Semifinale Coppa Svizzera
Bellinzona-Neuchatel Xamax
Di ALEC CORDOLCINI
Folla delle grandi occasioni e tensione (positiva) palpabile al Comunale di Bellinzona per la semifinale di Swisscom Cup tra la squadra ticinese e il Neuchatel Xamax. I padroni di casa non arrivavano così lontano in coppa dal 1969, ma a caricare ancora più di contenuti l’incontro era l’altra semifinale che vedeva opposto il Basilea al Thun. Facilmente intuibile il motivo: i rossoblu guidano saldamente la classifica della Super League, e pertanto nell’eventualità di un più che probabile accesso in finale (il Thun è lontanissimo parente della squadra che anni fa arrivò fino ai giorni di Champions) la vincente tra Bellinzona e Neuchatel acquisirebbe direttamente il pass per la Coppa Uefa. Profumo d’Europa quindi nell’aria, e gambe un po’ legate in campo. I padroni di casa partono contratti, lasciando campo al Neuchatel e agendo prevalentemente di rimessa. Ma i rossoneri non ne approfittano, vuoi perché consci del loro stato di forma certamente non ottimale (nel 2008 gli uomini di mister Castella hanno raccolto tre sconfitte in quattro incontri), vuoi perché a livello tecnico, nonostante siano una squadra appartenente ad una categoria superiore a quella dell’ACB, la differenza non è poi così eclatante. In avanti si affidano all’esperienza del veterano argentino Julio Hernan Rossi e alla tonicità del senegalese Matar Coly, ma il primo produce solo tanto fumo, anche per merito dell’eccellente partita giocata dall’ex Vicenza Davide Belotti, mastino battagliero come pochi, e il secondo trova sulla sua strada un sempre attento Lorenzo Bucchi. Eccellente la partita dell’estremo difensore del Bellinzona, nonostante uno stile piuttosto rozzo e che si affida quasi completamente alle respinte di pugno (e qualcuno in tribuna faceva notare che prima o poi uno di quei palloni sarebbe finito sui piedi di qualche giocatore avversario); ma se il bello stile latita, l’efficacia è fuor di dubbio. Almeno tre gli interventi salva-risultato, più gli ottimi riflessi su un pallone che, dopo l’ennesima mischia da calcio d’angolo, sembrava aver varcato la linea di porta (anche il replay della Tv Svizzera non è però riuscita a fugare tutti i dubbi). Nel Neuchatel piace per personalità e movenze Thierno Bah, play davanti alla difesa che controlla tutte le operazioni della squadra, e nota di merito per la coppia centrale Stéphane Besle-Tariq Chihab, insuperabile sulle palle alte e brava nel ridurre ai minimi termini il camerunese Pouga, stella nonché elemento più temuto dell’ACB, che si è limitato a qualche spizzata di testa dando il più delle volte l’impressione di essere sceso in campo privo dell’agonismo giusto che questi incontri richiedono. Un po’ meglio il suo compagno di reparto, il brasiliano Neri, anche se troppo innamorato del dribbling, male invece il numero 10 (in tutti i sensi) Ifet Taljevic. Era lui l’elemento che doveva scombinare le carte, invece è apparso indolente e poco “cattivo”, mangiandosi oltretutto un gol che grida ancora vendetta. Lo 0-0 dei tempi regolamentari è lo specchio fedele di una partita ben giocata da entrambi i reparti arretrati. I tempi supplementari, spauracchio per la tenuta fisica dell’ACB, hanno invece visto un progressivo appannamento del Neuchatel il quale, episodio del gol-fantasma a parte, ha rischiato la beffa quando Neri, solo in mezzo all’area, ha colpito l’incrocio dei pali. Poi la lotteria dei rigori, che già aveva portato bene al Bellinzona nel secondo turno contro il Wohlen. Tra i pali del Neuchatel c’è poi uno Zuberbühler formato Mondiale 2006: non ne prende mezzo. Il Bellinzona finisce in Europa; e adesso sotto con il Basilea.
Bellinzona (3-4-1-2): Bucchi 7; Bellotti 7.5, Mangiarratti 7, Carbone 5.5; Lulic 6, Rivera 6.5 (96’ Wahab 6), La Rocca 5, Miccolis 6.5 (111’ Conti sv); Taljevic 5 (68’ Raso 6); Pouga 5, Neri 5.
Neuchatel Xamax (4-4-2): Zuberbühler 6; Jenny 5.5, Besle 6.5, Chihab 7, El Haimour 5 (107’ Quennoz sv); Nuzzolo 5.5 (62’ Lang 6), Bah 7, Rak 6, Szlykowicz 6; Rossi 5.5, Coly 6 (Joao Paulo 5).
Risultato: 0-0 (4-2 dopo i calci di rigore)
Sequenza rigori: Carbone traversa, Rossi alto, Neri gol (1-0), Bah alto, Pouga gol (2-0), Joao Paulo gol (2-1), Conti gol (3-1), Chihab gol (3-2), La Rocca gol (4-2).
Bellinzona, Stadio Comunale, mercoledì 27 febbraio 2008.
ALEC CORDOLCINI
28 febbraio 2008
20 febbraio 2008
Iran - Javier Clemente
Fonte: Gazzetta.it
Continua la telenovela Javier Clemente, il tecnico basco in predicato di allenare la nazionale iraniana. Quando, dopo un tira e molla che dura settimane, pareva tutto a posto è risaltata fuori la clausola del contratto che prevede come il tecnico della selezione persiana debba risiedere stabilmente in Iran e possa tornare in patria solo un paio di volte l’anno. Clemente, reduce da una fallimentare esperienza con la Serbia, non ci sta e il presidente della federazione del Team Melli (com’è soprannominata la rappresentativa dell’Iran), Ali Kafashan, minaccia di valutare possibili alternative qualora l’iberico dovesse confermare la sua volontà, “anzi, ci stiamo già guardando attorno e abbiamo individuato altri candidati, indigeni e stranieri.”
La storia recente del Team Melli è avvilente. A inizio del 2006 era considerata una rappresentativa in grande ascesa e attendeva la vetrina dei Mondiali tedeschi per essere riconosciuta tra l’élite del mondo calcistico che conta. La generazione di Rezaei, Mahdavikia, Nekounam, Hashemian e Karim è certamente la migliore di sempre del paese asiatico. Però la squadra allora condotta da Branko Ivankovic, bucò a sorpresa la rassegna iridata, giungendo ultima nel girone con Angola, Messico e Portogallo, e lasciando una sensazione di un calcio raffazzonato. Da quel momento una discesa vertiginosa. Mahdavikia lasciava l’Amburgo per l’Eintracht, Karimi abbandonava il Bayern e l’appellativo di “Maradona d’Asia” per rifugiarsi nel danaroso, ma non eccelso Qatar, di Rezaei conosciamo il declino italiano, Nekounam che era partito bene nell’Osasuna pagava un brutto infortunio che lo allontanava dalla nazionale. Una brutta caduta, certificata dalla pessima figura nella coppa d’Asia 2007: fuori ai quarti in una competizione vinta dal disastrato Iraq.
La voglia di ritornare a contare aveva imposto alla federazione iraniana una brusca sterzata. Si era pensato anche al nostro Gigi Cagni, ma il tecnico bresciano era poco interessato all’avventura persiana. Così, il contatto Clemente. La prima partita di qualificazione al mondiale sudafricano, grande obiettivo degli iraniani, aveva visto in panchina il tecnico indigeno ad interim Mansour Ebrahimzadeh, con Clemente che osservava dalla tribuna. Un brutto 0-0 interno con la Siria appena abbandonata da Antonio Cabrini, e la solita richiesta da parte dei tifosi di un cambi immediato sulla panchina. Javier Clemente, ultimamente non sfolgorante, sembrava l’uomo giusto, ma l’idea di lasciare la Spagna l’ha frenato. Urge una decisione, e in fretta. Fermare la telenovela.
Carlo Pizzigoni
Dal sito della Gazzetta
Continua la telenovela Javier Clemente, il tecnico basco in predicato di allenare la nazionale iraniana. Quando, dopo un tira e molla che dura settimane, pareva tutto a posto è risaltata fuori la clausola del contratto che prevede come il tecnico della selezione persiana debba risiedere stabilmente in Iran e possa tornare in patria solo un paio di volte l’anno. Clemente, reduce da una fallimentare esperienza con la Serbia, non ci sta e il presidente della federazione del Team Melli (com’è soprannominata la rappresentativa dell’Iran), Ali Kafashan, minaccia di valutare possibili alternative qualora l’iberico dovesse confermare la sua volontà, “anzi, ci stiamo già guardando attorno e abbiamo individuato altri candidati, indigeni e stranieri.”
La storia recente del Team Melli è avvilente. A inizio del 2006 era considerata una rappresentativa in grande ascesa e attendeva la vetrina dei Mondiali tedeschi per essere riconosciuta tra l’élite del mondo calcistico che conta. La generazione di Rezaei, Mahdavikia, Nekounam, Hashemian e Karim è certamente la migliore di sempre del paese asiatico. Però la squadra allora condotta da Branko Ivankovic, bucò a sorpresa la rassegna iridata, giungendo ultima nel girone con Angola, Messico e Portogallo, e lasciando una sensazione di un calcio raffazzonato. Da quel momento una discesa vertiginosa. Mahdavikia lasciava l’Amburgo per l’Eintracht, Karimi abbandonava il Bayern e l’appellativo di “Maradona d’Asia” per rifugiarsi nel danaroso, ma non eccelso Qatar, di Rezaei conosciamo il declino italiano, Nekounam che era partito bene nell’Osasuna pagava un brutto infortunio che lo allontanava dalla nazionale. Una brutta caduta, certificata dalla pessima figura nella coppa d’Asia 2007: fuori ai quarti in una competizione vinta dal disastrato Iraq.
La voglia di ritornare a contare aveva imposto alla federazione iraniana una brusca sterzata. Si era pensato anche al nostro Gigi Cagni, ma il tecnico bresciano era poco interessato all’avventura persiana. Così, il contatto Clemente. La prima partita di qualificazione al mondiale sudafricano, grande obiettivo degli iraniani, aveva visto in panchina il tecnico indigeno ad interim Mansour Ebrahimzadeh, con Clemente che osservava dalla tribuna. Un brutto 0-0 interno con la Siria appena abbandonata da Antonio Cabrini, e la solita richiesta da parte dei tifosi di un cambi immediato sulla panchina. Javier Clemente, ultimamente non sfolgorante, sembrava l’uomo giusto, ma l’idea di lasciare la Spagna l’ha frenato. Urge una decisione, e in fretta. Fermare la telenovela.
