28 novembre 2008

Copa Sudamericana. Finale d'andata. Estudiantes - Inter 0-1

Fonte: Gazzetta.it




L'Internacional di Porto Alegre vince bene la finale d'andata della Coppa Sudamericana, giocata allo stadio di La Plata con la solita cornice del fenomenale tifo argentino, 40mila presenze non certo discrete, colori e cori (il migliore: "Vamos Pincha vamos/ ustedes pongan huevo que ganamos/ vamos a traer la copa a la Argentina/ la copa que perdieron los Bosteros/ y las Gallinas" : metteteci il... cuore e vinciamo questa coppa che non figura nelle bacheche di Boca e River).
VERON IL FARO - Ambiente favoloso e gran bel match, specie nel primo tempo, quando l'Estudiantes gioca le sue miglior cartucce: il 4-4-2 di Astrada gira attorno alle aperture di Veron, trova diversi inserimenti di Benitez (largo a sinistra, poteva diventare la chiave della partita, visto il modo di difendere dei brasiliani che soffrivono i cambi di gioco, se servito con maggiore frequenza) e del terzino destro Angeleri e movimenti e appoggi dei due attaccanti Salguiero e Boselli. Il Pincha arriva più volte al tiro ed è sempre perfetto il portiere dell'Inter, Lauro, segnalandosi anche per diverse uscite quasi sempre precise e comunque importanti per la sua linea difensiva.
ANCORA ALEX - La squadra del sud del Brasile regge abbastanza bene in mezzo al campo, Magrao e Edinho sono buoni recuperatori di palla e sanno pressare, D'Alessandro e Alex rientrano dietro la linea della palla e la linea di difesa è attenta a non schiacciarsi troppo. Il Pincha però controlla ritmo e spazi della partita e quando al 24' un evitabile fallo duro di Guinazu (argentino che è giunto in Brasile passando anche per una mezza stagione al Perugia, stagione 2000-01) su Veron lascia l'Inter in dieci, il pubblico si scalda e pregusta l'assedio, ma il match cambia realmente pochi minuti dopo. Poco dopo la mezz'ora, infatti, il mobilissimo D'Alessandro trova una favolosa palla in profondità per Nilmar, centravanti che ha parecchi estimatori in Europa ed è ancora sogno proibito del Palermo, steso dentro l'area da un'entrata ingenua del centrale Desabato: rigore (ripetuto) e gol di Alex, talento dormiente ed esploso un po' tardi (ha 26 anni), ad oggi capocannoniere della manifestazione.
SITUAZIONE RECUPERABILE - L'Estudiantes prova a scuotersi ma piano piano il vigore degli argentini viene a spegnersi, sostituendosi con inerzia poco produttiva. Veron, con il contachilometri che denuncia 33 anni, non regge ad alto livello per 90 minuti e la qualità del gioco ne risente parecchio: aumentano errori e nervosismo e tutto a vantaggio degli uomini di Tite, che non modifica l'assetto grazie anche al buon lavoro in fase di non possesso delle punte che non permettono una ripartenza facile dell'azione. L'anima vera della squadra del "Jefe" Astrada, il solito Veron, non si arrende né in campo (non lesina "complimenti" che coinvolgono familiari, dopo qualche errore di appoggio dei suoi compagni), né nel dopo-partita: "Possiamo benissimo ribaltare le sorti a Porto Alegre, dato che il gol fuori casa non vale doppio: le due squadre si equivalgono, ci metteremo quel qualcosa in più in Brasile". Il 3 dicembre, tra una settimana, prosegue la battaglia.

0. Estudiantes: Mariano Andújar; Marcos Angeleri, Agustín Alayes (m.67, José Luis Calderón), Leandro Desábato, Juan Manuel Díaz; Diego Galván (m.60, Iván Moreno), Matías Sánchez, Juan Sebastián Verón, Leandro Benítez; Juan Manuel Salgueiro (m.58, Gastón Fernández), Mauro Boselli. Entrenador: Leonardo Astrada.
1. Internacional: Lauro; Bolívar, Indio, Álvaro, Marcao; Edinho, Pablo Guiñazú, Magrao, Andrés D'Alessandro (m.87, Sandro); Alex (m.79, Gustavo Nery), Nilmar (m.90, Danny). Entrenador: 'Tite'.

Gol: 0-1, m.34: Alex su rigore


CARLO PIZZIGONI
Dal sito della Gazzetta dello Sport

25 novembre 2008

Giorgio Manganelli

Carissima Angiola,
(...) eccoci ora davanti a qualcosa di nuovo ed ignoto; qualcosa di più difficile di qualsiasi altra esperienza, una terribile e abbagliante prova, un fuoco che oscilla tra il calore e l'ustione, una assenza che fa sì che tutti i nostri sguardi siano in essa confitti, una scomparsa che è intensa come una apparizione, un silenzio che ci dice tutte le parole che nella vita sono state alluse; la scomparsa di Renzo, del tuo, del mio caro dolcissimo Renzo, ha scatenato in noi tutti:; in tutti coloro che lo hanno avuto vicino, una coscienza d'amore che ci ha svelato a noi stessi ; non sapevo, molti non sapevano di essere così vicini alla sorgente originaria dell'amore, di quell'amore che tutti gli altri imitano e ripetono. Così, quel posto che doveva restare vuoto, quell'assenza umana è stata colamta da un impetuoso, doloroso e dolcissimo atto d'amore: una restituzione quale mai ho vista giacché quell'amore che abbiamo consegnato a colui che ne era il signore era quello che egli aveva saputo creare e far crescere in tanti che senza saperlo pagavano il oro dovuto tributo a questo re in incognito senza sudditi che non lo fossero (...)
Quale terribile ricchezza ci ha non lasciato ma consegnato; e l'ha fatto silenziosamente e insieme pacatamente; ma ora noi siamo angosciati perché sappiamo quanto sia difficile questo dono, quale angoscioso privilegio; ma pur sempre in primo luogo privilegio. La sua scomparsa ha moltiplicato la coscienza dell'amore che egli aveva generato e che gli veniva portato; ma ora questo amore, come è consentito e comandato a ciascuno di noi, deve essere vissuto, usato, amato cresciuto, come se la lingua in cui ci era consentito di esprimerlo fosse ora dichiarata inidonea, ed un'altra ci venisse subitamente proposta, che dobbiamo imparare, e che impareremo, giacché il contrario è l'afasia e la perdita dell'amore. Bisogna educare il nostro orecchio di terra a cogliere i messaggi infiniti e indiretti che a noi giungono per un lungo e istanteneo itinerario; bisogna resistere alla tentazione del dolore.

