29 febbraio 2012

Qualificazioni Mondiali: L'Arabia Saudita di Rijkaard è fuori, il Qatar ha rischiato, bene l'Iraq di Zico




Dopo Camacho, Frank Rijkaard. Dopo il fragoroso crollo della Cina, guidata dallo spagnolo, anche un altro gigante dell’Asia, l’Arabia Saudita, è eliminato dalla corsa al prossimo Mondiale. I sauditi dell’ex centrocampista del Milan sono stati sconfitti 4-2 a Melbourne da un’ottima Australia, e vengono così superati in classifica dall’Oman del francese Paul Le Guen, vittorioso 2-0 contro la Thailandia. Il gruppo D si chiude così con l’Australia dominatrice e con l’Oman secondo in classifica: ha pesato tantissimo la vittoria a Muscat del novembre scorso.

Eppure l’Arabia Saudita di Rijkaard aveva cominciato molto bene il match all’AAMI Park di Melbourne, andando per due volte in vantaggio: al 19’ per merito di Salem Al Dawsari e nel recupero del primo tempo col talentuoso Nasser Al Shamrani, dopo il temporaneo pareggio di Brosque. Lo spirito britannico ha prevalso tra le file dei Socceroos, già qualificati da tempo al successivo turno, ma mai disposti a regalare punti e gol. Micidiali i minuti tra il 73’ e il 76’: l’Australia segna tre gol, inizia l’ex Liverpool Kewell, fa il bis Brosque e chiude Emerton. Rijkaard al 94’ ha gli occhi lucidi e deluso guarda il tabellone che evidenzia il 4-2 finale: la sua Arabia Saudita è fuori; intanto a Muscat si festeggia, l’Oman è qualificato al quarto turno.

Il Qatar ha riaggiustato solo all’88’ la gara contro il già qualificato Iran: 2-2 il finale a Teheran. La sconfitta catariota avrebbe escluso gli organizzatori del Mondiale 2022 in favore del Bahrein, che nel frattempo goleava con un po’ troppa facilità l’Indonesia, segnando addirittura 10 reti. Passa il turno anche la Corea del Sud, ma soffre non poco contro il Kuwait a Seul. Per gli uomini del Golfo, unico risultato utile era la vittoria: la partita rimane in equilibrio fino all’uno-due firmato Lee Dong-Gook (65’) e Lee Keun-Ho (72’), uno dei migliori in campo insieme al centrocampista del Celtic Ki Sung-Yong, entrato nella ripresa. Approfitta della sconfitta kuwaitiana il Libano, che rimane secondo nel girone pur uscendo con le ossa rotte dalla trasferta di Abu Dhabi (sorprendente vittoria degli Emirati per 4-2). Scivolone interno per il Giappone di Zaccheroni (84’ minuti in campo per l’interista Yuto Nagatomo), già qualificato come i corsari del Toyota Stadium, l’Uzbekistan, che si prende il primo posto del gruppo C e si accredita come una delle possibile sorprese in ottica Mondiale 2014. Ennesima bella vittoria per l’Iraq di Zico: 7-1 il finale contro Singapore. Le qualificazioni asiatiche riprendono a marzo, con due gironi da cinque squadre.

qualificate e risultati — Nazionali qualificate al prossimo turno: Giordania e Iraq (Gruppo A), Corea del Sud e Libano (Gruppo B), Uzbekistan e Giappone (Gruppo C), Australia e Oman (Gruppo D), Iran e Qatar (Gruppo E). Risultati dell’ultimo turno: Australia - Arabia Saudita 4-2, Cina - Giordania 3-1, Tagikistan - Corea del Nord 1-1, Oman - Thailandia 2-0, Giappone - Uzbekistan 0-1, Corea del Sud - Kuwait 2-0, Emirati - Libano 2-0, Bahrein - Indonesia 10-0, Iraq - Singapore 7-1, Iran - Qatar 2-2

Fonte: Gazzetta.it

28 febbraio 2012

Sulley Muntari, eroe nel giorno sbagliato




Galliani e Agnelli più Marotta. Conte e Allegri. E Buffon, Chiellini, Ambrosini, Mexes... La moviola in campo, le polemiche nei bar, gli insulti in televisione. Le mille pagine dei giornali. Tutto più o meno normale, da noi. Un attimo. Però ci si è dimenticati dell'eroe di quel secondo e sei centesimi, il tempo in cui la palla è rimasta nella porta di Buffon: Sulley Muntari, l'uomo che aveva probabilmente selezionato l'indirizzo dello Scudetto 2011/12.

