30 giugno 2008
Racing resta in Primera!
Fonte: LA NACION
Di Andrés Prestileo
Más que ganar un partido, Racing, ese capítulo aparte en nuestro fútbol, le puso fin a uno desesperado que duró mucho más que noventa minutos. Lo jugó en estos seis meses, como mínimo, y en los últimos años, si se quiere abarcar mejor un declive que en su historia ya se volvió cíclico. Lo sufrió, en sintonía con su vida de todas estas décadas, en las que el título de 2001, desde la perspectiva de hoy, no sirvió para una refundación deportiva ni institucional.
En esa secuencia, lo visto ayer fue una síntesis fidedigna de la identidad con que la Academia se hizo conocer en todo este tiempo. Su gente lo sabe como nadie y por eso vivió entre el miedo, los nervios insoportables y el alivio final, resignada a una precariedad futbolística que no le daba para imaginar milagros. Para ella, el 1-0 no es más que la caja negra que la condujo al desahogo masivo: sólo cuando la abra analizará los pormenores, pero eso ocurrirá después de que la angustia se le escurra del cuerpo. Todavía deben de quedarle resabios tras una tarde con los nervios de punta.
De las limitaciones ya conocidas en Racing y la tensión que lo atenazó ayer no podía resultar otra cosa que un partido sin gobierno, librado a arbitrariedades. La Academia temía que la superior capacidad que había demostrado en Córdoba sobre Belgrano podía disolverse en un contexto tan volcánico y temeroso como el del Cilindro, y en buena medida eso pasó. Tenía un dilema: jugar sobre las ventajas de aquel empate o hacerlo a un lado y tratar de rematar la serie cuanto antes. No es fácil decir si lo resolvió, porque de entrada la realidad le hizo cuesta arriba llevar el partido según sus planes. Más bien se lo permitió al que menos tenía que perder, Belgrano. Si Racing no salió a llevarse por delante a su rival, a sacarse de encima cuanto antes la carga de tanta mala sangre, es porque este equipo no está para gobernar con tanta naturalidad el curso de un partido.
La jugada que definió la tarde -y el semestre- también fue una viñeta en escala de toda esta pesadilla de la Academia. Llegó apenas después del infarto masivo que provocó una arremetida de Gigli, habilitado por un pelotazo y cuya definición no terminó en gol por muy poco. Racing hizo el suyo en la única jugada que logró articular en todo el partido, si se entiende como tal una sucesión de pases con algún sentido ofensivo. Cuando su gente se recuperaba de aquel sacudón, Maxi Moralez se buscó con Sava, una referencia anímica para sus compañeros, y encontró una pared que lo dejó solo ante Olave. No lo desaprovechó.
No fue más que una ilusión óptica la imagen inmediata, en la que Racing pareció soltarse y volcarse en un ataque sostenido. La tarde le tenía reservados más sofocones. Los del primer tiempo fueron otros tres: un doble cabezazo tras un córner, que Martínez Gullotta salvó con lo justo; otra filtración de Gigli y, la más angustiante, un cabezazo del propio Gigli que hizo dar la pelota en el travesaño y picar sobre la línea. Bonet también tuvo el segundo gol, pero la obnubilación no le dejó ver a Sava libre para definir.
Si el primer tiempo fue tan precario como expresión de fútbol, el segundo no resistiría ni un análisis benévolo. Para Racing, la cuestión era dar guerra como fuera y cada quite era una pequeña batalla ganada, pero la confusión lo ganó de tal forma que no perdonó ni a Matías Sánchez, su mayor reserva futbolística hasta entonces. Para Belgrano, acertar con una pelota alta en el área de la Academia le alcanzaba para sembrar el pánico. Tal vez Belgrano leyó definitivamente su futuro en el blooper de la tarde: un pelotazo propició la confusión entre Martínez Gullotta y Cáceres, y Bustos quedó solo, pero en su atropellada, con el arco libre, se llevó por delante la pelota. Ni siquiera allí la gente de Racing se convenció de que estaba libre de todo cargo; ya padeció bastante como para confiarse antes de tiempo. Sólo se soltó con el hecho casi consumado, como si sus ojos necesitaran ver para creer que de veras dejó atrás el campo minado.
Finale Europeo: Germania - Spagna
Per evitare di concedere il gioco tra le linee agli spagnoli (anche se
l'assenza di Villa è fortemente penalizzante) e limitare la profondità
della giocata, Loew sceglie di impedire il "passaggio d'entrata" dei
centrocampisti, forzando i due centrali di difesa a giocare la palla.
Un'idea ottima, che paga dividendi nei primi minuti di gioco (anche
per la sorpresa degli spagnoli) ma sul lungo periodo i tedeschi, come
è capitato in tutti questi Europei, si disuniscono, non mantengono le
distanze tra i reparti, anzi, peggio, vanno un po' per conto loro con
il povero Frings (uno dei pochi ad avere un QI di football adatto a
questo livello di calcio) impegnato a tenere insieme la baracca,
nonostante le costole incrinate. L'unica arma credibile tedesca, la
transizione condotta sui lati, si vede raramente e col solito difetto
della confusione, il che rianima la Spagna che trova molti più spazi
(chi attacca male, cioè in maniera confusa, è sempre poco equilibrato
nell'attimo in cui perde palla). La Spagna trova il gol che cambia il
match (e forse lo termina proprio): Xavi riesce nella
verticalizzazione, trova Torres nelle praterie che i tedeschi, messi
male, concedono (Metzelder è fuori posizione) ma Lahm commette
un'ingenuità che lo marchierà per parecchio tempo. Da lì,
l'inevitabile scoprirsi della Germania, che deve ringraziare
l'infortunio di Villa, perché il Guaje tutti i gol mancati da Torres
li mette dentro, e sarebbe stata un'umiliazione. Low prova il 442
inserendo Kuranyi (assolutamente fuori condizione): mossa giusta che
qualcosa raccoglie, ma qui viene fuori la povertà tecnica della
squadra. A cominciare da Ballack (infastidito anche dal brutto taglio
al sopracciglio), per proseguire con Podolski, Klose e Schweinsteiger:
nei momenti decisivi sono spariti, tutti. In più, la gestiona dei
calci da fermo, dove la Germania poteva fare davvero male agli
spagnoli, è stata completamente deficitaria. E poi, detta tutta, Iker
non è Ricardo... Lo spagnolo è uscito dalla sua porta appena ne ha
avuto al possibilità, regalando fiducia e sicurezza a sacchi ai
compagni. Titoli di coda e vittoria spagnola.
l'assenza di Villa è fortemente penalizzante) e limitare la profondità
della giocata, Loew sceglie di impedire il "passaggio d'entrata" dei
centrocampisti, forzando i due centrali di difesa a giocare la palla.
Un'idea ottima, che paga dividendi nei primi minuti di gioco (anche
per la sorpresa degli spagnoli) ma sul lungo periodo i tedeschi, come
è capitato in tutti questi Europei, si disuniscono, non mantengono le
distanze tra i reparti, anzi, peggio, vanno un po' per conto loro con
il povero Frings (uno dei pochi ad avere un QI di football adatto a
questo livello di calcio) impegnato a tenere insieme la baracca,
nonostante le costole incrinate. L'unica arma credibile tedesca, la
transizione condotta sui lati, si vede raramente e col solito difetto
della confusione, il che rianima la Spagna che trova molti più spazi
(chi attacca male, cioè in maniera confusa, è sempre poco equilibrato
nell'attimo in cui perde palla). La Spagna trova il gol che cambia il
match (e forse lo termina proprio): Xavi riesce nella
verticalizzazione, trova Torres nelle praterie che i tedeschi, messi
male, concedono (Metzelder è fuori posizione) ma Lahm commette
un'ingenuità che lo marchierà per parecchio tempo. Da lì,
l'inevitabile scoprirsi della Germania, che deve ringraziare
l'infortunio di Villa, perché il Guaje tutti i gol mancati da Torres
li mette dentro, e sarebbe stata un'umiliazione. Low prova il 442
inserendo Kuranyi (assolutamente fuori condizione): mossa giusta che
qualcosa raccoglie, ma qui viene fuori la povertà tecnica della
squadra. A cominciare da Ballack (infastidito anche dal brutto taglio
al sopracciglio), per proseguire con Podolski, Klose e Schweinsteiger:
nei momenti decisivi sono spariti, tutti. In più, la gestiona dei
calci da fermo, dove la Germania poteva fare davvero male agli
spagnoli, è stata completamente deficitaria. E poi, detta tutta, Iker
non è Ricardo... Lo spagnolo è uscito dalla sua porta appena ne ha
avuto al possibilità, regalando fiducia e sicurezza a sacchi ai
compagni. Titoli di coda e vittoria spagnola.
28 giugno 2008
Spagna - Russia
Ecco cosa vuol dire far giocare la Spagna. Insomma, una messaggio bello grosso per chi aveva criticato Donadoni,e che sui giornali di oggi fingono di non vedere. Concedere la zona tra le linee agli spagnoli è stato un suicidio (e c'è stato l'infortunio di Villa, fosse uscito Torres, sarebbe stato un incontro ancora più impari).
D'altronde le letture della linea difensiva russa sono alquanto modeste (il che esalta il lavoro di Hiddink, fin qui, dato il materiale). Guus sceglie giustamente di non attaccare alto col pressing come nei primi venti minuti del match del girone. Fa bene. Il gioco con meno transizioni veloci, però, fa anche perdere il ritmo di gioco ai russi, e nella difesa degli spazi, proprio non ci siamo: gli spagnoli a cui viene spesso negata la profondità trovano praterie e poca attenzione tra le linee ed è ancora peggio, specie con un Fabregas così ispirato (quante facili ricezioni ai 16 metri!)
Mi ha colpito la passività in fasi di pressing di Arshavin e Pavlyuchenko: era fondamentale esercitarla, anche perché la Spagna non ha il doble pivote olandese ed esterni timidi, ma gente che la palla la fa viaggiare (ottima spinta di Sergio Ramos e Capdevilla, in continuo appoggio).
Insomma o li aggredisci o non gli lasci spazio, altrimenti sei morto. Dopo 10 minuti la Spagna aveva impegnato il portiere avversario molte più volte rispetto a tutti i 120 minuti contro gli azzurri...
D'altronde le letture della linea difensiva russa sono alquanto modeste (il che esalta il lavoro di Hiddink, fin qui, dato il materiale). Guus sceglie giustamente di non attaccare alto col pressing come nei primi venti minuti del match del girone. Fa bene. Il gioco con meno transizioni veloci, però, fa anche perdere il ritmo di gioco ai russi, e nella difesa degli spazi, proprio non ci siamo: gli spagnoli a cui viene spesso negata la profondità trovano praterie e poca attenzione tra le linee ed è ancora peggio, specie con un Fabregas così ispirato (quante facili ricezioni ai 16 metri!)
Mi ha colpito la passività in fasi di pressing di Arshavin e Pavlyuchenko: era fondamentale esercitarla, anche perché la Spagna non ha il doble pivote olandese ed esterni timidi, ma gente che la palla la fa viaggiare (ottima spinta di Sergio Ramos e Capdevilla, in continuo appoggio).
Insomma o li aggredisci o non gli lasci spazio, altrimenti sei morto. Dopo 10 minuti la Spagna aveva impegnato il portiere avversario molte più volte rispetto a tutti i 120 minuti contro gli azzurri...
27 giugno 2008
Finale Libertadores. Andata. LDU - Fluminense 4-2
Fonte: Gazzetta.it
I primi 45 minuti della finale di andata di Copa Libertadores risulteranno probabilmente decisivi nel designare l’esito della competizione. Un ottimo avvio della Liga di Quito, ma soprattutto una serie di disattenzioni del Fluminense, potrebbero già aver dirottato verso l’Ecuador il mastodontico trofeo, che entrambe le squadre arrivano a contendersi per la prima volta nella storia dei rispettivi club.
