31 ottobre 2009
Mondiale under 20 - Analisi tecnica del torneo
La prima volta. Almeno una volta nella vita, tutti, con più o meno convinzione, l'abbiamo detto: il futuro del calcio è in Africa. Salvo pentirci, rilanciare di nuovo, esprimere sani dubbi e via così. Oggi, sgombrati vaticini e analisi teoriche, abbiamo un primissimo effetto pratico: il Ghana ha vinto il Mondiale under 20, mai una squadra africana aveva raggiunto tale traguardo. Prodromi per realizzare l'ultimo, definitivo passo nella storia del calcio, finalmente? Forse. Rimanendo al dato oggettivo possiamo con certezza affermare che la generazione del Ghana sarà assolutamente competitiva, specie fondendosi con l'attuale che malissimo non è, da Michael Essien in giù. Interessante anche valutare che non solo i giovani africani hanno battuto il Brasile in finale (ai rigori), ma anche il come: giocando con la testa e con la voglia di vincere incanalata esclusivamente verso energia positiva. Niente mattane, niente giocate sconsiderate nella partita decisiva, e nei momenti decisivi della stessa. Meglio che negli ottavi dove il team guidato da Sellas Tetteh aveva faticato col Sudafrica, meglio che nei quarti dove aveva concesso troppo ai sudcoreani, meglio che in semifinale dove ha fatto rientrare maldestramente in partita l'Ungheria, dopo aver letteralmente dominato per 45 minuti. Giocare con i superfavoriti del torneo, per di più con un uomo in meno per più di un'ora, concedendo pochissimo a una batteria di fuoco come quella verde-ora significa prima di tutto essere cresciuti sotto il profilo della mentalità e dell'attenzione. E poi ci vuole il talento. La copertina se la prende Dominic Adiyiah, centravanti capocannoniere (otto gol senza rigori) e eletto miglior giocatore del torneo: gioca in una squadra di retrovia norvegese (Fredrickstad), ancora per poco. Bello ricordare come il suo compagno di banco, all'Anglican High School di Kumasi, sia il ragazzo che in questo Mondiale gli ha fornito assist decisivi e movimenti importanti: Ransford Osei, forse più atteso di Adiyiah ma autore, lui pure, di un torneo davvero notevole. Complimenti anche al professore di ginnastica della scuola cristiana di Kumasi che per primo ha intuito il valore della coppia. Dietro loro ha agito Andre Ayew, cognome importante (è il figlio di un idolo nazionale, Abedì Pelé, visto anche noi anni fa) e una voglia di emergere e di vincere che, siamo sicuri, lo porterà a una carriera superiore anche a quella del celebre babbo, che aveva il triplo del talento ma non lo stesso atteggiamento in campo. In mezzo, due autentiche rivelazioni del torneo, Mohammed Rabiu, pescato già dalla Sampdoria, un Vieira in costruzione, e Emmanuel Agyemang-Badu che come punto di riferimento ha invece il connazionale Essien, poco sopra l'uno e settanta, mastino, grandi letture, possibilità di giocare in più ruoli (in finale si è adattato difensore centrale con ottimi risultati) anche se il meglio lo dà a centrocampo con pressing, ripartenze e leadership: gli spagnoli del Recreativo Huelva lo hanno avuto per le mani ma lo hanno rispedito in Ghana, ora stanno facendo carte false per riaverlo, ma sarà dura. Bene, molto bene anche dietro con il generale della difesa Jonathan Mensah a dirigere le operazioni e due terzini di spinta davvro interessanti, il già conosciuto Samuel Inkoom, quest'anno a Basilea, e il laterale sinistro David Addy, fisico, corsa e piede da tenere d'occhio: le loro ottime prestazioni hanno forzatamente relegato in panchina un super talento come Daniel Opare, stella del Mondiale under 17 in Corea del Sud, nel 2007, e attualmente al Real Madrid. Non male nel torneo e decisivo in finale il portiere Daniel Agyei. Non meno talento poteva proporre il Brasile, anzi. E' mancata in parte la gestione tecnica (Rogerio CT da rivedere) e in generale un manovra con più profondità: troppo possesso palla effimero ai venticique metri e poche conclusioni pericolose: ai quarti si è salvata all'88' con la