Giorgio Manganelli, Circolazione a più cuori. Lettere familiari, Aragno, 2008

24 novembre 2008

Hassan Yebda



Ad Auxerre, se provi a chiedere di Hassan Yebda, oggi centrocampista del Benfica ma cresciuto in Borgogna, avrai due risposte distinte. Risposta A: Talento che non abbiamo capito. Risposta B: Talento che si perderà. Essì perché le qualità per diventare un centrocampista di altissimo livello ci sono. Da sempre. “Yebda, fai conto un Diaby o un Sissoko, ma con più talento, peccato che qualche volta troppo.” L'anonimo di Auxerre cita non a caso centrocampisti che sono passati per la società borgognona. La versione del centrocampista di origine algerina, classe '84, è lineare e conciliante: “Sono stato campione del Mondo under 17 con la Francia- dice-, pensavo di diventare un titolare nell'Auxerre ma ho avuto due brutti infortuni: il crociato nella mia prima stagione, dove sono stato fuori più di sette mesi, e la pubalgia nella stagione successiva. Quando mi sono ripreso non c'era più Guy Roux a gestire il gruppo ma Jean Fernandez, che non aveva fiducia in me. Così ho preferito andare a Le Mans.” Il nostro non racconta di un rigore battuto, anche se non designato dal Mister, alla Panenka e sbagliato che è ancora negli dei tifosi dell'AJA e qualche atteggiamento non esattamente irreprensibile. A Le Mans ha mostrato enormi progressi. Quest'anno ha tutta la fiducia di Quique: il talento è sempre lì, qualche imprecisione di troppo negli appoggi e alcune letture di situazioni un po' immaginifiche, ma soprattutto corsa, intensità, inserimenti e recuperi continui.

CARLO PIZZIGONI



Fonte: Guerin Sportivo n.47/2008

Angel Di Maria

Due prove schiaccianti: l'ultimo Mondiale under 20 e la recente Olimpiade. I cercatori di grandi giocatori, che passano al setaccio il mondo del football appuntano queste due perle ad Angel Fabian Di Maria. Due perle lucentissime per una parure che non è ancora completa, ma che si pregusta già scintillante. In poco più di due anni dalla periferia del Mondo alla marcetta della Champions League, con lo sguardo umile e un po' impacciato di sempre, solo, ora, con due brillanti ai lobi che in quel viso allungato e genuino, ancora da ragazzo stridono un po'. Anche pensando alla faccia
nera e sudata che Di Maria aveva davanti agli occhi ogni giorno a tavola, il viso di papà Miguel, uguale a quello dei tanti che si massacrano riempiendo sacchi di carbone per pochi spiccioli nell'Argentina della crisi.



“Quando sono entrato al Monumental – dirà poi Di Maria – ho pensato alla mia famiglia e a tutti i sacrifici che hanno fatto per farmi arrivare fin qui.” Alla schiena che si spezzava a ogni sforzo di papà, alla bicicletta scalcagnata di mamma Diana che lo accompagnava al campo di El Torito, club della Lega di Rosario dove ha cominciato anche Nestor Sensini, apprezzatissima testa calcistica anche alle nostri latitudini. Solo che l'ex Udinese diventa presto un Lebbroso, e Angelito una Canaglia. A Rosario il calcio è diviso in due, rossonero Newell's o gialloblù Central, e quei nomignoli che si portano dietro da sempre per una partita amichevole saltata all'ultimo minuto, decenni fa, sono segno distintivo profondo. Quando arriva al campo del Rosario Central, 40 minuti di bicicletta, unica unità di misura della famiglia, la malnutrizione dovuta alla povertà viene notata immediatamente dal medico e dai compagni che lo ribattezzano Fideo, il nome dello spaghetto finissimo. Di Maria è un viso allungato e un sinistro da favola. Vederlo oggi appoggiare così velocemente quei primi passi, piantare scatti che lasciano inchiodati all'erba i difensori, colpire in maniera così coordinata la palla, agendo su leve non robustissime fa impressione: tutto frutto di undici anni alla scuola del Central, quel contropiede, lo scavino, il pallonetto che decide la finale Olimpica nasce negli anni Canalla. Mica tutta una storia semplice, chiaro. Nemmeno in campo. Ma c'è sempre, o quasi sempre, l'uomo buono che salva chi merita. Nella storia Angelito è certamente Angelo Tulio Zof, un istituzione al Central, che promuove in prima squadra un ragazzino che giocava poco nelle giovanili. Qui, oltre alla bontà, ci vuole occhio e competenza che non sono mai mancate al Viejo. In maglia gialloblù è insieme a tanti giovanissimi, con l'unica chioccia a nome Kily Gonzalez, venuto a chiudere la carriera dove l'aveva cominciata. Di Maria debutta a 17 anni, vince under 20 e Olimpiadi raggiunge la nazionale maggiore in due anni. Il Benfica anticipa l'Arsenal e Angelito deve abbandonare casa: per la prima volta i suoi genitori prendono l'aereo ed escono dal Paese. Giocatore da campo aperto, ottima corsa, esplosività nei primi passi, bel calcio, ottima tecnica: le virtù non mancano. Ma nemmeno i vizi: se è molto migliorato il suo modo di stare in campo, lascia qualche volta perplessi nella scelta della giocata: un dribbling di troppo o in una zona pericolosa, un passaggio ritardato o troppo anticipato. Qui c'è da lavorare, e quest'anno un tecnico rigoroso (pure troppo) come Quique potrà certamente aiutarlo. Per ora Angelito vede spesso la panca, ma non perdetelo di vista. Qui siamo tra i top 5 dei Grandi Giocatori ancora dormienti, ma pronti a esplodere alla prima scintilla. In fondo stiamo parlando di un ragazzo del 1988. Una vita di povertà, una bicicletta guidata dalla mamma per attraversare il quartiere pericoloso, e il carbone da tagliare e da rivendere tutti si santi giorni: no, decisamente non il vostro solito talento pronto a prendersi il palcoscenico. Proprio per questo può venire fuori di tutto, e c'è materiale per considerare quel tutto una sorpresa molto positiva. All'Inter hanno già preso informazioni.