Carlo Pizzigoni
Dal sito della Gazzetta
17 febbraio 2008
Denilson
Fonte: Gazzetta.it
C’è il dribbling, e in questo fondamentale rimane in maniera indiscussa un principe della categoria, e poi la fase in cui si dovrebbe riconoscere qual è il termine della giocata, e qui casca l’asino. L’eleganza delle movenze di Denilson de Oliveira Araujo (in breve Denilson) se le ricordano tutti, e tutti ne sono rimasti rapiti. Ma che fine ha fatto? Com’è che quel giocatore che aveva entusiasmato a cavallo dell’inizio del nuovo millennio, non si trova traccia? Ha appena firmato per il Palmeiras, un contratto legato alle prestazioni, che di solito non si sottopone ai fuoriclasse, categoria a cui era destinato secondo il parere di molti appassionati. Ritorna in Brasile dopo aver sotterrato il contratto con il FC Dallas, in cui nell’ultimo anno ha sfolgorato con otto presenze e un gol… Ritorna nella sua San Paolo, lui che è cresciuto proprio nella metropoli paulista ma nel Tricolor, il Sao Paulo, la squadra che ha tirato su pure Kakà e che ora sta cercando di rilanciare Adriano.
LE ORIGINI - Dieci anni fa Denilson sfolgorava nelle giovanili del “time” di Morumbi, al cui comando c’era quel Muricy che oggi guida la prima squadra. Denilson e il portiere-star Rogerio Ceni guidavano una super squadra che, con l’innesto di alcuni elementi della squadra riserve, riuscì a conquistare la copa Conmebol, torneo riservato alle prime squadre, le migliori del Sudamerica. Ecco, lì nasceva la magia dell’ “Espressinho”, la squadra di ragazzi che faceva tremare i grandi, e il dribbling di Denilson illuminava San Paolo. Troppo bravo, scalava le vette del calcio brasiliano, grande nel Paulista del 1998 al fianco di un’icona del futebol made in Brazil, Rai, sorprendeva pure indossando la casacca della Seleçao. Troppo forte, e infatti il Betis di Siviglia, tra la sorpresa generale, visto il precedente accostamento a squadre più blasonate, ma grazie a una super offerta di 35 milioni di dollari, gli paga il transoceanico e lo porta in Europa. Correva l’anno 1998. L’inizio della fine.
GIRAMONDO - Sì, perché Denilson brilla ancora in Nazionale, ma il Betis non può lottare coi colossi che si trova attorno. E poi c’è la deriva tecnica, dribbla e rientra, dribbla e rientra: buono per un’esibizione ma l’obiettivo del gioco sarebbe un altro… Nel Mondiale del 2002 clamoroso il suo spezzone contro la Turchia, in semifinale, quando a fine match nasconde la palla a un esercito di giocatori turchi che cercano di sottrargliela in ogni modo. Il pubblico asiatico lo ricopre di “oooh”: quello fu il suo vero addio alle platee luccicanti. Dopo un ritorno in patria poco fortunato nel Flamengo rieccolo in Andalusia, male: meglio cambiare aria. Prova la Francia, il Bordeaux, enclave brasiliana in Aquitania: qualche buona prestazione ma la solita sconsolante mancanza di continuità, e quando si perde palla dopo doppi e tripli dribbling pure qui perdono la pazienza, e piovono i fischi che minano il morale già non troppo stabile di Denilson. Che sceglie la tranquillità, e i (tanti) soldi del campionato saudita. Tecnicamente è un fallimento. Poi lo sbarco negli States e il tentativo di rilancio, a trent’un anni, col Palmeiras di Vaderlei Luxemburgo, in un centrocampo col cileno Valdivia e Diego Souza, che, quantomeno, merita la visione, vista la tecnica di base distribuita in dose massicce un po’ a tutti i protagonisti. Tuttavia, come dimostra la storia, da solo, il talento, anche se sconfinato, come nel caso di Denilson, non è sufficiente. Forse sì, in Europa si “impara a giocare di squadra”, forse: non sempre, però, i maestri sono all’altezza.
Carlo Pizzigoni
Dal sito della Gazzetta
C’è il dribbling, e in questo fondamentale rimane in maniera indiscussa un principe della categoria, e poi la fase in cui si dovrebbe riconoscere qual è il termine della giocata, e qui casca l’asino. L’eleganza delle movenze di Denilson de Oliveira Araujo (in breve Denilson) se le ricordano tutti, e tutti ne sono rimasti rapiti. Ma che fine ha fatto? Com’è che quel giocatore che aveva entusiasmato a cavallo dell’inizio del nuovo millennio, non si trova traccia? Ha appena firmato per il Palmeiras, un contratto legato alle prestazioni, che di solito non si sottopone ai fuoriclasse, categoria a cui era destinato secondo il parere di molti appassionati. Ritorna in Brasile dopo aver sotterrato il contratto con il FC Dallas, in cui nell’ultimo anno ha sfolgorato con otto presenze e un gol… Ritorna nella sua San Paolo, lui che è cresciuto proprio nella metropoli paulista ma nel Tricolor, il Sao Paulo, la squadra che ha tirato su pure Kakà e che ora sta cercando di rilanciare Adriano.
LE ORIGINI - Dieci anni fa Denilson sfolgorava nelle giovanili del “time” di Morumbi, al cui comando c’era quel Muricy che oggi guida la prima squadra. Denilson e il portiere-star Rogerio Ceni guidavano una super squadra che, con l’innesto di alcuni elementi della squadra riserve, riuscì a conquistare la copa Conmebol, torneo riservato alle prime squadre, le migliori del Sudamerica. Ecco, lì nasceva la magia dell’ “Espressinho”, la squadra di ragazzi che faceva tremare i grandi, e il dribbling di Denilson illuminava San Paolo. Troppo bravo, scalava le vette del calcio brasiliano, grande nel Paulista del 1998 al fianco di un’icona del futebol made in Brazil, Rai, sorprendeva pure indossando la casacca della Seleçao. Troppo forte, e infatti il Betis di Siviglia, tra la sorpresa generale, visto il precedente accostamento a squadre più blasonate, ma grazie a una super offerta di 35 milioni di dollari, gli paga il transoceanico e lo porta in Europa. Correva l’anno 1998. L’inizio della fine.
GIRAMONDO - Sì, perché Denilson brilla ancora in Nazionale, ma il Betis non può lottare coi colossi che si trova attorno. E poi c’è la deriva tecnica, dribbla e rientra, dribbla e rientra: buono per un’esibizione ma l’obiettivo del gioco sarebbe un altro… Nel Mondiale del 2002 clamoroso il suo spezzone contro la Turchia, in semifinale, quando a fine match nasconde la palla a un esercito di giocatori turchi che cercano di sottrargliela in ogni modo. Il pubblico asiatico lo ricopre di “oooh”: quello fu il suo vero addio alle platee luccicanti. Dopo un ritorno in patria poco fortunato nel Flamengo rieccolo in Andalusia, male: meglio cambiare aria. Prova la Francia, il Bordeaux, enclave brasiliana in Aquitania: qualche buona prestazione ma la solita sconsolante mancanza di continuità, e quando si perde palla dopo doppi e tripli dribbling pure qui perdono la pazienza, e piovono i fischi che minano il morale già non troppo stabile di Denilson. Che sceglie la tranquillità, e i (tanti) soldi del campionato saudita. Tecnicamente è un fallimento. Poi lo sbarco negli States e il tentativo di rilancio, a trent’un anni, col Palmeiras di Vaderlei Luxemburgo, in un centrocampo col cileno Valdivia e Diego Souza, che, quantomeno, merita la visione, vista la tecnica di base distribuita in dose massicce un po’ a tutti i protagonisti. Tuttavia, come dimostra la storia, da solo, il talento, anche se sconfinato, come nel caso di Denilson, non è sufficiente. Forse sì, in Europa si “impara a giocare di squadra”, forse: non sempre, però, i maestri sono all’altezza.
Carlo Pizzigoni
Dal sito della Gazzetta
11 febbraio 2008
Coppa d'Africa - La Finale
Fonte: Gazzetta.it
EGITTO CAMERUN 1-0
Contro ogni pronostico di inizio torneo, l’Egitto, con pieno merito, bissa il successo di due anni fa e si conferma campione continentale. Il gol decisivo, dopo una gara condotta dal primo minuto, giunge al 76’ dopo una colossale fesseria di Rigobert Song, passato come una meteora anche dal nostro campionato, anni fa a Salerno, che controlla male una palla, si fa infastidire dal pressing di Zidan, cerca un fallo che non esiste si fa sottrarre la sfera dall’attaccante dell’Amburgo che la porge a AbouTrika davanti alla porta: lì finisce il sogno del Camerun.
I Faraoni hanno mostrato in questa Coppa d’Africa il calcio più razionale e organizzato, un 3-4-1-2 che il c.t. Shehata non ha mai modificato, impreziosendolo solo con l’inserimento dei singoli, in primis capitan Hassan, squalificato nei primi due match e piano piano introdotto tra i titolari; medesimo discorso può essere fatto per AbouTrika, in non eccelse condizioni fisiche a inizio torneo Shehata l’ha utilizzato prima da arma tattica a partita in corso poi l’ha schierato negli undici e proprio lui, dopo il pressing di Zidan e l’errore di Song, ha firmato il gol vittoria per l’Egitto. Gestione perfetta, quindi, fuori e dentro il campo, l’allenatore dei Faraoni ha dominato pure l’ultima partita, con le solite armi del pressing e delle ripartenze negli spazi, l’appoggio degli esterni, Fathi e Moawed sempre puntuali, e una difesa molto attenta guidata dal miglior portiere africano, il trentacinquenne El Hadary.
Il Camerun sceglie la solita strategia tutto muscoli e attesa, sperando in una giocata dei suoi miglior giocatori, in primis Eto’o, capocannoniere del torneo con 5 gol ma non sugli standard elevatissimi a cui ha abituato tutti. Otto Pfister, l’allenatore dei Leoni Indomabili, spera anche in qualche ripartenza di Nkong (eroe della semifinale) di Epalle o di Emana, ma nessuno è all’altezza e il più talentuoso, il centrocampista del Tolosa, buca in pieno il match: mai decisivo, è spesso protagonista di errori grossolani, che la sua tecnica non ammetterebbe: la tensione, forse, lo ha messo k.o., mentre è stata una botta al ginocchio a escludere dopo appena 15 minuti una delle rivelazioni del torneo, Alexander Song, già in dubbio prima dell’incontro. L’Egitto che comandava abbastanza chiaramente la partita non riusciva però a smuovere il tabellino, i Leoni Indomabili venivano più volte contati in piedi ma non crollavano, spesso per merito delle parate di Carlos Kameni, fenomenale in un paio di uno contro uno contro gli attaccanti avversari. Quando molti si preparavano per i supplementari, ecco la ricordata papera di Song, a dire il vero una delle anime della sua squadra per tutto il torneo, e sul carro che porta la Coppa ci sale, ancora una volta, l’Egitto.
IL MIGLIORE - Tutti bene nell’Egitto, dal generoso Zaki all’elegante autore del gol decisivo AbouTrika, passando per capitan Hassan, recuperatore di palla e ottimo play maker, che con questa vittoria probabilmente saluta l’Europa e a fine anno lascia Bruxelles, dove gioca (Anderlecht), per il ritorno in Patria. Chi probabilmente compie la strada inversa è il miglior giocatore del torneo Hosni Abd Rabo, in forza all’Ismaily ma prossimo a un rientro nel calcio del Vecchio Continente dove non lo hanno ancora apprezzato a dovere (il suo precedente soggiorno, a Strasburgo, è stato tutt’altro che piacevole). Qui, tra la sorpresa di molti osservatori che scrivevano, scrivevano, è stato il vero trascinatore della sua squadra. Centrocampista ventitreenne dall’ottima tecnica e dall’eccellente lettura delle situazioni di gioco, ha anche grandi doti di inserimento e anche oggi ha sfiorato il gol centrando il palo a seguito di un’incornata prodotta dopo un’introduzione dal lato debole. Lo rivedremo presto dalle nostre parti.