La Liga va in vantaggio sostanzialmente alla prima giocata, cross dalla destra dell’interessante Guerron (già bloccato dagli spagnoli del Getafe per 4 milioni di euro) e bella girata di testa dell’ottimo Bieler, che anticipa di testa un colpevole Thiago Silva e una difesa Tricolor non ancora pronta. Il Flu, forse anche condizionato dall'altura (si è giocato a 2.800 metri sul livello del mare) va nel completo pallone e chiuderà il primo tempo sotto 4-1. Una favolosa punizione di Conca illude i brasiliani - schierati con un 4-2-2-2 di attesa e il solo Cicero a supporto della punta centrale Washington - che pareggiano dopo una decina di minuti. Ma non è proprio aria.
La LDU, davvero una grande sorpresa per la qualità di gioco messa in mostra in questa edizione della Libertadores, domina il match e allarga il vantaggio sul Mense grazie a tre calci da fermi nei quali i pasticci della difesa verde-oro sono evidenti. Il nuovo vantaggio lo trova il solito Guerron, in mischia, gli ultimi due gol degli ecuadoriani sono conseguenza di due calci d’angolo. Il vantaggio della squadra del tecnico argentino Edgardo Bauza è ampiamente meritato, anche perché potrebbe addirittura essere più largo: la sua squadra, che gioca un calcio quasi rigidamente europeo per organizzazione, distanza e equilibrio tra i reparti (ottima la prestazione dei due mediani Urrutia, suo il quarto gol, e del paraguyano Vera), ordine nelle situazioni di gioco, domina la prima parte del match, nel delirio dei 43mila dello stadio Casa Blanca.
Tiene in vita le speranza di recupero degli uomini del tecnico Renato solo un bel gol di testa del talentuoso Thiago Neves a inizio secondo tempo, frazione nella quale però il Flu cerca almeno di giocarsela maggiormente, perde un giocatore chiave in mezzo al campo come Arouca, infortunato, inserisce l’attaccante Dodô per uno spento Washington, e sfiora anche la terza marcatura anche se al 90’ Fernando Henrique, portiere dei brasiliani, potrebbe ancora capitolare su tiro di Urrutia.
L’ex ala destra della Roma intravede qualche speranza per il ritorno, tra una settimana, al Maracanã : "Potevano chiudere il discorso della finale in questa partita dove noi, specie nel primo tempo, non eravamo in campo con la testa. Però il nostro gol nel secondo tempo ci tiene ancora in gioco. Sono fiducioso, anche perché una prima parte come oggi non dovremmo mai più giocarla…"
CARLO PIZZIGONI
LDU: Cevallos; Calle, Norberto Araújo e Campos; Guerrón, Vera, Urrutia, Bolaños, Ambrossi; Manso (Willian Araújo,28 min ST) e Bieler (Delgado,36 min ST).
Técnico: Edgardo Bauza
FLUMINENSE: Fernando Henrique; Gabriel, Luiz Alberto, Thiago Silva e Junior César; Ygor, Arouca (Maurício,21 min ST), Cícero e Conca; Thiago Neves (Roger, 44 min ST) e Washington (Dodô, 26 min ST). Técnico: Renato Gaúcho.
Gol: Bieler aos 2'/1T, Guerrón 28'/1T, Campos 33'/1T e Urrutia 45'/1T (LDU); Conca 11'/1T e Thiago Neves 6'/2T (Fluminense)
Estádio Casa Blanca, Quito (Ecuador)
I primi 45 minuti della finale di andata di Copa Libertadores risulteranno probabilmente decisivi nel designare l’esito della competizione. Un ottimo avvio della Liga di Quito, ma soprattutto una serie di disattenzioni del Fluminense, potrebbero già aver dirottato verso l’Ecuador il mastodontico trofeo, che entrambe le squadre arrivano a contendersi per la prima volta nella storia dei rispettivi club.
La Liga va in vantaggio sostanzialmente alla prima giocata, cross dalla destra dell’interessante Guerron (già bloccato dagli spagnoli del Getafe per 4 milioni di euro) e bella girata di testa dell’ottimo Bieler, che anticipa di testa un colpevole Thiago Silva e una difesa Tricolor non ancora pronta. Il Flu, forse anche condizionato dall'altura (si è giocato a 2.800 metri sul livello del mare) va nel completo pallone e chiuderà il primo tempo sotto 4-1. Una favolosa punizione di Conca illude i brasiliani - schierati con un 4-2-2-2 di attesa e il solo Cicero a supporto della punta centrale Washington - che pareggiano dopo una decina di minuti. Ma non è proprio aria.
La LDU, davvero una grande sorpresa per la qualità di gioco messa in mostra in questa edizione della Libertadores, domina il match e allarga il vantaggio sul Mense grazie a tre calci da fermi nei quali i pasticci della difesa verde-oro sono evidenti. Il nuovo vantaggio lo trova il solito Guerron, in mischia, gli ultimi due gol degli ecuadoriani sono conseguenza di due calci d’angolo. Il vantaggio della squadra del tecnico argentino Edgardo Bauza è ampiamente meritato, anche perché potrebbe addirittura essere più largo: la sua squadra, che gioca un calcio quasi rigidamente europeo per organizzazione, distanza e equilibrio tra i reparti (ottima la prestazione dei due mediani Urrutia, suo il quarto gol, e del paraguyano Vera), ordine nelle situazioni di gioco, domina la prima parte del match, nel delirio dei 43mila dello stadio Casa Blanca.
Tiene in vita le speranza di recupero degli uomini del tecnico Renato solo un bel gol di testa del talentuoso Thiago Neves a inizio secondo tempo, frazione nella quale però il Flu cerca almeno di giocarsela maggiormente, perde un giocatore chiave in mezzo al campo come Arouca, infortunato, inserisce l’attaccante Dodô per uno spento Washington, e sfiora anche la terza marcatura anche se al 90’ Fernando Henrique, portiere dei brasiliani, potrebbe ancora capitolare su tiro di Urrutia.
L’ex ala destra della Roma intravede qualche speranza per il ritorno, tra una settimana, al Maracanã : "Potevano chiudere il discorso della finale in questa partita dove noi, specie nel primo tempo, non eravamo in campo con la testa. Però il nostro gol nel secondo tempo ci tiene ancora in gioco. Sono fiducioso, anche perché una prima parte come oggi non dovremmo mai più giocarla…"
CARLO PIZZIGONI
LDU: Cevallos; Calle, Norberto Araújo e Campos; Guerrón, Vera, Urrutia, Bolaños, Ambrossi; Manso (Willian Araújo,28 min ST) e Bieler (Delgado,36 min ST).
Técnico: Edgardo Bauza
FLUMINENSE: Fernando Henrique; Gabriel, Luiz Alberto, Thiago Silva e Junior César; Ygor, Arouca (Maurício,21 min ST), Cícero e Conca; Thiago Neves (Roger, 44 min ST) e Washington (Dodô, 26 min ST). Técnico: Renato Gaúcho.
Gol: Bieler aos 2'/1T, Guerrón 28'/1T, Campos 33'/1T e Urrutia 45'/1T (LDU); Conca 11'/1T e Thiago Neves 6'/2T (Fluminense)
Estádio Casa Blanca, Quito (Ecuador)
26 giugno 2008
Germania - Turchia
E alla fine... Germania. Un classico. E ora vai coi cliché coi tedeschi che non muoiono mai. Ieri, contro una Turchia dimezzata da infortuni e squalifiche molto pesanti, la Germania ha mostrato i soliti problemi di organizzazione difensiva che si trascina dalla prima partita e che nemmeno il ricorso al doppio mediano ha potuto, in qualche maniera, limitare. Anzi, nel primo tempo, i turchi hanno repso d’inifilata praticamente a ogni affondo la zona centrale del campo: Rolfes, Hitzlsperger e Ballack si muovevano in maniera così disarmonica, facendo sempre trovare senza copertura, che parevano quasi dilettanti. I due esterni del centrocampo a 5, Scwheinsteiger e Podolski, che tanto offrono in situazione di transizione offensiva, non hanno attitudine né metodo nella situazione difensiva.
Insomma, un dominio del 4141 di Terim che organizza anche un pressing ultraoffensivo non proprio rigorosissimo ma portato con un super furore agonistico-atletico che limita la costruzione del gioco tedesco, già di suo non fluida. Tuttavia, un po’ di sfortuna, qualche situazione che poteva essere gestita meglio nei 16 metri dai turchi (ma quando si gioca con la bava alla bocca non si può certe pretendere sempre lucidità) e le ripartenze tedesche, tengono viva la Germania. Paradigmatica l’azione del pareggio, probabilmente l’azione chiave del match insieme all’uscita a vuoto di Rustu che dà il vantaggio ai tedeschi nel secondo tempo, con Podolski che pesca il taglio di Schweinsteiger esattamente come nell’azione vincente contro il Portogallo. Qui, per sovrammercato a chiudere sull’esterno del Bayern, c’è il giovane Mehmet Topal, arretrato sulla linea dietro da Terim per totale mancanza di difensori centrali. I turchi non capitalizzano l’immane lavoro di Altintop (grande il suo match), Kazim e Ugur Boral (autore del gol che sblocca il match) e vanno al riposo col punteggio in parità. Nel secondo tempo, la Germania, lontana dal gestire la partita, riesce però a controllare il ritmo della stessa (importante comunque l’entrata in campo di Frings per l’infortunato Rolfes), anche per l’inevitabile calo atletico dei turchi, reduci anche dal quarto di finale coi croati, terminato dopo 120’. Le situazioni premiano alla fine la Germania, grazie a un gol di Lahm a fine tempo, pessimo per tutta la partita. Fu vera gloria? Pare di sì.
Insomma, un dominio del 4141 di Terim che organizza anche un pressing ultraoffensivo non proprio rigorosissimo ma portato con un super furore agonistico-atletico che limita la costruzione del gioco tedesco, già di suo non fluida. Tuttavia, un po’ di sfortuna, qualche situazione che poteva essere gestita meglio nei 16 metri dai turchi (ma quando si gioca con la bava alla bocca non si può certe pretendere sempre lucidità) e le ripartenze tedesche, tengono viva la Germania. Paradigmatica l’azione del pareggio, probabilmente l’azione chiave del match insieme all’uscita a vuoto di Rustu che dà il vantaggio ai tedeschi nel secondo tempo, con Podolski che pesca il taglio di Schweinsteiger esattamente come nell’azione vincente contro il Portogallo. Qui, per sovrammercato a chiudere sull’esterno del Bayern, c’è il giovane Mehmet Topal, arretrato sulla linea dietro da Terim per totale mancanza di difensori centrali. I turchi non capitalizzano l’immane lavoro di Altintop (grande il suo match), Kazim e Ugur Boral (autore del gol che sblocca il match) e vanno al riposo col punteggio in parità. Nel secondo tempo, la Germania, lontana dal gestire la partita, riesce però a controllare il ritmo della stessa (importante comunque l’entrata in campo di Frings per l’infortunato Rolfes), anche per l’inevitabile calo atletico dei turchi, reduci anche dal quarto di finale coi croati, terminato dopo 120’. Le situazioni premiano alla fine la Germania, grazie a un gol di Lahm a fine tempo, pessimo per tutta la partita. Fu vera gloria? Pare di sì.
Belgrano - Racing Avellaneda 1-1
La Academia, dopo aver condotto la gara, si fa raggiungere sull'1-1 per una erroracci odi Caceres, nello spareggio di Promocion che permeterebbe al Racing di rimanere nella massima serie argentina. Nel ritorno con un pareggio se la può cavare. A seguire la cronaca de LA NACION
Los momentos cruciales exigen determinación, bravura, pese a que las emociones suelen transformarse en traicioneros consejeros. Sobre todo en el caso de Racing, que, aunque maltrecho, no genera sentimientos neutros en su desvelo por la permanencia. Que no se dude: los factores externos también tienen su buena incidencia en esta clase de definiciones. Tal vez por eso la Academia ni siquiera puede aferrarse a una tabla de salvación cuando las situaciones parecen tan favorables. Si hasta anoche la fortuna le torció la cara en un claro gesto de desprecio. Racing tuvo servida la victoria -holgada, incluso-, pero otra vez un error de Cáceres lo dejó amargado con un 1 a 1 tan injusto como sufrido.