CARLO PIZZIGONI


Fonte: Guerin Sportivo n.47/2008

22 novembre 2008

Copa Sudamericana. Semifinali

Fonte: Gazzetta.it



Le manifestazioni “minori” ritrovano appeal poco a poco che ci si avvicina all'epilogo. Vale a tutte le latitudini, dato che un po' dappertutto si gioca due volte a settimana. La Copa Nissan Sudamericana è un po' così. Soldi, garanzia della casa automobilistica nipponica, ne girano, ergo le presidenze dei club spingono per giocare sempre. E poi dai quarti di finale in avanti, con partite di andata e ritorno, si ritrovano nomi che han fatto la storia del calcio mondiale e per creare l'evento basta la scenografia della Bombonera o del Maracana.
GLOBALE - Dal Messico fino alla punta estrema del Continente Sudamericano, questo torneo, che è partito l'ultima notte di luglio e si concluderà il 3 dicembre prossimo, lo giocano tutti, anche quelli che poi saranno in campo per la Libertadores, che invece coinvolge solo l'élite. Quest'anno la finale recita Internacional – Estudiantes, alta borghesia del futbol. La marcia dei brasiliani, trascinati da Andres D'Alessandro e Nilmar, gente che potrebbe rivedere a breve l'Europa, è stata impetuosa negli ultimi turni. Fatto fuori ai quarti il Boca, sbancando anche la Bombonera, in semifinale il Colorado ha disintegrato le Chivas di Guadalajara: 4-0 a Porto Alegre e 2-0 allo Jalisco. Figuraccia messicana dopo un quarto di finale col River Plate che prometteva parecchio e che aveva costretto Diego Simeone alla definitiva resa: il Cholo sperava in un rilancio dei suoi Millionarios, lontani anni luce dalla vetta del campionato nazionale, proprio in questa competizione. E invece, nada: sconfitta e dimissioni. L'Estudiantes guidato in mezzo al campo da Juan Sebastian Veron, e che a inizio stagione vedeva in panchina Nestor Sensini, prima che risultati balordi esigessero l'assunzione del “Jefe” Astrada, ha eliminato ieri notte l'Argentinos Juniors (boia del Palmeiras ai quarti). Un gol per parte alla Paternal e ritorno alla Plata, nelle giornate immediatamente precedenti all'evento dell'anno in Argentina: la finale di Coppa Davis ( e infatti ha assistito al match anche David Nalbandian). Semifinale di ritorno dove la voglia di rischiare era pochina e il gol decisivo è arrivato grazie a una capocciata di José Luis Calderon, entrato pochi secondi prima.
VECCHIO BOMBER - Il “Caldera”, esimio giocatore di futbol anche alla faccia della carta d'identità che riporta 38 primavere, un passaggio sfortunato e frettoloso al Napoli peggiore degli ultimi anni, ha cambiato la partita, aumentando la pericolosità del Pincha giocando al fianco dell'ex Boca Mauro Boselli. L'Estudiantes torna a giocare una finale internazionale dopo oltre 35 anni: non sarà la Libertadores (che il Pincha ha vinto per tre volte, consecutive tra l'altro) ma è qualcosa che conta davvero, visto anche il momento non certamente florido del club. Juan Sebastian Veron, tornato all'ovile dopo una favolosa carriera, ha regalato alla sua gente, dopo il fantastico titolo del 2006, anche quest'ultimo sigillo. Papà Juan Ramon, che con i bianco-rossi alzò la Libertadores del 1968 e la coppa Intercontinentale contro il Manchester United di Bobby Charlton e George Best (segnando tra l'altro ad Old Trafford), può essere orgoglioso: il suo numero 11 è rimasto in buone mani...