Il suo gol-non gol è stato l'inizio di tutti i mali. Eppure, la sceneggiatura sembrava essere stata scritta da uno di quegli stregoni che il CT del Ghana ha accusato giorni fa per avergli rovinato le prestazioni dei suoi giocatori nella recente coppa d'Africa. Muntari era in campo nella notte che aveva riportato dopo un'era geologica la Champions all'Inter, giocò gli ultimi dieci minuti di quella straordinaria favola nerazzurra. Era giunto ad Appiano come succedaneo di Frank Lampard, difeso da José Mourinho aveva fornito un discreto contributo ai successi nerazzurri e in molti ricordano il suo gol proprio contro la Juve.

L'improvviso ritorno all'inferno dell'Inter, lo aveva messo nel mirino dei tifosi: Muntari aveva preso, nella sostanza, il posto dei Gresko, dei Fresi e dei Morfeo: era l'uomo su cui San Siro vomitava il proprio inarrivabile disprezzo, il giocatore simbolo di una stagione troppo distante da quel Triplete, sognato da una vita e consumato in un paio di giorni, per poi rituffarsi nei calciomercati di sempre. Muntari entrava in punta di piedi a San Siro, ed era un concerto di pernacchie: impossibile continuare.

Gli stregoni di cui sopra, assaporavano una vendetta gustosa e lo trascinavano dall'altra parte del Naviglio, azzoppando uno ad uno i possibili concorrenti di Muntari nel centrocampo di mediani rossoneri. Così Sulley, dopo una Coppa d'Africa non esattamente convincente, si permette la titolarità dopo un paio di allenamenti a Milanello. A Cesena fa il suo esordio, e timbra la vittoria con una rete: nella partita più importante dell'anno, il posto è suo.

Segna il gol del possibile 2-0, poi gli stregoni, dispettosissimi, si rivoltano: la terna arbitrale non si accorge che Buffon raccoglie il pallone dietro la linea di porta, e qualche tempo dopo ecco il nostro con la faccia immersa completamente nel terriccio instabile del prato di San Siro. Muntari è in ginocchio: lo juventino Matri ha appena segnato la rete dell'1-1. Tutto troppo in fretta, forse. La vendetta è piatto da servire dopo necessario passaggio in frigorifero: a maggio, probabilmente, gli spiriti si ricorderanno di lui.

CARLO PIZZIGONI


Fonte: Max

27 febbraio 2012

[Carioca 2012] Fluminense batte Vasco nella finale della Taça Guanabara

Con un risultato netto e una grande prova del quartetto d’attacco, il Fluminense mette sotto il Vasco per 3-1 e si aggiudica la Taça Guanabara, la prima parte del campionato Carioca: un successo che mancava da 19 anni. Partita condotta per larghi tratti dal Tricolor, e sbloccata da un calcio di rigore causato da un brutto errore di Fagner che atterra il folletto Wellington Nem, un ’92 di cui sentiremo parlare molto presto, anche in stadi più vicini a noi. Ottimo match anche di Deco, protagonista della seconda rete, e di Fred, che ha chiuso i conti dopo 10 minuti della ripresa. In settimana inizia già la seconda parte del torneo carioca, la Taça Rio.



Fonte: Tropico del Calcio

24 febbraio 2012

San Lorenzo, insieme per cancellare Jorge Videla

Rivogliono lo casa. I tifosi del San Lorenzo rivogliono il vecchio Gasómetro, lo stadio al Boedo, dove è nato il tango e los cuervos, i corvi, i tifosi del Ciclon. Nel 1979 Jorge Videla, l’uomo che ha segnato la pagina più buia di tutta la storia argentina, ha “rubato” lo stadio al San Lorenzo: una manifestazione che si prevede oceanica, prevista per l’8 marzo a Plaza de Mayo, chiede di far tornare il San Lorenzo alla sua vecchia casa. “Cría cuervos y te coparán Plaza de Mayo” , il video prodotto da San Lorenzo TV, rappresenta l’invito per tutti:



Fonte: Tropico del Calcio

23 febbraio 2012

[Carioca 2012] Vagner Love illude il Flamengo, Deivid sbaglia: il Vasco è in finale

Incredibile match nella semifinale del campionato carioca, il classico Vasco – Flamengo. Quella che è probabilmente la maggiore rivalità all’interno della città di Rio de Janeiro regala una partita piena di emozioni, grandi giocate e errori irreali. Vince, in rimonta, dopo il gran gol iniziale di Vagner Love, il Vasco, grazie alle reti di Alecsandro e Diego Souza, che vanno a segno al termine di due giocate dei migliori in campo, Juninho Pernambucano (autore della conclusione da fuori che mette in difficoltà il portiere Felipe, ex Corinthians, sul primo gol) e Felipe (protagonista del colpo di testa che impone una risposta complicata al numero 1 del Flamengo). Buona partita anche di Dedé, il centrale difensivo corteggiato da mezza Europa che conta, Penisola compresa. Con la vittoria, il Vasco elimina la squadra di Ronaldinho e si qualifica per la finale della Taça Guanabara, la prima parte del campionato carioca, dove affronterà la vincente della gara tra Fluminense e Botafogo.