No pudieron abstraerse de la abrasadora actualidad. La pelota estuvo siempre en medio de un remolino. Y la diferencia de ímpetu y ambiciones se volvió evidente. Dominó la Academia, a la que el transcurso de los minutos le clarificó las ideas en busca de la permanencia. Belgrano, un conjunto conceptualmente preparado para defenderse, hizo agua y se perdió entre los reproches de sus mismos hinchas por la casi nula actitud ofensiva.
El equipo de Avellaneda dejó la ventaja deportiva sólo como un argumento en caso de emergencia. No especuló. Le costó poco acomodarse y siempre se fijó en la valla cordobesa. Belgrano salió demasiado replegado. Los intentos de Racing lo acorralaron más. Sólo le quedó una corrida de Suárez, en una jugada en la que acertó el árbitro Baldassi, ya que Martínez Gullota no le cometió infracción, pese a los furiosos reclamos. Después no tuvo más situaciones de peligro.
La conquista de Sava actuó como un eficaz relajante, en el sentido más positivo. Sosa levantó la vista y vio al goleador, que bajó la pelota con el pecho y que definió alto. Belgrano entró en un descontrol que se entremezcló con una excesiva vehemencia. Las piernas fuertes se volvieron habituales e incluso se vieron algunos manotazos en los córners.
Los visitantes estuvieron a punto de escaparse en el resultado. Fue cuando Sánchez eludió a Olave y Turús salvó en la línea; a pocos metros del arco, Avalos dos veces se perdió el gol frente a la muralla que ya tenía Belgrano delante del arco. Tampoco tuvieron fortuna con un zapatazo de Shaffer que pegó en el travesaño; en el rebote, de cabeza, no pudo Sava. En el análisis más puntual, la superioridad se topó con interrogantes: ¿la diferencia de categoría se volvió tan nítida? o, simplemente, ¿Racing se decidió por lo que no había durante las 19 fechas del Clausura? Nadie podrá afirmarlo con total certeza.
Cada movimiento se estudió con minuciosidad. Belgrano se cerró algo mejor. Racing perdió cierta claridad, aunque nunca se le cayó el bastón de mando. La fricción creció: debió haberse ido expulsado Chatruc por una violenta falta a Turús. Hasta que, igual que contra Colón, Cáceres se equivoco: intentó una salida larga que pegó en García; el rebote fue para Gigli y, con él, la Academia cayó en desgracia, tras la serena definición del atacante. Para colmo, un tiro rasante de Caballero pegó en el palo. Se ve: la Academia anda por un lado y, socarronamente, la suerte lo mira en la vereda de enfrente.
5 son los goles que Facundo Sava anotó en Racing en 2008; entre el Clausura y la Promoción, la Academia convirtió 15 tantos, tres de los cuales fueron en contra.
Por Diego Morini
Los momentos cruciales exigen determinación, bravura, pese a que las emociones suelen transformarse en traicioneros consejeros. Sobre todo en el caso de Racing, que, aunque maltrecho, no genera sentimientos neutros en su desvelo por la permanencia. Que no se dude: los factores externos también tienen su buena incidencia en esta clase de definiciones. Tal vez por eso la Academia ni siquiera puede aferrarse a una tabla de salvación cuando las situaciones parecen tan favorables. Si hasta anoche la fortuna le torció la cara en un claro gesto de desprecio. Racing tuvo servida la victoria -holgada, incluso-, pero otra vez un error de Cáceres lo dejó amargado con un 1 a 1 tan injusto como sufrido.
No pudieron abstraerse de la abrasadora actualidad. La pelota estuvo siempre en medio de un remolino. Y la diferencia de ímpetu y ambiciones se volvió evidente. Dominó la Academia, a la que el transcurso de los minutos le clarificó las ideas en busca de la permanencia. Belgrano, un conjunto conceptualmente preparado para defenderse, hizo agua y se perdió entre los reproches de sus mismos hinchas por la casi nula actitud ofensiva.
El equipo de Avellaneda dejó la ventaja deportiva sólo como un argumento en caso de emergencia. No especuló. Le costó poco acomodarse y siempre se fijó en la valla cordobesa. Belgrano salió demasiado replegado. Los intentos de Racing lo acorralaron más. Sólo le quedó una corrida de Suárez, en una jugada en la que acertó el árbitro Baldassi, ya que Martínez Gullota no le cometió infracción, pese a los furiosos reclamos. Después no tuvo más situaciones de peligro.
La conquista de Sava actuó como un eficaz relajante, en el sentido más positivo. Sosa levantó la vista y vio al goleador, que bajó la pelota con el pecho y que definió alto. Belgrano entró en un descontrol que se entremezcló con una excesiva vehemencia. Las piernas fuertes se volvieron habituales e incluso se vieron algunos manotazos en los córners.
Los visitantes estuvieron a punto de escaparse en el resultado. Fue cuando Sánchez eludió a Olave y Turús salvó en la línea; a pocos metros del arco, Avalos dos veces se perdió el gol frente a la muralla que ya tenía Belgrano delante del arco. Tampoco tuvieron fortuna con un zapatazo de Shaffer que pegó en el travesaño; en el rebote, de cabeza, no pudo Sava. En el análisis más puntual, la superioridad se topó con interrogantes: ¿la diferencia de categoría se volvió tan nítida? o, simplemente, ¿Racing se decidió por lo que no había durante las 19 fechas del Clausura? Nadie podrá afirmarlo con total certeza.
Cada movimiento se estudió con minuciosidad. Belgrano se cerró algo mejor. Racing perdió cierta claridad, aunque nunca se le cayó el bastón de mando. La fricción creció: debió haberse ido expulsado Chatruc por una violenta falta a Turús. Hasta que, igual que contra Colón, Cáceres se equivoco: intentó una salida larga que pegó en García; el rebote fue para Gigli y, con él, la Academia cayó en desgracia, tras la serena definición del atacante. Para colmo, un tiro rasante de Caballero pegó en el palo. Se ve: la Academia anda por un lado y, socarronamente, la suerte lo mira en la vereda de enfrente.
5 son los goles que Facundo Sava anotó en Racing en 2008; entre el Clausura y la Promoción, la Academia convirtió 15 tantos, tres de los cuales fueron en contra.
Por Diego Morini
24 giugno 2008
Racing, in attesa della Promoción
Con la sconfitta, immeritata, di Santa Fé, il Racing è costretto allo spareggio con il Belgrano (dove allena Mario Gomez, ex assistente di Hector Cuper anche all'Inter) per rimanere nella massima serie argentina.
Di seguito il reportage del Clarin sui giorni della vigilia del match di Cordoba.
Di Oscar Barnade
Fonte: Clarin
Comenzó la cuenta regresiva para Racing. La Promoción es una realidad. Quedan por delante dos partidos. Los 180 minutos más eternos de los últimos años. Están jugados. No hay descanso para nadie. El técnico Juan Manuel Llop concentró al plantel desde y hasta el domingo. Mientras define cuál es el mejor equipo para enfrentar mañana a Belgrano en el estadio Olímpico. A 48 horas del primer partido clave, el equipo no está confirmado.
Hace frío en el campo de la Universidad Austral en Pilar. Como la semana anterior, cuerpo técnico y plantel están solos. No hay un sólo dirigente. De fondo una bandera, una sola que es la bandera de muchos: "Fuerza muchachos. Pilar". Detrás, un par de hinchas, vecinos del lugar, con la camiseta de Racing. Los jugadores advierten el mensaje. Por eso el ánimo no decae. Hay bronca, es cierto, porque íntimamente saben que así como el equipo jugó en el segundo tiempo ante Colón, así se pudo evitar una semana más de angustia. Pero no se logró. "Se jugó bien. Hicimos bien las cosas. No nos podemos reprochar eso. Podemos reprocharnos que perdimos, que no pudimos evitar la Promoción". La voz del entrenador es la voz del grupo. "El microclima es bueno", dice y se advierte. Entrada en calor, ejercicios y en el final hubo un mini partido entre los jugadores. A un costado, los arqueros trabajaban aparte. "El plantel está bien anímicamente", afirma Llop. Otro integrante del cuerpo técnico, más en confian za, asegura que hubo algunos jugadores, los más jóvenes, que lloraron en el vestuario tras la derrota pero que con el correr de las horas recobraron fuerzas.
"Hoy, por suerte, están fenómenos", cuenta.
El equipo no está definido, pero no habría muchos cambios. La primera pista la da el mismo Llop: "Se jugó un gran partido el otro día. Mañana (por hoy) vamos a trabajar algunas cositas. En principio, hay un cambio obligado: Mercado por Menghi. Después, veremos". La segunda opción que baraja el entrenador sería el aporte de mayor experiencia en el equipo con el ingreso de Chatruc por Bonet en el medio y del Chanchi Maximiliano Estévez, más retrasado, por el paraguayo Avalos. Aunque no está muy convencido: "Sava es grande y también lo es Avalos. Ellos aportan experiencia. Y el mediocampo jugó un gran partido ante Colón". Con una carta en cada mano, Chocho definirá, después del entrenamiento matutino y a puertas cerradas de hoy en Pilar, cuál de las dos es la que más lo convence. Aunque en la charla haya dejado pispear cuál carta le gusta más: "No creo que vayamos a cambiar".
"Vamos a hacer lo humanamente posible para que Racing siga en Primera", dice Llop como una declaración de principios. Pero se lamenta por las piedras en el camino: "No me pasó en mis años de jugador ni de entrenador. Nunca estuve en un club al que le cuesten tanto las cosas". Y refiere a la última desgracia: "El otro día, en un pequeño movimiento, Navia se rompió el menisco". Pero enseguida mira para adelante y piensa en el partido de mañana con Belgrano: "La diferencia hay que marcarla ahora, sin confiarnos con que enfrentamos a un equipo de segunda categoría ni que tenemos ventaja deportiva
Di seguito il reportage del Clarin sui giorni della vigilia del match di Cordoba.
Di Oscar Barnade
Fonte: Clarin
Comenzó la cuenta regresiva para Racing. La Promoción es una realidad. Quedan por delante dos partidos. Los 180 minutos más eternos de los últimos años. Están jugados. No hay descanso para nadie. El técnico Juan Manuel Llop concentró al plantel desde y hasta el domingo. Mientras define cuál es el mejor equipo para enfrentar mañana a Belgrano en el estadio Olímpico. A 48 horas del primer partido clave, el equipo no está confirmado.
Hace frío en el campo de la Universidad Austral en Pilar. Como la semana anterior, cuerpo técnico y plantel están solos. No hay un sólo dirigente. De fondo una bandera, una sola que es la bandera de muchos: "Fuerza muchachos. Pilar". Detrás, un par de hinchas, vecinos del lugar, con la camiseta de Racing. Los jugadores advierten el mensaje. Por eso el ánimo no decae. Hay bronca, es cierto, porque íntimamente saben que así como el equipo jugó en el segundo tiempo ante Colón, así se pudo evitar una semana más de angustia. Pero no se logró. "Se jugó bien. Hicimos bien las cosas. No nos podemos reprochar eso. Podemos reprocharnos que perdimos, que no pudimos evitar la Promoción". La voz del entrenador es la voz del grupo. "El microclima es bueno", dice y se advierte. Entrada en calor, ejercicios y en el final hubo un mini partido entre los jugadores. A un costado, los arqueros trabajaban aparte. "El plantel está bien anímicamente", afirma Llop. Otro integrante del cuerpo técnico, más en confian za, asegura que hubo algunos jugadores, los más jóvenes, que lloraron en el vestuario tras la derrota pero que con el correr de las horas recobraron fuerzas.
"Hoy, por suerte, están fenómenos", cuenta.
El equipo no está definido, pero no habría muchos cambios. La primera pista la da el mismo Llop: "Se jugó un gran partido el otro día. Mañana (por hoy) vamos a trabajar algunas cositas. En principio, hay un cambio obligado: Mercado por Menghi. Después, veremos". La segunda opción que baraja el entrenador sería el aporte de mayor experiencia en el equipo con el ingreso de Chatruc por Bonet en el medio y del Chanchi Maximiliano Estévez, más retrasado, por el paraguayo Avalos. Aunque no está muy convencido: "Sava es grande y también lo es Avalos. Ellos aportan experiencia. Y el mediocampo jugó un gran partido ante Colón". Con una carta en cada mano, Chocho definirá, después del entrenamiento matutino y a puertas cerradas de hoy en Pilar, cuál de las dos es la que más lo convence. Aunque en la charla haya dejado pispear cuál carta le gusta más: "No creo que vayamos a cambiar".
