“Dietro quei grandi alberi c’è l’Upper Canada College”. Cento metri di asfalto, erba verdissima ai lati. Poi il campo: erba sintetica, linee gialle del football dell’altra parte dell’oceano e bianche per il soccer. Clima disteso. Banega fa un numero in partitella dove ad Agüero viene imposto il ruolo di difensore, Moralez si lamenta per un’entrata di Fazio, Mauro Zarate, prova una corsa a balzi per recuperare dall’infortunio. Quando è a Toronto l’Argentina si allena qui, in fondo a Sant Clair Avenue, la strada che un anno fa si è colorata di azzurro per la vittoria dei mondiali della nazionale italiana di calcio. Visti i nomi sopra citati pare logico a tutti che i prossimi clacson su una della strade che taglia a fette una delle città più multietniche del globo, debbano essere per forza argentini. Lo saranno, ma quanta fatica e “stellone” per una volta che arride ai fratellini di Maradona. Al National Stadium, giù a Exhibition, con il lago Ontario a fianco e la skyline di Toronto sullo sfondo, a un quarto d’ora dalla fine dell’ultimo match era la Repubblica Ceca a trovarsi più vicina al Mondiale under 20, poi taglio in profondità di Banega e rete di Agüero e, a cinque minuti dalla fine, classica azione lato lungo – lato lungo di Zarate e destro fulminante sul primo palo a sorprendere il portiere. Poi, la festa, insieme al sospiro di sollievo. Dice, fortuna? E gli infortuni? Vero, gli argentini hanno perso quasi subito Damian Escudero, mezzapunta del Vélez, e Mauro Zarate per più di metà torneo, oltre a qualche acciacco qua e là. A dirigere, Hugo Tocalli, fido secondo di una vita di José Pekerman, finalmente al comando della nazionale giovanile dopo che due anni fa, pur avendo preparato il Mondiale, dovette seguire il suo mentore nell’avventura della Selección alla Confederations Cup.Mia domanda a Tocalli “recupererete i due del Vélez per la finale?” “Difficile, quasi impossibile”. Infatti: Zarate titolare... C’è poco da fare, Hugo: loro ti hanno salvato. Certo, la gestione del gruppo è stata buona, ma in campo si è visto davvero poco oltre alla classe degli interpreti. E alla voce classe, oltre ai nomi sopra citati e già riconosciuti, si deve aggiungere anche quello di Angel Di Maria, appena messo sotto contratto dal Benfica: lui ha sostituito Zarate al fianco di Agüero e lui ha più volte aggiustato le partite all’Albiceleste: decisivo con Polonia, Messico (assist) e Cile, dove un infortunio (fortuna, eh?) l’ha messo fuori dai giochi. La scelta di Tocalli di lasciare spazio agli uomini più che al gioco si denota anche dal 4222 sempre proposto con mezzepunte vere (spesso Moralez e Piatti) dietro due attaccanti e due mediani di cui solo uno esclusivamente di rottura, Yacob (Sanchez in finale). Difesa a 4 ultrabloccata dove bene ha fatto Fazio, sfilato l’anno scorso al Ferrocaril Oeste dal Siviglia, complice il fallimento del Verdolaga. Organizzazione contro talento? Sarebbe eccessivamente manicheo presentare la rassegna in questo modo, però è una proposta di lettura che ci può stare: due formazioni bene gestite tatticamente sono arrivate in semifinale, Austria e Repubblica Ceca, complimenti quindi ai due tecnici. Miroslav Soukop ha voluto un 4141 adattato, sviluppando un gioco che parte sì dalla difesa ma non è per nulla catenacciaro come da più parti si mormorava, basta vedere quante e in quali situazioni arrivava al tiro la Repubblica Ceca: nel primo tempo della finale aveva, ad esempio, molte più conclusioni dell’Argentina. Bravo anche Paul Gludovatz, tecnico austriaco, che ha plasmato la sua squadra a seconda delle situazioni: un solo neo in semifinale con l’inserimento del bomber Hoffer (piuttosto limitato nei compiti di gioco di squadra) a danno dell’interessante Rubin Okotie, centravanti dal papà nigeriano e dalla grande prospettiva. Bene anche il capitano e centrale difensivo Proedl e il mediano Kavlak.
L’altra semifinalista, il Cile, ha messo in luce poco gioco d’insieme, ma un livello tecnico generale molto elevato, anche se i nomi grossi nel finale della rassegna hanno abbandonato la nave: isterico Vidal (Bayer Leverkusen), poco incisivo Vidangossy (Villareal), infortunato Alexis Sanchez (Udinese). A questi aggiungere Mauricio Isla, combattente più che fine dicitore, multiruolo, che ha solleticato appetiti in continente e pure in Europa: il ragazzo però non ha raggiunto la titolarità nemmeno nell’Universidad Católica, suo team cileno: è il caso di attendere.