La partita avrà visibilità mondiale anche per l’incredibile errore di Deivid. Il centravanti del Mengo, con la gara ancora sull’1-1, ha sbagliato un gol, solo davanti alla porta vuota: è già cliccatissimo su Youtube e resterà nella memoria dei tifosi carioca per parecchi anni ancora.


Fonte: Tropico del Calcio

22 febbraio 2012

Libertadores. Sorpresa Nacional di Medellin: Peñarol va ko Montevideo

La sorpresa di questo inizio di Copa Libertadores è colombiana. Alla prima uscita aveva liquidato senza problemi i campioni della Sudamericana, l’Universidad de Chile, nella notte hanno ridicolizzato, 4-0, il Peñarol a Montevideo: l’Atlético Nacional, da noi meglio noto come Nacional di Medellin, ricordando Maturana, Higuita e un calcio che negli anni d’oro ricevette gli elogi anche di Arrigo Sacchi, sta davvero facendo bene in questo abbrivio di manifestazione. Il tecnico, “Sachi” Escobar, fratello di quell’Andres ucciso, si dice, anche per un’autorete al Mondiale di USA ’94, ha costruito una squadra solida che riesce a difendersi con attenzione e che, soprattutto, sa ripartire con grande velocità e ordine. Allo stadio “Centenario” di Montevideo, grande partita in mezzo al campo di Macnelly Torres, e doppiette di Jherson Córdoba e dell’interessante Dorlán Pabón.

20 febbraio 2012

Muriel e Cuadrado, a Lecce nascono stelle





Serse Cosmi, a fine match arriva trafelato e un po’ zoppicante davanti alle telecamere, rivendicando una sorta di primogenitura e annunciando la nascita di due nuove stelle del firmamento calcistico. Si tratta dei due ragazzi colombiani che hanno deciso, con gol e giocate decisamente di un livello superiore, la sfida salvezza tra Lecce e Siena: Luis Muriel e Juan Cuadrado.

L’attaccante ha segnato il primo gol e ha prodotto una giocata alla Ronaldo procurandosi il rigore della sicurezza, Cuadrado ha messo in mostra un coast-to-coast concluso con un elegante pallonetto finito in fondo alla rete. I due ragazzi vivono questa stagione salentina in attesa di ritornare all’Udinese, il club che ha la proprietà del loro cartellino. Entrambi sono stati pescati in Colombia dagli osservatori di Pozzo, ed entrambi sono cresciuti attraverso il percorso costruito ad hoc dagli ottimi uomini dell’Udinese.

Cuadrado è arrivato in Italia nel 2009 e ha giocato solo spezzoni a Udine: giocatore di tanta corsa, a Udine hanno ritenuto giusto fargli fare esperienza in un club dove potesse giocare tanti minuti, così da accumulare fiducia e confidenza nelle sue enormi qualità fisiche e, ma qui stiamo ancora lavorando, riconoscere le diverse situazioni di gioco, mantenendo sempre la concentrazione giusta per tutto il match.

Muriel è un ragazzo che il sito di Max ha presentato in anteprima al pubblico italiano, diversi mesi fa. Lo avevamo scelto perché aveva già fatto intravedere giocate interessanti: pescato in Colombia, l’Udinese lo aveva portato in Europa ma lo aveva fatto cresce nel Granada, l’altra squadra di proprietà dei Pozzo, giunto nella massima divisione proprio quest’anno. L’idea comune è quella di farli maturare poco alla volta e, almeno nel caso di Muriel, beniamino di questo sito, è possibile che ci potremmo trovare di fronte ad un altro Alexis Sanchez. A Udine sono abituati a gestirli, i talenti. Così come il Niño Maravilla, oggi titolarissimo del Barcellona al fianco di Messi, era stato scovato giovanissimo in Cile e gli si era costruita una carriera che prevedeva una serie di step graduali, la possibilità di crescere con calma, fino a esplodere, così sarà per Muriel e Cuadrado. Che oggi vivono tranquilli a Lecce, si ritrovano a mangiare le arepas in casa del maggiore dei due (Cuadrado ha 23 anni, Muriel solo 20) e costruiscono, con calma, il loro futuro di stelle.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Max