"Vamos a hacer lo humanamente posible para que Racing siga en Primera", dice Llop como una declaración de principios. Pero se lamenta por las piedras en el camino: "No me pasó en mis años de jugador ni de entrenador. Nunca estuve en un club al que le cuesten tanto las cosas". Y refiere a la última desgracia: "El otro día, en un pequeño movimiento, Navia se rompió el menisco". Pero enseguida mira para adelante y piensa en el partido de mañana con Belgrano: "La diferencia hay que marcarla ahora, sin confiarnos con que enfrentamos a un equipo de segunda categoría ni que tenemos ventaja deportiva
23 giugno 2008
Spagna - Italia
Partita piuttosto equilibrata, mi pare. A me l'Italia non è per
niente dispiaciuta, qui la questione non è di osare o di non osare.
Non si dovevano permettere le giocate tra le linee degli spagnoli, e
l'abbiamo fatto (favoloso Chiellini, e questo doveva essere sbolognato
al Manchester City?), costringendoli a tiri da fuori. Torres e Villa
sono stati costretti lontano dalla porta, molto spesso sugli esterni;
ah, tutto ciò mentre la Spagna non utilizzava mai, dico mai, i terzini
( e questa è la squadra offensiva? Qualcuno mi spieghi il motivo di
quest'etichetta).
Qualche tiro da fuori alla Spagna si può concedere, mi pare, specie se
giunto dopo azioni individuali (ottimo Silva). La Spagna non ha
sistema, ma una serie di uno contro uno, o qualche combinazione
elementare: se gli levi lo spazio tra le linee non sanno cambiare
gioco con velocità e metodo. Il problema è che, mantenendo la densità per ostruire le giocate
tra le linee, si doveva ribaltare velocemente: i centrocampisti, oggi,
non hanno gamba, c'è poco da fare (e Perrotta è stato per l'ennesima
volta deludente: è un giocatore molto istintivo, ma mi pare non "veda"
molto calcio, manca di interpretazione nelle situazioni). Cassano e
Toni ci concedevano la profondità: a dirla tutta, più Cassano (la
giocata che ha innescato il colpo di testa di Toni doveva essere
ripetuta), cercato con una certa insistenza da De Rossi. Però, questo
gioco verticale manca di un interprete principe: Pirlo. Toni, che fino
a qui non mi era dispiaciuto, si sarà anche battuto ma non può perdere
sistematicamente i duelli individuali con Marchena e Puyol. In tutto
ciò fenomenale Casillas, il fuoriclasse che ha indirizzato la partita,
le parate su Camoranesi e quella su Di Natale (doti atletiche, istinto
e tecnica) hanno tenuto in piedi la Spagna: coi rigori ha completato
l'opera.
niente dispiaciuta, qui la questione non è di osare o di non osare.
Non si dovevano permettere le giocate tra le linee degli spagnoli, e
l'abbiamo fatto (favoloso Chiellini, e questo doveva essere sbolognato
al Manchester City?), costringendoli a tiri da fuori. Torres e Villa
sono stati costretti lontano dalla porta, molto spesso sugli esterni;
ah, tutto ciò mentre la Spagna non utilizzava mai, dico mai, i terzini
( e questa è la squadra offensiva? Qualcuno mi spieghi il motivo di
quest'etichetta).
Qualche tiro da fuori alla Spagna si può concedere, mi pare, specie se
giunto dopo azioni individuali (ottimo Silva). La Spagna non ha
sistema, ma una serie di uno contro uno, o qualche combinazione
elementare: se gli levi lo spazio tra le linee non sanno cambiare
gioco con velocità e metodo. Il problema è che, mantenendo la densità per ostruire le giocate
tra le linee, si doveva ribaltare velocemente: i centrocampisti, oggi,
non hanno gamba, c'è poco da fare (e Perrotta è stato per l'ennesima
volta deludente: è un giocatore molto istintivo, ma mi pare non "veda"
molto calcio, manca di interpretazione nelle situazioni). Cassano e
Toni ci concedevano la profondità: a dirla tutta, più Cassano (la
giocata che ha innescato il colpo di testa di Toni doveva essere
ripetuta), cercato con una certa insistenza da De Rossi. Però, questo
gioco verticale manca di un interprete principe: Pirlo. Toni, che fino
a qui non mi era dispiaciuto, si sarà anche battuto ma non può perdere
sistematicamente i duelli individuali con Marchena e Puyol. In tutto
ciò fenomenale Casillas, il fuoriclasse che ha indirizzato la partita,
le parate su Camoranesi e quella su Di Natale (doti atletiche, istinto
e tecnica) hanno tenuto in piedi la Spagna: coi rigori ha completato
l'opera.
21 giugno 2008
Croazia - Turchia
Di una partita decisa a i rigori dopo che il punteggio è cambiato al 119' e al 122' si può parlare. Meglio, molto meglio le immagini che restituiscono incredibili emozioni. Proviamo a buttare giù un paio di appunti sulla squadra vincente:
Io non ho trovato così male la Turchia. Certo, la Croazia è probabilmente più lineare, però la partita ha avuto momenti di inerzia alternata, quindi equilibrio, rispecchiato anche dal risultato (al netto di un rigore non fischiato ai turchi da Rosetti). I difetti dei turchi mi sembrano chiari, fin dalla prima partia (e oltre: io ho visto anche la gara con la Finlandia, con Altintop a metacampo e Sabri terzino esattamente come ieri): difficoltà all'inizio dell'azione, soprattutto a difesa schierata e fase di transizione difensiva pessima, non ferma la palla e lascia continua parità numerica (e negli uno contro uno non è che possiede giocatori di caratura elevata). Però davanti, non siamo messi male. Trovo corretto prima che affascinante l'accostamento fatto in questi giorni tra Terim e Piontek, in riferimento alla sua Danimarca del 1986, quella dei Laudrup, degli Elkjaer, dei Lerby e dei Jesper Olsen: specie per la fase offensiva. Naturalmente i giocatori sono diversi, ma lo spirito di appoggi, sponde,movimenti senza palla, ricerca dell'uno-due, può starci. D'altronde Tuncay, Nihat, Altintop, Arda (a me sorprendono in positivo le sue letture e la sua capacità di cercarsi lo spazio; sull'1 vs 1 vedasi europeo under 19 di un paio d'anni fa) riescono a effettuare giocate di qualità negli spazi creati. Poi credo sia una delle migliori squadre viste quest'anno all'Europeo che ribaltano il lato.
Terim ci mette poil suo carisma, la sua cultura, calcistica e non, ed è
venuto fuori un bel personaggio che molto ha dato al calcio turco.
Oggi, l'impresa. In Terim noto tra l'altro una grande fiducia nei giovani e giovanissimi: a parte Arda (1987), c'è Kazim (1986), Topal (1986, oggi titolare al posto di Mehmet Aurelio, il turco di Ipanema, ma proposto anche nella formula coi due mediani), Erdinç (1987), tutti lanciati senza problemi.
Io non ho trovato così male la Turchia. Certo, la Croazia è probabilmente più lineare, però la partita ha avuto momenti di inerzia alternata, quindi equilibrio, rispecchiato anche dal risultato (al netto di un rigore non fischiato ai turchi da Rosetti). I difetti dei turchi mi sembrano chiari, fin dalla prima partia (e oltre: io ho visto anche la gara con la Finlandia, con Altintop a metacampo e Sabri terzino esattamente come ieri): difficoltà all'inizio dell'azione, soprattutto a difesa schierata e fase di transizione difensiva pessima, non ferma la palla e lascia continua parità numerica (e negli uno contro uno non è che possiede giocatori di caratura elevata). Però davanti, non siamo messi male. Trovo corretto prima che affascinante l'accostamento fatto in questi giorni tra Terim e Piontek, in riferimento alla sua Danimarca del 1986, quella dei Laudrup, degli Elkjaer, dei Lerby e dei Jesper Olsen: specie per la fase offensiva. Naturalmente i giocatori sono diversi, ma lo spirito di appoggi, sponde,movimenti senza palla, ricerca dell'uno-due, può starci. D'altronde Tuncay, Nihat, Altintop, Arda (a me sorprendono in positivo le sue letture e la sua capacità di cercarsi lo spazio; sull'1 vs 1 vedasi europeo under 19 di un paio d'anni fa) riescono a effettuare giocate di qualità negli spazi creati. Poi credo sia una delle migliori squadre viste quest'anno all'Europeo che ribaltano il lato.
Terim ci mette poil suo carisma, la sua cultura, calcistica e non, ed è
venuto fuori un bel personaggio che molto ha dato al calcio turco.
Oggi, l'impresa. In Terim noto tra l'altro una grande fiducia nei giovani e giovanissimi: a parte Arda (1987), c'è Kazim (1986), Topal (1986, oggi titolare al posto di Mehmet Aurelio, il turco di Ipanema, ma proposto anche nella formula coi due mediani), Erdinç (1987), tutti lanciati senza problemi.
19 giugno 2008
Portogallo - Germania
PREVIEW
Portogallo - Germania
Probabile la Germania abbandoni il campo al Portogallo. Finora ha condotto il ritmo, ma è difficile impossibile che prevalga nel possesso.
Difensivamente il Portogallo cercherà di mantenere la superiorità nella zona centrale, forzando i tedeschi sui lati. Questo perché la Germania tenta di mantenere i suoi giocatori e le giocate decisive tra le linee.
Come attaccano i tedeschi? Uno degli attaccanti (probabile la coppia Klose - Podolski con Gomez escluso: finora l'ha vista poco il centravanti dello Stoccarda)si abbassa per creare un appoggio. L'esterno sinistro (se gioca: Schweinsteiger), lascia la fascia per assalire la zona interna. Anche Ballack attacca verticalmente la zona centrale
Lì ha vinto la Croazia: Kovac, sgravato nel 4141 da continui supporti offensivi,è sempre andato in pressione sul giocatore che prendeva la zona tra le linee, senza però
seguirlo nei tagli profondi. Così deve fare il centrale portoghese Petit. Sto anche pensando, come suggeriscono alcuni siti portoghesi, che Scolari potrebbe mettere dall'inizio o a partita in corso un centrale di centrocampo più fisico e stanziale come Fernando Meira, centrale difensivo ma più volte provato in questo
ruolo). I centrali di difesa Pepe e Carvalho non devono concedere lo spazio davanti a loro, continuando ad accorciare. Sempre come fece la Croazia con l'unica punta, l'ottimo Olic, Nuno Gomes non deve andare troppo profondo ma dare fastidio a Frings in mezzo, a cavallo della linea di metacampo.
La zona centrale sarà importante anche per la fase di attacco del Portogallo. Un attaccante tedesco cercherà di aiutare sicuramente Ballack e Frings, ma i lusitani han tanti giocatori che possono giocare sulla fasce ( in più uno come Deco, che gioca gli spazi), portando fuori posizione i centrali e creando situazioni di disequilibrio favorevoli(anche col movimento di Nuno Gomes). Il Portogallo, inoltre, deve far pagare
alla Germania ogni sovrapposizione di Lahm, appena possibile ribaltare l'azione nella zona che il terzino del Bayern ha lasciato sguarnita per spingersi in avanti.
LA PARTITA
La Germania va avanti e, al di là, dell'errore dell'arbitro che non vede una chiara irregolarità nel terzo gol (spinta di Ballack su Paulo Ferreira prima del colpo di testa vincente), anche con merito. Il Portogallo torna nell'abisso dell'era Pre-Scolari: si riscopre immatura, rispolvera l'etichetta peggiore che il calcio lusitano ha mantenuto per tanto tempo: "tanto rumore per nulla". Eppure è ingiusto liquidare l'Europeo dei portoghesi in questo modo, ed è anche un peccato che Deco, miglior giocatore della manifestazione, fin qui, debba tornare a casa (fantastica la sua apertura che spezza in due la difesa tedesca nel gol dell'1-2).