CARLO PIZZIGONI



Estudiantes - Argentinos Jrs. 1-0




Internacional - Guadalajara 4-0

21 novembre 2008

Qualificazioni Mondiali. Si salva il Messico di Eriksson

Fonte: Gazzetta.it


Ha sfiorato la tragedia (sportiva) Sven Goran Eriksson con la sua nuova creatura, la nazionale messicana. Dopo una serie di prestazioni incerte, soprattutto fuoricasa (sconfitto in Giamaica e bloccato sul pareggio dai canadesi), il Messico si giocava la possibilità di accedere alla fase successiva di qualificazione del prossimo Mondiale, il cosiddetto “Hexagonal”, dove le miglior sei squadre del raggruppamento di Nord e Centro America si sfidano per i tre posti di Sudafrica 2010 ( la quarta classificata spareggerà con la prima delle non qualificate sudamericane).
LA PARTITA - Trasferta a San Pedro Sula, Honduras, per il “Tri” dell'ex Roma e Lazio: un pari gli bastava. La partita con la nazionale “catracha” diventa un mezzo incubo, non solo per l'ambiente caldissimo. Almeno all'inizio, Eriksson rinunciava al 4-3-3 che aveva spesso proposto, per un atteggiamento più equilibrato e prudente, ciononostante subiva l'Honduras di David Suazo, e alla fine cadeva per un brutto autogol di un uomo chiave della nazionale allenata dallo svedese, Ricardo Osorio, giunto in Bundesliga (Stoccarda) dopo le belle prestazioni al Mondiale tedesco. La paura aumentava con il gracchiare della radio: la Giamaica, tre punti in meno in classifica, ammontichiava gol contro il Canada. Il 3-0 finale dei Reggae Boyz e l'1-0 sudato con l'Honduras (alla fine riproposte le tre punte da Eriksson: Nery Castillo, Omar Bravo e Carlos Vela, con l'attaccante dell'Arsenal espulso nel finale) bastavano in conclusione al Messico per sopravanzare i giamacani nella differenza reti.
IN EXTREMIS - Sospiro di sollievo nel Mesoamerica, ma ora le certezze dello svedese cominciano a diventare meno persuasive. “L'importante è essere qualificati al turno successivo, sono sicuro che arriveremo al Mondiale”, assicura ancora Eriksson, ma la ferocissima critica messicana, finora insolitamente quieta circa le performance di Sven, comincia a intingere la penna nel curaro, anche perché le prestazioni del Tri lasciano parecchie perplessità, e rischiare di non arrivare nemmeno alla fase di qualificazione del Mondiale in un raggruppamento con avversari poco più che modesti se comparati ai messicani, semina dubbi nella testa dei cronisti.

Honduras - Messico 1-0

USA QUALIFICATI - Tutto semplice invece per il team degli Stati Uniti di cui si segnala anche il primo gol nella selezione maggiore del celebrato Freddy Adu (classe 1989), nel 2-0 al già eliminato Guatemala. Trindad e Tobago, Costarica, El Salvador sono le altre compagini che raggiungono l'Hexagonal e che contenderanno il terzo posto disponibile per il viaggio diretto in Sudafrica all'Honduras, posto che Messico e Stati Uniti, a meno di suicidi oggi, nonostante certe prestazioni, poco pronosticabili.


Giamaica - Canada 3-0 / USA - Guatemala 2-0

EQUILIBRIO ASIATICO - In Asia regna l'equilibrio. I due gruppi di qualificazione che consegneranno le magnifiche quattro per Sudafrica 2010 (più un'eventuale quinta) non vivono di certezze. Nel gruppo A l'Australia procede sì a punteggio pieno (tre vittorie su tre) ma in Bahrein soffre per più di novanta minuti i padroni di casa prima di trovare il gol vincente di Mark Bresciano nel recupero. Netta e significativa vittoria invece per il Giappone che si impone 3-0 in Qatar: dalla squadra di Bruno Metsu, santone del Senegal ai Mondiali Nippo – Coreani, ci sia aspettava qualcosa di più. Nel Gruppo B comanda la Corea del Sud con sette punti grazie alla vittoria in Arabia Saudita, mentre l'ex capolista Iran, guidato dall'ex centravanti di Bayern e Herta Berlino Ali Daei, si salva a Dubai solo nel finale e non va oltre i cinque punti. La marcia è ancora lunga e le sorprese non mancheranno.


Bahrein - Australia 0-1

CARLO PIZZIGONI
Dal sito della Gazzetta dello Sport

18 novembre 2008

La Scuola ivoriana

C'era volta un ragazzino ivoriano che adorava il football. Voleva entrare nella scuola calcio che era appena nata nella sua città. I genitori volevano terminasse il Collège St Jean Bosco di Treichville (municipalità di Abidjan), una scuola d'élite che gli avrebbe concesso tante chances nella vita. C'era una volta l'Africa, piena di vita e piena di problemi, di crisi che si aggiustavano, poi tornavano. Nel Paese di Christian, il nostro ragazzo, tutto filava per il verso giusto. C'era la Liberia, la Sierra Leone, e poi c'era la Costa d'Avorio. Il Padre della Patria, Felix Houphouet-Boigny l'aveva condotta lontana dai problemi: un democrazia compiuta? forse no, ma una società in cammino con un sviluppo economico e sociale garantito a una larghissima fetta della popolazione. Si stava bene in Costa d'Avorio, c'era il tempo per dedicarsi ad altro, allo sport per esempio. E lo sport in Africa Occidentale è quasi ovunque il calcio. Ad Abidjan c'era l'Académie:lì si studiava, si mangiava, si dormiva e si giocava a calcio. Tutto in una una struttura, un paradiso, non solo per l'Africa. A volerla, allo sbocciare degli Anni Novanta, è stato Roger Ouegnin, presidente dell'ASEC, la squadra più amata dagli ivoriani. Per guidare questa Rivoluzione serviva un uomo di rottura. Ouegnin sceglie Jean-Marc Guillou, nazionale francese a Argentina '78 col 10 sulle spalle, e sognatore-visionario di un calcio in cui è la tecnica che comanda, ma anche educatore preparato, in grado di plasmare un giovane giocatore con metodi che ne facciano pure un uomo. Christian partecipa ai provini che il tecnico francese sta promuovendo in città per selezionare i miglior talenti. Guillou si innamora subito di quel sinistro, anche perché si vede poco altro in quello scricciolo determinato ma invisibile. Quante scuole calcio l'avrebbero accolto, ad altre latitudini? Per Guillou il pollice è alto. Si va a Sol Beni (la sede dell'Académie)! A casa non ci sentono nemmeno: devi studiare, lascia perdere. Christian però ha la testa dura, non molla e alla fine riesce a ottenere il sì dei genitori.