CARLO PIZZIGONI
Dal sito della Gazzetta
Tabellino:
Camerun: Kameni, Geremi, Tchato, Song, Atouba, Song Billong (Binya 16), Mbia, Epalle (M'Bami 65), Emana (Idrissou 56), Nkong, Eto'o.
Egitto: El Hadari, Mohamed, Hany Said, Gomaa, Fathi, Hassan, Hosny Abd Rabou, Moawad, Aboutrika (Ibrahim Said 89), Moteab (Zidan 60), Zaki (Shawky 84).
Goals: Aboutrika 76.
EGITTO CAMERUN 1-0
Contro ogni pronostico di inizio torneo, l’Egitto, con pieno merito, bissa il successo di due anni fa e si conferma campione continentale. Il gol decisivo, dopo una gara condotta dal primo minuto, giunge al 76’ dopo una colossale fesseria di Rigobert Song, passato come una meteora anche dal nostro campionato, anni fa a Salerno, che controlla male una palla, si fa infastidire dal pressing di Zidan, cerca un fallo che non esiste si fa sottrarre la sfera dall’attaccante dell’Amburgo che la porge a AbouTrika davanti alla porta: lì finisce il sogno del Camerun.
I Faraoni hanno mostrato in questa Coppa d’Africa il calcio più razionale e organizzato, un 3-4-1-2 che il c.t. Shehata non ha mai modificato, impreziosendolo solo con l’inserimento dei singoli, in primis capitan Hassan, squalificato nei primi due match e piano piano introdotto tra i titolari; medesimo discorso può essere fatto per AbouTrika, in non eccelse condizioni fisiche a inizio torneo Shehata l’ha utilizzato prima da arma tattica a partita in corso poi l’ha schierato negli undici e proprio lui, dopo il pressing di Zidan e l’errore di Song, ha firmato il gol vittoria per l’Egitto. Gestione perfetta, quindi, fuori e dentro il campo, l’allenatore dei Faraoni ha dominato pure l’ultima partita, con le solite armi del pressing e delle ripartenze negli spazi, l’appoggio degli esterni, Fathi e Moawed sempre puntuali, e una difesa molto attenta guidata dal miglior portiere africano, il trentacinquenne El Hadary.
Il Camerun sceglie la solita strategia tutto muscoli e attesa, sperando in una giocata dei suoi miglior giocatori, in primis Eto’o, capocannoniere del torneo con 5 gol ma non sugli standard elevatissimi a cui ha abituato tutti. Otto Pfister, l’allenatore dei Leoni Indomabili, spera anche in qualche ripartenza di Nkong (eroe della semifinale) di Epalle o di Emana, ma nessuno è all’altezza e il più talentuoso, il centrocampista del Tolosa, buca in pieno il match: mai decisivo, è spesso protagonista di errori grossolani, che la sua tecnica non ammetterebbe: la tensione, forse, lo ha messo k.o., mentre è stata una botta al ginocchio a escludere dopo appena 15 minuti una delle rivelazioni del torneo, Alexander Song, già in dubbio prima dell’incontro. L’Egitto che comandava abbastanza chiaramente la partita non riusciva però a smuovere il tabellino, i Leoni Indomabili venivano più volte contati in piedi ma non crollavano, spesso per merito delle parate di Carlos Kameni, fenomenale in un paio di uno contro uno contro gli attaccanti avversari. Quando molti si preparavano per i supplementari, ecco la ricordata papera di Song, a dire il vero una delle anime della sua squadra per tutto il torneo, e sul carro che porta la Coppa ci sale, ancora una volta, l’Egitto.
IL MIGLIORE - Tutti bene nell’Egitto, dal generoso Zaki all’elegante autore del gol decisivo AbouTrika, passando per capitan Hassan, recuperatore di palla e ottimo play maker, che con questa vittoria probabilmente saluta l’Europa e a fine anno lascia Bruxelles, dove gioca (Anderlecht), per il ritorno in Patria. Chi probabilmente compie la strada inversa è il miglior giocatore del torneo Hosni Abd Rabo, in forza all’Ismaily ma prossimo a un rientro nel calcio del Vecchio Continente dove non lo hanno ancora apprezzato a dovere (il suo precedente soggiorno, a Strasburgo, è stato tutt’altro che piacevole). Qui, tra la sorpresa di molti osservatori che scrivevano, scrivevano, è stato il vero trascinatore della sua squadra. Centrocampista ventitreenne dall’ottima tecnica e dall’eccellente lettura delle situazioni di gioco, ha anche grandi doti di inserimento e anche oggi ha sfiorato il gol centrando il palo a seguito di un’incornata prodotta dopo un’introduzione dal lato debole. Lo rivedremo presto dalle nostre parti.
CARLO PIZZIGONI
Dal sito della Gazzetta
Tabellino:
Camerun: Kameni, Geremi, Tchato, Song, Atouba, Song Billong (Binya 16), Mbia, Epalle (M'Bami 65), Emana (Idrissou 56), Nkong, Eto'o.
Egitto: El Hadari, Mohamed, Hany Said, Gomaa, Fathi, Hassan, Hosny Abd Rabou, Moawad, Aboutrika (Ibrahim Said 89), Moteab (Zidan 60), Zaki (Shawky 84).
Goals: Aboutrika 76.
08 febbraio 2008
Coppa d'Africa - Day 15
Fonte: Gazzetta.it
GHANA - CAMERUN 0-1
E' il Camerun la prima finalista di questa coppa d’Africa. A un Ghana coraggioso, però appesantito da pressioni, infortuni e squalifiche, non riesce l’ennesimo miracolo. Così, davanti al proprio pubblico potrà giocare solo per il gradino più basso del podio.
I Leoni Indomabili ritrovano al momento giusto, cioè nella scorsa partita dei quarti e in questa semifinale, l’orgoglio che da sempre contraddistingue questa squadra, che per molto tempo è stato il vessillo calcistico dell’intero continente. Il c.t. Otto Pfister ripropone il doppio mediano davanti alla difesa e, ancora, Mbia e Alexander Song gli regalano una partita "monstre" per quantità e equilibrio tattico: raddoppiano e recuperano una moltitudine di palloni, rallentando oltremodo la macchina ghanese. Emana e Job devono dare manforte a Eto’o che però viene disinnescato molto spesso da un fenomenale Essien, proposto sulla linea difensiva per ovviare alla squalifica di capitan Mensah.
La tensione è altissima, il Ghana prepara bene il match, mette Quincy dietro l’unica punta Agogo, e prova Dramane e il figlio di Abedì Pelè sui lati. Le azioni più pericolose sono dei padroni di casa, ma senza un attaccante di valore (fuori uso anche l’Udinese Asamoah) Leroy, che le ha tentate tutte per mascherare la mancanza di un finalizzatore credibile, deve sperare di "trovare" un gol. Non arriverà, ed è questo limite invalicabile che chiude la porta ai comunque ottimi ghanesi. I Leoni invece "pescano" il gol decisivo a 20' dalla fine, grazie a un fenomenale contropiede, la loro arma più affilata, concluso dal più sconosciuto degli eroi possibili: Alain Nkong, centrocampista dell’Atlante (eh sì, un camerunese in Messico…) poco preso in considerazione da Otto Pfister.
Il finale è bruttino con qualche sceneggiata di troppo di Kameni (miracolosi un paio di suoi interventi in precedenza) e Rigobert Song: follia pura, invece, quella di Bikey che piazza uno spintone che solleva da terra un "barelliere", arrivato in campo per portare fuori lo pseudo-infortunato Song: per lui c’è il rosso e l’addio alla finale.
IL MIGLIORE - La linea mediana è il simbolo della rocciosa resistenza camerunese: su tutti si eleva Alexander Song, nipote del capitano dei leoni, Rigobert. Classe 1987, pescato da Wenger in Corsica nel Bastia un anno e mezzo fa pressa, il piccolo Song recupera palloni e ha la forza di rilanciare l’azione. Le sue letture difensive fanno già salivare il tecnico alsaziano dei Gunners, che lo ha ceduto in prestito al Charlton regalandogli la possibilità di giocare di più. Tornato all’Arsenal ha ora poco spazio, ma è solo questione di tempo. Lui e Denilson ('88), due fenomenali prospetti in mezzo al campo, certificano ancora una volta l’ottimo lavoro della società londinese. L'unico peccato è che si ritrovino nella stessa squadra di Fabregas, che è un veterano per capacità ma la cui carta d’identità segnala sinistramente la data di nascita 4 maggio 1987…
LA CURIOSITA' - Sulle tribune grande festa di colori e suoni. Bellissimo poi l’abbraccio tra Roger Milla, simbolo del calcio camerunese e africano, e Stephen Appiah, anima del centrocampo ghanese che non ha potuto partecipare a questa coppa d'Africa per infortunio. Molti scommettono che sarebbe finita diversamente con lui in campo…
Carlo Pizzigoni
EGITTO - COSTA D'AVORIO 4-1
Fonte: Gazzetta.it
Come ogni bella competizione che si rispetti, è arrivata la sorpresa. L'Egitto fa fuori i favoriti ivoriani e accede alla sua seconda finale consecutiva. Sorpresa sì, anche se l'Egitto aveva disputato un ottimo torneo, ma vittoria meritata.
Faraoni concreti, che subito cercano densità nella propria metacampo, pronti a ripartire con Motaeb, Zaki e Aboutrika. Parte dalla panchina Zidan, ancora in recupero dopo l'infortunio. La Costa d’Avorio fa fatica a costruire gioco. ma lo controlla, anche se trova poca ampiezza, quindi pertugi, a causa della limitata spinta dai terzini Eboué e Boka che appoggiano l’azione ma non cercano il fondo. Il vero crollo psicologico arriva al primo gol egiziano, seguente a un calcio d’angolo: tiro di Fathi, deviato da Kalou e Copa superato. Lì si spegne la luce. La Costa d’Avorio smette di giocare per attaccare con una serie di uno contro uno, che qualche azione la producono, ma esclusivamente per la qualità dei singoli, e il gioco non decolla. Poche combinazioni, poco movimento, preoccupazione che monta per l’ordinato pressing egiziano e, altra tegola psicologica prima che tecnica, l’infortunio del portiere Copa. Comincia poi a salire sul proscenio El Hadary, portiere over 30 di grande valore, che inanella una serie di interventi che profumano di miracoloso e anche Drogba, protagonista di un gran duello con Gomaa (marcatura a uomo sul centravanti del Chelsea), viene sempre fermato poco prima della gioia. Nel secondo tempo, l’approccio ivoriano è più razionale, ma c’è sempre Hadary a dire no. Keita riaccende le speranze con un supergol da fuori area, ma un altro contropiede beffa gli ivoriani che hanno precipitato il rientro di Kolo Touré, palesemente fuori condizione e poco tranquillo negli interventi, e rischiato il fratello Yaya in non perfette condizione fisiche. Il 3-1 è il crollo definitivo, poi si chiude a 4. Egiziani perfetti in mezzo al campo, Hassan e Hosny (ancora una volta fantastica la sua Coppa) sugli scudi: ottime le distanze tra i reparti e perfetti i raddoppi quando gli ivoriani calavano le loro azioni individuali. La Selephanto che di fortuna ne ha pure poca, nonostante rimanga la squadra migliore dell’Africa non riesce a dimostrarlo mai fino in fondo: urge uno psicologo, l'Egitto ne ha uno di grande valore, e allena pure con raziocinio, bravo Hassan Shehata.