Complimenti però a Loew, sorprende con un 4231 (con Rolfes e Hizlsperger in mediana poco dietro Ballack, ad occuparsi dgli inserimenti di Deco e Joao Moutinho) molto attento e per i primi 20 minuti i portoghesi ci capiscono veramente poco. Il tecnico tedesco vuole levare la centralità e l'efficacia del possesso palla portoghese.
Anzi, fa di più: si prende l'inerzia della partita e costringe i portoghesi a rincorrere. Tuttavia la capacità di Joao Moutinho e di Deco di giocare negli spazi liberi e la volontà dei mediani tedeschi di non andare fuori zona, riconsegna la partita ai portoghesi, che sfiorano il gol ma... gettano le basi per il gol tedesco: il movimento di Ballack e Klose leva Petit e Pepe dalle zone delle operaziioni lasciando il solo Bosingwa in copertura su Podolski, che compie una bella giocata sulla sinistra. Forse anche un non precisissima posizione di Ricardo Carvalho ma soprattutto un'errore in chiusura sul lato debole di Paulo Ferreira, che non crede alla percussione del polacco e si lascia sfuggire Schweinsteiger (anticipo sul primo palo), muove il punteggio. A segnare la partita concorrono però l'infortunio di Joao Moutinho (surrogato da Raul Meireles, buono il suo match) e un calcio di punizione frontale con la solita indecisione di Ricardo e una difesa a zona che non convince proprio: gol del 2-0 di Klose.
Il Portogallo prova il 442, la Germania fatica tremendamente a controllare le combinazioni in velocità unite ai movimenti senza palla dei lusitani, ma il gol che accorcia le distanze non viene bissato. Errori di imprecisione, fretta, insicurezza: tutto crolla addosso ai portoghesi che prospettavano un'altra aprtita e no riescono a reagire, in primis Cristiano Ronaldo che regala solo accelerazioni. Poi la furbata di Klose e il gol di Helder Postiga che regala qualche minuto di speranza, ma la serata non è quella giusta.
A questi livelli, i dettagli contano, i portoghesi si sono messi nella posizione di farli diventare decisivi quindi, dopo i peana del primo turno, arrivano le pernacchie. Funziona così.
Carlo Pizzigoni
Portogallo - Germania
Probabile la Germania abbandoni il campo al Portogallo. Finora ha condotto il ritmo, ma è difficile impossibile che prevalga nel possesso.
Difensivamente il Portogallo cercherà di mantenere la superiorità nella zona centrale, forzando i tedeschi sui lati. Questo perché la Germania tenta di mantenere i suoi giocatori e le giocate decisive tra le linee.
Come attaccano i tedeschi? Uno degli attaccanti (probabile la coppia Klose - Podolski con Gomez escluso: finora l'ha vista poco il centravanti dello Stoccarda)si abbassa per creare un appoggio. L'esterno sinistro (se gioca: Schweinsteiger), lascia la fascia per assalire la zona interna. Anche Ballack attacca verticalmente la zona centrale
Lì ha vinto la Croazia: Kovac, sgravato nel 4141 da continui supporti offensivi,è sempre andato in pressione sul giocatore che prendeva la zona tra le linee, senza però
seguirlo nei tagli profondi. Così deve fare il centrale portoghese Petit. Sto anche pensando, come suggeriscono alcuni siti portoghesi, che Scolari potrebbe mettere dall'inizio o a partita in corso un centrale di centrocampo più fisico e stanziale come Fernando Meira, centrale difensivo ma più volte provato in questo
ruolo). I centrali di difesa Pepe e Carvalho non devono concedere lo spazio davanti a loro, continuando ad accorciare. Sempre come fece la Croazia con l'unica punta, l'ottimo Olic, Nuno Gomes non deve andare troppo profondo ma dare fastidio a Frings in mezzo, a cavallo della linea di metacampo.
La zona centrale sarà importante anche per la fase di attacco del Portogallo. Un attaccante tedesco cercherà di aiutare sicuramente Ballack e Frings, ma i lusitani han tanti giocatori che possono giocare sulla fasce ( in più uno come Deco, che gioca gli spazi), portando fuori posizione i centrali e creando situazioni di disequilibrio favorevoli(anche col movimento di Nuno Gomes). Il Portogallo, inoltre, deve far pagare
alla Germania ogni sovrapposizione di Lahm, appena possibile ribaltare l'azione nella zona che il terzino del Bayern ha lasciato sguarnita per spingersi in avanti.
LA PARTITA
La Germania va avanti e, al di là, dell'errore dell'arbitro che non vede una chiara irregolarità nel terzo gol (spinta di Ballack su Paulo Ferreira prima del colpo di testa vincente), anche con merito. Il Portogallo torna nell'abisso dell'era Pre-Scolari: si riscopre immatura, rispolvera l'etichetta peggiore che il calcio lusitano ha mantenuto per tanto tempo: "tanto rumore per nulla". Eppure è ingiusto liquidare l'Europeo dei portoghesi in questo modo, ed è anche un peccato che Deco, miglior giocatore della manifestazione, fin qui, debba tornare a casa (fantastica la sua apertura che spezza in due la difesa tedesca nel gol dell'1-2).
Complimenti però a Loew, sorprende con un 4231 (con Rolfes e Hizlsperger in mediana poco dietro Ballack, ad occuparsi dgli inserimenti di Deco e Joao Moutinho) molto attento e per i primi 20 minuti i portoghesi ci capiscono veramente poco. Il tecnico tedesco vuole levare la centralità e l'efficacia del possesso palla portoghese.
Anzi, fa di più: si prende l'inerzia della partita e costringe i portoghesi a rincorrere. Tuttavia la capacità di Joao Moutinho e di Deco di giocare negli spazi liberi e la volontà dei mediani tedeschi di non andare fuori zona, riconsegna la partita ai portoghesi, che sfiorano il gol ma... gettano le basi per il gol tedesco: il movimento di Ballack e Klose leva Petit e Pepe dalle zone delle operaziioni lasciando il solo Bosingwa in copertura su Podolski, che compie una bella giocata sulla sinistra. Forse anche un non precisissima posizione di Ricardo Carvalho ma soprattutto un'errore in chiusura sul lato debole di Paulo Ferreira, che non crede alla percussione del polacco e si lascia sfuggire Schweinsteiger (anticipo sul primo palo), muove il punteggio. A segnare la partita concorrono però l'infortunio di Joao Moutinho (surrogato da Raul Meireles, buono il suo match) e un calcio di punizione frontale con la solita indecisione di Ricardo e una difesa a zona che non convince proprio: gol del 2-0 di Klose.
Il Portogallo prova il 442, la Germania fatica tremendamente a controllare le combinazioni in velocità unite ai movimenti senza palla dei lusitani, ma il gol che accorcia le distanze non viene bissato. Errori di imprecisione, fretta, insicurezza: tutto crolla addosso ai portoghesi che prospettavano un'altra aprtita e no riescono a reagire, in primis Cristiano Ronaldo che regala solo accelerazioni. Poi la furbata di Klose e il gol di Helder Postiga che regala qualche minuto di speranza, ma la serata non è quella giusta.
A questi livelli, i dettagli contano, i portoghesi si sono messi nella posizione di farli diventare decisivi quindi, dopo i peana del primo turno, arrivano le pernacchie. Funziona così.
Carlo Pizzigoni
13 giugno 2008
Mondo Azzurro
Inizio questa settimana la collaborazione con il sito portoghese "Finta e Remata". Mi occuperò (per una volta...) di calcio italiano con una rubrica settimanale.
Per chi desidera farci una visita:
http://www.fintaeremata.com/
Per chi desidera farci una visita:
http://www.fintaeremata.com/
10 giugno 2008
Donadoni e un silenzio che disturba
Di Marcello Ierace
Fonte: Giornale del Popolo - Lugano
Davvero curiosa la sorte di Roberto Donadoni. Un piccolo siparietto per rendere l’idea. Un gruppo di giornalisti assiepati davanti ad un televisore stanno cercando di ascoltare la conferenza stampa del ct azzurro. Un altro, più in là, inizia a fare il “caciarone” e si becca, giustamente, una serie di “ssssst”. Lui, per tutta risposta, molla lì un «Ma che lo stai senti’ a fare quello lì». Ci si aspetterebbe lo sdegno dei colleghi e, invece, questi si rendono conto di aver violato una sorta di patto non scritto e si allontanano dal televisore e spengono i microfoni. Ecco, questo è il simpatico clima che vive attorno al tecnico bergamasco. Uno che ha, come sua unica, vera colpa, quella di essere un antidivo. Uno che sta male sotto riflettori, uno che non “tira”, che non fa audience. Un uomo schivo, oggi come ieri. Anche quando giocava, alternava genio e talento (in campo) a grandi silenzi ed estrema riservatezza (fuori campo).Il problema – almeno per la stampa italica questo è un problema – è che un atteggiamento così lo si può perdonare a un giocatore, uno fra mille, ma non certo al selezionatore della nazionale. E infatti non glielo stanno perdonando. Le domande tendenziosi ai giocatori si sprecano. Altro siparietto. Una giornalista si avvicina a Buffon e gli fa: «Sì, però questo qui (inteso come Donadoni, ndr) non è come Marcello (inteso come Lippi, ndr)…». Il portiere è un po’ imbarazzato: «In che senso?». «Nel senso della personalità, questo qui (sempre Donadoni, ndr) nessuno lo sta a sentire». «Ma no, ha solo un carattere diverso». E dire che ci sarebbero tutti i motivi per apprezzare Donadoni. È un tecnico giovane, ha idee innovative (non a caso è un allievo di Sacchi), ha coraggio, intelligenza e competenza da vendere. E poi è uno che sta facendo bene. A prescindere da come andranno questi Europei, l’ex centrocampista rossonero ha già vinto una sua prima sfida.
Partito piuttosto male nelle qualificazioni (pareggio casalingo con la Lituania, sconfitta a Parigi per 3-1 con la Francia), ha rimesso in piedi una squadra che era per metà stanca (e soprattutto ben sazia) dal trionfo mondiale, e per metà nuova. Ha creato un amalgama, facendo anche scelte difficili (e mettendosi contro giocatori, dirigenti e intere tifoserie molto influenti), e, nel giro di pochissimo
tempo, ha rimesso in corsa gli azzurri, inanellando una serie di nove successi e un
pareggio che, oltre a aprirgli le porte per gli Europei, avrebbe dovuto anche fargli trovare (almeno) la comprensione dei suoi connazionali. Macché. La federazione prima
l’ha tenuto in bilico senza rinnovo di contratto e poi, proprio per pietà, questo
benedetto contratto gliel’ha fatto, giusto prima di partire per l’avventura continentale, ma l’ha anche riempito di clausole liberatorie.
