Il Brasile è la terra del calcio. Lo è stato o lo è? Ronaldo e Ronaldinho, quelli veri, quindi non quelli che oggi ci regalano solo sprazzi della loro classe, sono stati i migliori giocatori del Mondo. Oggi, vista anche la fase non felicissima di Kaká, sono Messi e Cristiano Ronaldo a contendersi lo scettro di re. Se consideriamo le competizioni internazionali abbiamo ancora negli occhi il fallimento di Germania 2006, e a livello giovanile i verde-oro non vincono un Mondiale dal lontano 2003, anno in cui si aggiudicarono le rassegne under 20 e under 17. La nazionale di Dunga, dopo un inizio molto stentato ha recuperato quota, si è qualificato per Sudafrica 2010, giocando anche un calcio intelligente e produttivo. Ed è proprio la nazionale dell'ex centrocampista che ha prodotto un'idea di futebol di squadra se non del tutto nuova, certamente maggiormante più strutturata rispetto al passato. Il Brasile che stradominava in campo come nel Mondiale del 1970 è morto al Sarrià per merito di Paolo Rossi e Bearzot. Dopo una fase di ricerca e sperimentazione maldigerita (il “libero” di Lazaroni, episodio paradigmatico) il Brasile è tornato a vincere con CT pragmatici, Carlos Alberto Parreira e Felipão Scolari, che hanno cercato un equilibrio tattico senza limitare totalemnte il talento individuale e hanno battagliato parecchio per costruire un “gruppo” coeso. Il leggero passo indietro voluto sempre da Parreira agli ultimi Mondiali, con una squadra zeppa di superstar, quasi tornando a stilemi che parevano dimenticati per il calcio brasiliano, ma che in realtà rimangono vividi nell'idea di calcio si tanti appassionati nati a Rio De Janeiro e dintorni, è stato un completo fallimento. Dunga ha proceduto a una nuova svolta, che cercherà ancora di smuovere quell'idea di calcio antico a cui però tanti brasiliani pare non vogliano rinunciare. Ma l'ex centrocampista di Pisa e Fiorentina è ancora una mosca bianca nel settore tecnico brasiliano. Guardiamo al futuro, guardiamo ai giovani. I risultati non sono brillanti. Vero che il Brasile comanda a livello continentale ma non può certo accontentarsi di dettare legge in Sudamerica: ai recenti Mondiali under 20 ha raggiunto le finale, perdendola poi ai rigori col Ghana ma giocandola per almeno un'ora con un uomo in più, mostrando molte soffrenze con una rimaneggiatissima Germania e, in semifinale, col Costarica. L'Under 17, nei Mondiali svoltisi in Nigeria è riuscita nell'impresa di non superare nemmeno la prima fase a gironi. Mala tempora currunt, altro che “Ordem e Progresso”, come si legge sulla bandiera verde-oro...
Abbiamo assistito (sconfortati) a una conferenza stampa di Rogerio Lourenço, tecnico della selezione under 20, all'ultimo Mondiale, in Egitto, dove il CT insisteva su come l'avversario che ha avuto di fronte, la Germania, “nonostante il talento a disposizione ha giocato una partita difensiva.” Caricando l'intervento di totale disgusto. Il fatto reale è però che la Germania, pur perdendo, ha messo in estrema difficoltà il Brasile perché ha giocato sì una partita difensiva, ma soprattutto una partita organizzata, ha giocato una gara con intelligenza e con un piano partita definito in cui tutti gli uomini sapevano cosa fare. Ha perso perché il talento medio era almeno di una paio di spanne inferiore e per qualche errore di troppo a livello individuale. Altro punto deprimente: la tipologia di allenamenti del time sudamericano, quasi sempre poco intensi, con la partitella come evento principe oltre a una serie di situazioni su palle inattive. Rogerio Lourenço è un classico allenatore che si incontra nella federazione brasiliana, e che si sposa appieno con l'idea di calcio maggioritaria nel Paese. Possiede certo una cultura tattica superiore a un allenatore brasiliano di qualche lustro fa ma, in generale, la gestione della squadra rimane sempre affidata a comportamenti e modi di pensare e agire datati. Non si chiede a un brasiliano di fare l'europeo, solo di elaborare una metodologia che si sposi col calcio moderno fatto di elevata intensità: Dunga potrà fallire ma in questo senso ha già prodotto qualcosa di nuovo. Molti tecnici federali, invece, no. Forse anche perché non c'è un segnale forte da parte dei vertici, impegnati più a far di conto che pronti a elaborare progettualità.