IL MIGLIORE - Tranne il missile terra-aria di Keita, El Hadary stasera ha preso davvero tutto. Sicuro sulle uscite, sempre attento, il numero uno dell’Al Ahly, classe 1973, ha dimostrato anche stasera il suo valore, tecnico e mentale: vero monumento. Nella passata coppa d'Africa, sempre con la Costa d'Avorio, però in finale, parò i rigori decisivi per vincere il torneo. Anche in quel caso bloccò Drogba.
LA CURIOSITA' - Ancora Zaki: stasera due gol decisivi, due anni fa, pescato dal nulla da Shehata (che surrogò Mido, con conseguente sceneggiata dell'ex Roma) decise la semifinale con il Senegal con una sua rete. Spiccò, lui classe 1983 che proveniva da un piccolo club egiziano, il volo verso la Russia, ma durò poco al Lokomotiv. Lo Zamalek lo ha riportato a casa e, a quanto pare, al caldo funziona bene.
Carlo Pizzigoni
Dal sito della Gazzetta
Tabellini:
Costa d'Avorio: Barry "Copa" (Loboue 37), Boka, Toure, Eboue, Meite, Toure Yaya, Zokora, Kalou (Bakari Kone 60), Drogba, Dindane (Arouna Kone 79), Keita.
Egitto: El Hadari, Mohamed, Hany Said, Gomaa, Fathi, Hosni Abd Rabou, Hassan, Moawad (Fathallah 77),Aboutrika, Moteab (Zidan 69), Zaki (Ibrahim Said 86).
Goals: Fathi 12, Zaki 62, 67, Aboutrika 90. Keita (CDI) 63.
***
Ghana: Kingson, Sarpei, Pantsil, Addo, Annan, Draman, Ayew (Barusso 86), Essien, Agogo, Muntari, Quincy (Baffour 61).
Camerun: Kameni, Geremi, Song, Bikey, Atouba, Emana (Binya 77), Song Billong, Mbia, Job (Nkong 62), Eto'o, Idrissou (Epalle 46).
Goal: Nkong 71.
GHANA - CAMERUN 0-1
E' il Camerun la prima finalista di questa coppa d’Africa. A un Ghana coraggioso, però appesantito da pressioni, infortuni e squalifiche, non riesce l’ennesimo miracolo. Così, davanti al proprio pubblico potrà giocare solo per il gradino più basso del podio.
I Leoni Indomabili ritrovano al momento giusto, cioè nella scorsa partita dei quarti e in questa semifinale, l’orgoglio che da sempre contraddistingue questa squadra, che per molto tempo è stato il vessillo calcistico dell’intero continente. Il c.t. Otto Pfister ripropone il doppio mediano davanti alla difesa e, ancora, Mbia e Alexander Song gli regalano una partita "monstre" per quantità e equilibrio tattico: raddoppiano e recuperano una moltitudine di palloni, rallentando oltremodo la macchina ghanese. Emana e Job devono dare manforte a Eto’o che però viene disinnescato molto spesso da un fenomenale Essien, proposto sulla linea difensiva per ovviare alla squalifica di capitan Mensah.
La tensione è altissima, il Ghana prepara bene il match, mette Quincy dietro l’unica punta Agogo, e prova Dramane e il figlio di Abedì Pelè sui lati. Le azioni più pericolose sono dei padroni di casa, ma senza un attaccante di valore (fuori uso anche l’Udinese Asamoah) Leroy, che le ha tentate tutte per mascherare la mancanza di un finalizzatore credibile, deve sperare di "trovare" un gol. Non arriverà, ed è questo limite invalicabile che chiude la porta ai comunque ottimi ghanesi. I Leoni invece "pescano" il gol decisivo a 20' dalla fine, grazie a un fenomenale contropiede, la loro arma più affilata, concluso dal più sconosciuto degli eroi possibili: Alain Nkong, centrocampista dell’Atlante (eh sì, un camerunese in Messico…) poco preso in considerazione da Otto Pfister.
Il finale è bruttino con qualche sceneggiata di troppo di Kameni (miracolosi un paio di suoi interventi in precedenza) e Rigobert Song: follia pura, invece, quella di Bikey che piazza uno spintone che solleva da terra un "barelliere", arrivato in campo per portare fuori lo pseudo-infortunato Song: per lui c’è il rosso e l’addio alla finale.
IL MIGLIORE - La linea mediana è il simbolo della rocciosa resistenza camerunese: su tutti si eleva Alexander Song, nipote del capitano dei leoni, Rigobert. Classe 1987, pescato da Wenger in Corsica nel Bastia un anno e mezzo fa pressa, il piccolo Song recupera palloni e ha la forza di rilanciare l’azione. Le sue letture difensive fanno già salivare il tecnico alsaziano dei Gunners, che lo ha ceduto in prestito al Charlton regalandogli la possibilità di giocare di più. Tornato all’Arsenal ha ora poco spazio, ma è solo questione di tempo. Lui e Denilson ('88), due fenomenali prospetti in mezzo al campo, certificano ancora una volta l’ottimo lavoro della società londinese. L'unico peccato è che si ritrovino nella stessa squadra di Fabregas, che è un veterano per capacità ma la cui carta d’identità segnala sinistramente la data di nascita 4 maggio 1987…
LA CURIOSITA' - Sulle tribune grande festa di colori e suoni. Bellissimo poi l’abbraccio tra Roger Milla, simbolo del calcio camerunese e africano, e Stephen Appiah, anima del centrocampo ghanese che non ha potuto partecipare a questa coppa d'Africa per infortunio. Molti scommettono che sarebbe finita diversamente con lui in campo…
Carlo Pizzigoni
EGITTO - COSTA D'AVORIO 4-1
Fonte: Gazzetta.it
Come ogni bella competizione che si rispetti, è arrivata la sorpresa. L'Egitto fa fuori i favoriti ivoriani e accede alla sua seconda finale consecutiva. Sorpresa sì, anche se l'Egitto aveva disputato un ottimo torneo, ma vittoria meritata.
Faraoni concreti, che subito cercano densità nella propria metacampo, pronti a ripartire con Motaeb, Zaki e Aboutrika. Parte dalla panchina Zidan, ancora in recupero dopo l'infortunio. La Costa d’Avorio fa fatica a costruire gioco. ma lo controlla, anche se trova poca ampiezza, quindi pertugi, a causa della limitata spinta dai terzini Eboué e Boka che appoggiano l’azione ma non cercano il fondo. Il vero crollo psicologico arriva al primo gol egiziano, seguente a un calcio d’angolo: tiro di Fathi, deviato da Kalou e Copa superato. Lì si spegne la luce. La Costa d’Avorio smette di giocare per attaccare con una serie di uno contro uno, che qualche azione la producono, ma esclusivamente per la qualità dei singoli, e il gioco non decolla. Poche combinazioni, poco movimento, preoccupazione che monta per l’ordinato pressing egiziano e, altra tegola psicologica prima che tecnica, l’infortunio del portiere Copa. Comincia poi a salire sul proscenio El Hadary, portiere over 30 di grande valore, che inanella una serie di interventi che profumano di miracoloso e anche Drogba, protagonista di un gran duello con Gomaa (marcatura a uomo sul centravanti del Chelsea), viene sempre fermato poco prima della gioia. Nel secondo tempo, l’approccio ivoriano è più razionale, ma c’è sempre Hadary a dire no. Keita riaccende le speranze con un supergol da fuori area, ma un altro contropiede beffa gli ivoriani che hanno precipitato il rientro di Kolo Touré, palesemente fuori condizione e poco tranquillo negli interventi, e rischiato il fratello Yaya in non perfette condizione fisiche. Il 3-1 è il crollo definitivo, poi si chiude a 4. Egiziani perfetti in mezzo al campo, Hassan e Hosny (ancora una volta fantastica la sua Coppa) sugli scudi: ottime le distanze tra i reparti e perfetti i raddoppi quando gli ivoriani calavano le loro azioni individuali. La Selephanto che di fortuna ne ha pure poca, nonostante rimanga la squadra migliore dell’Africa non riesce a dimostrarlo mai fino in fondo: urge uno psicologo, l'Egitto ne ha uno di grande valore, e allena pure con raziocinio, bravo Hassan Shehata.
IL MIGLIORE - Tranne il missile terra-aria di Keita, El Hadary stasera ha preso davvero tutto. Sicuro sulle uscite, sempre attento, il numero uno dell’Al Ahly, classe 1973, ha dimostrato anche stasera il suo valore, tecnico e mentale: vero monumento. Nella passata coppa d'Africa, sempre con la Costa d'Avorio, però in finale, parò i rigori decisivi per vincere il torneo. Anche in quel caso bloccò Drogba.
LA CURIOSITA' - Ancora Zaki: stasera due gol decisivi, due anni fa, pescato dal nulla da Shehata (che surrogò Mido, con conseguente sceneggiata dell'ex Roma) decise la semifinale con il Senegal con una sua rete. Spiccò, lui classe 1983 che proveniva da un piccolo club egiziano, il volo verso la Russia, ma durò poco al Lokomotiv. Lo Zamalek lo ha riportato a casa e, a quanto pare, al caldo funziona bene.
Carlo Pizzigoni
Dal sito della Gazzetta
Tabellini:
Costa d'Avorio: Barry "Copa" (Loboue 37), Boka, Toure, Eboue, Meite, Toure Yaya, Zokora, Kalou (Bakari Kone 60), Drogba, Dindane (Arouna Kone 79), Keita.
Egitto: El Hadari, Mohamed, Hany Said, Gomaa, Fathi, Hosni Abd Rabou, Hassan, Moawad (Fathallah 77),Aboutrika, Moteab (Zidan 69), Zaki (Ibrahim Said 86).
Goals: Fathi 12, Zaki 62, 67, Aboutrika 90. Keita (CDI) 63.
***
Ghana: Kingson, Sarpei, Pantsil, Addo, Annan, Draman, Ayew (Barusso 86), Essien, Agogo, Muntari, Quincy (Baffour 61).
Camerun: Kameni, Geremi, Song, Bikey, Atouba, Emana (Binya 77), Song Billong, Mbia, Job (Nkong 62), Eto'o, Idrissou (Epalle 46).
Goal: Nkong 71.
