E' profondamento bello il romanzo "Barabba" di Lagerkvist.
Così il poeta svedese racconta la morte del protagonista. Capolavoro.
(...) Barabba rimase un'altra volta solo. Rimase solo per tutti i giorni che trascorsero nel carcere. Appartato e disgiunto dagli altri. Li udì cantare i loro inni traboccanti di fede e discorrere pieni di fiducia della loro morte e della vita eterna che li attendeva. Soprattutto, dopo che fu pronunciata la sentenza, parlarono molto di questo. Erano sempre fiduciosi, non vi era in loro ombra di dubbio. Barabba ascoltava, ma immerso nei suoi pensieri. Anche lui meditava su quello che lo attendeva. Si ricordava dell'uomo del Monte Uliveto, quello che aveva diviso con lui il pane e il sale, e che era morto da un pezzo. E che sogghignava dal suo teschio, nella tenebra eterna.
Furono fatti uscire e condotti alla crocifissione. Erano incatenati a due a due ma, poiché non erano in numero pari, toccò a Barabba l'ultimo posto della fila e non fu incatenato con altri. Fu così, per un caso. E fu pure appeso, da solo, fuori della fila delle croci. C'era molta gente, e ci volle parecchio tempo prima che tutto fosse terminato. Ma gli uomini crocifissi parlavano continuamente fra loro, pieni di fiducia e di speranza. Con Barabba non parlava nessuno.
Al calar della sera, gli spettatori, stanchi di attendere, già se n'erano andati. E d'altra parte tutti, là, erano morti. Barabba soltanto era ancora confitto, ed era vivo. Quando sentì appressarsi la morte, della quale aveva sempre avuto tanta paura, disse nell'oscurità, come se parlasse con essa "A te raccomando l'anima mia", ed esalò lo spirito.
Pär Lagerkvist "Barabba", Jaca Book, 1998
Nessun commento:
Posta un commento