Così, giusto per mettere le cose in chiaro: «Erano altre persone ad averti scelto, non noi». Il vento di Calciopoli è già passato da un pezzo, ora è tutto come prima. Ma il buon Donadoni, un po’ come faceva Ralph Fiennes nel film “The Constant Gardener”, va avanti nella sua strada, silenzioso, tenace e senza curarsi di ciò che si dice, e si scrive, sul suo conto. Il campo parlerà. O forse non basterà
neanche quello
Fonte: Giornale del Popolo - Lugano
Davvero curiosa la sorte di Roberto Donadoni. Un piccolo siparietto per rendere l’idea. Un gruppo di giornalisti assiepati davanti ad un televisore stanno cercando di ascoltare la conferenza stampa del ct azzurro. Un altro, più in là, inizia a fare il “caciarone” e si becca, giustamente, una serie di “ssssst”. Lui, per tutta risposta, molla lì un «Ma che lo stai senti’ a fare quello lì». Ci si aspetterebbe lo sdegno dei colleghi e, invece, questi si rendono conto di aver violato una sorta di patto non scritto e si allontanano dal televisore e spengono i microfoni. Ecco, questo è il simpatico clima che vive attorno al tecnico bergamasco. Uno che ha, come sua unica, vera colpa, quella di essere un antidivo. Uno che sta male sotto riflettori, uno che non “tira”, che non fa audience. Un uomo schivo, oggi come ieri. Anche quando giocava, alternava genio e talento (in campo) a grandi silenzi ed estrema riservatezza (fuori campo).Il problema – almeno per la stampa italica questo è un problema – è che un atteggiamento così lo si può perdonare a un giocatore, uno fra mille, ma non certo al selezionatore della nazionale. E infatti non glielo stanno perdonando. Le domande tendenziosi ai giocatori si sprecano. Altro siparietto. Una giornalista si avvicina a Buffon e gli fa: «Sì, però questo qui (inteso come Donadoni, ndr) non è come Marcello (inteso come Lippi, ndr)…». Il portiere è un po’ imbarazzato: «In che senso?». «Nel senso della personalità, questo qui (sempre Donadoni, ndr) nessuno lo sta a sentire». «Ma no, ha solo un carattere diverso». E dire che ci sarebbero tutti i motivi per apprezzare Donadoni. È un tecnico giovane, ha idee innovative (non a caso è un allievo di Sacchi), ha coraggio, intelligenza e competenza da vendere. E poi è uno che sta facendo bene. A prescindere da come andranno questi Europei, l’ex centrocampista rossonero ha già vinto una sua prima sfida.
Partito piuttosto male nelle qualificazioni (pareggio casalingo con la Lituania, sconfitta a Parigi per 3-1 con la Francia), ha rimesso in piedi una squadra che era per metà stanca (e soprattutto ben sazia) dal trionfo mondiale, e per metà nuova. Ha creato un amalgama, facendo anche scelte difficili (e mettendosi contro giocatori, dirigenti e intere tifoserie molto influenti), e, nel giro di pochissimo
tempo, ha rimesso in corsa gli azzurri, inanellando una serie di nove successi e un
pareggio che, oltre a aprirgli le porte per gli Europei, avrebbe dovuto anche fargli trovare (almeno) la comprensione dei suoi connazionali. Macché. La federazione prima
l’ha tenuto in bilico senza rinnovo di contratto e poi, proprio per pietà, questo
benedetto contratto gliel’ha fatto, giusto prima di partire per l’avventura continentale, ma l’ha anche riempito di clausole liberatorie.
Così, giusto per mettere le cose in chiaro: «Erano altre persone ad averti scelto, non noi». Il vento di Calciopoli è già passato da un pezzo, ora è tutto come prima. Ma il buon Donadoni, un po’ come faceva Ralph Fiennes nel film “The Constant Gardener”, va avanti nella sua strada, silenzioso, tenace e senza curarsi di ciò che si dice, e si scrive, sul suo conto. Il campo parlerà. O forse non basterà
neanche quello
08 giugno 2008
Racing, speranza ancora viva
di FACUNDO DE PALMA
Fonte: Olé
Racing recuperó la sangre, destiló sudor y conmovió hasta las lágrimas. Es el precio de un triunfo en un Cilindro que coqueteó con el colapso.
Saltan, blasfeman, alientan, putean, sufren, acaban extasiados. Y conjugan el verbo que tanto les viene costando en el último tiempo: ganar. Sí, lo ganan ellos, se lo creen, lo corporizan en ese abrazo ciego, por culpa del maldito foso, con el Colorado Sava tras el gol, esa mierda de gol que se venía negando y que cae tan justo. Y lloran, obvio, porque ni siquiera tienen en Racing margen para sonreír: si querés llorar, llorá. Hacelo. Descargate. Cantá a favor del equipo, date una vez el gusto de alentar a los jugadores, de alimentar tu ilusión, la de tu viejo, la de tu hijo, la de tu abuelo, la de tu nieto. Porque había hasta tres generaciones de enfermos por Racing que se abrazaban en la platea y en la popular, hasta Diego Milito, visitante ilustre, se enroscaba con el Flaco Campagnuolo en un palco. Celebran el triunfo, pero sólo después de descargarse los nervios con el apoyabrazos de la platea o con el brazo del de al lado en la popular, porque Huracán recordó en el final que el fútbol se juega con dos arcos, que vale patear al que tienen enfrente, que no es de utilería. Y le pega Goltz, le pega Alan Sánchez, pifia Franzoia en el área chica lo que parecía un gol cantado, y el silencio, nervioso, ensordece. Y quién lo juna a este Raffa, "te querés hacer famoso con Racing (-le espetan-, dando cuatro minutos de descuento". ¡Y después agrega uno más! El corazón racinguista, expuesto en cátedras de medicina como el canto al infarto, no soporta. Se detiene en esa zozobra de los instantes finales, pero sólo para tomar impulso. Y estalla. Desde las entrañas se promete un masivo aluvión hacia Santa Fe, a buscar la hazaña definitiva. Porque, que quede claro, Racing todavía no tiene garantizada su permanencia en la A. Sí se salvó del descenso directo. Pero aún depende de los resultados de hoy, los de Olimpo y, sobre todo, de Colón. Y necesita ir, con paso de Elefante, a buscar reencontrarse definitivamente con su alma en el Cementerio. Porque, hoy igualado en puntos con Colón, le queda un margen para la heroica. Lo siente el hincha, y por qué no pensar en que el equipo se contagie y muestre, en el final de una temporada nefasta, el espíritu ganador que le faltó en esos partidos perdidos en el descuento.
Fue el cierre de una semana extraña. Con dos conducciones que se atribuían el comando en el club, con una operación en un tobillo que sacó a Adrián Bastía del final de la temporada, con Facundo Sava prometiendo lo que finalmente cumplió... Y no sólo hubo festejos por el resultado deportivo. También se desató la euforia en el hincha por considerar que se avecina otro triunfo, el institucional. Y se canta "hay que saltar, hay que saltar, Blanquiceleste, no existe más". De todos modos, se vieron en el Cilindro algunas manifestaciones en contra del interventor García Cuerva, a quien acusaban de "golpista" y le recordaban que "Racing es de los socios y de los hinchas". Celebran que está cerca el final de la era gerenciada, pero también le marcan el territorio a los que están llegando, porque desde el escepticismo del hincha tal vez se reconstruya, otra vez, este club tan acostumbrado a las resurrecciones.
Es que el cambalache es la razón de ser de Racing.
Eso sí: ayer Sava no frenó en el festejo a los Shaffer y a los Martínez Gullotta, ésos que en el clásico contra Independiente debieron irse de la cancha con el grito atragantado porque el capitán no les permitía festejar un 0-0. Pero en esa parda que pudo ser triunfo de no haber sido por la falta de puntería del 9, se puede encontrar la palanca que movió a este equipo del estancamiento anímico. Se animó a más, trabó, metió, mordió, agredió. Los jugadores iban al frente a lo loco y, por una vez, despertaban orgullo en su gente, la antítesis de lo que pasaba en la tribuna de enfrente, donde los hinchas del Globo fustigaban a sus propios jugadores por entender que no tenían ganas de ganar. Se debía la Academia un partido así. Como varios de sus futbolistas. Matías Sánchez y Claudio Yacob, por caso, quienes parecen haberse sentido más aliviados al saber que el puesto es sólo de ellos, ante la ausencia de Bastía. Matías fue reemplazado cuando estaba casi groggy, después de haberse pelado las piernas y algo más barriendo una pelota y metiendo el último pique, que lo dejó tirado en el área rival, sin aire. Y la Flaca confesó que empezó a lagrimear segundos antes del final, recordando lo mal que la pasó en las últimas semanas por la enfermedad de su madre, quien ya está recuperada. Lloró Wally, claro, luego de haber bebido tragos de tensión que bajaban en torrentes desde las tribunas con cada pelota que iba al área. Y lloraste vos, claro, que te bancaste estoico que los de Huracán te gastaran con el descenso y la Promoción, que hoy vas a estar esperando que Estudiantes te dé una mano, y que ya estarás buscando las chirolas, los billetes o la tarjeta de crédito para financiar el viaje a Santa Fe.
Porque de eso vive Racing: de la santa fe.
Fonte: Olé
Racing recuperó la sangre, destiló sudor y conmovió hasta las lágrimas. Es el precio de un triunfo en un Cilindro que coqueteó con el colapso.
Saltan, blasfeman, alientan, putean, sufren, acaban extasiados. Y conjugan el verbo que tanto les viene costando en el último tiempo: ganar. Sí, lo ganan ellos, se lo creen, lo corporizan en ese abrazo ciego, por culpa del maldito foso, con el Colorado Sava tras el gol, esa mierda de gol que se venía negando y que cae tan justo. Y lloran, obvio, porque ni siquiera tienen en Racing margen para sonreír: si querés llorar, llorá. Hacelo. Descargate. Cantá a favor del equipo, date una vez el gusto de alentar a los jugadores, de alimentar tu ilusión, la de tu viejo, la de tu hijo, la de tu abuelo, la de tu nieto. Porque había hasta tres generaciones de enfermos por Racing que se abrazaban en la platea y en la popular, hasta Diego Milito, visitante ilustre, se enroscaba con el Flaco Campagnuolo en un palco. Celebran el triunfo, pero sólo después de descargarse los nervios con el apoyabrazos de la platea o con el brazo del de al lado en la popular, porque Huracán recordó en el final que el fútbol se juega con dos arcos, que vale patear al que tienen enfrente, que no es de utilería. Y le pega Goltz, le pega Alan Sánchez, pifia Franzoia en el área chica lo que parecía un gol cantado, y el silencio, nervioso, ensordece. Y quién lo juna a este Raffa, "te querés hacer famoso con Racing (-le espetan-, dando cuatro minutos de descuento". ¡Y después agrega uno más! El corazón racinguista, expuesto en cátedras de medicina como el canto al infarto, no soporta. Se detiene en esa zozobra de los instantes finales, pero sólo para tomar impulso. Y estalla. Desde las entrañas se promete un masivo aluvión hacia Santa Fe, a buscar la hazaña definitiva. Porque, que quede claro, Racing todavía no tiene garantizada su permanencia en la A. Sí se salvó del descenso directo. Pero aún depende de los resultados de hoy, los de Olimpo y, sobre todo, de Colón. Y necesita ir, con paso de Elefante, a buscar reencontrarse definitivamente con su alma en el Cementerio. Porque, hoy igualado en puntos con Colón, le queda un margen para la heroica. Lo siente el hincha, y por qué no pensar en que el equipo se contagie y muestre, en el final de una temporada nefasta, el espíritu ganador que le faltó en esos partidos perdidos en el descuento.
Fue el cierre de una semana extraña. Con dos conducciones que se atribuían el comando en el club, con una operación en un tobillo que sacó a Adrián Bastía del final de la temporada, con Facundo Sava prometiendo lo que finalmente cumplió... Y no sólo hubo festejos por el resultado deportivo. También se desató la euforia en el hincha por considerar que se avecina otro triunfo, el institucional. Y se canta "hay que saltar, hay que saltar, Blanquiceleste, no existe más". De todos modos, se vieron en el Cilindro algunas manifestaciones en contra del interventor García Cuerva, a quien acusaban de "golpista" y le recordaban que "Racing es de los socios y de los hinchas". Celebran que está cerca el final de la era gerenciada, pero también le marcan el territorio a los que están llegando, porque desde el escepticismo del hincha tal vez se reconstruya, otra vez, este club tan acostumbrado a las resurrecciones.
Es que el cambalache es la razón de ser de Racing.