Le altre? Malissimo il Brasile di Nelson Rodrigues, vincitore un po’ per caso del Sudamericano di categoria, senza Lucas (infortunato) ha (ri)presentato un calcio raffazzonato, che nemmeno la classe di Pato è riuscito a salvare. Giudizio in chiaroscuro per Messico, Spagna e Uruguay. I primi hanno mostrato un futbol propositivo ma non molto incisivo, la Spagna, l’europea più titolata, ha rischiato con il Brasile ed è poi uscita con i cechi, alternando segnali positivi a troppa ruminazione, la Celeste ha ben impressionato col suo 433, proponendo un più che discreto gioco ma ha pagato venti minuti super dell’”americano” Freddy Adu, che li eliminati. Tutto sommato un buon mondiale delle africane, con la Nigeria che ha sfiorato il colpaccio in semifinale col Cile (decisione ai supplementari) e discreti sia lo Zambia che il Gambia, mentre malissimo le asiatiche, tra le cui è lecito salvare solo il Giappone: urge esame di coscienza generale su dove stia andando il calcio di questo sterminato continente. Sul campo, figuraccia per il Canada, eliminato senza nemmeno segnare un gol, mentre intorno ad esso complimenti per l’organizzazione: coinvolgimenti di giovani, bambini e famiglie e record di presenze assoluto per questa competizione: addirittura si raddoppiano gli ingressi rispetto all’edizione di due anni fa in Olanda.
CARLO PIZZIGONI
Fonte: Guerin Sportivo
Sergio Agüero. ARG. Una bella spanna sopra tutti. Capocannoniere e miglior giocatore del torneo. Implacabile davanti alla porta, capace di acrobazie tecnicamente fantastiche (gol alla Polonia con sombrero sul difensore e definizione al volo da favola), pericoloso su punizione. Un attaccante che vuole diventare un fuoriclasse, e ne ha tutti i crismi. A cominciare dall’esordio in Primera quando la carta d’identità segnalava un’età inferiore anche a quella che aveva al debutto Maradona. Carismatico coi compagni senza essere superstar, aveva già deciso il mondiale scorso pur giocando poco: quest’anno è tutto suo.
Ever Banega. ARG. Come si cambia dopo una stagione da titolare… Da promessa a giocatore fatto e finito: conduce i ritmi del gioco, sa dare palla in profondità e recuperare palloni con estrema durezza. Maneggia la sfera con estrema abilità e eleganza e non ha più paura di sbagliare: i rimproveri di Riquelme sono serviti... Ha già alzato la Libertadores col suo Boca Juniors, qui Tocalli ha voluto dargli anche la protezione di un mediano difensivo come Yacob per lasciarlo più libero di inventare. L’assist ad Agüero in finale descrive anche la testa del ragazzo: non è uscito dal match in un momento di estrema difficoltà, anzi, ha trovato la freddezza per segnare la partita nell’occasione giusta.
Freddy Adu. USA. Volevano liquidarlo come barzelletta: questo il nuovo Pelé? Bene, i tam tam mediatici avranno pure esagerato ma il giocatore c’è, eccome. Passo rapido, appoggi frequenti a terra, gran sinistro e ottima visione di gioco anche spalle alla porta. Sapiente uso del corpo nei contrasti, non è velocissimo, ma ha la mente fresca per la giocata. Nel 442 americano, scolastico e rigoroso, era l’unico che usciva dallo spartito per illuminarlo. Caratterialmente forte, forse perché finalmente ha mostrato il suo reale valore, ha spronato continuamente i compagni. Negli ottavi contro l’Uruguay, si è acceso improvvisamente dopo il gol contro e ha trascinato i suoi. Deve allenare e fidarsi più del suo destro. Curiosi di vederlo al Benfica.
Luis Suarez. URU. Si aspettava Cavani ma è arrivato Suarez. Tra le tre punte uruguagie l’unico a mostrare volontà e giocate in serie. Cervellotica la sua sostituzione nella partita decisiva con gli USA. Grande stagione in Olanda ma pochi riflettori, Suarez è davvero un giocatore completo. Vede la porta, sa partire dai lati senza problemi e ha notevole varietà di soluzioni. Ha fantasia e vede il gioco. Reduce da un infortunio, un Cavani poco motivato ha scarsamente beneficiato della verve di Suarez: l’Uruguay poteva andare molto più avanti.
Martin Caceres. URU. Prossimo a sbarcare in Europa, in Spagna (lo ha preso il Villareal che lo darà in prestito al Recreativo Huelva), è già pronto per contese di alto livello. Difensore centrale dalla mente lucida e dal tackle ruvidissimo, come gli impone il suo passaporto rioplatense, Caceres ha grande abilità nell’anticipo, di cui però non abusa, e superba leadership. Il gioco di Gustavo Ferrin gli imponeva anche compiti di costruzione e, all’occorrenza, lanci per gli esterni d’attacco: bene anche in questi fondamentali anche se possiamo migliorare. Le basi per la costruzione di un difensore di altissimo livello ci sono tutte.