05 febbraio 2008
Coppa d'Africa - Day 14
Fonte: Gazzetta.it
EGITTO - ANGOLA 2-1
La solidità dell’Egitto mette sotto la concretezza dell’Angola, che esce dalla coppa d'Africa rinfrancando la consapevolezza che, almeno a livello continentale, se la può giocare con tutte le big. Sono dunque i Faraoni ad accedere alle semifinali dopo un primo tempo molto equilibrato e una ripresa in cui hanno sostanzialmente controllato il match. Solita difesa a tre dell’Egitto che però riesce poco a creare in mezzo (Hosni e Shawki controllati) ma ha grande partecipazione degli esterni, la vera chiave di questo incontro. Il 4-2-2-2 dell’Angola è equilibrato, praticamente non concede nulla nelle zone centrali e riparte con due stantuffi come Ze Kalanga (ancora positiva la sua prova) e Maurito. Davanti cercano di dare una mano Flavio, tatticamente più accorto, e Manucho, che si assenta per alcuni tratti, ma richiama l’attenzione pochi minuti dopo il gol dell’Egitto su rigore (ancora a segno Honsi). Il neo centravanti del Manchester United mette a terra un rilancio, si separa dal difensore grazie al suo possente fisico ed esplode col sinistro un tracciante che si insacca sotto la traversa: un gol capolavoro e l’ennesima conferma della bontà della scelta di Ferguson e Queiroz. L’Egitto però ha più soluzioni offensive, anche se manca la stella Zidan. Aboutrika parte dal primo minuto dietro i confermati Motaeb e Zaki e sale di colpi di minuto in minuto fino al dominio totale di partita e palla nella seconda frazione della partita. Il gol che decide la qualificazione è l’ennesima incursione sulla fascia di Ahmed Fathi: il suo cross è bucato da tutti e colpisce il petto di Zaki, appostato sul secondo palo. Casuale, goffa e bruttina, ma rete che vale un posto nelle prime quattro del Continente: l’Egitto si conferma, e ora, senza nulla da perdere,si gioca tutto contro i favoritissimi ivoriani.
IL MIGLIORE - L’eleganza di Aboutrika, i suoi colpi di esterno meriterebbero sempre la sottolineatura ma stavolta spazio ai comprimari: sono stati gli esterni Moawad (gioca in Egitto nell’Ismaily) e, soprattutto, Fathi (un 23enne sprecato per il campionato del Kuwait) che hanno "allargato" la difesa angolana e l’hanno poi messa in condizione di soccombere. Il gioco, a onore dell’ottimo lavoro del c.t. Shehata, giungeva sui lati dopo una serie di movimenti di uomini e palla che determinava spaziature vantaggiose. I polmoni di Moawad e Fathi han fatto il resto.
LA CURIOSITA’ - L’Egitto che funziona ha fondamenta solide. La sua difesa a tre unitamente al suo portiere El Hadary è il segreto di Pulcinella della serenità di tutta la squadra. Il meno atteso della linea, che oltretutto ci gioca al centro e la comanda, si chiama Hani Said e parla benissimo italiano. Già, perché nel nostro Paese il difensore ora, pure lui, all’Ismaily ci è cresciuto. Scoperto e portato in Europa dal Bari (dove si parlava benissimo di lui), ha poi attraversato Messina e Fiorentina senza lasciare traccia ed ha oltrepassato il Mediterraneo dopo la toccata e fuga in Belgio, nel Mons squadra che ha diversi contatti con l’Italia (ora ci giocano l’ex interista Pistone e Mirri). A vederlo in campo così sicuro, avranno contribuito tanti tecnici di casa nostra. Una piccola soddisfazione.
Carlo Pizzigoni
CAMERUN - TUNISIA 3-2 (dts)Fonte: Gazzetta.it
La coppa d’Africa di quest’anno è abbastanza chiaramente superiore per emozioni, contenuti e spettacolo rispetto alle ultime due edizioni. Il quarto di finale di stasera tra Camerun e Tunisia certifica l’assunto. Fantastico match vibrante, combattuto, con tante giocate di qualità e le Aquile di Cartagine impallinate nel primo tempo che rimontano due gol a un Camerun partito a mille e piano piano limitatosi a contenere. In avvio, il miglior Camerun visto finora in questa coppa d’Africa: finalmente attento e ordinato. Accantonato il rombo, ecco il 4-2-3-1 per il c.t. dei Leoni Indomabili, Otto Pfister. Rilancio per Jean Makoun, che gioca dietro all’unica punta Eto’o con Emana largo a destra e Idrissou a sinistra. In interdizione due mediani giovanissimi: il piccolo Song (classe 1987) e Mbia (1986), quest’ultimo autore di testa del gol che sblocca l’incontro, poi bissato da un bel calcio di punizione dello specialista Geremi. Tunisia che accusa la veemenza camerunese e risponde come può in contropiedi gestiti da Chikhaoui e Ben Saada, ed è proprio il giocatore del Bastia a trovare il sette, lui pure su punizione, e a modificare l’inerzia della partita che diventa tunisina (c’è un’incredibile traversa di Dos Santos e una paratona di Kameni) anche se il Camerun ancora non lascia il campo con la testa. Il secondo tempo abbassa i ritmi e favorisce la minor vigoria dei tunisini, che rispettano distanze e equilibrio tra i reparti finendo però per essere pericolosi soprattutto grazie a un super finale di partita di Chikhaoui, che ha uno scatto d’orgoglio da grande giocatore e imbastisce anche da solo azioni pericolose, fino poi a trovare il gol del pareggio che porta ai supplementari. I Leoni smettono di giocare, provano a gestire, ma un episodio li favorisce: trovano il gol in apertura di over time ancora con Mbia, dopo una dormita della retroguardia biancorossa. Dopo, solo bagarre. Cartago delenda est.
IL MIGLIORE - Stephane Mbia è uno dei combattenti nel fortino Camerun del secondo tempo: pressa, riconquista palla, corre continuamente: insieme al piccolo Song è il più virtuoso nel clima di battaglia che si viene a creare, dopo che Pfister rinuncia ad armare gli artigli di Eto’o. Mbia pesca per ben due volte il jolly, trovando, lui, poco avvezzo alla finalizzazione, i due gol decisivi per riportare i Leoni Indomabili a ruggire. Una notte da ricordare per questo poco più che ventenne centrocampista cresciuto alla Kadji Academy Sport di Douala (la stessa di Eto’o), dove l’ha ben pescato il Rennes.
LA CURIOSITA’ - La maledizione continua per i tunisini: sono quarant’anni che non riescono a battere i Leoni Indomabili. Prosegue la striscia, anche se stasera se la sono giocata alla pari e, specie nel secondo tempo, avrebbero meritato anche qualcosa di più.
Carlo Pizzigoni
Dal sito della Gazzetta
Tabellini:
Egitto: El Hadari, Gomaa, Hani Said, Mohamed, Fathi, Moawad (Fathallah 65), Aboutrika (Ibrahim Said 90), Abd Rabou, Shawky, Moteab, Zaki (Hassan 71).
Angola: Lama, Airosa, Kali, Marques, Yamba Asha, Macanga, Gilberto, Ze Kalanga (Mateus 72), Manucho, Maurito (Mendonca 46), Flavio (Edson 84).
Goals: Abd Rabou 23 pen., Manucho (A) 27, Zaki 38.
***
Tunisia: Kasraoui, Haggui (Ben Fredj 39), Jaidi, El Bekri, Felhi, Nafti (Jemaa 71), Mnari, Traoui, Ben Saada, Chikhaoui, Santos (Chermiti 86).
Goals:
Cameroon: Kameni, Song, Bikey, Atouba (Tchato 108), Geremi, Emana (Epalle 62), Makoun (Binya 65), Song Billong, Mbia, Eto'o, Idrissou.
Goals: Mbia 19, Geremi 27,Ben Saada 35, Chikhaoui 81. Mbia 92.(ts)
EGITTO - ANGOLA 2-1
La solidità dell’Egitto mette sotto la concretezza dell’Angola, che esce dalla coppa d'Africa rinfrancando la consapevolezza che, almeno a livello continentale, se la può giocare con tutte le big. Sono dunque i Faraoni ad accedere alle semifinali dopo un primo tempo molto equilibrato e una ripresa in cui hanno sostanzialmente controllato il match. Solita difesa a tre dell’Egitto che però riesce poco a creare in mezzo (Hosni e Shawki controllati) ma ha grande partecipazione degli esterni, la vera chiave di questo incontro. Il 4-2-2-2 dell’Angola è equilibrato, praticamente non concede nulla nelle zone centrali e riparte con due stantuffi come Ze Kalanga (ancora positiva la sua prova) e Maurito. Davanti cercano di dare una mano Flavio, tatticamente più accorto, e Manucho, che si assenta per alcuni tratti, ma richiama l’attenzione pochi minuti dopo il gol dell’Egitto su rigore (ancora a segno Honsi). Il neo centravanti del Manchester United mette a terra un rilancio, si separa dal difensore grazie al suo possente fisico ed esplode col sinistro un tracciante che si insacca sotto la traversa: un gol capolavoro e l’ennesima conferma della bontà della scelta di Ferguson e Queiroz. L’Egitto però ha più soluzioni offensive, anche se manca la stella Zidan. Aboutrika parte dal primo minuto dietro i confermati Motaeb e Zaki e sale di colpi di minuto in minuto fino al dominio totale di partita e palla nella seconda frazione della partita. Il gol che decide la qualificazione è l’ennesima incursione sulla fascia di Ahmed Fathi: il suo cross è bucato da tutti e colpisce il petto di Zaki, appostato sul secondo palo. Casuale, goffa e bruttina, ma rete che vale un posto nelle prime quattro del Continente: l’Egitto si conferma, e ora, senza nulla da perdere,si gioca tutto contro i favoritissimi ivoriani.
IL MIGLIORE - L’eleganza di Aboutrika, i suoi colpi di esterno meriterebbero sempre la sottolineatura ma stavolta spazio ai comprimari: sono stati gli esterni Moawad (gioca in Egitto nell’Ismaily) e, soprattutto, Fathi (un 23enne sprecato per il campionato del Kuwait) che hanno "allargato" la difesa angolana e l’hanno poi messa in condizione di soccombere. Il gioco, a onore dell’ottimo lavoro del c.t. Shehata, giungeva sui lati dopo una serie di movimenti di uomini e palla che determinava spaziature vantaggiose. I polmoni di Moawad e Fathi han fatto il resto.
LA CURIOSITA’ - L’Egitto che funziona ha fondamenta solide. La sua difesa a tre unitamente al suo portiere El Hadary è il segreto di Pulcinella della serenità di tutta la squadra. Il meno atteso della linea, che oltretutto ci gioca al centro e la comanda, si chiama Hani Said e parla benissimo italiano. Già, perché nel nostro Paese il difensore ora, pure lui, all’Ismaily ci è cresciuto. Scoperto e portato in Europa dal Bari (dove si parlava benissimo di lui), ha poi attraversato Messina e Fiorentina senza lasciare traccia ed ha oltrepassato il Mediterraneo dopo la toccata e fuga in Belgio, nel Mons squadra che ha diversi contatti con l’Italia (ora ci giocano l’ex interista Pistone e Mirri). A vederlo in campo così sicuro, avranno contribuito tanti tecnici di casa nostra. Una piccola soddisfazione.