Quando entri all'Académie ricevi un nuovo battesimo, quello calcistico: tutti, alla brasiliana, adottano un nomignolo. Christian N'dri Koffi diventa Romaric. Ed è iscritto al corso denominato Johan (negli anni seguiranno l'Armando”, il Puskas, il Di Stefano...). E' la prima nidiata degli Académiciens. Esercizi col pallone si mescolano a educazione, scuola, con professori preparati assunti dalla società: tutto a Sol Beni, in riva al mare, coi campi verdi e con strutture in muratura che richiamano altri panorami. I compagni di banco di Romaric ora giocano nell'Arsenal (Kolo Touré e Eboué), nel Barcellona (Yaya), nel Chelsea (Salomon Kalou), nel Tottenham (Zokora), nello Stoccarda (Boka), nel Marsiglia (Baky) e in molte altre squadre europee. Compagni di una scuola calcio al centro dell'Africa. C'è di che stropicciarsi gli occhi,

C'era un volta una favola, e ora forse non c'è più. Non c'è più quella Costa d'Avorio, ora divisa in due dai militari e messa in ginocchio dalla crisi. L'Académie c'è ancora, ma è ormai affiancata da altre scuole: una galassia polverizzata piena di sigle che pretendono di ripercorrere lo spirito dell'inizio. Ouegnin, Guillou, i suoi collaboratori ne hanno fondate tante, dopo aver litigato anche davanti a tribunali. Il presidente voleva vedere i suoi giovane portare l'ASEC sul tetto del continente, il francese voleva costruire un ponte per l'Europa. Incrocio pericoloso e inconciliabile. Dal caldo sole primaverile di Abidjan alla bruma novembrina delle Fiandre Orientali. L’esperimento-Beveren che tenta Jean Marc Guillou con il proprio braccio destro Régis Laguesse (l’uomo che, quando vide per la prima volta in azione l’allora 12 enne Yaya Tourè, annotò sul proprio taccuino: “Se una determinata situazione di gioco presenta quattro o cinque possibilità di scelta, lui sa trovarne una sesta; farà strada”) è tanto coraggioso quanto radicale. Si tratta di trasferire, a gruppi di dieci-dodici elementi per volta, i migliori talenti dell’Académie nella squadra belga del Beveren. Testare il calcio europeo sul campo, un’esperienza formativa, durissima ma preziosa. Partono per il Belgio giocatori quali Gilles Yapi Yapo, Arsène Né, Yaya Tourè e Zézéto, seguiti nelle stagioni successive da Emmanuel Ebouè, Arthur Boka, Baky, e con loro il nostro Romaric. Al Freethiel Stadion si vede un calcio spumeggiante e ricco idee, ancorché acerbo. Il laboratorio-Beveren arriva fino alla finale di Coppa di Belgio, poi persa contro l’Fc Bruges, e si qualifica alla Coppa Uefa. Non tutti però condividono la filosofia all-blacks di Guillou, accusato da parte della stampa locale di essere un “moderno negriero”. Senza dimenticare i cori razzisti di parte dei tifosi. Finisce con il licenziamento del francese e del suo staff a causa di “risultati poco soddisfacenti”. Una volta tornato “fiammingo” e depurato dall’africanismo spinto, il Beveren è immediatamente retrocesso e oggi il club milita nella Tweede Klasse belga. Romaric sopporta quel freddo. Lo notano in Francia e vola a Le Mans. Lì trova un fratello académicien, Gervais Yao Kouassi, ribattezzato Gervinho, velocità, tecnica e voglia di emergere, come ha dimostrato nell'ultima Olimpiade, dove ha sfavillato. Nato nel 1987 è un prodotto della nuova Académie di Guillou, anche se il francese non può metterci piede, dato che è ufficialmente ( e tristemente) “indesiderato” ad Abidjan. Forse raggiungerà suo “fratello”, Romaric, che nella sua ulteriore scalata, dopo aver giocato anche il Mondiale in una nazionale piena di “accademici”, è arrivato a Siviglia quest'anno, ondeggia tra il centrocampo e la posizione dietro le punte, con la solita eleganza, lui, il prodotto tecnicamente più elevato di tutta l'Académie. Ci sono buchi grossi come crateri nelle strade di Abidjan, l'erba vicino alla Cattedrale è alta, non la taglia più nessuno, la spesa si fa intorno a bancarelle malferme. La Costa d'Avorio che c'era una volta, non c'è più. Ma i ragazzi ivoriani, non smettono di sognare, e gli Académiciens vengono anche prima di Didier Drogba.

