17 marzo 2012

Roberto Di Matteo, l'uomo del Destino





L’uomo del Destino. Ci voleva l’eroe per caso Roberto Di Matteo a riportare il Chelsea a respirare un po’ di gloria anche in Europa. Eliminando il Napoli e qualificandosi per i quarti di finale (con la possibilità di andare pure oltre: in semi c’è il Benfica) l’ex centrocampista della Lazio ha già fatto meglio dell’illustre predecessore Carlo Ancelotti, che coi Blues si era fermato agli ottavi. In tema di Italian Job ha fatto ombra anche aRoberto Mancini, che dopo la debacle nel girone di Champions è riuscito anche a farsi eliminare in Europa League dal non irresistibile Sporting Lisbona: il suo City mantiene quindi una sola leadership, quella degli stipendi e delle spese folli per ammonticchiare giocatori di talento.

È quindi Di Matteo, l’italiano che ci dà maggiore lustro all’estero: italiano vero perché è sì nato in Svizzera, a Sciaffusa, ma da genitori proveniente da Paglieta, in Abruzzo, e non ha mai ceduto alle lusinghe rossocrociate, attendendo la chiamata della Nazionale Azzurra, dove ha collezionato alla fine 34 presenze. «Sono cresciuto giocando a calcio. Ero nella Serie B svizzera, occupando un posto da straniero. Mi dissero: potrai fare molta più carriera diventando svizzero. Ma io avevo già deciso: sarei rimasto italiano anche per fare l'operaio, sarei tornato in Italia pure per lavorare in fabbrica».

Il Destino, non si sa se per premiarlo per questa dichiarazione strappalacrime, decide di scartare Mirafiori e di farlo approdare alla Lazio di Zoff. Cacciato il numero 1 di Spagna ‘82 è Zdenek Zeman a servirsi delle sue qualità in mezzo al campo: gioca più di ottanta partite in biancoceleste ma dopo un errore in una gara contro l’Inter il Boemo gli mette una croce sopra e lo emargina. Tocca di nuovo al Destino occuparsi di lui, e lo spedisce a Stamford Bridge, dove diventa un idolo: serio, lavoratore, uomo di poche parole e tanti fatti, cresciuto con gli emigranti italiani, ne ha ereditato i tanti pregi, con il plus di possedere due buoni piedi e un grado elevato di QI calcistico.

Si guadagna un paio di Coppe d’Inghilterra e soprattutto l’affetto dei tifosi del Chelsea quando saluta definitivamente i Blues e il calcio. Diventa telecronista ma da Lassù c’è un nuovo intervento. Quasi per caso diventa manager, e fa benissimo col West Bromwich Albion, portandolo in Premier League. Tanti gli preconizzano un futuro da ottimo tecnico e lui, invece di attendere la chiamata di una grande squadra, decide di sedersi tranquillo e di fare da vice ad André Villas Boas, già assistente di Mourinho e vincitore di tutto col Porto.

Qui però gli sceneggiatori si fanno prendere un po’ la mano: il portoghese che tutti volevano a inizio stagione (Abramovich ha sborsato 15 milioni cash al Porto per averlo) fallisce, Robbie si mette in panchina e non sbaglia un colpo: vince in campionato e Coppa e fa fuori dalla Champions una delle squadre più in forma d’Europa, il Napoli di Mazzarri. Fermarsi qui? Vediamo cosa ne pensano lassù.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Max

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