23 settembre 2011

Gasp, l'Inter e la difesa a tre: la rivoluzione mancata




A inizio stagione due squadre di vertice, Inter e Roma, manifestavano l'intenzione di proporre un calcio diverso, quest'anno. Le idee nuove erano veicolate dai due tecnici, entrambi responsabili di un percorso sportivo insolito e forse anche solo per questo diversi. Luis Enrique e Gasperini volevano cambiare. Il tecnico romanista è arrivato in una nuova società disposta, almeno così pare, a supportarlo nonostante i risultati e le prestazioni finora ancora lacunosi, com'è ovvio quando si inizia a intraprendere un percorso tutto nuovo. Gasperini all'Inter è già stato licenziato.
L'Inter è un mondo strano. Mai però come quello che gli gira attorno, tra stampa e tifosi: voci incontrollate (quasi mai verificate, la cui fonte è sempre anonima) diventano verità assolute, cliché diventano dogmi, polemiche diventano casi di stato. Il posto peggiore per costruire una rivoluzione tecnica, com'era nei fatti il progetto di Gasperini, forse anche oltre la volontà del tecnico e le aspettative della società.

Prima della fatal Novara, Gasp parlava così "questa squadra, secondo me, non può più giocare come negli anni vincenti, non ha più gli uomini per ripartire velocemente."

L'idea principale era quindi quella di cambiare il sistema di gioco dato che la squadra, rispetto all'età dell'oro di Mourinho e al periodi di Mancini, era cambiata poco aumentando così l'età media, e sopratutto perso quei giocatori da ripartenza veloce, prima il caso Balotelli (ceduto per l'ingestibilità del soggetto), poi la cessione di uomo chiave come Samuel Eto'o.

Cambiare, da subito e in fretta, senza un adeguato periodo di preparazione, con le partite ufficiali da giocare (e da vincere) come unici test di verifica.

Non ha funzionato, le rivoluzioni riescono raramente, quasi mai. All'Italia ne sono riuscite due, ad altissimo livello: il periodo di Sacchi al Milan e quello di Mourinho all'Inter, entrambi esauritesi molto presto.

Cosa ci ha lasciato il campo: cos'è stato Gasperini all'Inter?

L'idea di base era il suo 343, e la ormai famigerata difesa a 3. Gasperini non ha scelto una difesa a tre a sistema puro, nulla a che vedere con l'Ajax di van Gaal o il Barcellona di Cruyff. La necessità di Gasp era mantenere l'equilibrio nell'ultima linea: gli esterni si alzavano contemporaneamente, cercando di sviluppare il gioco in ampiezza ma correggendo con dinamiche di gioco e contromovimenti l'equilibrio dietro, così che la linea difensiva rimaneva a 4. L'utilizzo degli esterni, seppur di non elevatissima qualità (molto ha pesato l'infortunio di Maicon) è certo stata una delle cose positive del periodo gaspariniano.

Il problema principale dell'Inter di Gasp è stato sicuramento lo spazio concesso tra i reparti. Se la squadra rimaneva a difesa schierata, rimaneva compatta e attenta, riusciva ad abbassarsi senza concedere nulla (vedi match contro la Roma a San Siro), le paturnie nascevano nelle fase di transizione. La rigidità dei tre settori (anche determinate da scadenti letture dei giocatori, e da una certa, evidente, indigeribilità a una nuova situazione) impediva di mantenere la palla nel settore offensivo, concedendo così maggiori spazi, una squadra spezzata, con transizioni ingestibili per una squadra che soprattutto in mezzo ha scarse capacità dinamiche, evidenti limiti di corsa.

Nella costruzione offensiva sono poi mancati gli appoggi centrali (dovuti anche alla scarsa forma di Milito, nettamente il migliore, teoricamente - come dimostrò a Genova proprio con Gasperini - a concedere le sponde), così che la squadra era costretta continuamente su uno dei due lati. Scadenti anche i risultati nell'applicazione del fuorigioco come arma tattica per mantanersi corti, a causa di continui errori di coordinazione tra difesa e centrocampo.

L'idea rivoluzionaria del 343 di Gasperini rimane valida, anche con interpreti di questa qualità e capacità. Certamente è mancato il tempo: Gasp non è riuscito in un periodo così limitato a "convincere" davvero la truppa a giocare in un modo differente, non ha avuto la capacità di "entrare sotto pelle", di modificare il pensiero unico conservatore che naturalmente alberga nella testa di ogni calciatore di questi anni, specie di altissimo livello, assolutamente restio a entrare in un nuovo mondo, abbarbicato alle proprie (limitate) certezze. Per questa trattasi di pensiero rivoluzionario quello del Gasp.

Chi ama il calcio, il gioco, non può che essergli grato almeno per il tentativo.

Claudio Ranieri si è da poco insediato e ha promosso immediatamente una restaurazione filosofica, che probabilmente nel medio-breve pagherà dividendi interessanti in termini di risultati.

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