CARLO PIZZIGONI
(Ha collaborato Alec Cordolcini)

Fonte: Guerin Sportivo n.46/2008

Le qualità di Romaric

17 novembre 2008

Champions Africa: Al Ahly campione

Fonte: Gazzetta.it


L'Al Ahly vince la sua sesta Champions League Africana, la terza negli ultimi quattro anni. La squadra egiziana pareggia infatti per 2-2 nel ritorno della finale contro il Coton Sport, dopo essersi imposta per 2-0 nella prima partita al Cairo. Vincere così tanto certamente aiuta, e questa, più di altre, è stata la vittoria dell'esperienza.
ESPERIENZA - Dopo la buona prova dell'andata, l'Al Ahly è scesa in Camerun col chiaro obiettivo di addormentare il match: solito 3-5-2 dai ritmi bassi, gestione della palla, attenzione alle coperture e concentrazione sulle palle da fermo. La prima fase della partita è andata proprio in questa direzione, anche se il Coton Sport arriva più volte al tiro da fuori. La linea difensiva degli egiziani si abbassa troppo e Manuel Josè, il tecnico portoghese alla guida dell'Al Ahly (per lui quarta Champions, vero record), chiede esclusiva densità davanti all'area di rigore: si lascia al Coton Sport la gestione fino ai 25-30 metri poi li si aggredisce e si tenta di ripartire in contropiede. La fase di possesso palla è gestita invece molto meglio, con Ahmed Hassan a dettare tempo e movimenti alla squadra. E proprio l'ex Anderlecht indirizza la partita, mettendo in rete, in girata, un angolo ben calciato da Barakat: è la prima vera conclusione verso la porta della squadra egiziana e l'Al Ahly, al 37', va in vantaggio.
RIMONTA - I ragazzi del mister ivoriano Alain Ouomblen, schierati con un propositivo 4-2-3-1, ricominciano però a giocare il loro calcio, cercando di "muovere" il blocco difensivo egiziano, con movimenti senza palla, accompagnamento dei laterali e cambi di gioco, e bucando il muro con palle in profondità. Nel recupero del primo tempo un'azione insistita sulla destra scatena una mischia in mezzo all'area risolta da Abdoul Karim Lassina, centrocampista nato in Niger nel 1987 dai grandi mezzi fisici, corsa elegante, bella confidenza con la palla e dal favoloso sinistro.
GIOVANISSIMI - Il secondo tempo vede ancora il Coton Sport attaccare a testa bassa, le occasioni da gol fioccano:Oumar Sanda, Jacques Zoua, Daouda Kamiloua vanno a turno vicini o vicinissimi alla rete del vantaggio: è più volte bravo il portiere Amir Abdel Hamid, una vita all'Al Ahly da riserva di El Hadary, numero uno storico della Nazionale dei Faraoni fuggito in Svizzera a inizio anno. All'ora di gioco Ahmed Hassan è costretto ad uscire per infortunio e la gestione della palla per l'Al Ahly diventa sempre più complessa. Ormai, siamo alla più classica delle "metacampo da vendere", si gioca a una sola porta, con il piccolo stadio di Garoua che pare saltare insieme agli scatenati tifosi di casa. Il meritato vantaggio arriva grazie a un colpo di testa Baba Ousmaila, l'ennesimo giovanissimo di questa squadra camerunese (è del 1986): il più “vecchio” in campo per il Coton Sport è di gran lunga Minka N'Nouck, che ha 29 anni, gli altri sono massimo venticinquenni!
A TOKYO! - Gli egiziani vengono contati in piedi ma non crollano; anzi, a fine match Mohamed Shady fissa la parità su rigore correttamente assegnato: c'è sconforto, comprensibile ma ingiustificato, tra i ragazzi del Coton Sport che invece hanno inscenato un miracolo raggiungendo la finale e mettendo seriamente in difficoltà una corazzata del Continente come l'Al Ahly, che ancora una volta fa le valigie Tokyo, e al Mondiale per Club vorrebbe sognare qualcosa di più del terzo posto già conquistato nel 2006.
PACE FATTA - Dopo le feroci polemiche del pre partita da segnalare come la cerimonia della consegna del trofeo si sia svolta in mezzo al campo da gioco senza nessun problema, con il presidente della Federazione Africana di Calcio, il camerunese Issa Hayatou, che ha consegnato la Coppa ai vincitori. Viste certe premesse, una vittoria per tutti.

CARLO PIZZIGONI



16 novembre 2008

Lunedì 17 - Libreria dello Sport - Milano

Appuntamento a cui sono tutti invitati:


Lunedì 17 novembre ore 18,00 alla Libreria dello Sport di Milano, presentazione del libro "MOURINHO - Pensieri e parole di un allenatore molto speciale" con Giancarlo Padovan, Roberto Beccantini, Nicola Cecere e Carlo Pizzigoni.