Germania, meglio messa in campo e più quadrata, ma non sempre un colpo del singolo può girarti il match. E tra i singoli quello che maggiormente ha brillato è stato certamente Giuliano, tecnica, fisico, creatività e buon guizzo ai sedici metri, con possibilità di giocare anche in mediana per il tackle che possiede: fatto e finito per i palcoscenici europei, anche i più prestigiosi. A sprazzi bene il genio di Alex Teixeira, attaccante esterno del Vasco dal grande calcio e dall'elevata pericolosità dai sedici metri in giù, e qualche lampo di Douglas Costa, un prospetto favoloso che fatica a imporsi come giocatore a tutto tondo. Alan Kardec ha fatto discretamente bene, mostrando una sicura crescita rispetto all'anno scorso ma nel momento decisivo, in finale, non l'ha mai vista e le poche opportunità che gli sono capitate le ha fallite miseramente. Molto meglio in fase difensiva i giovani brasuca: il centrale difensivo Rafael Toloi non ha sbagliato quasi nulla, ben spalleggiato da Dalton, bravo il portiere Rafael. Douglas a destra e Diogo sull'altra fascia hanno assicurato spinta continua, in mezzo al campo Souza ha disputato un grande campionato, proteggendo la difesa e offrendo anche inserimenti offensivi. Il Mondiale ha anche offerto la resurrezione dell'Ungheria, che ha chiuso al terzo posto, tornando alla vita calcistica dopo diversi lustri. Una dorsale che prevede il portiere Gulacsi, il centrocampista Vladimir Koman (proprietà Samp, in prestito al Bari) e il centravanti Nemeth, già rapito da Benitez e spedito a farsi le ossa in Grecia, all'AEK, propone un oroscopo decisamente positivo per questa generazione. Bene come al solito la Germania, zeppa di defezioni, ottime prove dell'Uruguay (anche qui il futuro pare davvero interessante: Coates e Lodeiro su tutti) e grande Mondiale per l'Italia di Rocca (ne parliamo a parte), hanno deluso notevolemente Spagna e Nigeria. Gli iberici ormai sono all'ennesimo fallimento nei tornei giovanili, dove tempo fa dominavano. La squadre, come quella impegnata in questo Mondiale, sono piene di talento (Dani Parejo, Fran Merida, Aron), ma raramente mostrano un calcio convincente e redditizio, specie nei momenti delicati: dopo un buon girone eliminatorio le piccole Furie Rosse sono state messe sotto dall'agonismo degli azzurrini di Rocca.
CARLO PIZZIGONI
L'ITALIA
Bisognerebbe guardare un po' meglio in casa propria. E avere fiducia. L'ottimo lavoro di mister Francesco Rocca ci dimostra come anche in Italia si può scovare buoni giocatori, basta avere attenzione e pazienza. Partiti per l'Egitto senza i big della generazione del Novanta e dintorni (bloccato alla fine anche Poli, uno dei cardini della squadra che all'Europeo under 19 aveva fatto bene e si era qualificata per questi Mondiali), si è faticato a ingranare ma alla fine la bontà delle intuizioni di Rocca è apparsa evidente: un match capolavoro contro la Spagna, tra le favorite del torneo, e uno quasi perfetto con l'Ungheria, dove solo qualche ingenuità ci ha accompagnato all'uscita del torneo. Tra i singoli, da evidenziare le accelerazioni e le giocate di Mattia Mustacchio (la Fifa l'ha inserito tra i top ten del Mondiale), il senso tattico e la grinta di Marco Calderoni e le buone prove di Andrea Mazzarani e Giacomo Bonaventura, oltre alle “certezze” Vincenzo Fiorillo e Silvano Raggio. Non è stata una nazionale di potenziali fuoriclasse, questo è certo, ma la voglia di non mollare, l'energia e il coraggio di questi ragazzi dimostrano che la tecnica non è la sola cosa che fa la differenza in questo sport. Ultima nota: perdere un tecnico valido come Francesco Rocca sarebbe per la Federazione davvero un delitto e, visto che ci siamo, vediamo anche di ritoccargli l'ingaggio: 38.000 euro annui per il lavoro che ha compiuto in questi anni (finalista all'Europeo, non dimentichiamolo) è davvero una miseria, viste le cifre che girano...
CARLO PIZZIGONI
Fonte: GUERIN SPORTIVO , N.43/09
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