Fantastica giocata di Kabiru Akinsola durante i supplementari della finale Spagna-Nigeria
Il ritorno dell’Africa. Sotto le continue piogge dei cieli coreani la Nigeria vince per la terza volta il Mondiale under 17 e, di concerto con l’ottima semifinalista Ghana, ridona prestigio e credibilità al Continente Nero. La solita querelle sul calcio del futuro stavolta merita un approfondimento più circostanziato. La squadra di Yemi Tella “allarga” il campo. La palla viaggia molto in aria perché la capacità di calcio di quasi tutti gli elementi della squadra nigeriana è notevole, così come il fisico che permette continui scatti e accompagnamenti numericamente importanti dell’azione. Ma la variabile decisiva è un’altra. I nigeriani sono nettamente migliorati rispetto agli ultimi anni sotto l’aspetto tecnico: molti i giocatori da segnalare per il bel controllo di palla, la familiarità con essa in più situazioni e per la precisione dei lanci. La Nigeria, rispetto alle altra potenze calcistiche del Golfo di Guinea, culla del football africano, ha sempre avuto gap deficitari rispetto al Ghana o alla Costa d’Avorio, storicamente meglio preparati sotto il profilo dei fondamentali. Soprattutto la Costa d’Avorio negli ultimi anni ha conosciuto, grazie alla “rivoluzione” dell’Academie voluta diversi lustri fa da Jean Marc Guillou e da Roger Ouégnin, presidente dell’Asec di Abidjan, un incredibile sviluppo tecnico. A maggiore ragione, in un Paese sconfinato e con un numero di praticanti elevatissimo come la Nigeria, questo percorso potrebbe rappresentare una chiave di volta decisiva. Sarà questo fattore, e non la tanto invocata preparazione tattica, la nuova frontiera dell’Africa calcistica? Il 442 (o 4411) nigeriano è senza fronzoli, ma sviluppato con i valori fisici e tecnici di cui si parlava, diventa difficilmente arginabile: infatti, pur vincendo solo ai rigori e non offrendo il meglio di sé nella finale, gli aquilotti nigeriani hanno dominato il torneo con sei-vittorie-sei dal primo turno alle semifinali. Quando subisce il possesso di palla altrui, come è stato nella semifinale con la Germania, rischia di perdere in concentrazione e di indolenzirsi, abbassando eccessivamente le prime due linee, ma le ripartenze sono micidiali, e il raggio di tiro di tanti elementi supera comodamente i venticinque metri. Là davanti è stato molto celebrato, a ragione, Macauley Chrisantus, centravanti capocannoniere del torneo (7 gol in 7 partite), attaccante longilineo e con buone intuizioni, ma la squadra presenta più di un elemento interessante. Il capitano Lukman Haruna, il tecnico rifinitore Rabiu Ibrahim, un grande cursore di centrocampo come Ganyu Oseni, attivissimo sottoporta, la forza fisica di Yakubu Alfa, la spinta sulla fascia di Mustapha Ibrahim, la grande pulizia del difensore centrale Kingsley Udoh, e gli inserimenti spesso decisivi di Kabiru Akinsola e Ademola Rafeal. Da aggiungere la grande prestazione, specie nella finale dove ha ipnotizzato tutti i tiratori spagnoli, del portiere Oladele Ajiboye. Del Ghana si è detto, ma l’Europa che conta ha fatto il suo. Spagna, Germania, Francia e Inghilterra hanno tutte proposto squadre altamente competitive. Se dagli spagnoli ci si aspettava molto, pure se a livello di prestazione mai ha del tutto convinto (ha giocato la finale senza la stella Bojan, espulso in semi), la sorpresa è arrivata dalla Germania. I tedeschi hanno prodotto un calcio fatto di possesso palla, di grande qualità tecnica e hanno forse difettato di “punch” in mezzo al campo. Ottima davvero la Francia, uscita rocambolescamente dal torneo dopo una partita sostanzialmente dominata nei quarti con la Spagna. Bene anche l’Inghilterra.