16 febbraio 2012

[Analisi - San Siro dal Vivo] Milan - Arsenal 4-0



Quando ci si trova di fronte a una così palese superiorità di una squadra sull'altra, forse sarebbe meglio soprassedere. Il rischio è quello di trarre giudizi definitivi e, soprattutto, estremi non solo sull'Arsenal (e la sua politica, e il suo allenatore-manager e la sua stagione - meglio, le sue ultime stagioni), ma anche sul Milan. Sarebbe ingiusto, ma anche pericolosamente fuorviante. Tuttavia, questo match così disequilibrato, potrebbe contare e probabilmente conterà più di tanti altri passaggi della stagione. Il viso terreo, la difficoltà a trovare una giustificazione a una prestazione del genere per Wenger, a fine match (nella foto), segnala che il black out rimane ancora senza spiegazioni.

Uno degli ottavi di finale più interessanti, sulla carta, della Champions di quest'anno non si è giocato: è stato un dominio del Milan sull'Arsenal. Un dominio dal punto di vista dell'energia, della determinazione e, pure, del piano dell'identità di gioco. Il Milan ne ha preparato uno e gli è evidentemente riuscito, l'Arsenal ha fatto talmente male che non si è nemmeno intuito quel che volesse proporre.

Milan che difende abbastanza basso e con le due linee molto vicine. Ibrahimovic rimane davanti ma a inizio azione disturba la poverissima circolazione avversaria, Robinho e Boateng fanno una pressione sostanzialmente estemporanea. La lentezza del giro-palla dell'Arsenal lascia immobile la difesa milanista, che rimane bloccata, non va mai in difficoltà, se non in rarissime verticalizzazioni. L'Arsenal gira palla male, si muove male senza palla e soprattutto ammassa uomini davanti: le ripartenze del Milan diventano letali. In più la capacità di difendere negli spazi larghi dell'Arsenal è minima, anche per assenza di determinazione e cattiveria, Arteta (pessimo match: non è per questi livelli) non ha predisposizione difensiva, fa fatica a leggere le giocate, non riesce a posizionarsi per riequlibrare la fase offensiva e il solo Song, il meno peggio ieri sera, è continuamente preso in mezzo.

Si aggiunga a tutto ciò anche la scarsa pressione "alta" sui portatori di palla, a inizio azione (nulli gli avanti, in questo fondamentale), sia l'assolutà incapacità ( e impotenza) nell'anticipare Ibrahimovic, vero dominatore del match. Qual era il piano partita? A difesa schierata si nota che l'Arsenal non vuol abbassare Walcott e manda Song anche sulla sovrapposizione sul lato, ma quando al Milan riesce il cambio di gioco, spesso, non c'è mai bilanciamento e gli inglesi soffrono i tagli verticali malseguiti.

Il Milan difende compatto, evita nel limite del possibile le sponde. Vvan Persie, seppure giocatore di enorme qualità, non riesce né a trovare spunto nella densità difensiva rossonera, né a fornire base per la manovra. Malissimo Walcott, male Ramsey, Rosicky, con personalità e poca lucidità, cerca azioni di uno contro uno per sfondare il muro avversario, ma toglie ritmo a un attacco che già non lo possiede di suo e si espone ai contropiedi avversari.

La voglia e la determinazione esistono a priori, anche se non le si ottiene schiacciando un bottone, però quando ti senti meglio messo in campo, aumentano a dismisura. Mentre tra i giovani dell'Arsenal è tutto un allargare le braccia. 4-0 finale è la naturale conseguenza, l'esatta sintesi di quel che si è visto in campo.





Milan (4-3-1-2): Abbiati; Abate, Mexes, Thiago Silva, Antonini; Seedorf (12' Emanuelson), Van Bommel, Nocerino; Boateng (24' st Ambrosini); Ibrahimovic, Robinho (41' st Pato). A disp.: Amelia, Nesta, Bonera, El Shaarawy. All.: Allegri.
Arsenal (4-2-3-1): Szczesny; Sagna, Koscielny (44' Djorou), Vermaelen, Gibbs (21' st Oxlade-Chamberlain); Song, Arteta; Walcott (1' st Henry), Ramsey, Rosicky; Van Persie. A disp.: Fabianski, Cocquelin, Arshavin, Benayoun. All.: Wenger.
Arbitro: Kassai
Marcatori: 15' Boateng, 38' Robinho, 4' st Robinho, 33' st rig. Ibrahimovic“