Carlo Pizzigoni
CAMERUN - TUNISIA 3-2 (dts)Fonte: Gazzetta.it
La coppa d’Africa di quest’anno è abbastanza chiaramente superiore per emozioni, contenuti e spettacolo rispetto alle ultime due edizioni. Il quarto di finale di stasera tra Camerun e Tunisia certifica l’assunto. Fantastico match vibrante, combattuto, con tante giocate di qualità e le Aquile di Cartagine impallinate nel primo tempo che rimontano due gol a un Camerun partito a mille e piano piano limitatosi a contenere. In avvio, il miglior Camerun visto finora in questa coppa d’Africa: finalmente attento e ordinato. Accantonato il rombo, ecco il 4-2-3-1 per il c.t. dei Leoni Indomabili, Otto Pfister. Rilancio per Jean Makoun, che gioca dietro all’unica punta Eto’o con Emana largo a destra e Idrissou a sinistra. In interdizione due mediani giovanissimi: il piccolo Song (classe 1987) e Mbia (1986), quest’ultimo autore di testa del gol che sblocca l’incontro, poi bissato da un bel calcio di punizione dello specialista Geremi. Tunisia che accusa la veemenza camerunese e risponde come può in contropiedi gestiti da Chikhaoui e Ben Saada, ed è proprio il giocatore del Bastia a trovare il sette, lui pure su punizione, e a modificare l’inerzia della partita che diventa tunisina (c’è un’incredibile traversa di Dos Santos e una paratona di Kameni) anche se il Camerun ancora non lascia il campo con la testa. Il secondo tempo abbassa i ritmi e favorisce la minor vigoria dei tunisini, che rispettano distanze e equilibrio tra i reparti finendo però per essere pericolosi soprattutto grazie a un super finale di partita di Chikhaoui, che ha uno scatto d’orgoglio da grande giocatore e imbastisce anche da solo azioni pericolose, fino poi a trovare il gol del pareggio che porta ai supplementari. I Leoni smettono di giocare, provano a gestire, ma un episodio li favorisce: trovano il gol in apertura di over time ancora con Mbia, dopo una dormita della retroguardia biancorossa. Dopo, solo bagarre. Cartago delenda est.
IL MIGLIORE - Stephane Mbia è uno dei combattenti nel fortino Camerun del secondo tempo: pressa, riconquista palla, corre continuamente: insieme al piccolo Song è il più virtuoso nel clima di battaglia che si viene a creare, dopo che Pfister rinuncia ad armare gli artigli di Eto’o. Mbia pesca per ben due volte il jolly, trovando, lui, poco avvezzo alla finalizzazione, i due gol decisivi per riportare i Leoni Indomabili a ruggire. Una notte da ricordare per questo poco più che ventenne centrocampista cresciuto alla Kadji Academy Sport di Douala (la stessa di Eto’o), dove l’ha ben pescato il Rennes.
LA CURIOSITA’ - La maledizione continua per i tunisini: sono quarant’anni che non riescono a battere i Leoni Indomabili. Prosegue la striscia, anche se stasera se la sono giocata alla pari e, specie nel secondo tempo, avrebbero meritato anche qualcosa di più.
Carlo Pizzigoni
Dal sito della Gazzetta
Tabellini:
Egitto: El Hadari, Gomaa, Hani Said, Mohamed, Fathi, Moawad (Fathallah 65), Aboutrika (Ibrahim Said 90), Abd Rabou, Shawky, Moteab, Zaki (Hassan 71).
Angola: Lama, Airosa, Kali, Marques, Yamba Asha, Macanga, Gilberto, Ze Kalanga (Mateus 72), Manucho, Maurito (Mendonca 46), Flavio (Edson 84).
Goals: Abd Rabou 23 pen., Manucho (A) 27, Zaki 38.
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Tunisia: Kasraoui, Haggui (Ben Fredj 39), Jaidi, El Bekri, Felhi, Nafti (Jemaa 71), Mnari, Traoui, Ben Saada, Chikhaoui, Santos (Chermiti 86).
Goals:
Cameroon: Kameni, Song, Bikey, Atouba (Tchato 108), Geremi, Emana (Epalle 62), Makoun (Binya 65), Song Billong, Mbia, Eto'o, Idrissou.
Goals: Mbia 19, Geremi 27,Ben Saada 35, Chikhaoui 81. Mbia 92.(ts)
04 febbraio 2008
Coppa d'Africa - Day 13
Fonte: Gazzetta.it
GHANA - NIGERIA 2-1
E’ meritatamente il Ghana la prima semifinalista della coppa d’Africa. Scesa in campo con diversi uomini non al top della forma per problemi fisici, andata in svantaggio nel primo tempo e alla fine in dieci nell’ultima mezz’ora per l’espulsione del capitano John Mensah (a seguito di un fallo terminale su un giocatore che aveva una chiara occasione da gol): non si sono fermati davanti a nulla le Black Stars, continuando a giocare, al massimo della vigoria, il loro calcio, che ha pochi sbocchi offensivi e che cercava gli uno contro uno di Muntari e Quincy sulle fasce per sfondare. La Nigeria capitola nonostante le chiare situazioni di vantaggio che il campo mostrava: vantaggio sul tabellone per un rigore sacrosanto che, paradigmaticamente, esprimeva la filigrana della partita: l’impossibilità dei difensori centrali Addo e Mensah di "tenere" Yakubu, fisicamente e tecnicamente superiore. Vogts, che aveva scelto un 4-3-3 prudente con Uche e Odemwingie attaccanti esterni ma molto pronti a rinculare e a dare una mano al centrocampo, Mikel a lanciare gli avanti e Olofinjana e Etuhu con esclusivi compiti di copertura, sceglieva l’esclusiva arma del contropiede, limitato dai recuperi non troppo frequenti e soprattutto troppo "bassi" della sua linea mediana. Verrà processato dalla stampa e dalla federazione nigeriana, però, soprattutto per la sua apatia durante la fase della superiorità numerica: mezz’ora in cui lui non cambia nulla nonostante l’uomo in più, accondiscendendo addirittura ai ritmi del Ghana e non approfittando della sua lunghissima panchina, specie di quella deputata alla parte offensiva. Si è offerto agli episodi, e ha dovuto soccombere a un’invenzione di Muntari che si inseriva e liberava davanti alla porta il centravanti Junior Agogo: 2-1 a pochi minuti dal termine e esplosione finale del Ohene Djan di Accra.
IL MIGLIORE - Lo andava ripetendo da tempo José Mourinho, lo ha ribadito stasera: Michael Essien è proprio un grandissimo. Segna sul finire del primo tempo un gol di testa decisivo che tiene vivo il Ghana. Recupera e riparte, poi, dopo l’espulsione del compagno di Mensah, rileva dall’ex Cremonese fascia e ruolo: si sistema in mezzo alla difesa e non sbaglia un intervento. Senza parole.
LA CURIOSITA’ - Michael Essien non gioca centrale difensivo per merito di Mourinho, come spesso si ascolta: egli nasce difensore, al Bastia, che lo aveva prelevato in Ghana dopo un ottimo Mondiale under 17. Essien faceva la spola tra terzino e centrale, a seconda delle opportunità, e quasi per caso viene spostato a centrocampo. Dove entusiasma subito tanto da attirare le attenzioni di diversi osservatori: i più lesti sono gli uomini di Jean Michel Aulas, presidente del Lione, che si accordano immediatamente con la squadra corsa per un cifra vicino ai 12 milioni di euro. In riva al Rodano si merita il soprannome di Le Bison ed è lì che lo pesca Mourinho che lo vuole nel suo Chelsea, a qualsiasi cifra: 38 milioni di euro è la spesa del cartellino che fa ululare di sorpresa i poco attenti ai progressi di questo splendido giocatore. Oggi più che mai decisivo.
Carlo Pizzigoni
COSTA D'AVORIO - GUINEA 5-0
Fonte: Gazzetta.it
L’atteggiamento della Costa d’Avorio è sempre quello un po’ strafottente, da primi della classe, quali in realtà sono. Giocano in scioltezza, con quel pizzico di superficialità che lascia aperta la partita per più di un’ora. Poi, passa Drogba a sigillare, e a chiudere il match, anche se poi arriva anche la doppietta di Kalou (prima entra in porta col pallone dopo aver fatto fuori il portiere, poi approfitta di un assist di Yaya Toure) e il timbro finale di Baky. La Guinea, senza la sua anima, Pascal Feindouno, in tribuna per squalifica, fa quello che può: copre, pressa e riparte. L’unica arma credibile rimane Fode Mansare, che sulla sinistra ci mette cuore e potenza e qualche grattacapo lo crea. I guineani provano anche le maniere forti, affondando tackle e allargando gomiti ma non ricavano molto di più ed escono comunque a testa alta da questa manifestazione. Selephanto ancora con Zokora al posto dell’infortunato Kolo Toure e Romaric in mezzo insieme a Yaya: vogliono tenere un ritmo controllato e trovare il buco giusto, che pesca poi quel decatleta prestato al calcio di Keita, sgroppata, finta di cross e sberla sul primo palo. Per l’attaccante del Lione un classico: il portiere avversario Kemoko Camara non se l’aspetta e fa un figura bruttina. La partita si apre in due ma gli ivoriani si accontentano di qualche accelerata: sufficiente per mandare a casa la Guinea e per far paura a tutte quelle rimaste.
IL MIGLIORE - Spaiare il risultato, in partite come questa, dove la superiorità di una squadra è piuttosto netta, è un merito importante. Rimanendo zero a zero, subentra spesso nervosismo: il gol di Keita ha posto in discesa la passeggiata della Costa d’Avorio. Keita ha avuto il merito di metterci più "punch" dei compagni e non è un caso abbia per primo firmato il tabellino. Esterno del 4-4-2, si è continuamente proposto sulla fascia destra e a fine attacco è tornato senza fiatare nella sua posizione dietro la linea della palla. In questa Costa d’Avorio piena di giocatori eleganti, l’irruenza di Keita non va sottovalutata.
LA STORIA - Abdul Kader Keïta ne ha viste tante. Passato poco ivoriano: niente Academie, come la maggior parte dei compagni, né scuole calcio in Francia o settori giovanili di prestigio dell’Esagono. Keita l’arrivo nella Champions col Lione, e prima col Lille, se l’è sudato tutto, e ha fatto la gavetta tra Tunisia, Emirati Arabi e Qatar. Poi, l’intuizione del Lilla che lo porta nel nord francese e ne fa un giocatore vero: un attaccante esterno che distrugge le difese partendo dai lati grazie a una fisicità prorompente. Inquadrato tatticamente (ora non ha difficoltà a giocare da quarto centrocampista nel 4-4-2, come stasera: il fisico gli permette anche questo) diventa devastante nei sedici metri per velocità, progressione ed è molto migliorato in precisione il suo destro.