Disastro, ormai l’ennesimo, per il Brasile. Dopo aver fatto una magra figura in patria nei Giochi Panamericani (ma lì c’era la gabola: altre squadre han schierato, legittimamente, una formazione under 20 contro i diciassettenni brasiliani), i giovani di Luiz Nizzo si sono ripetuti qui contro i pari età: partiti con due vittorie tonitruanti con Nuova Zelanda (7-0) e Corea del Nord (6-1) hanno balbettato calcio fino a uscire contro il Ghana negli ottavi, peggiore prestazione di sempre in un mondiale under 17. Male Lulinha, sempre a caccia della giocata ad effetto, e quasi mai con la necessaria concentrazione. L’Argentina non aveva grandi pretese da questo gruppo di ragazzi, uscito comunque con onore contro la Nigeria ai quarti. In crescita le altre due formazioni sudamericane, Colombia, soprattutto, e Perù. Desolante, ma ormai è un’abitudine, la prestazione delle asiatiche: quella che più ha convinto è stata la Siria, uscita dopo una partita gagliarda contro l’Inghilterra. Bene, in relazione alle possibilità, anche il Tagikistan, mancano però le nazioni guida: la Corea padrona di casa ha fatto peggio dei cugini del Nord vincendo una sola partita (contro il Togo) e abbandonando dopo la fase a gironi il torneo, esattamente come il Giappone. Tra due anni l’organizzatore della competizione sarà proprio il paese campione, la Nigeria.
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Al fianco degli ottimi nigeriani, molti sono stati i giovani interessanti, i cui nomi hanno fatto capolino sui bloc notes degli osservatori. La Spagna, da tanti considerata la favorita, in finale si è arresa solo ai rigori, e molto del suo percorso lo deve alla qualità dei singoli. Di Bojan si sa già tutto, dato che è oramai pronto per l’empireo Barça dopo aver segnato senza posa in tutte le formazioni giovanili blau-grana, Fran Merida è l’altro predestinato: centrocampista offensivo con classe da vendere a cui manca ancora la continuità, i colpi ci sono tutti e Wenger, come ha fatto con Cesc Fabregas, ha pensato bene di operare un altro “furto” alla florida cantera del Barcellona, portandoselo all’Arsenal. Dietro, bene il “Kaiser” Rochela, centrale molto interessante, e sicuro il portiere dell’Atletico Madrid, De Gea. Nella semifinale con i Ghanesi l’hanno vista però poco: tra gli africani, segnaliamo il “mini” cannoniere Ransford Osei (elogi pubblici da Claude Le Roy, tecnico della nazionale “senior” delle Black Stars), il compagno di reparto Sadick Adams e il centrocampista Enoch Adu. Al fianco del miglior giocatore del torneo, Toni Kroos (vedi box), ottimo il centravanti Sukuta Paso, agile e potente, bravo anche schiena alla porta. Mettesse su qualche chilo (oggi supera a fatica i 50…) sarebbe da seguire la carriera di Sascha Bigalke, centrocampista tecnico dei teutonici. Nell’Inghilterra, che forse meritava un po’ di più, molta autorità del centrocampista centrale Henri Lansbury e segnalazione per Rhys Murphy, entrambi dell’Arsenal. Livello medio alto anche tra i francesi: scegliamo l’ala destra Henri Saivet, classe ed eleganza. Nel Brasile si salvano in pochi, citiamo il vascaino Alex, mezzapunta, dribblomane di qualità.
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Non che mancassero le alternative, eh. Però la scelta di premiare il tedesco Toni Kroos come miglior giocatore del Mondiale ha messo d’accordo tanti. Grande tecnica, sublime visione, ha giocato dietro la punta evoluendo a destra e a sinistra dell’attacco e favorendo con le sue rasoiate in profondità gli inserimenti dei compagni, grazie anche alla dimestichezza con entrambi i piedi (4 assist vincenti in tutto il torneo). Bravo a difendere la palla, sa riconoscere il momento esatto dell’assist, e poi vede la porta: 5 gol all’attivo nella competizione. Nuovo Riquelme? Mmmh, ci sta…Nato nel ’90 a Greifswald, dove solo sulla carta non era più Germania Est, Kroos esplode calcisticamente nelle giovanili dell’Hansa Rostock e viene prelevato dal Bayern che anticipa anche offerte straniere. Uli Hoeness, GM dei bavaresi, l’ha voluto già quest’anno nella rosa della prima squadra.
CARLO PIZZIGONI
Fonte: Guerin Sportivo