14 febbraio 2012

Kalusha e Hegel. Zambia campione d'Africa/2





C’era una volta, giù nello Zambia, laggiù nella zona dell’Africa più celebrata dall’Inghilterra vittoriana, un presidente, Kenneth Kaunda, che sognava un umanesimo africano e costruiva con un’icona della Decolonizzazione, il tanzaniano Julius Nyerere, una ferrovia che avrebbe dovuto smuovere anche quella parte del Continente. Poi, sono arrivate le privatizzazioni e le grandi imprese straniere, europee ma soprattutto cinesi, che si sono prese tutto lo Zambia, togliendo a tanti zambiani anche la speranza.
C’era una volta una Nazionale di calcio che faceva sognare tutti gli zambiani, una squadra che all’Olimpiade di Seul, nel 1988, aveva scherzato contro i fenomeni italiani e aveva battuto gli azzurri per 4-0. Poi, un incidente aereo a Libreville, in Gabon, nell’aprile del 1993, aveva cancellato quegli uomini e quei sogni. Ma non ne ha allontanato mai lo spirito: che sopravvive nel cuore di ogni zambiano.

Questo spirito ha preso il sopravvento, e si è intromesso nell’appena conclusa Coppa d’Africa, giocata proprio in Gabon, riscrivendo tutto il finale della sceneggiatura a favore dei Chipolopolo, come vengono chiamati i rappresentati dello Zambia, e che significa “proiettili di rame”, il materiale di cui è ricco il sottosuolo del Paese e che ne ha rappresentato insieme la ricchezza e, in un certo senso, anche la sciagura.
C’è infatti qualcosa di ultra terreno nella vittoria della Coppa d’Africa, raggiunta dallo Zambia nella notte di domenica, dopo aver battuto, ai rigori, la Costa d’Avorio di Didier Drogba.

Un gruppo di ragazzi interessanti ma sconosciuti ai più, qualche elemento di classe stagionato (il capitano Christopher Katonga, eletto MVP della manifestazione), un ottimo tecnico (il giovane parigino Hervé Renard), non sono sufficienti per dominare la Coppa d’Africa. Non dovrebbero essere sufficienti. Deve centrare sicuramente qualcos’altro. Lo sa uno dei simboli di quel Paese, Kalusha Bwalya, il prospetto di un fuoriclasse, pallone d’oro africano 1988, l’unico elemento che si salvò dalla tragedia di Libreville del 1993 perché giocava già in Europa, nel PSV più forte di sempre. Lo sa perché, oggi, Kalusha è il presidente della Federcalcio del suo Paese, e lo certifica con una lacrima che gli solca il viso e che accompagna le lacrime di gioia e i canti di festa di un Paese intero.

La pioggia di Libreville bagna il trofeo più importante del Continente Nero, già nelle mani dei Chipolopolo, e pare fare da suggestivo sfondo a un rito sciamanico di una bellezza sconvolgente. Hegel sosteneva come sia impossibile scrivere una Storia dell’Africa: non ci aveva capito troppo, ma almeno, per la più classica eterogenesi dei fini, un brandello di senso lo aveva percepito, quello dell’incredibile sensibilità, della profonda umanità di questo popolo. Razionalizzare un evento come quello di domenica sera è impossibile, così come spiegarlo con le sole parole. Per fortuna.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Max