Sgombriamo il campo da ogni dubbio: il talento giovanile brasiliano è sempre di prim'ordine: è vero che l'Argentina recentemente ha avuto una fase incredibile in cui aveva a disposizione una serie di prospetti favolosi, la “Generazione Messi”, ma ora vive una fase di riflusso e il Brasile è tornato ad avere la migliore argenteria. All'ultimo Mondiale under 20, la migliore cartina al tornasole per giudicare un movimento calcistico, il Brasile ha messo in mostra giocatori come Giuliano (per tanti osservatori il miglior giocatore del torneo), Alex Teixeira, Alan Kardec, Paulo Henrique “Ganso”, Souza, Douglas, Maylson, Diogo, Rafael Toloi, Dalton, Rafael, solo per citare quelli che hanno fatto meglio,e che certamente hanno di fronte un grandissimo futuro. Non basta. Per volontà dei club (e una mancanza di polso della FIFA) non hanno risposto alla convocazione una serie incredibile di talenti, teoricamente in età per disputare la competizione: a cominciare da Pato, passando per Dentinho (Corinthians), Sandro (Internacional), Rafael Carioca (Spartak Mosca), Sidnei (Benfica), Breno (Bayern Monaco), Rafael e Fabio (Manchester United), Renan Oliveira (Atletico Mineiro) e terminando con Neymar, stellina del Santos impegnato con l'under 17. En passant: anche l'under 17 ha fatto una figura pessima al Mondiale di categoria in Nigeria, dove era uno dei favoriti, e anche qui il talento certo non mancava, vedi pure la presenza di Philippe Coutinho, grande speranza del Vasco da Gama già bloccato dell'Inter per una cifra vicina ai 4 milioni di euro, senza dimenticare prospetti interessanti come Gerson (Gremio), Wellington Silva (Fluminense) e Felipinho (Internacional). L'esperimento under 17 pur se esemplificativo e, nei risultati, vergognoso per una squadra come il Brasile, non è del tutto probante proprio per la giovanissima età dei ragazzi, però anche a questo livello, al di là delle considerazioni tattiche, che qui pesano meno, esiste il problema della gestione dei giocatori. Il Brasile è una terra di procuratori, ormai. Grandi società totalmente estranee dal mondo del calcio, stanno investendo pesantemente sul mercato del futebol, finanziando o costituendo agenzie sportive ad hoc con procuratori che non sempre sanno gestire il ragazzo. Togliendogli serenità e rendendolo uno pseudo professionista prima del tempo. Un attimo: non è certamente facile la gestione di un ragazzo che molto spesso, almeno in Brasile, giunge alla notorietà dopo un'infanzia non sempre facile. Non esistono formule sicure e vincenti, quindi nessuno si erge a giudice, moralizzatore o altro: sicuro però è che non sempre il talento diventa quel che può e deve diventare, e oggi è più difficile di ieri gestirsi e gestire un calciatore. Il Brasile, terra di calcio, vive più a fondo queste problematiche. Il talento c'è, è però necessario coltivarlo, bene, con metodo e con un po' di fortuna. La terra rimane florida, quasi magica. Il calcio cambia, il Brasile resta, tocca però adeguarsi.
CARLO PIZZIGONI
Fonte: Guerin Sportivo n.46/09
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