Libreria dello Sport

Champions Africa - preview

Fonte: Gazzetta.it


Si assegna domani pomeriggio la Champions League africana. Dopo il due a zero dell'andata, gli egiziani dell'Al Ahly, vincitori del trofeo continentale per due volte negli ultimi tre anni, sono naturali favoriti contro la sorpresa del torneo: i camerunesi del CotonSport di Garoua.
Tra il primo match e l'attesa del secondo sono state più le polemiche che i rilievi tecnici a consumare l'inchiostro della stampa interessata. Il clima dello Stadio Internazionale del Cairo è notoriamente caldo grazie anche alle performance degli Ultra Ahlawi, supporter accesissimi del team cairota, e tutto ciò ha finito per pesare anche nell'economia della partita con i meno esperti “Cottoniers” assolutamente paralizzati nei primi quindici minuti, quelli decisivi ai fini del risultato viste le segnature di Wael Gomaa e dell'angolano Flavio Amado. Le successive, sontuose giocate di due tra i giocatori migliori del Continente, Abou Treika e Ahmed Hassan, tornato in Egitto dopo la convincente carriera europea tra Turchia e Belgio (una delle poche cose da salvare nell'ultimo Anderlecht), non hanno modificato il tabellone, che ancora regala qualche speranza ai camerunensi.
DISPETTI - Tuttavia, i rimpianti del men che quarantenne allenatore del CotonSport, Alain Ouombleon Guedou, cresciuto in Francia da famiglia ivoriana nel settore giovanile del Nantes ( i suoi amici migliori rimangono i compagni di squadra di allora, Claude Makelele e Patrice Karembeu: l'ex sampdoriano è passato recentemente in Camerun a fare gli auguri al club di Garoua), sono ancora tanti. Vero, i suoi poulain non erano preparati a un impatto scenico simile, ma qualcosa non ha davvero funzionato nei giorni immediatamente precedenti alla partita. L'arrivo al Cairo è stato traumatico, con i giocatori trattenuti per quasi tre ore all'aeroporto della capitale egiziana, e "liberati" dopo il pagamento di 50 dollari a testa. Poi, una serie di contrattempi fastidiosi che hanno finito per minare la tranquillità della squadra bianco-verde: non ultimo l'attesa dell'OK per assaggiare il campo della finale alla vigilia, stop poi superato ma dopo estenuanti e continue richieste. Non felicissima nemmeno l'uscita del plurivincente tecnico dell'Al Ahly, il portoghese Manuel José, che si attendeva un arbitraggio di parte della terna data l'origine del Presidente della Federazione Africana, il potentissimo camerunense Issa Hayatou. La punizione da cui scaturisce il primo gol cairota elimina ogni dubbio. E il lusitano a fine match ha preferito parlare di opportunità sprecate dai suoi piuttosto che di fischietti.
RAPPRESAGLIE - Le autorità egiziane rimandano al mittente almeno un parte delle accuse, dividendo le colpe con le ambasciate coinvolte nell'organizzazione e una serie di contrattempi indipendenti dalla loro volontà. Qualche scusa, comunque, è arrivata. Anche se non ha spento le polemiche. Parte della stampa egiziana, timorosa di rappresaglie che in effetti potrebbero qua e là verificarsi, è attentissima a rilevare disfunzioni o mancanze nell'organizzazione di queste ore. Alcuni ci aggiungono il mai estintosi complesso di superiorità verso l'Africa Nera, promuovendo le solite campagne sulla mancanze di infrastrutture adeguate: alberghi, campi di allenamento e così via.
PREMIO - Garoua, nord del Paese, città che ha dato i natali al primo presidente del Camerun, Ahmadou Ahidjo (prima della gestione "paternalistica" di Paul Biya, attuale padrone del Paese, dalla democrazia ormai sempre più affievolita), si sta rimettendo a nuovo per l'evento. Anche se i pregiudizi non si eliminano con l'aspirapolvere e l'olio di gomito. Il CotonSport, a cui il Ministro dello Sport del Paese, ha promesso un premio di circa 3 milioni di Franchi CFA (4500 euro a testa), arriva alla partita della vita senza il suo capitano, Eboa Ngomna ma con il vice capocannoniere dell'intero torneo, Daouda Kamilou, ventenne attaccante del Niger (curiosamente nell'équipe di Garoua ci sono altri quattro giocatori provenienti dalla nazione a nord della Nigeria, famosa per i Tuareg). Attaccante da tenere d'occhio, visto che qui se ne intendono: l'anno scorso nella squadra camerunese si è imposto la giovanissima punta Alex Nimely (classe 1991), firmata poi dal Manchester City

CARLO PIZZIGONI

Dal sito della Gazzetta dello Sport

14 novembre 2008

11 novembre 2008

Vasco - Santos 1-0



Importantissima vittoria del Vasco al Sao Januario col Santos. La situazione in fondo alla classifica, a quattro giornate dalla fine, ora è la seguente: SANTOS 40 punti, ATLETICO PARANAENSE 38, VASCO, FLUMINENSE E NAUTICO 37, PORTUGUESA 36, FIGUEIRENSE 35, IPATINGA 31.

Nel prossimo turno il Vasco va al Minerao con l'Atletico, il Flu ha la Portuguesa al Maracana, il Figueira gioca in casa della capolista San Paolo, il Nautico in casa col Cruzeiro. Poi Ipatinga-Sport, Atl. Paranaense-Vitoria.

Il Mondo che segna - 8/9 novembre

ARGENTINA

Arsenal - Boca Juniors 0-1

River Plate - Huracan 3-3

Estudiantes - Independiente 1-0


San Lorenzo - Gimnasia Jujuy 2-1

Tigre - Colon 2-2


San Martin - Racing 0-2


Tutti i gol della giornata

BRASILE

Palmeiras - Gremio 0-1

Cruzeiro - Fluminense 1-0


Botafogo - Flamengo 0-1

Portuguesa - San Paolo 2-3



Tutti i gol della giornata


Europa

SPAGNA

Real Madrid - Malaga 4-3

Barcellona - Valladolid 6-0


Villareal - Almeria 2-1

Getafe - Valencia 0-3

Siviglia - Recreativo Huelva 1-0


ITALIA

Inter - Udinese 1-0

Bologna - Roma 1-1

Napoli - Sampdoria 2-0

Lazio - Siena 3-0

Lecce - Milan 1-1

Chievo - Juventus 0-2


INGHILTERRA

Arsenal - Manchester United 2-1 (1-0, 2-0, 2-1 )