Eso sí: ayer Sava no frenó en el festejo a los Shaffer y a los Martínez Gullotta, ésos que en el clásico contra Independiente debieron irse de la cancha con el grito atragantado porque el capitán no les permitía festejar un 0-0. Pero en esa parda que pudo ser triunfo de no haber sido por la falta de puntería del 9, se puede encontrar la palanca que movió a este equipo del estancamiento anímico. Se animó a más, trabó, metió, mordió, agredió. Los jugadores iban al frente a lo loco y, por una vez, despertaban orgullo en su gente, la antítesis de lo que pasaba en la tribuna de enfrente, donde los hinchas del Globo fustigaban a sus propios jugadores por entender que no tenían ganas de ganar. Se debía la Academia un partido así. Como varios de sus futbolistas. Matías Sánchez y Claudio Yacob, por caso, quienes parecen haberse sentido más aliviados al saber que el puesto es sólo de ellos, ante la ausencia de Bastía. Matías fue reemplazado cuando estaba casi groggy, después de haberse pelado las piernas y algo más barriendo una pelota y metiendo el último pique, que lo dejó tirado en el área rival, sin aire. Y la Flaca confesó que empezó a lagrimear segundos antes del final, recordando lo mal que la pasó en las últimas semanas por la enfermedad de su madre, quien ya está recuperada. Lloró Wally, claro, luego de haber bebido tragos de tensión que bajaban en torrentes desde las tribunas con cada pelota que iba al área. Y lloraste vos, claro, que te bancaste estoico que los de Huracán te gastaran con el descenso y la Promoción, que hoy vas a estar esperando que Estudiantes te dé una mano, y que ya estarás buscando las chirolas, los billetes o la tarjeta de crédito para financiar el viaje a Santa Fe.
Porque de eso vive Racing: de la santa fe.
07 giugno 2008
sito Europeo
Un gruppo di appassionati veri di calcio internazionale, quorum ego, ha messo su un sito ad hoc per gli Europei:
http://europeidicalcio2008.splinder.com/
il mio consiglio è quello di passarci spesso, e di contribuire con commenti e analisi. Ci vediamo là, ok?
http://europeidicalcio2008.splinder.com/
il mio consiglio è quello di passarci spesso, e di contribuire con commenti e analisi. Ci vediamo là, ok?
06 giugno 2008
[Libertadores] Fluminense in finale
Fonte: Gazzetta.it
I capricci degli dei del calcio spingono il Fluminense alla finale di Libertadores, voltando le spalle al Boca Juniors che invece avevano supportato per tutta la stagione. Strano davvero il futbol: gli argentini abbandonano la manifestazione più prestigiosa del Continente probabilmente giocando la partita più convincente, dopo una stagione di (pochi) alti e (molti) bassi che li vede soccombere anche nel torneo nazionale. Saranno quindi i brasiliani della Rio nobile (almeno secondo la tradizione), finalmente tornati competitivi in Patria e fuori, a cercare di portare la Copa Libertadores nella bacheca di Laranjeiras nella finale con la sorpresa del torneo, la Liga di Quito, vincitrice dei messicani dell’America dopo due match molto equilibrati. A guidare la squadra che un tempo vedeva fra le proprie fila campioni come Tele Santana, Rivelino e l’ex Udinese Edinho c’è quel Renato Gaucho che ballò (più nei locali che all’Olimpico) per una sola estate nella Roma di Dino Viola. Dopo il 2-2 in Argentina con una conduzione alternata del gioco, nel primo tempo della partita del Maracanã il dominio è azul y oro: il Boca spreca occasioni in serie (ottimo in più di un’occasione il “goleiro” Tricolor Fernando Henrique e sempre sui suoi altissimi standard il centrale Thiago Silva), qualche spunto ce l’ha anche il Flu ma è davvero poca roba: in avanti il solito Cicero canta e porta la croce col genietto Thiago Neves assolutamente non pervenuto. Il tabellino segnala un fasullo 0-0 al fischio del 45’. La ripresa si apre col botto: gol del solito Palermo al 12’ e risposta dell’altro bomber, Washington (su punizione), dopo che il tecnico Renato aveva abbandonato gli indugi inserendo l’attaccante Dodo per il centrocampista Ygor, che all’andata era in marcatura fissa su Riquelme, e qui si è alternato, con Arouca, sul numero 10 xeneizes, debilitato invero dall’infortunio più che dalla ragnatela del Flu. Al 25’, la fortuna si mette una sciarpa Tricolor, Dodo lancia Conca, tiro e deviazione di Ibarra che mette fuori gioco il portiere Pablo Migliore. Gli argentini si rovesciano in avanti ma il muro brasiliano è salvo. Anzi, nei minuti di recupero, Palacio perde palla e Dodo, decisivo, chiude il match e fa esplodere il Maracanã. Abdica la detentrice, nonché plurivincitrice (il Boca ha vinto sei volte la Copa): mercoledì 25 per una finale inedita saranno in campo a Quito, Liga e Fluminense. Bis il 2 luglio, con il cielo di Rio che accoglierà la “prima volta” di una delle due, mai prima d’ora nemmeno giunte in finale.
CARLO PIZZIGONI
Dal sito della Gazzetta
I capricci degli dei del calcio spingono il Fluminense alla finale di Libertadores, voltando le spalle al Boca Juniors che invece avevano supportato per tutta la stagione. Strano davvero il futbol: gli argentini abbandonano la manifestazione più prestigiosa del Continente probabilmente giocando la partita più convincente, dopo una stagione di (pochi) alti e (molti) bassi che li vede soccombere anche nel torneo nazionale. Saranno quindi i brasiliani della Rio nobile (almeno secondo la tradizione), finalmente tornati competitivi in Patria e fuori, a cercare di portare la Copa Libertadores nella bacheca di Laranjeiras nella finale con la sorpresa del torneo, la Liga di Quito, vincitrice dei messicani dell’America dopo due match molto equilibrati. A guidare la squadra che un tempo vedeva fra le proprie fila campioni come Tele Santana, Rivelino e l’ex Udinese Edinho c’è quel Renato Gaucho che ballò (più nei locali che all’Olimpico) per una sola estate nella Roma di Dino Viola. Dopo il 2-2 in Argentina con una conduzione alternata del gioco, nel primo tempo della partita del Maracanã il dominio è azul y oro: il Boca spreca occasioni in serie (ottimo in più di un’occasione il “goleiro” Tricolor Fernando Henrique e sempre sui suoi altissimi standard il centrale Thiago Silva), qualche spunto ce l’ha anche il Flu ma è davvero poca roba: in avanti il solito Cicero canta e porta la croce col genietto Thiago Neves assolutamente non pervenuto. Il tabellino segnala un fasullo 0-0 al fischio del 45’. La ripresa si apre col botto: gol del solito Palermo al 12’ e risposta dell’altro bomber, Washington (su punizione), dopo che il tecnico Renato aveva abbandonato gli indugi inserendo l’attaccante Dodo per il centrocampista Ygor, che all’andata era in marcatura fissa su Riquelme, e qui si è alternato, con Arouca, sul numero 10 xeneizes, debilitato invero dall’infortunio più che dalla ragnatela del Flu. Al 25’, la fortuna si mette una sciarpa Tricolor, Dodo lancia Conca, tiro e deviazione di Ibarra che mette fuori gioco il portiere Pablo Migliore. Gli argentini si rovesciano in avanti ma il muro brasiliano è salvo. Anzi, nei minuti di recupero, Palacio perde palla e Dodo, decisivo, chiude il match e fa esplodere il Maracanã. Abdica la detentrice, nonché plurivincitrice (il Boca ha vinto sei volte la Copa): mercoledì 25 per una finale inedita saranno in campo a Quito, Liga e Fluminense. Bis il 2 luglio, con il cielo di Rio che accoglierà la “prima volta” di una delle due, mai prima d’ora nemmeno giunte in finale.
CARLO PIZZIGONI
Dal sito della Gazzetta
05 giugno 2008
Euro 2008 - Gruppo B
Se il Gruppo C è stato etichettato con il tagliandino di “Girone della Morte”, il girone B è senz’altro quello della Vita ma non per la presenza della Polonia, dato che ormai pure lì la campagna anti abortista dei gemelli Kaczyński ha perso alquanto vigore. No, qui si parla di calcio: e nel gruppo B verrebbe da aggettivare “minore”. C’è vita e speranza per tutti nel raggruppamento che vede come protagoniste Austria, Germania, Polonia e Croazia. La nazionale che dovrebbe rappresentare la squadra guida è senz’altro quella di Joachim Low. Quadrata e solida ma che accusa la deriva del calcio tedesco, privo di quella qualità che possedeva anche solo fino a dieci anni fa. Tutto questo non vale certo per escludere dai pronostici i teutonici che il cartello “mai morti” ce l’hanno appeso da sempre: come ha sentenziato Gary Lineker, centravanti indimenticabile di Barcellona e Inghilterra :“Il calcio è un gioco che si gioca 11 contro 11 e alla fine vince la Germania... “Il CT Low, già stratega sotto la gestione Klinsmann, dove ha guadagnato la medaglia di bronzo agli scorsi Mondiali, è certamente riuscito a costruire un blocco solido. La squadra rimane corta e anche gli elementi di spicco non si vergognano di applicarsi nel gregariato: segnatamente, gli attaccanti Miroslav Klose e Mario Gomez si occupano anche della fase difensiva, rincorrendo terzini e coprendo centrocampisti di costruzione avversari. Michael Ballack può rappresentare l’elemento in più soprattutto in fase realizzativa, dove si spera in qualche sprazzo di Schweinsteiger, sempre alla ricerca di una consacrazione definitiva. Levato Frings, in mezzo e dietro c’è tanta classe operaia: Hitzlsperger, Fritz, Jansen, gente di sostanza. Lahm, spostato finalmente a destra può regalare sovrapposizioni importanti mentre l’asse difensiva non regala sempre certezze: di Mertesacker e Metzelder ci si può fidare? Stesso refrain dubitativo è utilizzabile per il portiere: il vecchio Jens Lehmann. Per qualificare l’Austria, basterebbe riciclare la boutade che chiedeva di lasciare a squadre più meritevoli la possibilità di giocare questo Europeo. La marcia di avvicinamento è stata assolutamente disastrosa, con una serie di cattivi risultati spesso al limite della brutta figura. Pochi elementi di spicco, su tutti Martin Stranzl, centrale difensivo dello Spartak Mosca, poi Garics del Napoli, Aufhauser, Kuljic e Roland Linz. Insomma, non che il CT Josef Hickersberger possa fregarsi le mani al pensiero… Ma proprio il responsabile di quella che diversi decenni fa era ancora una nazionale onorevole e temuta, ha costruito poco dal punto di vista del gioco, se non un’organizzazione difensivamente orientata che paga però spesso errori marchiani. C’è da rammaricarsi che l’Europeo sia giunto così… presto. Infatti, la nazionale giovanile austriaca ha raggiunto un onorevole quarto posto nell’ultimo Mondiale under 20 disputato in Canada l’anno scorso, mostrando prospetti di sicuro avvenire. Il più “pronto” è senz’altro il centrale difensivo Sebastian Prodl, capitano dei ragazzi e già nel giro della nazionale maggiore. Se i padroni di casa promettono poco, non possiede molto appeal nemmeno la collega di girone Polonia, che raccoglierà il testimone per l’organizzazione, unitamente all’Ucraina, dei prossimi Campionati Europei. Pur avendo partecipato all’ultimo Mondiale e malgrado la qualificazioni agevole a Euro 2008, la squadra di Leo Beenhakker raccoglie tante perplessità. Il tecnico olandese ha proseguito il buon lavoro di Janas Paweł (chiusosi però con l’eliminazione al primo turno a Germania 2006) mantenendo la Polonia a un livello che forse oggi non le compete. Tutto ciò spinge l’olandese a denegare il calcio propositivo che il suo passaporto reclamerebbe e a strutturare la squadra a difesa della porta (ottimamente presidiata dal talento Artur Boruc del Celtic), sperando poi nei contropiedi di Zurawski e Ebi Smolarek (nove gol per lui nelle qualificazioni). Curioso notare come, dopo il tentativo di naturalizzare il bomber italiano, di madre polacca, Robert Acquafresca (quest’anno 10 gol nel Cagliari), abbia regalato la Carta d’Identità all’esterno brasiliano Roger, prontamente convocato da Beenhakker. Da seguire il giovane Jakub Błaszczykowski. E a proposito degli sbarbati da tenere d’occhio, appuntatevi le partite della Croazia, seconda forza di questo raggruppamento ma prima opzione se ne facciamo una questione di talento puro. A comandare il gruppo ben diretto da Slaven Bilić, Lucas Modric, messo recentemente sotto contratto dal Tottenham. Modric è solo la stella più luccicante di una rappresentativa croata (tra i 23 c’è anche lo svizzero Ivan Rakitic, che ha optato per la nazionalità dei genitori) cui però manca un vero bomber. Certo, Igor Budan (Parma) e Klasnic (Werder Brema) sono ottimi elementi, Nikola Kalinic (Hajduk) è un giovane di sicuro avvenire, però latita lo stoccatore, che la nazionale croata aveva fino a quel maledetto 23 febbraio in cui Eduardo veniva azzoppato da Martin Taylor, protagonista di un intervento criminale ai danni del brasiliano naturalizzato. Senza Eduardo, la Croazia perde molto, ma occhio comunque a questi ragazzi (citazione obbligatoria: Niko Kranjcar): passando il turno a gironi diventano pericolosi per tutti.