Il non dicibile. Zambia campione d'Africa /1





Non tutto si spiega con le parole, soprattutto in Africa. Sono spesso le sensazioni che raccontano il Continente Nero: osservi l’orizzonte e ti esplode qualcosa dentro. La Nazionale dello Zambia ha vinto per la prima volta nella sua storia la Coppa d’Africa, battendo in finale, ai rigori, dopo lo 0-0 dei 120 minuti di gara, i favoriti della competizione, la Costa d’Avorio di Dider Drogba. Hervé Renard, il tecnico che pare uscito da una casa di moda della sua città natale, Parigi, sempre con una camicia bianca perfettamente sbottonata per mostrare il petto glabro e scolpito, ha organizzato un calcio esteticamente gradevole, fatto di velocità, pressing e concentrazione, con un materiale umano sottovalutato dai più. Ha battuto con tali armi le migliori squadre del continente, prima il Ghana ( grazie a una rete di Emmanuel Mayuka dello Young Boys, uno dei migliori giocatori del torneo) e poi gli ivoriani. Ma durante la finale c’era qualcosa di “altro” che avvolgeva lo stadio di di Libreville, in Gabon. C’erano sensazioni diverse che attraversavano il cuore di tutti gli zambiani. C’era il ricordo del 1993. Il 27 aprile di quell’anno l’aereo che accompagnava la Nazionale dello Zambia a Dakar, per un match di qualificazione ai Mondiali si schiantava sul quartiere di Sabliére, proprio a Libreville: nessun superstite a bordo. A salvarsi era solo il giocatore più rappresentativo, Kalusha Bwalya, pallone d’oro africano nel 1988, che giocava già in Europa, al PSV Eindhoven, e che avrebbe raggiunto i compagni ( tra cui un fratello) direttamente con un volo dall’Olanda al Senegal. L’evento scosse il Paese, che attraversava l’ennesima crisi dovuta alla torbida campagna di privatizzazione di tante miniere di rame: sono ancora tantissime, in tutta la Nazione, le piazze e le vie dedicate ai ragazzi morti nel 1993, ragazzi che nell’Olimpiade di Seul avevano a loro volta scosso il Mondo del Pallone battendo per 4-0 l’Italia. Libreville è tornata d’attualità, col Presidente Bongo che ha preteso di rimodellare l’immagine del suo Paese organizzando una grande manifestazione sportiva, e Bwalya, dopo essere stato CT, è ora il Capo della Federcalcio Zambiana. Kalusha è oggi probabilmente la figura più amata del Paese, un’icona paragonabile solo a quella del padre della patria Kenneth Kaunda.
Qualcosa di non razionale, tipicamente africano, ha abitato tutta la partita, che lo Zambia ha condotto per larghi tratti: forse è anche intervenuto sul (generoso) calcio di rigore concesso agli ivoriani, che la superstar Drogba ha fatto volare in curva. Il livello emotivo, già elevatissimo, avrebbe poi raggiunto l’apice con l’appendice della lunghissima serie dei calci di rigore di fine partita. Le lacrime di gioia, avrebbero poi preso il posto di quelle, tristi, versate da Joseph Musonda, che a 34 anni abbandonava il campo per un infortunio dopo pochi minuti di match, e il cielo faceva la sua parte con una pioggia copiosa. In tribuna e a Lusaka molti hanno pensato che alla più grande festa sportiva del Paese abbia preso parte anche chi non c’è più. I Chipolopolo (proiettili di rame), come vengo chiamati i giocatori della Nazionale, evidenziando la ricchezza del sottosuolo zambiano, hanno vinto, il capitano Christopher Katongo è stato scelto come miglior giocatore del torneo. Lo Zambia ha una squadra giovane di enorme futuribilità. Tanti ragazzi giocano in patria, e sono meritevoli di attenzione dall’Europa, che dovrebbe avere un occhio di riguardo anche per Kalaba e Sunzu, che fanno parte della squadra congolese del TP Mazembe, forse la più all’avanguardia del Continente (hanno anche un aereo privato per le trasferte). Libreville ritorna nella storia dello Zambia: l’anima dell’Africa non si vede, ma ha qualcosa di forte, indicibile e profondo che arriva dritto nel cuore di tutti.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Giornale del Popolo - Lugano

Il promo della finale

10 febbraio 2012

Clausura 2012: apre stanotte il Boca alla Bombonera





Con l’esordio del campione in carica Boca Juniors, impegnato nel match casalingo contro l’Olimpo di Bahía Blanca, inizia nella notte italiana il campionato argentino, il Clausura 2012. Anzi, per essere precisi, il campionato avrà il polemico nome di “Torneo Crucero General Belgrano“, l’incrociatore argentino affondato nella Guerra delle Malvinas/Falkland, nel lontano, ma non troppo, evidentemente, 1982 ( in una dichiarazione recente Diego Maradona ha detto: “Non sarò mai il CT dell’Inghilterra”). Nella Terra d’Albione non gradirano, e qualche tabloid ha già scaldato gli animi dei sudditi della Regina.

In attesa del ritorno del River Plate nella massima divisione, è ancora l’arcirivale Boca, già campione dell’Apertura, il naturale favorito per il titolo. Juan Roman Riquelme è ancora il centro di gravità del club bostero, a cui si sono aggregati, nel recente calciomercato, l’ex catanese Pablo Ledesma, cavallo di ritorno, e l’ex Viola Santiago Silva (per ora il Tanque sarà disponibile solo per la Libertadores).

Cercheranno di sbarrare la strada al favorito, Velez e Racing, in primis. La squadra del “Flaco” Gareca, che ha già esordito alla grande in Libertadores, punta sull’organizzazione di gioco e ha rimpatriato il “Pocho” Federico Insúa, enganche di successo che si stava intristendo in Turchia, al Bursaspor. Come ormai avviene negli ultimi campionati il Racing rientra nel lotto delle outsider più accreditate. A guidarlo, dopo l’adios del “Cholo” Simeone, il ritorno del “Coco” Basile, che dispone dell’accoppiata di qualità colombiana Teo Gutiérrez – Giovanni Moreno, in cerca di una vera affermazione sul campo dopo i continui elogi registrati.

