Nonostante la notte dei lunghi coltelli sia ancora in corso nella Federazione Togolese, è ormai certo che Stephen Keshi non sarà più l'allenatore degli Sparvieri. Cosa ampiamente pronosticabile. Una decina di giorni addietro scrissi un pezzo sul quotidiano svizzero "Il Corriere del Ticino" per illustrare cosa stava e sta avvenendo.
Tre sconfitte su tre match, l’allenatore Stephen Keshi accusato dalla stampa locale di intascare denaro accomodando convocazioni e in rotta con il miglior giocatore degli “sparvieri”, l’attaccante Emmanuel Adebayor, parte della squadra infuriata con la federazione per la mancata disponibilità ad organizzare un preparazione consona all’evento. Fugge così, il Togo, dall’albergo egiziano che li ha ospitati in questa Coppa d’Africa e i cui muri hanno trattenuto solo musi lunghi e litigi. Nettamente messi sotto dal Congo nel match di apertura, dove Adebayor è partito in panchina per un litigio del giorno prima con il CT, i togolesi hanno fornito un match appena accettabile contro il Camerun, grazie soprattutto ai miracoli di Kossi Agassa, portiere sottoutilizzato dal Metz, in Francia, che però nulla ha potuto contro un gioiello di Eto’o. Due sconfitte in avvio e terza partita giocata con poca voglia e ancor meno onore: 3-2 dall’Angola. La Federazione ha già contattato altri tecnici, a partire da Noël Tosi, favorito su Bruno Metsu e Philippe Troussier. E’ praticamente già scaduto il credito di Stephen Keshi, un autentico totem per il continente, grazie ai successi da giocatore con la Nigeria: arrivato in Germania con il contributo del peggior Senegal degli ultimi anni e da un Mali ripiombato nella mediocrità, in Egitto la sua nazionale è stata davvero poca cosa: esclusiva attesa di tutti dietro la linea della palla, Adebayor isolato davanti alla ricerca di uno-contro-uno in attesa messianica di un accompagnamento da metacampo che raramente arrivava. Soprattutto, sembra essere venuta meno la forza del gruppo (i cui componenti navigano nei bassifondi del calcio europeo, con poche eccezioni), che fu l’unico vero atout, oltre agli undici gol del capocannoniere Adebayor, delle qualificazioni mondiali. Della comitiva anche due “svizzeri” Yao Aziawonou (Young Boys) e Yao Senapa, uno dei pochissimi a salvarsi nel naufragio d’Egitto, che però è protagonista solo in Challenge League, nella Juventus di Zurigo. Travolto sulle rive del Nilo anche la speranza del calcio togolese, Emmanuel Mathias, un 1986 dal sicuro talento che impreziosisce l’Esperance di Tunisi. Insomma, tutto, con o senza Keshi, dovrà girare attorno ad Adebayor. Alto (191 cm) ma coordinato e dai piedi educati, Manu Adebayor è nato e cresciuto a Lomé, nel quartiere Kodjoviakopé (a pochi chilometri dal confine con lo stato del Ghana) abitato prevalentemente da emigrati, come la famiglia della stella degli Sparvieri che è di origine nigeriana. Capriccioso, lunatico, ingenuo (una telefonata della madre l’avrebbe convinto a non lasciare il ritiro della nazionale dopo l’iniziale esclusione) è stato portato in Europa dal Metz che vantava una collaborazione con lo Sporting Club di Lomé. Arriva in Lorena a 15 anni, con troppa nostalgia e più di una volta è sul punto di tornare in Africa: resiste e a 17 anni già debutta nella massima serie. Orgoglio della cittadina del nordest, Adebayor attira già d’allora la curiosità di grandi club ma sceglie di rimanere in Francia e firma per il Monaco, dove continua l’ascesa. L’addio dalla Costa Azzurra di Deschamps, suo mentore nel Principato, convince il centravanti a cambiare aria, l’assegno di 10 milioni di euro dell’Arsenal ne indica la via. Il Mondiale registrerà la sua definitiva consacrazione?
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