Carlo Pizzigoni
Dal sito della Gazzetta
GHANA - NIGERIA 2-1
E’ meritatamente il Ghana la prima semifinalista della coppa d’Africa. Scesa in campo con diversi uomini non al top della forma per problemi fisici, andata in svantaggio nel primo tempo e alla fine in dieci nell’ultima mezz’ora per l’espulsione del capitano John Mensah (a seguito di un fallo terminale su un giocatore che aveva una chiara occasione da gol): non si sono fermati davanti a nulla le Black Stars, continuando a giocare, al massimo della vigoria, il loro calcio, che ha pochi sbocchi offensivi e che cercava gli uno contro uno di Muntari e Quincy sulle fasce per sfondare. La Nigeria capitola nonostante le chiare situazioni di vantaggio che il campo mostrava: vantaggio sul tabellone per un rigore sacrosanto che, paradigmaticamente, esprimeva la filigrana della partita: l’impossibilità dei difensori centrali Addo e Mensah di "tenere" Yakubu, fisicamente e tecnicamente superiore. Vogts, che aveva scelto un 4-3-3 prudente con Uche e Odemwingie attaccanti esterni ma molto pronti a rinculare e a dare una mano al centrocampo, Mikel a lanciare gli avanti e Olofinjana e Etuhu con esclusivi compiti di copertura, sceglieva l’esclusiva arma del contropiede, limitato dai recuperi non troppo frequenti e soprattutto troppo "bassi" della sua linea mediana. Verrà processato dalla stampa e dalla federazione nigeriana, però, soprattutto per la sua apatia durante la fase della superiorità numerica: mezz’ora in cui lui non cambia nulla nonostante l’uomo in più, accondiscendendo addirittura ai ritmi del Ghana e non approfittando della sua lunghissima panchina, specie di quella deputata alla parte offensiva. Si è offerto agli episodi, e ha dovuto soccombere a un’invenzione di Muntari che si inseriva e liberava davanti alla porta il centravanti Junior Agogo: 2-1 a pochi minuti dal termine e esplosione finale del Ohene Djan di Accra.
IL MIGLIORE - Lo andava ripetendo da tempo José Mourinho, lo ha ribadito stasera: Michael Essien è proprio un grandissimo. Segna sul finire del primo tempo un gol di testa decisivo che tiene vivo il Ghana. Recupera e riparte, poi, dopo l’espulsione del compagno di Mensah, rileva dall’ex Cremonese fascia e ruolo: si sistema in mezzo alla difesa e non sbaglia un intervento. Senza parole.
LA CURIOSITA’ - Michael Essien non gioca centrale difensivo per merito di Mourinho, come spesso si ascolta: egli nasce difensore, al Bastia, che lo aveva prelevato in Ghana dopo un ottimo Mondiale under 17. Essien faceva la spola tra terzino e centrale, a seconda delle opportunità, e quasi per caso viene spostato a centrocampo. Dove entusiasma subito tanto da attirare le attenzioni di diversi osservatori: i più lesti sono gli uomini di Jean Michel Aulas, presidente del Lione, che si accordano immediatamente con la squadra corsa per un cifra vicino ai 12 milioni di euro. In riva al Rodano si merita il soprannome di Le Bison ed è lì che lo pesca Mourinho che lo vuole nel suo Chelsea, a qualsiasi cifra: 38 milioni di euro è la spesa del cartellino che fa ululare di sorpresa i poco attenti ai progressi di questo splendido giocatore. Oggi più che mai decisivo.
Carlo Pizzigoni
COSTA D'AVORIO - GUINEA 5-0
Fonte: Gazzetta.it
L’atteggiamento della Costa d’Avorio è sempre quello un po’ strafottente, da primi della classe, quali in realtà sono. Giocano in scioltezza, con quel pizzico di superficialità che lascia aperta la partita per più di un’ora. Poi, passa Drogba a sigillare, e a chiudere il match, anche se poi arriva anche la doppietta di Kalou (prima entra in porta col pallone dopo aver fatto fuori il portiere, poi approfitta di un assist di Yaya Toure) e il timbro finale di Baky. La Guinea, senza la sua anima, Pascal Feindouno, in tribuna per squalifica, fa quello che può: copre, pressa e riparte. L’unica arma credibile rimane Fode Mansare, che sulla sinistra ci mette cuore e potenza e qualche grattacapo lo crea. I guineani provano anche le maniere forti, affondando tackle e allargando gomiti ma non ricavano molto di più ed escono comunque a testa alta da questa manifestazione. Selephanto ancora con Zokora al posto dell’infortunato Kolo Toure e Romaric in mezzo insieme a Yaya: vogliono tenere un ritmo controllato e trovare il buco giusto, che pesca poi quel decatleta prestato al calcio di Keita, sgroppata, finta di cross e sberla sul primo palo. Per l’attaccante del Lione un classico: il portiere avversario Kemoko Camara non se l’aspetta e fa un figura bruttina. La partita si apre in due ma gli ivoriani si accontentano di qualche accelerata: sufficiente per mandare a casa la Guinea e per far paura a tutte quelle rimaste.
IL MIGLIORE - Spaiare il risultato, in partite come questa, dove la superiorità di una squadra è piuttosto netta, è un merito importante. Rimanendo zero a zero, subentra spesso nervosismo: il gol di Keita ha posto in discesa la passeggiata della Costa d’Avorio. Keita ha avuto il merito di metterci più "punch" dei compagni e non è un caso abbia per primo firmato il tabellino. Esterno del 4-4-2, si è continuamente proposto sulla fascia destra e a fine attacco è tornato senza fiatare nella sua posizione dietro la linea della palla. In questa Costa d’Avorio piena di giocatori eleganti, l’irruenza di Keita non va sottovalutata.
LA STORIA - Abdul Kader Keïta ne ha viste tante. Passato poco ivoriano: niente Academie, come la maggior parte dei compagni, né scuole calcio in Francia o settori giovanili di prestigio dell’Esagono. Keita l’arrivo nella Champions col Lione, e prima col Lille, se l’è sudato tutto, e ha fatto la gavetta tra Tunisia, Emirati Arabi e Qatar. Poi, l’intuizione del Lilla che lo porta nel nord francese e ne fa un giocatore vero: un attaccante esterno che distrugge le difese partendo dai lati grazie a una fisicità prorompente. Inquadrato tatticamente (ora non ha difficoltà a giocare da quarto centrocampista nel 4-4-2, come stasera: il fisico gli permette anche questo) diventa devastante nei sedici metri per velocità, progressione ed è molto migliorato in precisione il suo destro.
Carlo Pizzigoni
Dal sito della Gazzetta
03 febbraio 2008
Coppa d'Africa - Speciale Costa d'Avorio
Fonte: Giornale del Popolo - Lugano
C’è una rivoluzione del calcio africano che sta prendendo forma, l’abbiamo intravista in questa Coppa d’Africa, ma proverà ad esplodere nel 2010 in Sudafrica. Ha i colori verdi e arancio della Costa d’Avorio e un’anima che viene da lontano. E’ il 1993 quando Jean Marc Guillou arriva all’aeroporto Houphouet Boigny di Abidjan, per incontrare Roger Ouegnin: insieme danno il via alla più fruttuosa scuola calcio dell’Africa. Guillou era un centrocampista francese estroso (partecipò, con l’ovvio 10 sulle spalle, al Mondiale del 1978 in Argentina) che voleva mettere alla prova le sue poco ortodosse idee sul calcio, Roger Ouegnin era (ed è) il presidente dell’Asec, la squadra più amata di Abidjan e della Costa d’Avorio. L’idea comune: costruire una nuova primavera calcistica africana. Guillou, però, abiura il concetto stesso di scuola calcio e distrugge i canoni che vigevano allora su queste strutture: vuole qualcosa di realmente nuovo e diverso. Passa giornate ad osservare i ragazzi africani, organizza partitelle in tutti gli anfratti del Paese, ricerca ragazzi adatti alla sua “Accademia, un nome che richiama la musica e il talento.” Nel 1994 i primi 26 ragazzi sono accolti nel pensionato, a Sol Beni: lì potranno studiare, dormire, mangiare e ovviamente apprendere su campi d’erba vera e curata l’arte del football, naturalmente Guillou style: tutti allenamenti con la palla, per affinare la tecnica di base, nozioni di tattica sui generis ma scarsa attenzione alla preparazione atletica. I nomi di quei ragazzi? Copa, Kolo Touré, Zokora, Tiene, Boka, Aruna Dindane, metà della squadra che ha giocato in questi giorni la coppa d’Africa. Buona parte del resto della rosa ha partecipato alle successive generazioni (nel 1996, nel 1998 e nel 2000) della Academie Mimosas, come venne poi chiamata: già, anche gli Yaya Touré, i Romaric, gli Eboué, i Kalou hanno seguito il medesimo percorso e sono lì, oggi, al fianco di Drogba. Moltissimi altri sono poi discreti-buoni-ottimi giocatori che portano il marchio dell’Academie in giro per l’Europa calcistica, maggiore o minore che sia. La storia dell’Academie ha un passaggio centrale, che pare un romanzo: i ragazzini dell’Academie mettono sotto, nella Supercoppa d’Africa, giocata nel febbraio del 1999, l’Esperance di Tunisi, una delle squadre più note del Continente Nero, zeppa di veterani. Quel capolavoro era però l’inizio della fine. Arrivarono dall’Europa le richieste per i migliori talenti: Kolo Touré e Aruna Dindane presero il volo per l’Europa. “Finanzieremo l’Academie coi proventi delle loro cessioni”. Il rapporto Guillou – Ouegnin si incrina, il francese ormai guarda all’Europa, l’ivoriano vuole fare dell’Asec la squadra più vincente d’Africa. Le strade si dividono, Guillou prova a costruire un’enclave ivoriana in quel di Beveren: ha buoni risultati sul campo ma critiche e addirittura accuse di “schiavismo”: abbandona. Oggi, l’esperienza della prima Academie prosegue distinta in varie realtà, che si ignorano. Ouegnin ha proseguito l’Academie Mimosas all’Asec, Guillou ne ha fondate altre in Costa d’Avori ma pure in giro per il mondo, un collaboratore del francese, il brasiliano Carlos, guida “Ivoire Académie” con i finanziamenti di un uomo d’affari pakistano proprietario di una squadra di serie B belga, l’Olympique Charleroi.