Qualche chance anche per l’Independiente guidata da Ramon Diaz, per l’Estudiantes, che vivrà l’ultimo semestre attivo della Brujita Juan Sebastian Veron ( e ha riportato a casa il gioiello Enzo Perez dal Benfica) e per il solito Lanus. Intanto, un’altra nobile del futbol argentino rischia la retrocessione, il San Lorenzo, che deve indovinare una ottima campagna per non ripetere la strada ultimamente percorsa dal River.

CARLO PIZZIGONI

Fonte: Tropico del Calcio

09 febbraio 2012

Coppa d'Africa 2012: Costa d'Avorio - Zambia, favorita e grande outsider per la finalissima

Ghana - Zambia 0-1

L'ottimo lavoro di Hervé Renard ha finalmente un riscontro importante. Lo Zambia del tecnico francese che aveva risollevato le sorti del calcio di quel Paese tempo fa e, dopo l'intermezzo positivo di Dario Bonetti, ha ripreso il controllo dei Chipolopolo, raggiunge la finale di CAN. Solito ottimo dinamismo, ma anche maggiore attenzione in ogni fase di gioco e un pizzico di maturità in più nella gestione del match. Anche un po'di fortuna, che è mancata in altre edizioni: straordinario però il portiere Kennedy Mweene sul rigore di Asamoah Gyan che continua la sua maledizione dal dischetto: un suo errore lasciò fuori il Ghana dalle semifinali mondiali. Ghana squadra giovane e di enorme prospettiva, coi due Ayew e un super Kwadwo Asamoah (quello dell'Udinese), ma il loro ex allenatore in seconda (Renard ha lavorato con Le Roy a Accra) li ha cacciati fuori. Buona prova di Kalaba ma ha deciso Mayuka, di cui abbiamo già parlato.




Costa d'Avorio - Mali 1-0


Un paio di pali (Drogba più Yaya Touré) e soprattutto un gol, con una bella azione in solitaria, di Gervinho: la Costa d'Avorio vince una partita psicologicamente difficile. Data per strafavorita, gioca dal primo giorno con l'enorme peso del pronostico sulle spalle, ma in una partita così importante, è difficile la gestione dell'ambito mentale, con tutto il Paese che vive la semifinale come una amichevole dal risultato scritto. Zahoui ancora con una sorta di 4213, con due mediani di recupero, Zokora e Tioté, davanti e a protezione della difesa a 4 con Gosso Gosso ancora a terzino destro, Yaya sul centro destra e libero di accompagnare l'azione offensiva dietro il tridente Gervinho-Drogba-Kalou. Il Mali ha dato tutto e Giresse deve essere soddisfatto del percorso fin qui svolto.

08 febbraio 2012

Palacio vista mare

Fonte: Max






Adesso anche il gol di tacco al volo. I gesti tecnici di Rodrigo Palacio sono ultimamente fuori registro (straordinaria la sua rete contro il Napoli, pure). Corre il rischio che qualcuno si accorga del suo incredibile talento, offuscato solo dal basso profilo di cui si può fare vanto. Concedeteglielo, però: la rete contro la Lazio era probabilmente per celebrare il suo trentesimo compleanno, e per ricordare ai tanti smemorati di questo pseudo paese calcistico, quello che in realtà non ama per nulla il gioco del calcio in quanto tale, che forse è il caso di ricordarsi di lui. Di Rodrigo.

Palacio fatidicamente, regala il tacco d'antologia nella giornata in cui la squadra che lo ha più corteggiato in estate (e ci ha “provato” pure nel mercato invernale) stava crollando a Roma. Nell'ultimo mercato, infatti, Gian Piero Gasperini, giunto a sorpresa sulla panchina dell'Inter, aveva chiesto alla sua dirigenza proprio l'attaccante di Bahia Blanca, lo stesso paese di nascita di un altro fenomeno, però del parquet, Manu Ginobili. La piazza nerazzurra, prima ancora di parte della società, era insorta qualificando la richiesta del mister come la prova della provincialità del suo tecnico: “ma questo ha capito che siamo l'Inter e vogliamo i fuoriclasse?”.