West Ham - Everton 1-3

Liverpool - West Bromwich 3-0


GERMANIA

Schalke - Bayern 1-2

Amburgo - Borussia Dortmund 2-1

Karlsruhe - Bayer Leverkusen 3-3

FRANCIA

Monaco - Lione 0-1


Bordeaux - Auxerre 2-0 (1-0, 2-0 )

Grenoble - Marsiglia 0-3 (0-1, 0-2 , 0-3 )

TURCHIA

Fenerbahce - Galatasaray 4-1

10 novembre 2008

ANALISI LIVE: Inter - Udinese (da San Siro)

PIU'

1- L'Udinese sa gestire ottimamente palla. Quando comincia l'azione i tre centrocampisti si stringono e si cerca l'appoggio laterale fino al cambio gioco o la verticalizzazione per la punta. Che viene effettuato spesso da Gaetano D'Agostino, ieri senza paura contro il pressing ultraoffensivo dell'Inter. Onore al merito di Alberto Malesani che, come ha correttamente ricordato anche mister Marino, ha posto l'ex Roma in quella posizione al centro del campo.

2- Buona la partita di tutta la linea dietro dell'Udinese, bravi Coda e Domizzi in mezzo, bene anche Ferronetti e Lukovic, specie in fase di contenimento anche per i raddoppi dei centrocampisti e, qualche volta (con Pepe), pure delle punte, reggono bene pure l'uno contro uno; il serbo prova anche a ribaltare l'azione con buoni anticipi e proposizione, specie nella prima parte del secondo tempo.

3- L'inter dietro non rischia nulla, i difensori giocano alto, Samuel e Cordoba vanno per l'anticipo quando possono, di testa non sbagliano un intervento.

4- Funziona in fase di contenimento il pressing ultra offensivo dei tre centrocampisti (ottima prova di Javier Zanetti) non sempre supportati dalle punte. Non hanno però la stessa facilità nel ribaltare l'azione e nel trovare le punte: un po' di lentezza e una spaziatura non sempre ottimale.




MENO

1- Ribadisco, male la fase di transizione dell'Inter per tempi e spazi. Poca partecipazione e poca collaborazione.

2- Addirittura peggio l'Udinese. Non riesce a costruire le sue solite ripartenze. Solo Quagliarella ci prova da fuori, ma non è la solita squadra di Marino. Stuzzicato da un giornalista friulano in conferenza stampa sulla posizione, inedita, di Floro Flores a sinistra, Marino ha spiegato la scelta (Di Natale out, Sanchez affaticato) e ha poi elogiato la prova del suo attaccante che doveva anche infastidire Maicon.

3- Ibrahimovic ha sbagliato davvero tanto, spesso perdendosi in giocate effimere e concettualmente errate. Probabilmente poco supportati dai centrocampisti (scarsissimi gli inserimenti senza palla), gli attaccanti ci mettono pure del loro nel complicarsi la vita. Male Balotelli, Male Cruz (gol escluso, ovviamente), qualche spunto per Obinna, entrato con voglia di fare e determinazione: sua l'azione individuale da cui nasce il calcio d'angolo e sua la battuta.

4- Fuori Muntari, in mezzo al campo l'Inter non ha grandi passatori, soprattutto nei cambi di gioco. Quando le squadre raddoppiano a centrocampo fa fatica a cambiare lato.

03 novembre 2008

ANALISI LIVE: Milan-Napoli (da San Siro)

PIU'

1- Il Napoli difende molto basso, crea densità ai sedici metri ed è molto aggressivo in quell'area. La difesa è ben protetta, Iezzo si fa sempre trovare pronto.

2- Walter Gargano è davvero un bel giocatore. Aggredisce, tampona e non ha difficoltà a impostare anche nel traffico. Non riesce trovare la via della porta, ma calcia talmente bene, destro e sinistro, che i gol arriveranno a completare il repertorio. Lavezzi continua a proporsi ma non sempre è bene innescato.

3- Il Milan interpreta bene il secondo tempo con l'uomo in più. Buone le letture dei due difensori centrali (Favalli e Bonera), discreto l'appoggio dei terzini. Davanti Kakà e Ronaldinho, non sempre brillantissimi, giocano a ridosso dell'unica punta, nel secondo Dinho va esterno a sinistra.

4- Marco Borriello non ripete per intero le buone prestazioni delle partite precedenti (qualche anticipo di troppo subito) ma offre sempre quel contributo di fisicità di cui difficilmente, almeno ora, il Milan può fare a meno.



MENO

1- Il Napoli non riparte mai in velocità, non accende in maniera consona l'arma letale Lavezzi. Difende basso e la transizione è lentissima, pressa solo sotto i venti metri.

2- Reja prova a strappare un punto ma anche il DG Pierpaolo Marino, coi soliti toni moderati, avanza perplessità sull'atteggiamento. Il Napoli poteva fare molto meglio, è mancato qualcosa a livello mentale. La gestione in 10 contro 11 ha convinto ancora meno. Espulso Maggio, Reja va a 4 dietro con Aronica terzino sinistro al posto di uno spento Hamsik (anche limitato da un problema fisico): e ci sta perché Santacroce a destra non sa spingere ma annulla Ronaldinho e chiude a chiave quella zona di campo, da dove non arrivano pericoli. Una volta infortunato il neo-azzurro però Reja sceglie di inserire Pazienza e spostare Mannini terzino destro: cambia la partita in termini di pericolosità: i pericoli arrivano tutti da lì. Compresa la punizione da cui scaturisce l'autorete di Denis.

3- Il Milan sceglie di ripartire molto lentamente, nel primo tempo fatica a trovare appoggi credibili, si limita a tiri da fuori. Kakà non spinge la transizione come al solito e il Milan si affida ai soli uno contro uno, ma funziona poco.