Giovani Dos Santos. MEX. Già segnalato dal Guerin per gli stupendi mondiali under 17 che vinse col suo Messico, ha dimostrato ancora una volta il suo valore: gli manca l’esperienza che non si acquisisce certo giocando tra le macerie del Barça B: traduco, Rijkaard e la dirigenza blaugrana gli han fatto perdere un anno. Veloce, molto tecnico, educatissimo con entrambi i piedi, cadenza del grande giocatore (sinistra la sua somiglianza con Ronaldinho), il “brasiliano di Monterrey” (il papà Gerardo, conosciuto come Zizinho, terminò la carriera nel nord del Messico) ha anche giocato da finta prima punta nel tridente messicano con Villaluz (positivo) e Vela, per avere la possibilità di giocare fronte alla porta. Non male l’idea, e ulteriori suggerimenti per la sua futura carriera che deve decollare, lontano da Barcellona se necessario.
Carlos Vela. MEX. Nessun gol nella manifestazione, perché la segnalazione? Perché Vela, che fece innamorare Arsène Wenger nel mondiale under 17 e convinse i dirigenti dell’Arsenal a metterlo sotto contratto, non è più solo un centravanti. Sta diventando, anche per le sue notevoli doti fisiche, giocatore a tutto tondo: capace di assist, di appoggio al centrocampo e pure di recuperi. La crescita continua, e i Gunners, dopo la positiva stagione al Salamanca, vogliono vedere la definitiva maturazione quest’anno all’Osasuna. Il nativo di Cancun sta perfezionando l’inglese, sarà pronto per Londra. Una sua girata da fantascienza rischiava di mettere in difficoltà i futuri campioni dell’Argentina: è intervenuto il palo, ma la preparazione dell’ex Guadalajara dice tutto su di lui.
Alexandre Pato. BRA. No, no, non correte: non siamo di fronte a un nome pompato senza motivo. Il Brasile sarà anche uscito agli ottavi, dopo un vergognoso girone eliminatorio, ma il non gioco di Rodrigues è costato più delle parziali ombre di Pato. Che poi non sono state tantissime. Il giocatore è addirittura del 1989, di due anni sotto il par, quindi, e anche qui ha mostrato classe da vendere: Pato è completo, domani farà tutto bene, oggi fa già tutto. Palla al piede può essere devastante, ha fiuto del gol, è bravo di testa. La critica di una parte dei suoi connazionali è quella di essere spesso assente dal gioco: provate voi a muovervi con coerenza nella confusione che ha mostrato questo Brasile…
Diego Capel. SPA. Più di un osservatore storceva il naso a inizio di ogni dribbling, salvo poi meravigliarsi dell’esito finale. Il canterano del Siviglia è un po’ tutto lì, nel suo dribbling, testone, contorto, sgrammaticato, però di efficacia e potenza superiore. E questo stupisce. Giocando da esterno nella Spagna Ginés Meléndez è stata la sola arma, nell’assenza di ritmo generale, che ha continuativamente messo in difficoltà le difese altrui, spesso rimaste inebetite anche quando si era programmato un raddoppio o più: l’11 rosso usciva continuamente sul tappeto verde. Precauzioni per il futuro: trovi una squadra che può ricevere beneficio dalle sue sfuriate e impari a leggere meglio quella che la difesa propone: ad altissimo livello potrebbe trovare difficoltà.
CARLO PIZZIGONI
Fonte: Guerin Sportivo
Polvere di stelle. Spesso alcuni diamanti sono solo nascosti: non sempre si può trovarli, qualche volta è necessario scommettere che siano lì, appena sotto una patina di terra. Rubin Okotie, padre nigeriano, madre austriaca, pakistano di nascita, ha già la storia pronta per quando esploderà. Giovanili Austria Vienna, grande fisico, tecnica buona ma da limare, ottima presenza e buona visione di gioco, un centravanti di prospettiva. 100% nigeriano, e tutto da seguire, è il centrocampista offensivo Ezekiel Bala, già in forza ai norvegesi del Lyn che sperano di bissare il successo dell’affare Obi Mikel, cresciuto da loro.
Tra le (presunte?) superstar cilene non figura, ma tra qualche anno ci piacerebbe vedere dove è finito Gerardo Cortes, centrocampista centrale, destro educatissimo e mente calcistica sveglia del, ehm, Deportes Concepción. Irrequieto di carattere e indigesto ai difensori resta il polacco Dawid Janczyk, attaccante non elegantissimo ma di grande movimento e di buon fiuto. Tra i pochi a salvarsi della spedizione portoghese (i cui migliori giocatori di prospettiva sono però del 1986) Fabio Coentrao, sinistro offensivo dalla grande tecnica. Leandro Lima, ex Sao Caetano accasatosi al Porto, mezzapunta brasiliana, ha veramente troppi pochi estimatori per quello che vale, vedremo in Portogallo le sue notevoli possibilità. Al fianco di Adu, si è sempre fatto trovare pronto all’appuntamento con gli assists del compagno che ha sostituito agli ex Metrostars ora Red Bull New York, Jozy Altidore, lungo ma mobile attaccante USA di genitori haitiani.
CARLO PIZZIGONI
Fonte: Guerin Sportivo
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