CARLO PIZZIGONI
C’è una rivoluzione del calcio africano che sta prendendo forma, l’abbiamo intravista in questa Coppa d’Africa, ma proverà ad esplodere nel 2010 in Sudafrica. Ha i colori verdi e arancio della Costa d’Avorio e un’anima che viene da lontano. E’ il 1993 quando Jean Marc Guillou arriva all’aeroporto Houphouet Boigny di Abidjan, per incontrare Roger Ouegnin: insieme danno il via alla più fruttuosa scuola calcio dell’Africa. Guillou era un centrocampista francese estroso (partecipò, con l’ovvio 10 sulle spalle, al Mondiale del 1978 in Argentina) che voleva mettere alla prova le sue poco ortodosse idee sul calcio, Roger Ouegnin era (ed è) il presidente dell’Asec, la squadra più amata di Abidjan e della Costa d’Avorio. L’idea comune: costruire una nuova primavera calcistica africana. Guillou, però, abiura il concetto stesso di scuola calcio e distrugge i canoni che vigevano allora su queste strutture: vuole qualcosa di realmente nuovo e diverso. Passa giornate ad osservare i ragazzi africani, organizza partitelle in tutti gli anfratti del Paese, ricerca ragazzi adatti alla sua “Accademia, un nome che richiama la musica e il talento.” Nel 1994 i primi 26 ragazzi sono accolti nel pensionato, a Sol Beni: lì potranno studiare, dormire, mangiare e ovviamente apprendere su campi d’erba vera e curata l’arte del football, naturalmente Guillou style: tutti allenamenti con la palla, per affinare la tecnica di base, nozioni di tattica sui generis ma scarsa attenzione alla preparazione atletica. I nomi di quei ragazzi? Copa, Kolo Touré, Zokora, Tiene, Boka, Aruna Dindane, metà della squadra che ha giocato in questi giorni la coppa d’Africa. Buona parte del resto della rosa ha partecipato alle successive generazioni (nel 1996, nel 1998 e nel 2000) della Academie Mimosas, come venne poi chiamata: già, anche gli Yaya Touré, i Romaric, gli Eboué, i Kalou hanno seguito il medesimo percorso e sono lì, oggi, al fianco di Drogba. Moltissimi altri sono poi discreti-buoni-ottimi giocatori che portano il marchio dell’Academie in giro per l’Europa calcistica, maggiore o minore che sia. La storia dell’Academie ha un passaggio centrale, che pare un romanzo: i ragazzini dell’Academie mettono sotto, nella Supercoppa d’Africa, giocata nel febbraio del 1999, l’Esperance di Tunisi, una delle squadre più note del Continente Nero, zeppa di veterani. Quel capolavoro era però l’inizio della fine. Arrivarono dall’Europa le richieste per i migliori talenti: Kolo Touré e Aruna Dindane presero il volo per l’Europa. “Finanzieremo l’Academie coi proventi delle loro cessioni”. Il rapporto Guillou – Ouegnin si incrina, il francese ormai guarda all’Europa, l’ivoriano vuole fare dell’Asec la squadra più vincente d’Africa. Le strade si dividono, Guillou prova a costruire un’enclave ivoriana in quel di Beveren: ha buoni risultati sul campo ma critiche e addirittura accuse di “schiavismo”: abbandona. Oggi, l’esperienza della prima Academie prosegue distinta in varie realtà, che si ignorano. Ouegnin ha proseguito l’Academie Mimosas all’Asec, Guillou ne ha fondate altre in Costa d’Avori ma pure in giro per il mondo, un collaboratore del francese, il brasiliano Carlos, guida “Ivoire Académie” con i finanziamenti di un uomo d’affari pakistano proprietario di una squadra di serie B belga, l’Olympique Charleroi.
CARLO PIZZIGONI
01 febbraio 2008
Coppa d'Africa - Day 12
Fonte: Gazzetta.it
ANGOLA-TUNISIA 0-0 - Non si fanno male Angola e Tunisia, e con uno 0-0 poco spettacolare accedono entrambe ai quarti. Diverso approccio: gli angolani, già qualificati, schierano tutti i titolari, giocano a sprazzi con ampi brani di partita sotto ritmo. Mentre i tunisini attuano un ampio turn over dalla metà campo in avanti facendo finalmente esordire Amine Chermiti. La giovane speranza tunisina, reduce da due giornate di squalifica, è il giocatore che va più vicino al gol nelle prime giocate del match, fallendo un’occasione colossale.La partita si trascina poi stancamente con il 4-2-2-2 degli angolani che non alza mai il pressing. Si moltiplicano, dividendosi tra le due squadre, i lanci lunghi a cercare direttamente le punte (bella la lotta tutta fisica tra Manucho e Jaidi). Qualche accelerazione, una traversa per il fantasista dell’Esperance di Tunisi, Kamel Zaiem, ma la testa è rivolta alle prossime sfide dei quarti: gli angolani prendono l’Egitto, per le Aquile di Cartagine c’è il Camerun.
IL MIGLIORE - Ottima ancora la partita di Ze Kalanga. Parte laterale ma dietro le punte trova parecchie volte l'appoggio. Quando i movimenti sono ben concordati nella transizione veloce dell’Angola (la fase più pericolosa della squadra di Gonçalves), Manucho e Flavio gli liberano spazio, così l’ex campione di Romania con la Dinamo Bucarest può andare al tiro. Poco razionale ma dotato di forza importante, Ze Kalanga riesce a produrre una quantità enorme di scatti in una partita a cui aggiunge una discreta finalizzazione. Partito dalla panchina, in questa Coppa è riuscito a guadagnarsi il posto da titolare proprio per le sue sfuriate sulla fascia o in mezzo al campo. In Portogallo è costretto a giocare da attaccante nel sempre più derelitto Boavista, che si barcamena nella metà bassa della classifica. Partendo da dietro è molto più efficace.
SENEGAL-SUDAFRICA 1-1 - Abbandona mestamente la Coppa d’Africa, pareggiando con il Sud Africa (gol di Henri Camara al 13' e Van Heerden al 36'), anche il Senegal, per l’ennesima volta in preda a una serie di guerre interne, sostanzialmente mai cessate dopo l’incredibile exploit dei Mondiali nippo-coreani. Pare sia tutto finito con l’addio di Bruno Metsu, il tecnico francese che li aveva portati fin lì. Henry Kasperczak, polacco cresciuto come tecnico in Francia, pareva essere l’erede adatto: se n’è fuggito dopo due partite giocate molto male… E stasera il "capo popolo" Diouf si è pure accomodato in panchina. Incredibile che con il talento individuale a disposizione si debba ottenere così poco, serve una decisa sterzata, inevitabilmente dovrà arrivare anche da smottamenti in Federazione. . Il Sudafrica ha fatto piccoli ma significativi passi in avanti in questo torneo. Il c.t. Carlos Alberto Parreira, che ha voluto un calcio molto "brasiliano" con palla a terra, combinazioni a più giocatori e azione strutturata, può essere moderatamente soddisfatto e in questo ultimo match i Bafana Bafana avrebbero pure meritato la vittoria, soprattutto per le maggiori occasioni da gol prodotte. Ora, davanti, hanno l’obiettivo del Mondiale casalingo, un onore e un onere, in questi due anni devono crescere ancora, ma le fondamenta sembrano essere poste.
Carlo Pizzigoni
Dal sito della Gazzetta.
Tabellini:
Tunisia: Kasraoui, Haggui, Ben Fredj, Zouaghi, Jaidi (Felhi 74), Nafti, Zaiem (Ben Dhifallah 67), Mnari, Mikari, Jemaa (Chikhaoui 80), Chermiti.
Angola: Lama, Airosa (Loco 69), Kali, Yamba Asha, Marques, Macanga, Maurito (Mateus 59), Gilberto, Ze Kalanga (Mendonca 84), Flavio, Manucho.
***
Senegal: Coundoul, Diatta, Diawara, Ibrahima Faye, Abdoulaye Faye, Sall, Diop (Gueye 52), Ba, Kamara (Sougou 82), Niang (Papa Waigo 59), Camara.
Sudafrica: Josephs, Masilela, Mokoena, Morris, Moon (Davids 80), Modise, Tshabalala, Moriri (Chabangu 71),Van Heerden, Dikgacoi, Zuma (Fanteni 90).
Goals: Van Heerden 14. Camara 37.
ANGOLA-TUNISIA 0-0 - Non si fanno male Angola e Tunisia, e con uno 0-0 poco spettacolare accedono entrambe ai quarti. Diverso approccio: gli angolani, già qualificati, schierano tutti i titolari, giocano a sprazzi con ampi brani di partita sotto ritmo. Mentre i tunisini attuano un ampio turn over dalla metà campo in avanti facendo finalmente esordire Amine Chermiti. La giovane speranza tunisina, reduce da due giornate di squalifica, è il giocatore che va più vicino al gol nelle prime giocate del match, fallendo un’occasione colossale.La partita si trascina poi stancamente con il 4-2-2-2 degli angolani che non alza mai il pressing. Si moltiplicano, dividendosi tra le due squadre, i lanci lunghi a cercare direttamente le punte (bella la lotta tutta fisica tra Manucho e Jaidi). Qualche accelerazione, una traversa per il fantasista dell’Esperance di Tunisi, Kamel Zaiem, ma la testa è rivolta alle prossime sfide dei quarti: gli angolani prendono l’Egitto, per le Aquile di Cartagine c’è il Camerun.
IL MIGLIORE - Ottima ancora la partita di Ze Kalanga. Parte laterale ma dietro le punte trova parecchie volte l'appoggio. Quando i movimenti sono ben concordati nella transizione veloce dell’Angola (la fase più pericolosa della squadra di Gonçalves), Manucho e Flavio gli liberano spazio, così l’ex campione di Romania con la Dinamo Bucarest può andare al tiro. Poco razionale ma dotato di forza importante, Ze Kalanga riesce a produrre una quantità enorme di scatti in una partita a cui aggiunge una discreta finalizzazione. Partito dalla panchina, in questa Coppa è riuscito a guadagnarsi il posto da titolare proprio per le sue sfuriate sulla fascia o in mezzo al campo. In Portogallo è costretto a giocare da attaccante nel sempre più derelitto Boavista, che si barcamena nella metà bassa della classifica. Partendo da dietro è molto più efficace.
SENEGAL-SUDAFRICA 1-1 - Abbandona mestamente la Coppa d’Africa, pareggiando con il Sud Africa (gol di Henri Camara al 13' e Van Heerden al 36'), anche il Senegal, per l’ennesima volta in preda a una serie di guerre interne, sostanzialmente mai cessate dopo l’incredibile exploit dei Mondiali nippo-coreani. Pare sia tutto finito con l’addio di Bruno Metsu, il tecnico francese che li aveva portati fin lì. Henry Kasperczak, polacco cresciuto come tecnico in Francia, pareva essere l’erede adatto: se n’è fuggito dopo due partite giocate molto male… E stasera il "capo popolo" Diouf si è pure accomodato in panchina. Incredibile che con il talento individuale a disposizione si debba ottenere così poco, serve una decisa sterzata, inevitabilmente dovrà arrivare anche da smottamenti in Federazione. . Il Sudafrica ha fatto piccoli ma significativi passi in avanti in questo torneo. Il c.t. Carlos Alberto Parreira, che ha voluto un calcio molto "brasiliano" con palla a terra, combinazioni a più giocatori e azione strutturata, può essere moderatamente soddisfatto e in questo ultimo match i Bafana Bafana avrebbero pure meritato la vittoria, soprattutto per le maggiori occasioni da gol prodotte. Ora, davanti, hanno l’obiettivo del Mondiale casalingo, un onore e un onere, in questi due anni devono crescere ancora, ma le fondamenta sembrano essere poste.
Carlo Pizzigoni
Dal sito della Gazzetta.
Tabellini:
Tunisia: Kasraoui, Haggui, Ben Fredj, Zouaghi, Jaidi (Felhi 74), Nafti, Zaiem (Ben Dhifallah 67), Mnari, Mikari, Jemaa (Chikhaoui 80), Chermiti.
Angola: Lama, Airosa (Loco 69), Kali, Yamba Asha, Marques, Macanga, Maurito (Mateus 59), Gilberto, Ze Kalanga (Mendonca 84), Flavio, Manucho.
***
Senegal: Coundoul, Diatta, Diawara, Ibrahima Faye, Abdoulaye Faye, Sall, Diop (Gueye 52), Ba, Kamara (Sougou 82), Niang (Papa Waigo 59), Camara.
Sudafrica: Josephs, Masilela, Mokoena, Morris, Moon (Davids 80), Modise, Tshabalala, Moriri (Chabangu 71),Van Heerden, Dikgacoi, Zuma (Fanteni 90).
Goals: Van Heerden 14. Camara 37.
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