futebol. Epperò, se dominare significa tenere la palla senza trovare sbocchi credibili, girarla lentamente, concludere poco, e soprattutto male, verso i tre legni dell'ottimo portiere ghanese Daniel Agyei, allora è tempo di riscrivere il vocabolario del calcio. Il Brasile con un uomo in più viene sconfitto meritatamente in finale, però mostra che la fucina di talenti, il serbatoio inesauribile di materiale calcistico ruota ancora attorno a Rio de Janeiro, oramai sotto i riflettori per l'incredibile assegnazione delle Olimpiadi del 2016, le prime nella storia del Sudamerica. Ad esaltarci, sotto il cielo perennemente torbido del Cairo la solita qualità verde-oro, a cominciare dal prossimo crack, Giuliano, centrocampista offensivo dell'Internacional, che deve il suo nome alla passione del babbo per gli spaghetti western dell'attore italiano Giuliano Gemma. Serio, timorato di Dio, fisicamente “piazzato” e coi piedi da brasiliano, Giuliano ha tutto per sfondare ad altissimo livello tra qualche anno. Ottimi anche il difensore centrale Rafael Toloi, il portiere Rafael, il terzino sinistro Diogo, il mediano Souza, la mezzapunta Alex Teixeira. Il Brasile non ha dominato, ma finché un pallone rotolerà su un prato verde, c'è e ci sarà sempre, a tutti i livelli. La storia può deviare, cambiare, ma non si può riscrivere, e la storia di questo gioco porta la maglia giallina.
CARLO PIZZIGONI
FONTE: CORRIERE DEL TICINO del 20 ottobre 2009
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