Dodici gol in 16 partite in una squadra non esattamente di prima fascia e alle prese con molti problemi di identità, è stata la risposta sul campo del genoano. Arrivare all'Inter, con l'allenatore che in Europa lo ha meglio sfruttato, utilizzandolo da attaccante esterno in un sistema di gioco molto adatto alle sue qualità, avrebbe coronato una rincorsa iniziata tanti anni fa nella provincia argentina. Provincia, dove il pregiudizio di troppi addetti ai lavori lo aveva confinato salvo poi scoprire che le giocate che regalava ai tifosi del Banfield, poteva realizzarle anche nel Boca Juniors. Vince campionati e alza pure una Copa Libertadores coi Bosteros, dove forma il Pa-Pa insieme al massimo cannoniere, e idolo incontrastato, della storia Azul y Oro, Martin Palermo.

L'occasione di venire in Europa è continuamente rimandata, finché una flessione di rendimento in Argentina fa pensare al colpaccio a Preziosi, che lo porta a Genova nel calciomercato del 2009. Arriva come uno dei tanti, come sempre nell'ombra, senza che nessuno si periti di sponsorizzarlo: nessun procuratore che prenota le tv per esaltarlo come il migliore degli acquisti possibili, nessuno, o pochi addetti ai lavori, che ne illustrino le enormi qualità. Sola concessione al look, un codino kitsch che accompagna i suoi capelli rasati, fuori moda e fuori tempo: a Palacio, per fortuna, resta la legge del campo, che non mente. Il circo che sta attorno al calcio non lo celebrerà mai, al Genoa e ai genoani va benissimo così.

01 febbraio 2012

Fredy Guarín, volontà e lotta, eredità del sangue



Il Dipartimento di Boyacá è una zona chiave nella storia della Colombia. Lì ci sono stati i più sanguinosi scontri per l'Indipendenza dalla Spagna: prevalsero gli uomini del Libertador, Simon Bolivar. In Colombia c'è sempre profondo rispetto per l'anima boyacense (il cui valore è anche riconosciuto nel testo dell'inno nazionale) e per quell'area del Paese, una zona centrale situata nell'area andina. Nasce proprio lì, a Puerto Boyacá, Fredy Alejandro Guarín Vásquez, Fredy Guarin, il nuovo centrocampista dell'Inter. Nasce e subito inizia la sua lotta personale per diventare un calciatore vero. Primi calci a Cortuluá, poi tour nel centro della Colombia con passaggio al Cooperamos Tolima e inizio della sua reale parabola nel calcio con l'Envigado. Con la squadra dell'area di Medellin, celebre nel far crescere campioncini (qui hanno iniziato anche James Rodriguez, oggi al Porto, e un talento incompreso come Giovanni Moreno), esordisce come professionista. Presenza fissa nelle selezioni giovanili colombiane, diventa celebre per la sua capacità di calciare, e segnare, da distanze siderali: soprattutto in Nazionale gli trovano il suo vero ruolo. Da centravanti arretra in mezzo al campo, e raccoglie l'interesse del Boca Juniors che lo vuole inserire nel suo progetto giovanile. Il “Coco” Basile, all'epoca allenatore dei Bosteros lo nota nel Precampionato e gli concede l'onore dell'esordio in prima squadra: è il primo febbraio 2006, sei anni dopo posterà su Twitter la foto della sua firma per l'Inter: “Un día lo pensé, un día lo soñé, un día lo logre”, pensato, sognato, realizzato: avrebbe coronato con queste parole il suo desiderio nerazzurro. Lottatore, ma giocatore con grandi capacità tecniche e senz'altro di spiccata personalità, Guarin sbarca in Europa, in Francia, al Saint Etienne ma si impone nel Porto di Villas Boas: la cessione di Raul Meireles gli spalanca le porte dell'undici titolare e diventa uno dei protagonisti della straordinaria cavalcata dell'erede di José Mourinho nei Dragoni: vince nella stessa stagione Campionato, coppa e Europa League ( è suo l'assist a Radamel Falcao nella rete che decide la finale). Entra nel mirino di tanti club, ma la Juventus riesce a bloccarlo grazie al lavoro di Fabio Paratici, assistente di Beppe Marotta. Il giocatore è sicuro di arrivare a Torino ma nella scelta dell'unico extracomunitario tesserabile mister Antonio Conte opta per Caceres, chiedendo alla sua dirigenza anche un centrocampista molto più dinamico, anche se meno tecnico di Guarin, come Simone Padoin. A questo punto l'Inter, che ha seguito il giocatore da anni anticipa le altre concorrenti, anche con l'intermediazione di Ivan Ramiro Cordoba, una istituzione in Colombia. Inizia una nuova battaglia per il guerriero boyacense vestito ora di nerazzurro.

CARLO PIZZIGONI


Fonte: Max


Il giovanissimo Guarín