Paolo Galli, giornalista svizzero del Giornale del Popolo di Lugano, analizza Svizzera e Brasile dopo l'incontro di alcuni giorni fa a Basilea.
Svizzera: ci sono gerarchie da cambiare in fretta
A due facce. Una grigia e monocorde, l’altra allegra e viva. La Svizzera contro il Brasile ha dapprima rischiato di fare una figuraccia barbina, quasi dilettantesca, poi ha saputo cancellare tutte le incertezze e proporre un bel gioco, nel contempo fantasioso e concreto. Un segnale confortante prima del virtuale giro di boa di fine anno, un segnale soprattutto rassicurante dopo le recenti preoccupanti prestazioni; una per tutte quella di Innsbruck. Il cambiamento di ritmo è dovuto in gran parte alle mosse azzeccate da Kuhn nella pausa. Dare meriti al CT però è fuori luogo in questo caso, visto che quelle stesse mosse erano da pensare ben prima, magari a inizio gara. Streller e Vogel fuori, Dzemaili e Margairaz dentro, con spostamento di Vonlanthen nel suo ruolo naturale di folletto offensivo. Ma Köbi lo conosciamo, ha gerarchie rigidissime che modifica soltanto dopo lunghe ed estenuanti riflessioni.L’accantonamento di Huggel e Gygax dimostra comunque la sua attenzione crescente in questo senso.
Le giuste sicurezze Un nome su tutti, quello di Barnetta. L’esterno del Bayer è sempre uno dei più pericolosi, dei più vivi e moderni. Uno dei pochi insostituibili di questa nazionale. Con lui, a centrocampo, ha dimostrato di meritare fiducia il duro Cabanas, sempre motivatissimo, anche quando non è magari nella sua migliore serata. La difesa ha varie certezze, quelle cioè che hanno assicurato l’imbattibilità mondiale: Degen (assente contro il Brasile), Müller, Senderos e Magnin. Peccato che questi ultimi non riescano a trovare spazio nei rispettivi club: il prossimo anno sarebbe quindi loro consigliabile una scelta accorta di trasferimento. In attacco Frei ha ovviamente la fiducia del CT, ma anche la punta del Borussia non è sembrata contro il Brasile del tutto a suo agio, anzi... un Alex nervoso più del solito.
Pista, fate largo! Chi invece dovrebbe farsi da parte – o che dovrebbe meglio essere “invitato” a farsi da parte – è in primis Vogel. Il capitano non pare più quel giocatore disposto a tutto pur di vincere, di arrivare, è sazio e tronfio. Più fame ce l’ha Streller, un giocatore al quale non riusciamo a riconoscere alcuna qualità: un briciolo di generosità e quel gol alla Turchia non possono renderlo indiscutibile vita natural durante. Discorso simile per Zubi; il miracolo mondiale doveva essere la grande chiusura di una carriera discontinua e discutibile, e invece ha scelto di andare avanti, decidendo di tenersi il posto di titolare, come se fosse lui solo a decidere (ed infatti...). In quanto a Gygax e Huggel, la scelta di Kuhn di spedirli in tribuna ha regalato qualche sospiro di sollievo ai tifosi. Discorso analogo per il pur disciplinato Wicky, tenuto in panchina. Non sono giocatori inutili ma “in giro” c’è assolutamente di meglio. Le eterne esclusioni di Coltorti, Lustrinelli e Grichting, rincalzi che non trascureremmo con tanta superficialità, fanno capire quanto poco il coach si fidi di loro. Spycher, che ha davanti il titolarissimo Magnin, resta una riserva di lusso, ma appunto una riserva.
Il nuovo che avanza Kuhn li apprezza ma ancora non si fida ciecamente, forse con l’anacronistica paura di non bruciarli. Stiamo parlando dei giovani dello Zurigo, Margairaz su tutti, Dzemaili e, in parte, Inler, ma anche di Benaglio, di Vonlanthen – ieri utilizzato da esterno pur di non togliere Streller –, di David Degen, sicuramente di Behrami (con Barnetta il giocatore più moderno del panorama elvetico). Ad essi aggiungeremmo anche il ticinese Padalino, dimenticato a Piacenza, dove è sempre tra i migliori della squadra leader della serie B italiana. In quanto a Lichtsteiner e Djourou, hanno recentemente alternato ottime prestazioni a gravi capitomboli, sono acerbi ma meritano costante attenzione.
PAOLO GALLI
Brasile: con lo sceriffo è vietato il samba
Si è fatto un gran parlare recentemente della nuova versione della seleçao. Spazio in campo cioè ai calciatori-operai e in tribuna invece ai cosiddetti fenomeni leziosi e ingombranti. Risultati? Troppo approssimativo tracciare bilanci dopo la partita di ieri, ma qualche utile indicazione è emersa comunque con limpidezza. Dando un’occhiata alla formazione scesa in campo ieri, Robinho e Kakà a parte, gli altri erano tutto sommato dei quasi sconosciuti alle nostre latitudini. Nomi nuovi del panorama internazionale, mestieranti, poco artisti. Intendiamoci, qualche fiammata c’è stata, il pallone tra i loro piedi comunque ballava con sufficiente eleganza, ma sulla base di tutta un’altra musica rispetto a quella del Brasile che siamo stati abituati a sognare e desiderare. Ieri parlavamo del Brasile versione 1982, una delegazione splendida quanto fallimentare, mentre quella più recente addirittura non era neppure bella, soltanto fallimentare, la bellezza lasciata sulla carta e nell’inchiostro di giornalisti disattenti e superficiali. Quella attuale, o meglio, quella in divenire non ha apparentemente nulla di bello, dà piuttosto l’idea a tratti di un gruppo di buoni giocatori che si sforza di restare concentrato, ordinato, di spingere con in testa già l’idea della successiva fase di copertura. La fantasia bloccata tra troppi pensieri. «Serviva un Brasile di questo genere». Qualcuno almeno tenta di convincerci di questo. Mah! Alcuni dubbi restano. Siamo abituati ad un’altra musica, ad una bandella che a volte casca in qualche stonatura, ma che ci fa muovere, ci fa sognare e divertire. E non ad un’orchestra di disciplinati e precisi, quanto cupi, suonatori. Samba, bossanova, musica e calcio fatti per ballare stretti, brividi di calore, di colore e di fantasia. Dunga probabilmente riuscirà nella sua missione. Lui è lo “sceriffo”, la stella sul petto la porta con orgoglio e cattiveria, senza lasciare spazio ai sentimentalismi, esagera pur di ottenere una nuova mentalità. Se il fuorilegge sgarra, una prigione in cui sbatterlo la troverà sempre. Un po’ di spazio lo concede, non vuole sembrare ottuso, davvero non lo è, e allora ecco Kakà capitano – e vero e unico leader di questa squadra (ricorda un'altra situazione, non trovate?) – ed ecco Robinho libero di muoversi su e giù da mezzala destra. Poi gli Elano, i Sobis, gente svelta, col piede carico, non fenomeni. E dietro, i suoi sgherri, marcantoni, Fernando e Dudu in prima linea, a coprire altri armadi, Maicon, Luisão, Juan... «È tornato l’ordine in questo schifo di città!» sembra voler dire Dunga. Ma siamo sicuri che questa città facesse poi così schifo e che tutto, ma proprio tutto, era da cambiare?
PAOLO GALLI
1 commento:
complimenti per il blog ti invito a visitare il mio http://newsfuturama.blogspot.com/ ciao e buon anno
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