CARLO PIZZIGONI
Fonte: Corriere del Ticino
CARLO PIZZIGONI
Fonte: Corriere del Ticino
Euro 2008 - Gruppo D
Il Girone D dell’Europeo è quello delle incognite. Spagna, Russia, Svezia e Grecia, ognuna a suo modo rappresenta un grosso punto interrogativo. A cominciare dalla favorita del raggruppamento, la Spagna. Il CT Luis Aragones vive ormai da tanto tempo una serie di equivoci. Uno l’abbiamo finalmente eliminato alla fonte: Raul, simbolo del Real Madrid e per molti anni delle Furie Rosse, non è stato nemmeno convocato. Tuttavia, rimangono ancora perplessità. Due attaccanti come David Villa e Fernando Torres godono un po’ ovunque di grande considerazione, ma giocheranno entrambi? Spesso Aragones ha spesso proposto un 4141 con una sola punta e giocando un fútbol di tocco, con grande possesso palla. Nessuno dei due big è indicato alla bisogna: è necessario anche possedere capacità spalle alla porta, doti di lettura del gioco che coinvolgano pure gli inserimenti dei compagni e né l’uno né l’altro eccellono in questo esercizio. Certamente il centravanti del Valencia si fa preferire, però estromettere il Niño dopo una stagione dove finalmente ha visto la porta con continuità appare un delitto agli occhi di tanti aficionados. A centrocampo la qualità è elevatissima: Cesc Fabregas, Xavi, Xabi Alonso, ma anche Senna e De La Red, sorpresa del Getafe. Tutta gente che però tende a giocare in mezzo e a volere il pallone tra i piedi più che nello spazio e sulla corsa. Unici veri incursori, e di enorme qualità, sono Iniesta e Silva e probabilmente saranno loro gli uomini barometro della squadra: funzionassero i loro tagli, la Spagna potrebbe puntare davvero in alto. Anche dietro, tolta la sicurezza Iker Casillas, qualche incertezza c’è, più per l’intesa d’assieme che per il valore dei singoli giocatori: almeno i titolari Sergio Ramos, Puyol e Marchena (opzione Albiol) non si discutono. Amante del rischio è pure Guus Hiddink, approdato, si dice per volere di Roman Abramovich, sulla panchina della Russia. Il tecnico olandese, universalmente apprezzato, è fatto un po’ alla sua maniera e in queste convocazioni ha dato il meglio di sé. A casa, e forse non solo per questioni tecniche, resta sostanzialmente il miglior bomber del Paese, Alexander Kerzhakov. Anche se quest’anno è reduce da una stagione tribolata che ha visto, a febbraio, il suo addio al Siviglia per tornare nella Grande Madre Russa(sponda Dinamo Mosca), l’ex cecchino dello Zenit è pur sempre il miglior realizzatore delle qualificazioni a questi Europei. Hiddink non prende prigionieri, e si è deciso a rinunciare anche a un altro elemento di classe come Marat Izmailov, reduce da una buona stagione con lo Sporting Lisbona. Il problema di Hiddink è che in realtà, durante tutta la sua gestione, la Russia ha mostrato poco gioco d’insieme e larghi tratti di improvvisazione, caratteristica che ha poco del dna dell’ex allenatore della Corea del Sud. E qui sulle Alpi, è giusto ricordarlo, sono alla fine arrivati grazie all’incredibile vittoria croata di Wembley che ha mandato all’inferno l’Inghilterra in favore della nazionale dell’olandese. In molti sono però pronti a scommettere che la Russia avrà, come costume delle squadre del guru olandese, una sua identità precisa e convincente, e comunque gli elementi di qualità e talento potrebbero fare la differenza. Su tutti, naturalmente, Alexey Arshavin che ha quest’anno conquistato la Coppa Uefa con il suo Zenit, ma la sicurezza è rappresentata anche dal portiere Igor Akinfeev, classe ’86 di sicuro avvenire. La Svezia ha il dubbio Ibrahimovic: sarà finalmente decisivo? Il cammino dei gialloblù passa certamente attraverso questo enigma. A dargli una mano, davanti, Johan Elmander o Markus Rosenberg del Werder Brema: sono gli uomini giusti? Pochi ricambi per il CT Lagerback che punta molto sull’esperienza dei suo uomini: ha richiamato addirittura Henrik Larsson, 37enne che sta chiudendo la carriera nell’Helsingborgs dopo le soddisfazioni di una carriera di primissimo piano. Poi Fredrik Ljungberg, Olof Mellberg (neo juventino), Christian Wilhelmsson: non proprio gente di primo pelo. Importante sarà anche il campionato europeo di Kim Kallstrom, versatile centrocampista del Lione. Fanalino di coda, la Grecia? Eh, stesse identiche parole che si leggevano quattro anni fa. Poi sappiamo com’è andata a finire con gli uomini di Otto Rehhagel sul tetto del Continente, responsabili, senza mezzi termini, di una delle più grandi sorprese della storia del calcio. Buon stratega, con una predilezione nemmeno troppo nascosta per densità difensiva e contropiede, il carismatico CT tedesco dopo aver realizzato il capolavoro della sua carriera è stato ancora capace di toccare le corde giuste dei suoi uomini e di qualificarli per l’Europeo. Una mano gliel’ha dato il sorteggio che ha opposto gli ellenici a Turchia e Norvegia, come uniche squadre credibili. I greci hanno nel centrocampo di contenimento e riproposizione la propria forza: Angelos Basinas, Georgios Karagounis e Konstantinos Katsouranis hanno fiato, grinta, testa e esperienza internazionale. Comunque, gente che non si arrende, e poi sono proprio loro i campioni d’Europa in carica. Ricordarlo, anche a quattro anni di distanza fa sempre un grande effetto…
CARLO PIZZIGONI
Fonte: Corriere del Ticino
CARLO PIZZIGONI
Fonte: Corriere del Ticino
Euro 2008 - Gruppo C
Il minimo errore può essere fatale. Il problema maggiore per chi fa parte di un gruppo molto competitivo come quello che ingloba Italia, Francia , Olanda e Romania è proprio quello di non potere sbagliare. Da subito: quindi è necessario partire immediatamente forte col rischio di non “tenere” per tutta la durata del torneo. Importante considerazione per chi gioca per arrivare, sempre e comunque, in fondo. Stress per i partecipanti, ma tanto tanto spettacolo per gli spettatori: vedere subito le big una contro l’altra non può che far bene all’Europeo. Pur rappresentando l’élite del calcio mondiale Francia, Olanda e Italia giungono però a questo torneo con dubbi e polemiche interne feroci, specie attorno ai rispettivi Commissari Tecnici. Marco Van Basten sa che questa competizione rappresenterà l’ultima sua esperienza sulla panchina Orange. Mai realmente amato come tecnico, l’ex centravanti del Milan ha fatto impazzire più di un supporter negli scorsi mondiali, sacrificando sacchianamente (che contrappasso, per lui, al centro di un aut aut famoso nell’epoca milanista) giocatori di spessore come van Nistelrooy sull’altare della strategia e del gioco: meglio i Kuyt, soldati che eseguono in silenzio. La vulgata non riporta, tuttavia, come le condizioni dell’attuale attaccante del Madrid non fossero proprio perfette, ma tant’è: non si va contro la Storia, e uscire, male, negli ottavi dopo aver anche balbettato nel primo turno, pesa tanto, Ruud o non Ruud. In generale, poi, Van Basten paga il non essere riuscito a domare uno spogliatoio da sempre rissoso ma che molti speravano si ricostruisse attorno al carisma del Cigno di Utrecht. E invece, c’è addirittura chi, come Seedorf, si chiama fuori: “ ma ritornerò con un altro CT, sia chiaro.” A tutto ciò si aggiunga un talento medio diffuso davvero elevatissimo. Forse però non distribuito in tutti i reparti: dietro, non è che abbondino le sicurezze e Van der Sar non è proprio un tappabuchi portentoso. In compenso, al di qua della metacampo, di uomini decisivi ce ne sono, eccome: da Van der Vaart a Sneijder, da Babel a Robben , passando per gli Huntelaar e i Van Persie, oltre a van Nistelrooy. Paura fan paura, poi dipende sempre dalla loro attitudine. Si sono create polemiche anche attorno a Roberto Donadoni, selezionatore italiano che mai ha persuaso in toto la stampa dello Stivale. Un po’ perché non è un campione di diplomazia, molto perché in tanti rivorrebbero Lippi, e stiamo parlando sia dei tifosi che, soprattutto, dell’entourage della federazione. Donadoni è un figlio della rivoluzione Post Calciopoli, e non a tutti garba. Da bergamasco gnucco, però, il fantasista di Atalanta e Milan, i risultati li ha sempre offerti sul campo, e chiede di essere giudicato esclusivamente per questi. La sua Italia si è qualificata nonostante critiche spesso in malafede e non raramente ha offerto significative prove di sapere giocare un calcio anche piacevole. La sperimentazione positiva nei moduli, il recupero di uomini chiave come Panucci, le scommesse vinte come Di Natale certificano della bontà del lavoro di Donadoni, che per soprammercato gode di architravi importanti come Buffon, Pirlo e Toni. Qualche dubbio potrebbe essere rappresentato dalla difesa, visto il campionato non esaltante di Materazzi e il definitivo addio all’Azzurro di Nesta, ma le alternative certo non mancano. E il coraggio di presentarle anche dal primo minuto, pure. Nubi scure si agitano anche sul CT francese Raymond Domenech. Lasciare a casa un cecchino come Trezeguet fa storcere la bocca ai più: delle idiosincrasie di questo allenatore molto sappiamo, ora però sembra tirare un po’ troppo la corda, e comunque a pagare stavolta sarà lui. L’idea del tecnico di origine catalana è quella di fondere il blocco dei residui campioni di tante (vincenti) battaglie come Henry e Vieira, con l’anima giovane della Francia rappresentata dal potenziale fuoriclasse Benzema. In mezzo, pezzi da novanta come Franck Ribery e Florent Malouda. Insomma, la qualità e l’esperienza non manca, pescando anche a caso nel mazzo giocatori come Gallas e Makelele. Tre grandi e una cenerentola? Piano piano. La Romania si è già messa alle spalle l’Olanda nel girone di qualificazione a questi Europei offrendo uno spettacolo anche tattico di estremo valore. Il CT Piturca, non proprio un caratterino facile (già dimessosi dall’incarico più prestigioso del Paese nel 1999 dopo una serie di litigi all’interno dello spogliatoio) ha fatto davvero un buon lavoro. Ovvio che avere in attacco un giocatore decisivo come Adrian Mutu, aiuta non poco. Ma è la struttura di squadra a convincere nelle uscite degli ultimi due anni. Importante sapere quale sarà la reale condizione di un leader come Cristian Chivu, infortunato a una spalla che andrà sotto i ferri solo a Europeo concluso. Un po’ per questa deficienza ma anche perché Piturca si sente garantito dalla spinta di Rat a sinistra e dalla coppia centrale di difesa Goian – Tamas,il CT proporrà il giocatore dell’Inter a sinistra nel centrocampo disposto a rombo, con Dica dietro alle punte e un centrocampista dinamico e con doti registiche davanti alla difesa (potrebbe proprio essere il “senese” Codrea). Da prendere estremamente con le molle.
CARLO PIZZIGONI
Fonte: Corriere del Ticino
CARLO PIZZIGONI
Fonte: Corriere del Ticino
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